martedì 18 marzo 2008

IMBROGLIARE – INGANNARE - ABBINDOLARE

IMBROGLIARE – INGANNARE - ABBINDOLARE
Questa volta tento una piú o meno esauriente elencazione dei verbi partenopei che rendono quelli rammentati in epigrafe; prima di cominciare rammenterò la derivazione dei verbi toscani: - imbrogliare : ingannare, confondere,avviluppare per modo che l’ingannato, il confuso, l’avviluppato è quasi impossibilitato a venir fuori dalla situazione fonte del suo inviluppo; etimologicamente con ogni probabilità da un imbogliare (con successiva epentesi di una erre eufonica) che è da in illativo + bollire nel senso di confondere (ciò che bolle si mescola talmente che si fonde con e ciò è confonde.Non dissimile la strada di - abbindolare: propriamente far matassa sul bindolo e metaforicamente ingannare etc. come per imbrogliare; etimologicamente il bindolo (da cui il verbo abbindolare) è un diminutivo del tedesco winde che originariamente fu una macchina che girata da un cavallo serviva per attingere acqua, e poi un molto piú piccolo arnese su cui ammatassar filati.Piú semplice la strada di ingannare che è denominale forgiato su un basso latino in + gamnum = burla, per cui il primo significato di ingannare è prendersi gioco, burlare.
Ciò detto veniamo ai verbi napoletani che, senza eccessive o particolari differenze, indicano tutti le azioni tese a confondere, ingannare, avviluppare etc.:
- arravuglià: da un basso latino ad-revoljare iterativo del classico volvere; da notare la consueta assimilazione regressiva della d con la successiva r;
rammento qui quale deverbale di arravuglià il sostantivo partenopeo arravuogliacuosemo che è il raggiro, l’imbroglio ed estensimamente il saccheggio, il furto esteso fino al totale repulisti; la parola, costruita partendo, come detto dal verbo arravuglià è addizionata del termine cuosemo che non è, come a prima vista potrebbe sembrare, il nome proprio Cosimo quanto – piuttosto – la corruzione del latino quaesumus, nacque come espressione irriverentemente furbesca, in ambito chiesastico, dall’osservazione di taluni gesti sacerdotali durante le celebrazioni liturgiche;
- attrappulià e attrappià che nel significato di tender trappole e dunque ingannare sono dallo spagnolo atrapar forgiato su trampa poi trappa e infine trappola = lacciuolo;
- fóttere: che è dal basso latino futtere per il classico futuere e che di per sé sta per: possedere carnalmente e metaforicamente imbrogliare e raggirare azioni che contengono l’idea del possesso dell’altrui mente, correlativamente al possesso del corpo altrui espresso dall’atto sessuale; analogo possesso rifacentesi al coire è contenuto nei due successivi verbi che sono:
- frecà: che è dal latino fricare = strofinare, (quello dei corpi durante il coito);
- fruculià: ci troviamo anche qui nel medesimo àmbito del verbo precedente e dell’azione che esso connota in primis; del resto etimologicamente fruculià è dal basso latino fruculjare frequentativo di fricare;
- ‘mbruglià: evidente adattamento dialettale del nazionale imbrogliare cui, per l’etimo, rinvio;
- ‘mballà: letteralmente corrisponde al nazionale: mettere nel sacco e dunque avviluppare, raggirare, confondere, tener costretto; etimologicamente è voce che è pervenuta nel napoletano attraverso il francese emballer alla medesima streua del toscano imballare che però à conservato il solo significato di mettere in balle, mentre il napoletano ne à dato anche quello estensivo di inviluppare mentalmente;
- ‘mpacchià: letteralmente: insozzare, macchiare ed estensivamente poi tutti i significati rammentati di azioni tese all’inganno, all’imbroglio, alla confusione;etimologicamente il verbo ‘mpacchià è un denominale del lemma pacchio/a (cibo generico, ma segnatamente abbondante, quello che può comportare il macchiarsi, l’insozzare/arsi) da un latino patulum onde pat’lum > pàclum > pacchio;
- ‘mpapucchià: che è di medesima portata del precedente, sia come significato di partenza che come sviluppo semantico; etimologicamente se ne differenza in quanto il precedente ‘mpacchià fa riferimento – come visto – a pacchio/a, ‘mpapucchià è invece da collegarsi ad un in + papocchia che è la pappa molliccia, brodosa (ben atta ad insudiciare) e per traslato l’intrigo, l’imbroglio; etimologicamente papocchia è, attraverso il suffisso occhia, il dispregiativo d’un latino papa che indicò appunto la pappa per i pargoli;
- ‘mprecà: che è il vero e proprio raggirare, attraverso le piú varie strade con intrighi, sotterfugi ed affini e dunque anche il piú generico imbrogliare,ingannare etc.; etimologicamente non è aggiustamento del toscano imprecare che proveniente dal latino in + precari stava per invocare, rivolger preghiere(e solo in senso antifrastico, diventato poi senso principale: lanciare insulti) cose ben diverse dal raggirare; in realtà ‘mprecà è sistemazione dialettale dal catalano in +bregar da cui anche il toscano brigare: ingegnarsi d’ottenere qualcosa con raggiri, cabale e peggio, di identica portata del napoletano ‘mprecà;
- ‘mpruzà o ‘mprusà: letteralmente le due diverse grafie del medesimo verbo, starebbero per sodomizzare e solo per traslato, come per i precedenti: fottere,frecà e fruculià, ingannare, imbrogliare, raggirare; in effetti il verbo, d’origine gergale, è forgiato da un in illativo + la parola proso che appunto, nella c.d. parlesia( gergo dei suonatori ambulanti e/o posteggiatori), è la parola che indica il culo e dunque letteralmente ‘mprusà o ‘mpruzà è l’andare in culo e per traslato l’ingannare, l’imbrogliare, il raggirare etc; sulla medesima parola proso è forgiato il termine ‘mprusatura o ‘mpruzatura e con alternanza p/b anche ‘mbrusatura o ‘mbruzatura che sono esattamente il raggiro, l’imbroglio, l’inganno;
‘mpasturà: letteralmente: truffare in una vendita e piú in generale nei significati in epigrafe imbrogliare, ingannare, abbindolare, porre intralci,impedimenti;
- etimologicamente il verbo napoletano piú che sistimazione dialettale del toscano impastoiare (metter pastoie) appare essere un denominale del tardo latino pastoria(m) donde anche il verbo della lingua nazionale, ma il napoletano, rispetto all’italiano che appunto à pastoia à conservato la erre etimologica di ‘mpasturà), ;
- ‘nfunucchià: che letteralmente è infinocchiare, imbrogliare tentando di far apparir buono o gustoso, ciò che buono o gustoso non sia: anticamente gli osti che servivano ai propri avventori un vino non troppo buono, erano soliti presentarlo, accompagnato con del finocchio fresco, finocchio che à tra le sue qualità quella di migliorare il gusto di taluni cibi e/o bevande assunti dopo d’aver mangiato il finocchio; invalse così l’uso di aggiungere a molte preparazioni culinarie, per migliorarne il sapore, del finocchio, specialmente selvatico, sotto forma o di barbe o di semi e nel parlato comune questa sorta di imbroglio si disse in italiano: infinocchiare ed in napoletano: ‘nfunucchià ;
- ‘ntapecà: letteralmente: macchinare, tramare e perciò ingannare, imbrogliare; il verbo è un denominale di ‘ntapeca: macchinazione, trama; detta voce, così come il verbo che se ne è ricavato sono da un antico italiano: antapòcha voce forense da un identico tardo latino che richiama altresì un greco antapochè usato per indicare una nuova, valida scrittura che ne revochi un’ altra per quanto di per sé valida (e dunque sorta di inganno, raggiro);
- Trappulià: letteralmente porre trappole (ad un dipresso come il precedente ‘mpasturà ; il verbo trappulià nel napoletano v’è giunto attraverso lo spagnolo atrapar che è propriamente porre inganni, impedimenti per far cadere; (vedi il prec. Attrappulià);
- Trastulià che letteralmente è il porre in essere innocenti giochini o inganni da saltimbanchi ed estensivamente ogni altro inganno teso ad imbrogliare, raggirare etc; ad un superficiale esame potrebbe sembrare che il verbo napoletano sia un adattamento del toscano trastullare; non è così, però; è vero che ambedue i verbi, l’italiano ed il napoletano, partono da un comune latino transtum che fu in origine il banco cui erano assisi i rematori delle galee romane, per poi divenire i banchi su cui si esibivano i saltimbanchi con i loro trucchi ed inganni detti in napoletano trastule e chi li eseguiva fu il trastulante passato in seguito a definir semplicemente l’imbroglione , ma mentre l’italiano trastullare è usato nel ridotto significato di dilettare con giochini i bambini, il napoletano trastulià à il piú duro significato di mettere in atto trucchi ed inganni, e non per divertire i bambini, quanto per ledere gli adulti;
- Zannià: verbo che si riallaccia, come origine, agli antichi giochi e trucchi dei saltimbanchi, figurazioni di ben piú dolorosi e gravi inganni e trucchi perpetrati in danno degli adulti; il verbo sta quasi per comportarsi da zanni(o Giovanni di cui è diminutivo) che fu l’antico servo della commedia dell’arte e delle rappresentazioni popolari, aduso a compier a suo pro inganni, trucchi ed imbrogli.
Tutti i verbi sopra elencati, nonché gli eventuali deverbali da essi derivati, son verbi e voci molto antichi, usati in lingua napoletana a far tempo dal XVI sec. e poi nei seguenti sia come terminologia generica (imbroglio ed affini) sia come verbi/voci di significato ed applicazione piú circostanziati (‘ntapecà, trappulià, trastulià e simili).
L’ultima voce in ordine di tempo (nata intorno gli anni 1940 e ss. ) per indicare segnatamente un raggiro economico commerciale è la voce bàito che viene ancòra usata nell’espressione fà ‘nu bbàito= fare un raggiro, operare un imbroglio soprattutto in campo commerciale dove la voce bàito indica appunto la truffa d’ordine merceologico con riferimento ad una merce scadente quanto non pessima, non rispondente ai canoni del prodotto, merce ceduta e fatta acquistare con raggiri e falsi allettamenti. In tal caso s’usa dire che il venditore della merce scadente à fatto ‘nu bbàito ed il bàito è sia l’azione truffaldina che la merce oggetto della truffa.
Altro campo d’applicazione della moderna voce bàito e della corrispondente espressione fa ‘nu bbàito è il campo economico/bancario dove d’un cliente truffaldino ed infedele che abbia con la frode e/o l’inganno ottenuto ingiusti vantaggi a danno di altri clienti o piú spesso in danno dell’Istituto di credito, s’usa dire à fatto ‘nu bbàito ed in questo caso il bàito è sia l’azione truffaldina che l’ingiusto ammontare frutto della/e truffa/e perpetrata/e. Addirittura poi d’un truffaldino ed infedele cliente aduso spesso a tentar azioni fraudolenti, in àmbito bancario (e mi è occorso di ascoltarlo personalmente…) s’usa porre in guardia i terzi e/o nuovi impiegati nei confronti di quel soggetto, accreditandolo d’essere ‘nu baitajuolo= dedito all’inganno e truffa (voce costruita *baitariu(m) sul tipo di *causajuolo < causariu(m) = , come il causajolo è il causidico inveterato.) Per ciò che riguarda l’etimologia di bàito essendo voce moderna (2° guerra mondiale) nata in àmbito e con riferimento al linguaggio dei soldati anglo/americani, non fa meraviglia che concordemente la si faccia risalire non ad una voce latina (come gran parte della lingua napoletana) ma all’inglese bait = esca ed al verbo to bait= adescare, lusingare.

E qui mi fermo, sperando d’essere stato abbastanza chiaro ed esauriente e di non aver trastuliato nessuno!
RaffaeleBracale

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