lunedì 2 giugno 2008

LÈFRECHE/GHE o RÈFRECHE/GHE – PAMPUGLIE

LÈFRECHE/GHE o RÈFRECHE/GHE – PAMPUGLIE

Tratto questa volta due parole che ò preferito accostare, perché – come vedremo – nella lingua napoletana, in una particolare accezione, possono avere significati molto simili.
Vediamo, dunque:
- LÈFRECA/ RÈFRECA: Di queste parole, che in realtà ne è una sola sebbene attestata con le due diverse liquide di avvio, ò trovato riscontro, non solo ovviamente nella lingua napoletana, ma anche in altri dialetti campani ( Bisaccia nell’alta Irpinia)ed in taluni dialetti calabresi, sebbene in questi ultimi abbia trovato attestato, piú che le parole cosí come indicate, i verbi liefricare, lievricare che di esse son denominali.
Il significato iniziale e per cosí dire, principale di lefreca/ga o refreca/ga è il cavillo, la fisima, la capziosità, la sofisticheria (donde l’espressione partenopea:jí ascianno lefreche per indicare appunto l’azione di chi per non addivenire ad un quid o per non soddisfare richieste, cerchi pretesti capziosi, cavilli pretestuosi etc.) e per tranquilla estensione: la minuzia, la sciocchezza, l’inezia, la cosa da nulla, ed è sola in questa accezione estensiva che lefreca mi pare sia accolta nel dialetto bisaccese
Come abbiamo già accennato per taluni dialetti calabresi, anche per la lingua napoletana le parole qui a margine ànno fornito verbi denominali quali lefrecà =cavillare,sofisticare, litigar per nulla ed il frequentativo lefrechïà che significa invece lesinare.
E veniamo alla etimologia; sia per lefreca/ga – refreca/ga che per i verbi derivati occorre risalire ai latini: refragari o refricare che indicarono l’azione di stropicciare, fregare ripetutamente con le mani materiali i piú varî fino ad ottenerne minuzzoli. Va da sé che i verbi latini ( che per incidens ànno dato il toscano fregola che però à tutt’altro significato dei napoletani lefreca/ga – refreca/ga , con le parole che ne son derivate, possono bene indicare oltre che quelle minuzie prodotte dallo stropicciamento, anche la capziosità, il cavillo richiamati appunto dall’azione dello stropicciare continuo di chi vada e rivada, dividendo in quattro un capello, su di un argomento, lo sceveri a fondo, magari con acribía pedantesca.

E veniamo a
- pampuglia che nel significato primo sta per piallatura,truciolo del legname ed estensivamente (ragione per la quale ò accostato pampuglia alle altre parole in epigrafe): inezia, cosa da nulla, bagatella, frivolezza e persino, come estrema valenza, quel tipo di dolce nastriforme carnascialesco altrove detto chiacchiera, bugia, frappa etc.
Prima di passare a dire dell’etimologia di pampuglia, voglio rammentare come esso termine nel precipuo significato di truciolo, piallatura à in lingua napoletana, sempre abbastanza attenta, precisa e circostanziata, degli specificativi diversi secondo la forma o provenienza dei trucioli; abbiamo dunque: -pampuglia riccia quella a spirale da legno dolce, -pampuglia ‘e chianuzzella quella strettamente arrotolata, prodotta non dalla pialla grande, ma da una pialla piú stretta e piccola detta in napoletano chianuzzella che è il diminutivo di chianozza che è dal latino: planula attrezzo per render piano (privandolo delle asperità) un asse di legno, - pampuglia ‘e ‘ntraverzatura (deverbale del verbo ‘ntraverzà= attraversare, andando contro il primitivo senso di marcia) che è il truciolo, per solito di legni piú duri, ottenuti per piallatura operata controfilo che produce perciò trucioli irregolari e frammentati.
E soffermiamoci sull’etimologia di pampuglia, etimologia non tranquillissima; un tempo si congetturò un neutro plurale tardo latino fabulía = favuli, gambi delle fave, che dopo la raccolta venivano estirpati, adeguatamente seccati ed usati per alimentare, tal quali le pampuglie lignee, i forni domestici; la seconda ipotesi, che a mio avviso mi pare un po’ piú percorribile si rifà ad un latino regionale: pampulia forgiata su un pampus forma sincopata di pampinus che è propriamente il pampino: tralcio di vite vestito di foglie, tralcio che a fine potattura autunnale viene resecato e destinato al fuoco, per produrne carbonella detta in napoletano cernetura.
Raffaele Bracale

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