venerdì 25 luglio 2008

PROVERBI E LOCUZIONI VARII 6

1 Armammoce e gghiate.
Letteralmente: armiamoci, ed (ma) andate! Id est: Tirarsi indietro davanti al pericolo; come son soliti fare troppi comandanti, solerti nel dare ordini, ma mai disposti a muovere i passi verso il luogo della lotta; cosí soleva comportarsi il generale francese Manhès che inviato dal re Gioacchino Murat in Abruzzo a combattere i briganti inviò colà la truppa e restò a Napoli a bivaccare e non è dato sapere se raggiunse mai i suoi soldati.Piú in generale l’espressione a margine commenta tutte le situazioni nelle quali vi sia chi lanci comandi e/o consigli e mai compartecipi all’azione...
2 A - Cane e ccane nun se mozzecano
B- Cuóvere e cuóvere nun se cecano ll'uocchie.
Letteralmente: A- CANI E CANI NON SI AZZANNANO
B- CORVI E CORVI NON SI ACCECANO.
Ambedue i proverbi sottolineano lo spirito di corpo che esiste tra le bestie, per traslato ambedue i proverbi li si usa riferire anche agli uomini, intendendo sottolineare che persone di cattivo stampo non son solite farsi guerra, ma - al contrario - usano far causa comune in danno dei terzi.
3 Tené 'a sàraca dint' a' sacca
Letteralmente: tenere la salacca in tasca. Id est: mostrarsi impaziente e frettoloso alla stregua di chi abbia in tasca una maleodorante salacca (aringa)e sia impaziente di raggiungere un luogo dove possa liberarsi della scomoda compagna.
4 Ògne anno Ddio 'o cumanna
Letteralmente: una volta all'anno lo comanda Iddio. La locuzione partenopea traduce quasi quella latina: semel in anno licet insanire, anche se i napoletani con il loro proverbio chiamano in causa addirittura Dio ritenuto corresponsabile delle pazzie umane quale ordinante delle medesime.
5 Pe gulío 'e lardo, mettere 'e ddete 'nculo ô puorco.
Letteralmente: per desiderio di lardo, porre le dita nell'ano del porco. Id est: per appagare un desiderio esser pronto a qualsiasi cosa, anche ad azioni riprovevoli e che comunque non assicurano il raggiungimento dello scopo prefisso. La parola gulío= voglia, desiderio pressante non deriva dall'italiano gola essendo il gulío non espressamente lo smodato desiderio di cibo o bevande (come erroneamente pensato da taluno); più esattamente infatti la parola gulío è da riallacciarsi al greco boulomai=volere intensamente con consueta trasformazione della B greca nella napoletana G come avviene per es. anche con il latino dove habeo è divenuto in napoletano aggio o come rabies diventata raggia.
6 Sciorta e mole spontano 'na vota sola.
Letteralmente:la fortuna ed i molari compaiono una sola volta. Id est: bisogna saper cogliere l'attimo fuggente e non lasciarsi sfuggire l'occasione propizia che - come i molari - spunta una sola volta e non si ripropone
7 Ll'arte 'e tata è mmeza 'mparata.
Letteralmente: l'arte del padre è appresa per metà. Con questa locuzione a Napoli si suole rammentare che spesso i figli che seguano il mestiere del genitore son favoriti rispetto a coloro che dovessero apprenderlo ex novo. Partendo da quanto affermato in epigrafe spesso però capita che taluni immeritevoli si vedano comunque ingiustamente la strada spianata laddove poi al redde rationem mostrano di non aver appreso un bel nulla dal loro genitore e finisce che la locuzione nei riguardi di tali pessimi allievi debba essere intesa in senso ironico ed antifrastico.
8 Ogne gghiuorno è taluorno.
Letteralmente: ogni giorno è una fastidiosa ripetizione; id est: insistere reiteramente su di uno stesso argomento, non può che procurar fastidio; con la frase in epigrafe a Napoli si cerca di dissuadere dal continuare chi perseveri nel parlare sempre dello stesso argomento, finendo per tediare oltremodo l'interlocutore. Parliamo di taluorno.
Mi ero convinto erroneamente (sull’ improvvida scia del D’Ascoli) che taluorno (noiosa ripetizione, reiterato lamento) potesse derivare (forse) da un tardo latino: *tal-urnus: ripetizione; avevo poi peggiorato la faccenda, pensando ad ibrido greco-latino, ma fortunatamente una cortese comunicazione dell’amico prof. Armando Polito da Nardò correttamente mi contestò che il mio proposto ibrido greco-latino (tlào(greco) + urnus(latino)) era improponibile,e mi spinse a tenere altra strada; è vero sí che il verbo greco tlào significa tollerare, sopportare (da cui il latino tòllere con lo stesso significato) tuttavia l'improponibilità è legata non a motivi semantici (chi tollera o sopporta, specialmente certe situazioni, non è che lo faccia con piacere) ma al fatto che taluorno è voce attestata antica , a differenza dei termini ibridi (genericamente bilingui, cioè non esclusivamente composti da una parte latina e dall'altra greca o viceversa) che (come burocrazia e simili) sono di formazione recente o addirittura recentissima. Pungolato dalla comunicazione del Polito, ò ripreso le indagini che mi ànno fatto approdare sul famoso, favoloso DEI di Battisti ed Alessio dove ò trovato l’antica voce latorno voce che nella lingua ufficiale è ormai desueta tanto da essere addirittura inopinatamente (manca persino nel Pianegiani!) esclusa nei correnti ed accreditati vocabolarî della lingua italiana; tale latorno (etimologicamente deverbale di ritornare con dissimilazione r→l) indicò un lamento reiterato, una ripetizione noiosa, un canto o una persona fastidiosa e con una tipica dittongazione d’adattamento latorno divenne latuorno in area calabro-lucana e poi anche pugliese, dove indicò il tipico lamento funebre delle prefiche (dal lat. praefica(m), f. dell'agg. praeficus 'messo a capo', deriv. di praeficere 'mettere a capo', perché questa donna era preposta al gruppo delle ancelle che piangevano; in effetti la prefica fu la donna che, presso gli antichi romani, veniva pagata per piangere e lamentarsi durante i funerali; l'usanza ancòra sopravvive in alcune aree mediterranee europee; scherzosamente la voce prefica è usata poi anche per indicare una persona che si lamenti per nulla; ,il lamento funebre, nelle aree soprindicate è detto anche riépeto/liépeto che semanticamente richiamano il latuorno/taluorno con il suo reiterarsi.Riépeto e liépeto sono un’unica voce con due grafie leggermente diverse cioè con la tipica alternanza partenopea delle liquide r/l etimologicamente risultano essere deverbali di repetà, che da un lat. medioevale repetare indicò appunto il pianger lamentoso durante i funerali e/o le veglie funebri. Alla luce di tutto quanto detto mi pare che, relativamente all’etimo di taluorno si possa finalmente togliere l’avverbio dubitativo forse ed affermare che in napoletano la voce taluorno indicò dapprima il tipico lamento funebre delle prefiche e poi estensivamente persona noiosa e/o ogni fastidio reiterato, e – quanto all’etimo- messo da parte il *tal – urnus del D’Ascoli, si possa con ogni probabilità intendere come lettura metatetica di latuorno→taluorno secondo anche il pensiero (cui volentieri m’adeguo) di alcuni amici linguisti quali A. Polito e C. Iandolo.
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9 'Ncasà 'o cappiello dint' ê rrecchie.
Letteralmente: calcare il cappello fin dentro alle orecchie ossia calcarlo in testa con tanta forza che il cappello con la sua tesa faccia quasi accartocciare i padiglioni auricolari. A Napoli, l'icastica espressione fotografa una situazione nella quale ci sia qualcuno che vessatoriamente, approfittando della ingenuità e disponibilità di un altro richieda a costui e talvolta ottenga prestazioni o pagamenti superiori al dovuto, costringendo - sia pure metaforicamente - il soccombente a portare un supposto cappello calcato in testa fin sulle orecchie.
10 'Ngrifarse comme a 'nu gallerinio.
Letteralmente:arruffar le penne come un tacchino. Il tacchino o gallo d'india (da cui gallerinio) allorché subodora un pericolo, si pone in guardia arruffando le penne segno questo - per chi si accosti ad esso - che non lo troverà impreparato.La locuzione è usata a mo' di dileggio nei confronti di chi si mostri spettinato, quasi con i capelli ritti in testa; di costui si dice che sta 'ngrifato comme a 'nu gallerinio, anche se il soggetto 'ngrifato non sia arrabbiato o leso, ma solamente spettinato.
11 Vieste Ciccone, ca pare barone.
Letteralmente:vesti Ceccone e sembrerà un barone. La locuzione napoletana stravolge completamente quella toscana che afferma: l'abito non fa il monaco. Il detto partenopeo, al contrario, afferma che basta vestire accuratamente un qualsiasi Ceccone (villano) per farlo apparire un barone...
12 Pigliarse 'e penziere d''o Russo.
Letteralmente: Prendersi i pensieri del Rosso. Id est: preoccuparsi di faccende senza importanza, trascurandone altre ben più importanti.Il Rosso della locuzione fu un famoso ladro, che condannato al capestro, invece di preoccuparsi della propria sorte, si chiedeva chi sarebbe stato incaricato di portare la scala necessaria all'esecuzione.
13 Jí facenno 'e ssette chiesie.
Letteralmente: Andar visitando le sette chiese. Id est: andar perdendo tempo occupato nella visita delle altrui abitazioni e non per una reale necessità o incombenza, ma per il gusto di bighellonare, soffermandosi nelle case di amici e conoscenti. Le sette chiese indicate nella locuzione, a Napoli sono ben note a tutti essendo quelle disseminate sulla famosa strada di Toledo partendo da piazza Dante per giungere a piazza del plebiscito o Largo di PALAZZO. Esse nell'ordine sono:Spirito santo - San Nicola alla Carità - San Liborio - Santa Maria delle Grazie - Santa Brigida - San Ferdinando - San Francesco di Paola e vengon visitate da tutti i napoletani che nel pomeriggio del giovedì santo si recano a fare il tradizionale "struscio" ossia la passeggiata rituale che comporta la visita (da farsi in numero dispari)dei così detti Sepolcri ossia delle solenni esposizioni del SS. Sacremento, che si tiene in tutte le chiese cattoliche per ricordare l'istituzione del sacramento dell' Eucarestia.

14 Vestirse 'a fesso.
Letteralmente: indossare l'abito dello stupido. Id est: comportarsi in maniera volutamente sciocca, fare lo gnorri, tenere un comportamento da stupido nella speranza che cosí facendo si possa indurre una ipotetica controparte a non calcar la mano con pretese e richieste e raggiungere cosí il fine sperato con poca fatica e minimo impegno.È l'atteggiamento che temporibus illis tenevano taluni chiamati alle armi per evitare la partenza per il fronte.Il fatto era compendiato nella frase: fà 'o fesso pe nun gghí â guerra(fare lo sciocco per non andare in battaglia; spesso si raggiungeva lo scopo, giacché non erano graditi soldati stupidi.
15 Fà 'nu sizia-sizia.
Letteralmente: fare un sitio- sitio Id est: richiedere ripetutamente e lamentosamente qualcosa con ossessiva petulanza. La locuzione nasce prendendo spunto dal Sitio! pronunciato da Cristo sulla croce. Alla richiesta del Signore i soldati risposero (e non per aggiungere pena a pena!) offrendogli dell'aceto che misto ad acqua è la bevanda piú adatta a spegnere l'arsura.
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