martedì 30 settembre 2008

MANNAGGIA Ô SURICILLO E PPEZZA ‘NFOSA.

MANNAGGIA Ô SURICILLO E PPEZZA ‘NFOSA.

Letteralmente: mannaggia al topolino ed (allo) straccio bagnato.
Il motto viene pronunciato a mo’ di imprecazione da chi voglia evitare di pronunciarne altra piú triviale.
Varie le interpretazioni della locuzione in ispecie nei confronti del topolino fatto oggetto di maledizione
Esamino qui di seguito le varie interpretazioni e per ultima segnalo la mia.
1 – (avv. Renato de Falco) L’illustre amico e scrittore di cose napoletane reputa che il suricillo in epigrafe altro non sia che il frustolo d’epitelio secco che si produceva in ispecie sulle braccia e sulle gambe allorché le si lavavano soffregandole non con una spugna, ma con uno straccetto bagnato. È vero, da ragazzi usavamo dare il nome di suricillo a quei frustoli d’epitelio divelti con il soffregamento dello straccio madido d’acqua.Ma il dotto amico de Falco, per far passare per buona la sua idea è costretto a leggere la e dell’epigrafe non come congiunzione ma come aferesi di de e leggere ‘e pezza ‘nfosa pronunciando in maniera scempia la p di pezza, laddove il proverbio raccolto dalla viva voce della gente suona: mannaggia ‘o suricillo e ppezza ‘nfosa ed è chiara la geminazione iniziale della p di pezza e il significato di congiunzione della e.Per cui, a malgrado dell’amicizia e della stima che nutro per l’avvocato de Falco, non posso addivenire alla sua idea.
2 –(prof. Francesco D’Ascoli)Il vecchio professore, passato oramai nel mondo dei piú, nel suo per altro informato LA FILOSOFIA POPOLARE NAPOLETANA, sbriga la faccenda, ravvisando nel suricillo i pezzetti di panno che si staccavano assumendo la forma del musculus, dallo straccio per lavare a terra;l’idea non è percorribile stante anche per D’Ascoli la medesima lettura impropria della locuzione che ne fa il de Falco leggendo la E come aferesi di de e non come congiunzione.
3 – (dr. Sergio Zazzera)L’ altrove ottimo dr. Zazzera, qui s’incarta alquanto e propone un improbabile sorcio alle prese con un orcio di olio dal quale sia saltato via uno stoppaccio umido (d’olio? di acqua? Zazzera non lo spiega.
A questo punto reputo che potrebbe essere piú veritiera l’interpretazione che mi fu data temporibus illis dalla mia nonna materna che asserí che la locuzione conglobava una imprecazione rivolta ad un sorcetto introdottosi in una casa ed un suggerimento dato agli abitanti di detta casa quello cioè di introdurre sotto le fessure delle porte uno straccio bagnato per modo che al topo fossero precluse le vie di fuga e lo si potesse catturare.Volendo dire: È entrato il topino?Non c’è problema! Ce ne possiamo liberare:lo catturiamo, ma prima, affinchè non ci sfugga, turiamo con uno straccio bagnato (affinché aderisca bene a pavimento e margini) ogni fessura e procediamo alla cattura!
Ma poi che fino a che non ci si sente soddisfatti, è buona norma continuare ad investigare, continuando nell’investigazione, mi pare di poter affermare che la nonna avesse dato una casta spiegazione a dei vocaboli (e perciò a tutta l’espressione) per non inquietare la fantasia di un piccolo adolescente(quando la nonna me ne parlò avevo circa dieci anni...) .
Infatti alla luce di ulteriori indagini ed al supporto di altre menti di appassionati studiosi di cose napoletane mi pare si possa accogliere la tesi del prof. A. Messina che vede nel suricillo – per il tramite di uno *xurikilla (registrato in CIL(Corpus Inscriptionum Latinarum) IV, 8380) tardo latino usato in luogo del piú classico mentula – il membro maschile...
L’amico prof. Carlo Iandolo illustre scrittore di cose partenopee, poi in una sua dotta lettera mi fa notare che nella passata parlata napoletana le pezze piú note erano – accanto a quelle che significavano il danaro - quelle che le donne portavano nel loro corredo, e che usavano per i loro bisogni fisiologici di ogni volger di luna.
Ecco dunque che , messa da parte la casta spiegazione data dalla nonna, mi pare si possa addivenire a ritenere che l’innocente imprecazione con la quale si è soliti commentare piccolissimi inconvenienti ai quali non occorra dare faticose soluzioni, sia sgorgata sulle labbra di una donna trovatasi davanti alla improcrastinabile richiesta di favori, da parte del suo uomo (...pronto alla tenzone...) e gli abbia dovuto opporre che non era… il tempo adatto, giacché sebbene ‘o suricillo fosse inastato, ‘a pezza ...era ‘nfosa e dunque l’accesso vietato!
In chiusura mi piace far notare come talora nell’espressioni napoletane vengono richiamati nomi e/o argomenti desunti dall’ambito sessuale e ciò persino in filastrocche destinate ai bambini, ai quali ovviamente non viene chiarito l’eventuale significato nascosto, obbligandoli quasi a prender per buone soltanto le parole usate nei riferimenti e significati piú chiari e palesi; è il caso ad es. della famosimma
Sega sega mastu Ciccio
ddoje panelle e ‘nu saciccio;
‘o saciccio ce ‘o mangiammo
e ‘e ppanelle ce ‘astipammo! filastrocca nella quale è palesemente adombrato l’atto sessuale del coito con il riferimento osceno al saciccio (pène) che viene consumato súbito (nel breve lasso di tempo dell’atto sessuale) mentre ‘e ppanelle (i testicoli) vengono... tenuti fuori e perciò conservati per altra occasione.
Raffaele Bracale.

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