domenica 21 settembre 2008

SARCHIAPONE

SARCHIAPONE
Eccoci davanti ad una parola, nata come aggettivo qualificativo e trasformatasi poi addirittura in nome proprio sia pure di esclusiva pertinenza teatrale.
Cosí come spiegato in tutti i calepini della lingua napoletana, antichi e moderni, che l’accolgono, col termine sarchiapone, peraltro di quasi esclusiva pertinenza maschile, (mai infatti mi è occorso di udirlo usare al femminile) si identifica l’uomo grosso e grasso, bietolone e melenso, nonché lo stupido, ma pure – stranamente – l’ipocrita, il furbastro, il volpone di tre cotte, ma piú esattamente, con riferimento all’aspetto fisico, un tipo basso e storto. Si cominciò, intorno alla fine del 1600, ad usare l’aggettivo come nome, sia pure assegnandolo alle bestie e segnatamente ai piccoli cavalli arabi usati normalmente nel contado napoletano; ma fu Andrea Perrucci(1651-1706) che nel 1698, pubblicando sotto lo pseudonimo di Ruggiero Casimiro Ugone e con il titolo Il Vero Lume tra l’Ombre, ovvero la spelonca arricchita per la nascita del Verbo Umanato., quel lavoro che poi fu per sempre ricordato con il titolo di Cantata dei Pastori, fece entrare nell’ambito teatrale a pieno titolo e come nome proprio, l’aggettivo sarchiapone attribuendo ad un comico personaggio (un nanerottolo, melenso, ma corpulento, ex barbiere d’un paese dell’entroterra campano da dove era fuggito dopo avere assassinato per futili motivi il sindaco paesano) il nome di Sarchiapone e facendolo agire con un suo degno compare un tal Razzullo, illetterato scrivano che faceva degli strafalcioni e della atavica fame la sua divisa distintiva.
Rammenterò appena che i due nominati personaggi, sia pure concepiti dal Perrucci, come leggeri e di riempimento non ebbero, originariamente, i caratteri cosí violentemente e grottescamente beceri e addirittura scostumati, ch’ebbero poi in seguito quando la Cantata non venne piú rappresentata secondo l’originario copione scritto dall’ abate Perrucci, ma nelle versioni storpiate ed estese ad opera di teatranti rionali, che facendo scempio del primo copione, lo infarcirono, volta a volta di battute e scene addirittura laide di tal che talora gli organi di polizia dovevano intervenire vietando la rappresentazione della Cantata diventata non piú sacra rappresentazione, ma addirittura commediaccia da trivio!
Ricorderò qui ad esemplificazione di quanto appena riportato, la battuta d’ingresso di Sarchiapone nella Cantata cosí come ci è pervenuta: Chello ca m’abbuscaje(da un lat. abusicare=guadagnare frequent. di abuti) a spaccà prete, tutto me lu frusciaje(lemma onomatopeico:frusciare=sperperare) cu ‘na cecata! Che significa: Ciò che guadagnai, spaccando pietre, tutto lo dilapidai con una cieca! Va da sé che una sacra rappresentazione non potesse originariamente prevedere sconcezze di tal genere…
Ciò detto, torniamo all’aggettivo sarchiapone (che usato nei confronti dei ragazzi diventa un aggraziato diminutivo: sarchiapunciello) che denotò oltre tutto quanto elencato in precedenza anche l’uomo astuto e di pochi scrupoli, ma pur sempre ammantato di sorridente bonomia, caratteri questi che - sempre in ambito teatrale – connotarono taluni personaggi quali un frate furbo ed ipocrita ed altri consimili in talune opere del commediografo Pietro Trinchera (1708 -1755).
Per ciò che concerne l’etimologia del termine sarchiapone, mi tocca, come per altri vocaboli napoletani, schierarmi contro l’ipotesi che propone (ma neppure… originalmente) la coppia Cortellazzo – Marcato che riesuma , ma a mio sommesso, e pur deciso avviso un pretestuoso ed inconferente fra’ Jacopone di cui sarchiapone sarebbe una corruzione; come ò detto, già in passato, qualcuno aveva battuto questa strada rammentando la figura del furbo, cattivo frate del Trinchera: fra’ Sarchiapone.Ipiú preparati ricercatori partenopei bocciarono quell’idea, come – indegnamente – il sottoscritto ne boccia la riproposizione che ne fanno Cortellazzo e Marcato.
Se sarchiapone fosse stato generato dal trincherano fra’ Sarchiapone corruzione d’un fra’ Jacopone,l’aggettivo sarebbe derivato dal nome e non questo da quello ed in un’epoca decisamente posteriore rispetto alla fine del 1600 al tempo cioè del Perrucci.
Mi sembra molto piú probabile che l’aggettivo sarchiapone nonché il derivato nome proprio derivino, nel primo significato di uomo tutto di carne e quindi privo di spirito o intelletto, dal greco sarx(carne) e poiòs(da poieio=faccio, metto su) sulla scia dei piú preparati lessicografi napoletani che respingono, come faccio anch’io, la antica idea dell’abate Galiani che temporibus illis ravvisò in sarchiapone un greco: sarx + àpon(da apoieio= levo via), ma errò in quanto stravolgeva il significato di sarchiapone che risultava essere se figlio di sarx+àpon: privo di carne proprio l’opposto dell’ uomo tutto di carne, cosí come sarchiapone è da sempre inteso!
RaffaeleBracale

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