domenica 12 ottobre 2008

GOLA, GOLOSITÀ, GOLOSO

GOLA, GOLOSITÀ, GOLOSO e dintorni

Mi è stato chiesto dall’amica M.R.d’A. (al solito son costretto – per motivi di privatezza - a limitarmi alle iniziali di nome e cognome) di illustrare il significato dell’agg.vo partenopeo cannaruto. Premesso che la voce cannaruto vale l’italiano molto goloso ma anche vorace,approfitto della richiesta per dilungarmi alquanto sulle voci napoletane che rendono quelle italiane dell’epigrafe.
Cominciamo comunque con l’illustrare le voci italiane:
- gola s. f. con derivazione dal lat. gula(m) può indicare varie cose:
1 (anat.) la cavità della faringe, delimitata anteriormente dal palato molle e dalle tonsille palatine | mal di gola, denominazione generica delle affezioni che interessano gli organi posti nella gola | gola di lupo, (med.) malformazione congenita, spesso associata al labbro leporino, consistente in una fenditura longitudinale del palato
2 come luogo di transito del cibo, del fiato e della voce dà luogo a numerose locuzioni: col boccone in gola, avendo appena finito di mangiare | rimanere, restare in gola, si dice di boccone che non si riesce a deglutire o di cibo che non si riesce a digerire; (fig.) si dice della perdita di un bene, perdita alla quale non ci si rassegna | essere pieno fino alla gola, essere sazio; (fig.) non poterne piú di qualcosa | bagnarsi la gola, bere alcolici | restare a gola asciutta, restare senza bere; (fig.) non riuscire a ottenere quanto si desiderava | parlare in (o di) gola, con voce difettosa, emettendo appena la voce; cantare in (o di) gola, con emissione gutturale della voce | avere un nodo, un groppo alla (o in) gola, avere il pianto in gola, essere commossi, emozionati fino al pianto, con una sensazione di impedimento nel respiro e nella deglutizione | urlare, gridare a piena gola, con tutto il fiato che si à in gola, con tutta la forza possibile | ricacciare un'offesa in gola a qualcuno, ribatterla con durezza | ricacciarsi le parole in gola, negare quanto affermato in precedenza, smentirsi | mentire per la gola, (lett.) mentire in modo sfacciato | gola profonda, (fig.) nel gergo giornalistico, persona che rivela notizie molto riservate; informatore, spia;
3 (estens.) la parte anteriore del collo | pigliare, prendere uno per la gola, (fig.) imporre dure condizioni a qualcuno, approfittando del suo stato di necessità | avere l'acqua alla gola, essere sul punto di affogare; (fig.) essere in estrema difficoltà | avere il coltello alla gola, (fig.) essere costretto a fare qualcosa | mettere il coltello alla gola di qualcuno, minacciarlo con la lama del coltello contro la gola; (fig.) costringere qualcuno all'obbedienza con la forza
4 avidità di cibi o di bevande; golosità, ghiottoneria: mangiare qualcosa per gola, non per fame | far gola, (fig.) si dice di cosa che suscita desiderio | prendere qualcuno per la gola, allettarlo offrendogli cibi gustosi | prov. : ne uccide più la gola che la spada, le malattie provocate dal troppo mangiare fanno morire piú persone che non la guerra
5 (teol.) uno dei sette peccati capitali
6 apertura stretta, passaggio interno: la gola del camino, del forno, del pozzo
7 (geog.) valle stretta e profonda, con pareti assai ripide o quasi verticali
8 (arch.) modanatura di una cornice
9 linea di gola, (geom) linea di lunghezza minima tra tutte le linee chiuse che si ottengono intersecando una superficie con un fascio di piani paralleli.
- golosità s. f. derivato dalla voce precedente; indica in primis l'essere goloso, il vizio della gola ma pure specialmente al plurale ciò (cibo o altro) che faccia gola, e figuratamente vale avidità, desiderio vivo di qualcosa.
- goloso/a agg.vo e sost. masch.o femm.
indica come agg.vo 1 chi à il vizio della gola: essere goloso di dolci | (fig.) desideroso, bramoso: un uomo goloso di piaceri.
2 (non com.) ciò che stuzzica o soddisfa la gola: un cibo goloso
come s. m. indica la persona golosa ;
l’etimo è dal tardo lat. gulosu(m), deriv. di gula 'gola'

***
E veniamo al napoletano dove la voce gola si rende con la parole canna o cannarone o anche, ma raramente cannarino o meglio al pl. cannarine; la prima voce
- canna è usata soprattutto agglutinata con la preposizione in nell’espressione ‘ncanna= in gola usata sia in senso reale come nel caso di funa ‘ncanna= corda alla gola – annuzzà ‘ncanna= soffocare per non riuscire a deglutire un boccone di cibo finito per traverso oppure in senso metaforico restà ‘ncanna= restare in gola détto di ciò cui non si sia pervenuti o che non si sia potuto conseguire; ‘ncanna è: in+canna (che deriva dal latino/greco kanna e questo dal semitico qaneh) dove ovviamente con canna si intende il canale della gola); l’altra voce usata per indicare propriamente il canale della gola il gorguzzúle (dall'ant. gorgozzo o gorgozza, che è dal lat. volg. *gurgutiam, per il class. gurges -gitis 'gola’) la seconda voce – dicevo - è
- cannarone palesemente accrescitivo della pregressa canna; cannarone tuttavia non dovrebbe indicare la trachea (dal lat. tardo trachia(m), dal gr. trachêia (artìría), propr. '(arteria) ruvida', f. sost. dell'agg. trachy/s 'ruvido', perché al tatto risultano sensibili i passaggi fra un anello cartilagineo e l'altro) che è poi l’organo dell'apparato respiratorio a forma di tubo, costituito da una serie di anelli cartilaginei, compreso fra la laringe e i bronchi, organo cui si fa riferimento con il napoletano canna; cannarone è usato infatti soprattutto nelle espressioni in cui occorra sottolineare una pretesa vastità del tratto del tubo digerente che va dalla faringe allo stomaco, cioè dell’esofago (dal gr. oisophágos, comp. di óisein 'portare, trasportare' e phaghêin 'mangiare') di chi ingurgiti molto cibo e lo faccia voracemente; possiamo perciò dire che in napoletano – contrariamente a ciò che ritengono i piú, avvezzi a far d’ogni erba un fascio, la voce canna corrisponde alla trachea mentre il cannarone è l’esofago.
A margine rammenterò che nell’uso del parlato soprattutto provinciale e/o dell’entroterra accanto al termine cannarone ne esistono altri due da esso derivati e che ne sono una sorta di dispregiativo e sono: cannaruozzo e cannaruozzolo; il suffisso ozzo/uozzo di matrice tardo latino volgare fu usato per indicare (cfr. Rohlfs G.S.D.L.I.E S.D. sub 1040 )qualcosa di rozzo, grossolano, contadinesco e dunque di pertinenza di voci dispregiative; tuttavia nel caso di cannaruozzolo ci troviamo in presenza di una sorta di divertente ossimoro determinato dall’aggiunta d’un suffisso diminutivo olus→olo ad un termine accrescitivo e dispregiativo come cannaruozzo (che in origine è cannar(one)+uozzo). La terza ed ultima voce usata per indicar la gola è
- cannarine/cannarinule che è, in ambedue le poco differenti presentazioni morfologiche, il plurale di cannarino/cannarinulo s. m.anch’esso derivato quale diminutivo da canna usato però per indicare né la trachea, né l’esofago quanto le due carotidi (ciascuna delle due grandi arterie del collo che dall'aorta portano il sangue alla testa con etimo d al gr. karotís -ídos, deriv. di káros 'sonno', perché si credeva che premendo queste arterie si inducesse il sonno) ed il gozzo (prob. forma accorciata di un ant. gorgozzo o gorgozza) voce che letteralmente indica il rigonfiamento nella parte anteriore del collo, dovuta all'ingrossamento della tiroide, ma nel parlato comune indica la gola tout court, per cui con la voce ‘e cannarine/cannarinule si fa riferimento a quelle parti anatomiche del collo (gozzo e/o carotidi) che se fatte oggetto di lesione da arma bianca (sgozzare) conducono rapidamente a morte il colpito: taglià ‘e cannarine a quaccheduno= sgozzarlo.
Detto della gola napoletana, diciamo della golosità (che à in napoletano due sole voci corrispondenti: cannarutizzia e cannarizia); parleremo dopo delle numerose voci napoletane corrispondenti all’italiano goloso;
- cannarutizzia sost. fm. che vale golosità, ingordigia, avidità; è voce ancóra di uso comune che etimologicamente è l’astratto dell’agg.vo cannaruto (di cui qui di sèguito) e morfologicamente va legato ad un acc.vo del tardo lat. cannarutitia(m); accanto a cannarutizzia talora nei medesimi significati si trova usato anche
- cannarizzia derivato da un lat. popolare *cannaritia. Epperò sia per cannarizzia che per cannarutizzia penso che non sia errato vedervi un aggancio al verbo cannarià= ingoiare con ingordia, divorare verbo che a sua volta appare essere un denominale frequentativo di canna per il tramite di un *cannarjare→ cannarià.
E veniamo dulcis in fundo alle voci napoletane che rendono l’italiano goloso.
Cominciamo con due voci che di per sé nacquero per indicare una particolare modalità comportamentale e solo successivamente per traslato ed ampliamento semantico furono usate per indicare il goloso, l’ingordo e/o vorace; si tratta di appojalibbarda ed appujatore:
- appojalibbarda letteralmente colui che poggia l’alabarda
id est: scroccatore, profittatore a spese altrui ed estensivamente goloso, mangione, ingordo e/o vorace L’aggettivo antichissimo risalente al periodo viceregnale, viene tuttora usato quando si voglia commentare il violento atteggiamento di chi vuole scroccare qualcosa o, piú genericamente, intende profittare di una situazione per conseguire risultati favorevoli, ma non espressamente previsti per lui. Temporibus illis, al tempo del viceregno spagnolo (1503 e ss.) i soldati iberici, acquartierati in quelli che poi sarebbero stati ed ancóra sono chiamati quartieri (spagnoli) a monte della centralissima strada di Toledo, erano usi aggirarsi all’ora dei pasti per le strade limitrofe degli acquartieramenti, ma poi per un po’ tutte le strade della città di Napoli e fermandosi presso gli usci là dove annusavano odore di cibarie approntate; lí poggiavano la propria alabarda volendo significare con detto gesto di aver conquistato la posizione; entravano allora nelle case ( meglio nei cosiddetti bassi (voce il cui sg. basso è derivato dal lat. bassus= posto in basso ) tipici angusti locali posti a livello stradale ed adibiti a negozi e/o abitazione di nuclei familiari spesso eccedenti la ricettività dei locali suddetti altrove détti pure fúnneche= fondaci (fúnneco, singolare di fúnneche è derivato dall'arabo funduq (attraverso lo spagnolo fúndago(con assimilazione progressiva nd→nn e variazione di tipo popolare della occlusiva velare sonora g con la piú aspra e dura occlusiva velare sorda c); ripeto: i soldati entravano allora nelle case e si accomodavano a tavola per consumare a scrocco i pasti. Da questa abitudine prese vita la locuzione appujià ‘a libbarda (poggiare l’alabarda) donde l’ appojalibbarda a margine; la locuzione è ad litteram: appoggiare l’alabarda e valse dapprima : scroccare, profittare a spese altrui di un pasto e poi estensivamente profittare di una qualsivoglia situazione opportuna per conseguirne risultati favorevoli Si tratta dunque di espressione dal significato un po’ piú esteso di quella dell’aggettivo che è invece usata piú limitatamente per commentare l’atteggiamento di chi mangi voracemente e/o ad ufo o anche di chi ottenga,contentandosene,beneficî molto circoscritti (quali cibi e bevande elargiti durante un festeggiamento). appujià = appoggiare, poggiare, avvicinare una cosa a un'altra che la sorregga, (fig.) aiutare, favorire; sostenere; l’etimo della voce napoletana, cosí come della corrispondente dell’italiano, è dal lat. volg. *appodiare, deriv. del lat. podium 'piedistallo' ma nel verbo napoletano è avvenuta la chiusura della tonica ō→ u, è caduta la dentale d e s’è adottato il suono di transizione j; libbarda = alabarda s. f. arma bianca costituita da un'asta di legno terminante con una scure sormontata da una lama appuntita, arma di cui erano corredati tutti i soldati della fanteria iberica; la voce libbarda deriva dalla lettura metatetica (h)el→le→li ed assimilazione regressiva mb→bb medio alto ted. helmbarte 'ascia di combattimento'; l’altra voce che ripete in origine significato e semantica di questa appojalibbarda per poi pervenire a scroccone, vorace mangiatore a sbafo è appujatore;
- appujatore aggettivo che letteralmente sta per colui che appoggia (l’alabarda) ed estensivamente, come la voce precedente, vale scroccone, sbafatore e poi avido, ingordo, insaziabile, mangione; anche questa voce - ça va sans dire – trae dal verbo appujià. E passiamo ad

- alliccapiatte aggettivo nato espressamente (non dunque estensivamente o per traslato come invece per le due voci precedenti) nato, dicevo, ad hoc per definire il vorace, l’insaziabile, il ghiotto, il goloso, il famelico letteralmente sta per colui che lecca i piatti e vale dunque avidissimo,smodato, insaziabile, mangione come è colui che non si limiti a mangiare voracemente sino in fondo i cibi che gli vengono ammanniti, ma per non lasciar neppure una briciola di ciò che si trova nei piatti iperbolicamente addirittura li lecchi! etimologicamente la voce a margine è l’agglutinazione di allicca 3° pers. sg. dell’ind. pres. del verbo alliccà (che dal lat. volg. * adligicare, frequentativo di lingere) + il sost. piatte pl. di piatto (che dal lat. volg *plattu(m), che è dal gr. platy/s 'largo, piatto';
ed eccoci ora all’aggettivo che à dato il la a queste mie paginette:
-cannaruto letteralmente come ò chiarito parlando di cannarone l’aggettivo a margine sta per provvisto di un grande esofago e perciò visto che l’esofago è la via del cibo mangiato, cannaruto vale l’italiano molto goloso ma anche vorace, avido, ingordo etc. come colui che sia quasi costretto ad ingerire grandi quantità di cibo e debba farlo in modo rapido, quasi per... contentare l’ampiezza del proprio esofago! Per ampliamento semantico poi cannaruto à anche estensivamente i medesimi significati delle due voci seguenti, valendo cioè ghiotto, goloso (soprattutto di cibi dolci). La voce ovviamente etimologicamente à la medesima derivazione delle precedenti cannarizzia e cannarutizzia con il medesimo aggancio al verbo cannarià;
- gliuttone agg.vo e sost. m. non si tratta di un accrescitivo come invece potrebbe lasciar intendere il suff. one; in napoletano non esiste né mai è attestato uno gliutto di cui gliuttone sarebbe l’accrescitivo ;la voce a margine vale ghiotto, goloso (soprattutto di cibi dolci), ingordo, leccardo, lurco ed à il suo etimo nel lat. volg. glŭttone(m), da guttur -uris 'gola' e quindi 'golosità'; da glŭttone(m)→gliuttone con tipica dittongazione della ŭ;
-guliuso/vuliuso agg.vo e sost. m. che vale: desideroso, bramoso, avido, ghiottone, mangione, ingordo, che mostra o esprime voglia, desiderio di cibi abbondanti e succulenti; la voce a margine ça va sans dire è da collegarsi alla voce gulio/vulio = voglia che è voce attestata sia come gulio che come vulio con consueta alternanza partenopea di c o g in v o altrove al contrario della v in g come ad es in guappo che è dal latino vappa; cfr.anche volpe/golpe, vunnella/gunnella, vongola←concula etc. ; l’etimo di gulio/vulio (donde le voci a margine addizionate del suffisso maschile oso/uso che al femm. è osa e che derivato dal lat. osus indica abbondanza di qualità ) trae forse da un incrocio tra gola e voglia quest’ultima da collegare al verbo volere che è dal lat. volg. *volíre, per il class. velle, ricostruito sul tema del pres. volo e del perfetto volui, ma, a mio parere non gli è estraneo il francese antico goule= gola o il piú moderno goulée= boccone;
- leccaréssa agg.vo e sost.femm. ed esclusivamente femminile: non si trova attestato un eventuale maschile leccarisso; voce antica ed abbondantemente desueta usata sí e no in qualche antico scrittore scrittore campano come il Carlo Mormile da Frattamaggiore, il G.B. Basile (NA 1575 † ivi 1642) e l’anonimo autore delle Farse Cavaiole, voce non riportata neppure in tutti gli antichi dizionarî: P. P. Volpe – R.Andreoli; presente solamente nel solito corredatissimo vecchio, ma insostituibile R.D’Ambra e nei moderni Altamura e D’Ascoli e che vi attingono a piene mani, nel significato di golosona, leccona; la voce in esame à anche un significato traslato di adescatrice, seduttrice ma francamente mi riesce un po’ difficoltoso cogliere il passaggio semantico operato per giungere ad adescatrice, seduttrice partendo da golosona, leccona a meno che non si sia messo in collegamento l’atteggiamento viziosamente carezzevole e blandente dell’adescatrice con l’analogo comportamento di una golosona che quasi blandisce e carezza e/o lecca già con gli occhi le ghiottonerie che s’appresta a consumare; quanto all’etimo la voce leccaressa m’appare un derivato, piú che di un fantasioso *leccatrix come sostenuto dall’Altamura, del francese lécheuse incrociato con il verbo leccare;
- lupone agg.vo e sost.masch. ancóra in uso correntemente nel significato di mangione, divoratore, chi abitualmente mangia molto o con avidità; si tratta ovviamente di un accrescitivo (cfr. il suff. one) del sostantivo lupo che è simbolo oltreché di aggressività e forza malvagia,di incontenibile voracità:magnà comme a ‘nu lupo/lupone= mangiare come un lupo, mangiare molto ed avidamente; l’etimo di lupone è dal lat. lupu(m)+ one; e siamo giunti infine a
-sbudellone agg.vo e sost.masch. ancóra in uso correntemente nel significato di mangione, divoratore, crapulone,strippone, ghiottone, goloso e per ampliamento semantico anche parassita; quanto all’etimo si tratta di voce ricavata da budello ( che è dal lat. botellu(m), dim. di botulus 'salsiccia') addizionato da un suff. accrescitivo one e di una s protetica intensiva e di per sé sbudellone varrebbe: provvisto di grosso e capace budello e dunque gran mangiatore a crepapelle; la voce a margine si può anche ritenere un deverbale di sbudellià= mangiare avidamente etc verbo da non confondere con sbudellà che vale sbudellare cioè aprire il ventre ad un animale per levarne le viscere e per traslato riferito a persona, colpire al ventre producendo una grave ferita; anche il verbo sbudellà come sbudellià trae dal cennato budello, ma mentre in sbudellà la s protetica à valore distrattivo, in sbudellià à il tipico partenopeo valore intensivo.
Et de hoc satis, convinto di aver soddisfatto l’amica M. R. d’A che me ne chiese e forse anche altri amici che amabilmente mi seguono.
raffaele bracale

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