lunedì 27 aprile 2009

‘E PAPARELLE

‘E PAPARELLE

Nel parlato napoletano, ma pure nei reperti letterarî c’ è e ci fu un congruo numero di termini usati per indicare il danaro; qualcuno si è preso la briga di contarli e ne à trovato circa sessanta a cominciare in ordine alfabetico da quel sonante abbrunzo che richiama ovviamente la lega metallica (bronzo) con cui s’usava tempo addietro batter moneta, per passare poi al termine agresta che in primis indica l’uva primaticcia, quasi acerba, quella stessa che era effigiata in una cornucopia sul verso di un’antica moneta spagnola in uso nella seconda metà del 1500;
rammento ancora l’ironica acquavite che è bevanda notoriamente tonica ed è fuor di dubbio che il danaro dia tonicità a chi ne possieda;
ricorderò ora il termine agniento che di per sé indica l’unguento, il balsamo, e va da sé che il danaro è un balsamo che può lenire parecchi mali, oltre che l’unguento che a mo’ di grasso s’usa per ungere chi di dovere per assicurarsi un beneficio;
sempre con riferimento alle capacità curative si pone il termine aruta l’erba aromatica che il popolo ritiene apportatrice di tanti benefici effetti: aruta ogne male stuta al pari del danaro che si ritiene possa risolver ogni problema sia fisico che morale;
lasciando da parte ora i riferimenti curativi o lenitivi rammenterò il termine argiamma patente corruzione del francese argent in riferimento, come il pregresso abbrunzo, al metallo usato per batter moneta.
E continuiamo con una rapida elencazione in ordine alfabetico dei termini più comunemente usati per indicare il danaro:
bisante o besante dal bizantino:buzantion (moneta d’oro);
boragna forse dal greco bora (nutrimento);
chiuove probabilmente per la somiglianza delle monete con le grosse teste dei chiodi;
cianfrone dallo spagnolo chanflon moneta argentea che al tempo di Carlo V (1530 ca) valeva 1 ducato e sotto Filippo III (1598 ca) causa l’inflazione solo ½ ducato;
ciaraffe dall’arabo giarif (moneta sonante)
cicere (ceci) il povero legume usato un tempo come merce di baratto;
crespielle dal francese crêpe frittella increspata e dorata richiamante l’oro della moneta e la rugosità del conio;
crie monete così chiamate perché portavano effigiata la spiga dell’orzo (in greco kri),
cuocciole dal greco còclos (conchiglia) un tempo le conchiglie furono usate come moneta negli scambi commerciali;
dummineche dal nome di Giandomenico Tramontano abilissimo coniatore di stampi di moneta, attivo presso la zecca napoletana nella seconda metà del 1500;
fajenze dal nome della città di Faenza dove erano prodotte le costosissime stoviglie in terracotta pregiata; col nome della città di Faenza sostantivato in fajenza e nel suo plurale fajenze si finì per designare il danaro in generale atteso che ne occorreva impiegare moltissimo per acquistare le terracotte ivi prodotte;
filusce o filusse o ancora felusse. Sull’origine del termine si è a lungo discusso chiamando in causa volta a volta, ma fantasiosamente il latino folliculus contenitore dei soldi e per estensione soldi medesimi o ancora più fantasiosamente il nome dei sovrani spagnoli Filippo I o II o III da cui: Felippo, Felippusse ed infine Filusse. La faccenda è molto più semplice e seria derivando, a mio avviso, il vocabolo de quo dall’arabo fulus plurale di fals (dal greco phóllis =obolo)nel significato appunto di moneta, danaro; la voce araba invase tutto il bacino mediterraneo al segno che in Calabria, con analogo significato, abbiamo filusu , in Sicilia: filussi, in Toscana: pilosso, in Spagna: felùs ed in Portogallo: fuluz;
frisole (i fagioli spagnoli) e fasule usati, temporibus illis a mo’ di moneta o merce di scambio al pari dei ciceri summenzionati in precedenza;
furmelle il termine originariamente indicò i bottoni fatti con grossi dischetti di legno, di osso o di metallo, dischettisemplici o ricoperti di stoffa, successivamente con il detto termine si indicarono pure per la loro somigliante forma le grosse, sonanti monete coniate dalla zecca partenopea;
gigliati in riferimento al giglio d’oro impresso sulle monete d’epoca angioina;
gliuommero dal latino: glomus-eris principalmente gomitolo e poi anche: rotolo di monete e da esso monete tout cour;
grano d’ovvia valenza simile all’odierna grana, ma quanto più espressivamente corretta attesa la sacertà del cereale richiamato;
manteca dall’omologo termine spagnolo: saporita crema di panna, burro, latte e zucchero che richiama l’idea del buono ed utile ungere proprii del danaro;
maglie dritto per dritto dal francese: maille=moneta, rammentado che chi è sprovvisto di danaro s’usa indicarlo come: sfasulato (con riferimento ai pregressi fasule) o – giustappunto: smagliato;
medaglie o cemmeraglie per l’ovvia somiglianza tra le battute monete e le coniate medaglie;
miglio sulla falsariga del precedente grano;
mignòle o mognèle termini però abbondandemente desueti;
numerosissimi i vocaboli sotto la lettera P , ricorderò:
patane s.vo f.le letteralmente: patata: pianta erbacea annuale con fiori bianchi o violetti in corimbi, foglie composte e frutti a bacca; originaria dell'America meridionale, fu importata in Europa agli inizi del sec. XVI (fam. Solanacee);
il tubero commestibile di questa pianta, dal quale si ricavano fecola, amido e alcol: patate lesse, fritte, arrosto, in umido | patata bollente, (fig.) argomento, problema scottante: passare ad altri la patata bollente | spirito di patata, l'alcol che si ricava dal tubero; (fig.) facezia sciocca, spiritosaggine insulsa | sacco di patate, (fig.) persona goffa, priva di scioltezza. Nel napoletano la voce a margine, oltre ad indicare il tubero e per traslato il danaro, è uno dei numerosi sinonimi usati per indicare nel linguaggio popolare e/o familiare il sesso femminile: il noto tubero edule è preso in tale accezione semanticamente a riferimento poiché come esso vive nascosto e protetto sottoterra, alla stessa stregua s’usa tener nascosta e protetta la vulva femminile, che di suo è già posta anatomicamente in posizione riservata; l’etimo della voce a margine è per adattamento con cambiamento di suffisso ( da ata ad ana ) dallo sp. patata, a sua volta sorto dall'incrocio di papa (di orig. quechua) con batata (di orig. haitiana); la voce a margine nell’accezione di danaro è di provenienza del gergo malavitoso (e ne è difficile cogliere il collegamento semantico, come avviene per ogni voce gergale);
papagne s.vo m.le pl. di papagno letteralmente: papavero, ceffone, mistura per indurre al sonno,pesante schiaffo inferto a mano aperta ed indirizzato al volto, tale da stordire chi lo riceve, cosí come stordisce l’oppio contenuto nel papavero che in napoletano è appunto ‘o papagno ( quanto alla morfologia dell’etimo dal lat. papaver si va ad un derivato papaveaneus da cui papa(va)nju con successiva sincope di (va) e passaggio di nj a gn (cfr. il basso lat. companjo = nap. Cumpagno);semanticamente la connessione tra il papavero ed il denaro è da cercarsi nella simiglianza effetti: in effetti come stordisce e mette buono l’oppio contenuto nel papavero, o un pesante ceffone, cosí sia chi possiede e sia chi riceva del danaro viene tranquillizzato e messo buono.
Parpagnole s.vo f.le pl. di parpagnola antico sostantivo che in primis (cfr. P.P.Volpi) venne registrato per indicare la palpebra e solo succesivamente, prendendo spunto dall’etimo che qui di sèguito segnalerò, indicò per traslato il danaro; infatti etimologicamente la voce parpagnola deriva dal prov. parpaillon dove valse farfalla; ora come semanticamente è facile cogliere il collegamento tra lo sbatter rapido delle ali di una farfalla ed il medesimo movimento rapido della palpebra, altrettanto facile è cogliere il collegamento tra lo sbatter rapido delle ali di una farfalla ed il successivo dileguarsi d’esso insetto, ed il medesimo movimento rapido con cui si dilegua il danaro!
patacche s.vo f.le pl. di patacca antico sostantivo indicativo in primis di una moneta di grande formato, ma di poco valore contenuto in appena cinque carlini, sostantivo passato poi ad indicare il danaro in genere ed ancóra figuratamente una cosa di poco pregio, un oggetto falso venduto come antico o di valore; scherzosamente valse medaglia, decorazione vistosa, ma di scarsa importanza ed infine nel linguaggio familiare indicò una grossa macchia d'unto; quanto all’etimo è voce derivata dal prov. patac;
penne s.vo f.le pl. di penna antico sostantivo = moneta; un tempo con la voce penna (dal lat. penna(m) 'ala' e pinna(m) 'penna, piuma', confluite in un'unica voce) a Napoli si indicò, oltre che la piuma d’un uccello, anche una vilissima moneta dal valore irrisorio, moneta che veniva spesa facilmente, senza alcuna remora o pentimento; tale moneta che valeva appena un sol carlino (nap. carrino) prese il nome di penna dal fatto che su di una faccia di tale moneta (davanti ) v’era raffigurata l’intiera scena dell’annunciazione a Maria Ss. mentre sul rovescio v’era raffigurato il particolare dell’arcangelo con un’ala (penna) dispiegata; ora sia che la penna in epigrafe indichi la piuma d’uccello, sia indichi la vilissima moneta, la sostanza dell’espressione non cambia, trattandosi di due cose: piuma o monetina che con facilità posson volar via e/o perdersi.A tale monetina è legato il detto partenopeo Miéttele nomme penna! détto che letteralmente vale : Chiamala penna!;
La locuzione viene usata, quasi volendo consigliare e suggerire rassegnazione, allorchè si voglia far intendere a qualcuno che à irrimediabilmente perduto una cosa, un oggetto, divenuto quasi (penna) piuma d'uccello; La piuma essendo una cosa leggera fa presto a volar via, procurando un cattivo affare a chi à incautamente operato un prestito atteso che spesso sparisce un oggetto prestato a taluni che per solito non restituiscono ciò che ànno ottenuto in prestito.
miéttele nomme letteralmente mettigli nome e cioè chiamalo id est: ritienilo; miéttele= metti a lui, poni+gli voce verbale (2° pers. sing. imperativo) dell’infinito mettere=disporre, collocare, porre con etimo dal lat. mittere 'mandare' e successivamente 'porre, mettere'; nomme = nome; elemento linguistico che indica esseri viventi, oggetti, idee, fatti o sentimenti; denominazione, con etimo dal lat. nomen e tipico raddoppiamento espressivo della labiale m come avviene ad es. in ommo←hominem, ammore←amore(m), cammisa←camisia(m) etc.
picciule s.vo m.le pl. di picciolo antico sostantivo = monetine, spiccioli e successivamente danaro in genere; ; l’etimo della voce napoletana a margine è da un lemma fonosimbolico pikk (il medesimo che à dato piccino) con ampliamento della base attraverso un suffisso latino diminutivo iolus;
esaminati tutti questi, mi soffermo ora sul termine
paparelle (s.vo f.le pl. di paparella) con il quale oggi furbescamente si suole indicare il danaro;
è pur vero che con il termine paparelle in napoletano si indicano i piccoli dell’anitra, ma con tale accezione il danaro non c’entra nulla; come significante la moneta, a mio avviso, per détto termine occorre risalire al nome del facoltosissimo e munifico nobiluomo Aurelio Paparo fondatore con un tal Nardo di Palma di un Monte di Pietà in cui profuse parecchio danaro di suo per combattere la piaga della povertà ed usura.Su di un’analoga via di beneficenza si pose Luisa, figlia di Aurelio Paparo, che sovvenzionata dal genitore fondò un tempio o conservatorio di donne povere e neglette chiamate dal popolo: paparelle.Da detto nomignolo prese il nome una strada napoletana, quella dov’era ubicato il tempio;
e continuiamo ad elencare:
pennacchie dal nome di una vilissima moneta penna dal valore esiguo di 1 carlino, quella stessa moneta che per la facilità con cui veniva spesa diede vita al detto: miéttele nomme penna (chiamala penna) in riferimento ad ogni cosa che si potesse facilmente perdere o cedere senza lasciar tracce di remore o dispiaceri;la moneta s’ebbe il nome di penna→pennacchia perché su di una delle facce v’era incisa la figura delle ali dell’arcangelo Gabriele colto nel momento dell’Annunciazione a Maria.
purchie ed il suo corrotto perucchie ambedue coniati sul termine porchia
nel significato di gemma, pollone, richiamante quel rigoglio della vita facilmente assimilabile alla rigogliosità che può dare il danaro;
prubbeca che si ritrovò con qualche adattamento morfologico in altre regioni del meridione; in origine con la voce prubbeca (poi passata a designare genericamente il danaro metallico) si indicò una moneta di rame del valore d’un tornese (vedi alibi) o di sei calli (ca(va)lli) fatta coniare da Filippo III di Spagna intorno al 1550; su detta moneta era coniato il motto publica commoditas donde si ricavò popolarmente il termine metatetico prubbeca;

e potrei ancora continuare in un’elencazione, ma correrei il rischio di segnalare termini non più usati; preferisco perciò indicare solo un ultimo ed attuale, corrente e cioè:
sfardelle termine un po’ becero, ma ancora oggi in uso nel parlare popolare anche se di lontanissima provenienza in quanto corruzione della parola ferdinandelle o ferrantelle da cui ferradelle e poi fardelle ed infine sfardelle dal nome di una moneta battuta tra il 1460 ed il 1490 a Napoli sotto Ferdinando o Ferrante d’Aragona, figlio naturale seppure illegittimo e successore di Alfonso il Magnanimo.
Raffaele Bracale

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