giovedì 9 luglio 2009

LOCUZIONI NAPOLETANE 1 - 30

1. ‘A capa ‘e si’ Vicienzo
Ad litteram: la testa del sig. Vincenzo
A Napoli quando una persona voglia comunicare all’universo mondo che egli è privo di qualsivoglia sostanza o beni di sussistenza, suole affermare: - Nun tengo manco ‘a capa ‘e si’ Vicienzo; l’espressione tradotta letteralmente starebbe a significare: “Non ò nemmeno la testa del sig. Vincenzo”; ma si intende che tradotta in tal guisa non significherebbe niente, laddove l’espressione à invece una sua precisa valenza quando si pensi che essa altro non è che una corruzione dell’espressione latina: caput sine censu che si riferiva alla classificazione di tutti coloro che non avendo beni di sorta erano censiti sulla base della sola persona fisica divenendo solo un numero ed un caput sine censu (una persona priva di censo) ; dall’espressione latina è stato facile per i napoletani pervenire per assonanza a capa ‘e si’ Vicienzo.
Da ricordare che spesso invece di si’ Vicienzo si sente dire zi’ Vicienzo che una frettolosa ed inesperta traduzione rende con zio Vincenzo, laddove in napoletano la parola si’ è l’apocope di signore e spesso per bollare di nullità assoluta qualcuno si suole apostrofarlo : “Sî ‘o si’ Nisciuno” id est: “Sei il signor Nessuno...

2. Abbaccà cu chi vence
variante Abbaccà addò vence
Ad litteram: Andare con chi vince variante andare dove si vince
Locuzione che stigmatizza il vile comportamento di chi per opportunismo pratico o morale è solito balzare sul carro del vincitore e colludere con lui; tale sport è - da sempre - lo sport tipico dell’italiano medio.
Abbaccà = andar con - colludere (con) deriva da un latino medioevale ad + vadicare frequentativo di vadere.

3. Arrassusia
Ad litteram:Lontano sia Non accada mai Esclamazione accorata che si suole pronunciare spesso accompagnata da un gesto scaramantico, nella temuta evenienza di un pericolo, o - peggio - di un danno.
La locuzione divenuta termine unico in realtà è formata dal vocabolo arrasso (lontano) con discendenza dall'arabo harasa di identico significato, e dal congiuntivo ottativo sia.
4. Abballo ‘e pezziente
ad litteram: ballo di pezzenti.
È detto abballo ‘e pezziente quell’indecifrabile tramest ío che talvolta si può notare all’angolo di una strada dei quartieri popolari o nel bel mezzo di una piazza; di lontano non si riesce a capire di cosa si tratta,
mentre da vicino ci si accorge che si tratta solo di una piccola discussione tra popolani o pi ú spesso popolane, discussione che non degenera in alterco , ma che viene definita eufemisticamente: ballo di povera gente ballo che non ha nulla da spartire con la danza, ma che di questa conserva il concitato agitarsi dei partecipanti.

5. Abbuffà 'a guallera nella locuzione me staje abbuffanno 'a guallera
Ad litteram: enfiare l'ernia nella locuzione mi stai gonfiando l'ernia id est: mi stai tediando, mi stai oltremodo infastidendo, procurandomi una figurata enfiagione dell'ernia; locuzione che si ritrova con gran risentimento sulla bocca di chi, già tediato di suo, veda aumentare a dismisura il proprio fastidio, per l'azione di un rompiscatole che insista nel suo disdicevole atteggiamento. Ricorderò che il termine guallera (ernia) è mutuato dall'arabo wadara di pari significato e con esso termine il napoletano indica la vera e propria affezione erniale dove che sia ubicata, ma anche per traslato, il sacco scrotale ed è a quest'ultimo che con ogni probabilità si riferisce la locuzione, prestandosi, data la sua sfericità, ad essere sia pure figuratamente gonfiato. Segnalo ora, qui di sèguito altre icastiche locuzioni di medesima portata di quella in epigrafe, locuzioni che vengono usate a secondo il grado del tedio che si prova; la prima, mutuata dall'àmbito culinario, proclama: me staje facenno oppure m’ hê fatto ‘a guallera â pezzaiuola(mi stai facendo oppure mi hai fatto l'ernia alla pizzaiola) quasi che l'ernia fosse possibile cucinarla con olio, pomodoro, aglio e origano a mo' di una fettina di carne; altra locuzione usata è quella che mutuata dal linguaggio del lavoro d'ebanisteria, proclama: me staje scartavetranno 'a guallera ( mi stai levigando l'ernia con la carta vetrata) infine esisite una locuzione che- mutuata dall'ambito sartoriale -nella sua espressività barocca, se non rococò, afferma: me staje facenno 'a guallera a plissé (mi stai facendo l'ernia plissettata) quasi che fosse possibile trattare l'ernia come una gonna, pieghettandola longitudinalmente in modo minutissimo.
6. A ggh í a ggh í
letteralmente: ad andare ad andare;detto a commento di tutte quelle azioni condotte a termine per un pelo ed i cui risultati siano stati raggiunti risicatamente.Locuzione di caratterte temporale.
7. A nnomme ‘e Ddio
letteralmente: nel nome di Dio Espressione quasi religiosa che si usa nel principiare alcunché, segnandosi, e chiamando il nome di Dio nella speranza che presti il suo soccorso nell’opera intrapresa.
8. Â bbona ‘e Ddio
letteralmente: con il benvolere di Dio espressione che si discosta molto dalla precedente, in quanto questa pur avendo un suo sostrato fideistico, è meno permeata di religiosita, anzi è quasi scaramantica e riproducendo ad litteram il saluto che i naviganti iberici si scambiavano nel salpare: a la buena de Dios significa: vada come vada, purché vada...
9. All’ anema d’’a palla!
Letteralmente: All’anima della palla! Espressione esclamativa con cui si usa commentare allorché ci vengono riferiti accadimenti o cose cos í incredibili o palesamente falsi da farli ritenere essere la quintessenza delle sciocchezze, paragonabili solo ad un sesquipedale contenitore sferico fatto di aria e contenente aria...
10. A stracce e petacce
Ad litteram: A stracci e brandelli; locuzione usata per significare tutte le azioni fatte in modo discontinuo, con scarsa applicazione, a morsi e bocconi, azioni che lasciano presagire risultati pessimi.
11. ‘A sotto p’’e chiancarelle!
Ad litteram: Di sotto a causa dei penconcelli ma a senso: Attenti alla caduta dei panconcelli!
Locuzione con la quale si suole commentare tutti gli avvenimenti risultati o gravosi o pericolosi nel loro evolvere; essa prende l’avvio dal grido di avvertimento che erano soliti lanciare gli operai addetti alla demolizione di vecchi fabbricati affinché chi si trovasse a passare ponesse attenzione all’eventuale caduta dall’alto dei dissestati panconcelli: strette doghe di stagionato castagno, doghe che poste trasversalmente sulle travi portanti sorreggevano l’impiantito dei solai.
12. A íza, ca venono ‘e gguardie
Ad litteram: alza (la merce e portala via giacché possono giungere i rappresentanti della forza,(sequestrarti la merce e contravvenzionarti.) Locuzione usata un tempo quando a Napoli era vivo e fiorente il contrabbando d’ogni genere e si volesse consigliare il venditore a portar via la merce per non incorrere nei rigori della legge rappresentata dai suoi tutori che qualora fossero intervenuti avrebbero potuto sia sequestrare la merce che elevare pesanti contravvenzioni.
Oggi la locuzione è usata per convincere un inopportuno interlocutore a liberarci della sua presenza anche se costui non abbia merce da portar via né si paventi reale intervento di polizia municipale o altri tutori della legge.
13. Arriciette ‘e fierre e ghiammuncenno
Ad litteram: raccogli i ferri del mestiere ed andiamo via. Locuzione usata a mo’ di perentorio comando dagli artieri e rivolta ai propri, meglio al proprio garzone affinché raccolti i ferri usati per svolgere il lavoro, li riponga in un contenitore da asporto e ci si possa allontanare dal luogo, ove si lavori o si sia lavorato, per far ritorno alla bottega. Il verbo arricettà, reso con l’italiano raccogliere deriva originariamente dal termine ricietto che significa tregua, pace e nella locuzione vorrebbe quasi intendere che ai ferri occorre dare,dopo una giornata di lavoro, finalmente tregua, non tenendoli pi ú sparsi a dritta e mancina, ma raccolti nel loro contenitore.
Modernamente la locuzione è usata all’incirca con la stessa valenza della precedente quando si voglia sollecitare un importuno a lasciarci liberandoci della sua sgradita presenza.
14. A pesielle pavammo oppure ne parlammo.
Ad litteram: al tempo dei piselli pagheremo oppure ne parleremo. Locuzione con la quale si tenta di rimandare la soluzione dei debiti o dei problemi a tempi migliori. In tempi remoti la locuzione posta sulla bocca di un contadino voleva dire: pagherò i miei debiti al tempo della raccolta dei piselli, quando farò i primi guadagni della stagione; posta invece sulla bocca di un medico o peggio d’un becchino aveva l’aria di una minaccia vvolendo significare: al tempo dei piselli ti necessiterà la mia opera o perché cadrai in preda di coliche che l’ortaggio ti procurerà, o - peggio ancora - ne decederai!
15.  faccia e d’’o casacavallo o anche â faccia ‘e Giorgio o ancora  faccia e d’’o sisco
Ad litteram: Alla faccia del caciocavallo o anche alla faccia di Giorgio o ancora alla faccia del fischio.
Locuzione pronunciata con risentimento davanti ad avvenimenti che dèstino meraviglia non disgiunta da stupore o sorpresa, in quanto tali avvenimenti erano inattesi o macroscopicamente incredibili; sia il termine casocavallo (caciocavallo) che il fischio ed il nome Giorgio sono usati eufemisticamente in luogo di altro termine facilmente intuibile certamente pi ú becero, ma senza dubbio pi ú corposo e colorito. Il caciocavallo è un gustoso formaggio a pasta dura prodotto dai casari dei monti Lattari casari adusi a trasportarlo a valle, a dorso di cavallo legato a coppie con una corda; da ciò il nome.
16. Abbruscià ‘o paglione
Ad litteram: bruciare il pagliericcio id est: far terra bruciata attorno a qualcuno. Grave minaccia con la quale si comunica di voler procure a colui cui è rivolta un grave anche se non specifico danno; la locuzione rammenta ciò che erano soliti fare gli eserciti sconfitti , in ispecie quelli francesi che nell’abbondonare l’accampamento fino a quel momento occupato, usavano bruciare tutto per modo che l’esercito sopravveniente non potesse averne neppure un sia pur piccolo tornaconto.Oggi la locuzione in epigrafe è usata per minacciar imprecisati ma totali danni.
17. Addò maje?
adlitteram: dove mai?
Domanda retorica che si suole rivolgere ai responsabili di azioni discutibili se non ripropevoli, per indurli a recedere dal loro comportamento ritenuto non esistente in nessun altro luogo e tanto sbagliato da doversi necessariamente evitare.
18. Â ‘ntrasatta
ad litteram: all’improvviso detto di cose che accadono inaspettatamente, senza che nulla lo lasci prevedere, nel bel mezzo di altri avvenimenti proprio secondo la traduzione ad litteram del latino: intra res acta da cui scatuisce la locuzione in epigrafe.
19. Â casa d’’o ferraro, ‘o spito ‘e lignamme.
ad litteram: in casa del fabbro, lo spiedo è di legno; locuzione usata ad ironico commento di tutte quelle situazioni nelle quali, per accidia o insipienza dei protagonisti vengono a mancare elementi che invece si presupponeva non potessero mancare e ci si deve accontentare di succedanei spesso non confacenti.
20. ‘A carna tosta e ‘o curtiello scugnato.
ad litteram: la carne dura ed il coltello senza taglio. Icastica locuzione che si usa a dolente commento di situazioni dove concorrano due o pi ú elementi negativi tali da prospettare un sicuro insuccesso delle operazioni intraprese. Altrove per significare la medesima cosa s’usa l’espressione illustrata al numero successivo.
21. ‘A funicella corta e ‘o strummolo tiriteppeto
ad litteram: la cordicella corta e la trottolina scentrata o ballonzolante. Pi ú esattamente a Napoli s’usa dire: s’è aunita ‘a funicella corta e ‘o strummolo tiriteppeto, ovvero: si sono uniti, in un fallimentare connubio, una cordicella troppo corta per poter imprimere con forza la necessaria spinta al movimento rotatorio dello strummolo a sua volta scentrato o con la punta malamente inclinata tale da conferire un movimento non esatto per cui la trottolina s’inclina e si muove ballonzolando.
22. Aizarse ‘nu cummò
ad litteram: caricarsi addosso un canterano; detto di chi abbia impalmato una donna anziana, non avvenente e, a maggior disdoro, priva di congrua dote. Si ritiene che chi abbia fatto un simile matrimonio, abbia compiuto uno sforzo simile a quello di quei facchini addetti a trasporti, facchini che sollevavano e si ponevano sulle spalle pesanti cassettoni di legno massello, sormontati da pesanti lastre di marmo.
23. Ê cane dicenno
letteralmente: dicendo ai cani locuzione pronunciata magari accompagnata da un gesto scaramantico con la quale si vuol significare: non sia mai!, accada ai cani ciò che stiamo dicendo!
24. A mmorte ‘e subbeto.
Ad litteram: a morte subitanea id est: repentinamente, senza por tempo in mezzo; detto soprattutto di ordini da eseguirsi, come indicato in epigrafe, con la stessa immediatezza di una morte repentina.
25. Aggiu visto 'a morte cu ll' uocchie.
Ad litteram: Ò visto la morte con gli occhi Con questa tautologica locuzione si esprime chi voglia portare a conoscenza degli altri di aver corso un serio, grave pericolo tale d’averlo portato ad un passo dalla morte, vista da molto vicino e di esserne venuto fortunatamente fuori, tanto da poterlo raccontare.






26. Accurtà ‘e passe a quaccheduno
Ad litteram:accorciare (ridurre) i passi a qualcuno; id est: ridimensionare i movimenti di qualcuno al fine di impedirgli di procedere oltre; detto soprattutto di chi - mostratosi troppo supponente - si stia comportando conseguentemente con boria e vacua baldanza; ebbene è buona norma che costui venga ridimensionato, con parole ed atti, perché comprenda quali sono i limiti nei quali deve muoversi e non li ecceda.
27. Accussí à dda jí
Ad litteram : cosí deve andare; fatalistica espressione con la quale a Napoli si suole accettare tutte quelle situazioni che non possono essere eluse o evitate e alle quali perciò bisogna - sia pure obtorto collo - soggiacere.Talvolta per completamento della frase in epigrafe ed a significare un totale abbondono in un Ente supremo che, si pensa, muova tutti gli accadimenti umani, si aggiunge un religioso e rassegnato e accussí sia ( e cosí sia).
28. Accussí va ‘o munno
Ad litteram: cosí va il mondo: espressione analoga alla precedente, ma con un pi ú marcato senso di impotenza davanti alla ineluttabilità di taluni avvenimenti.
29. Avimmo perduto 'aparatura e 'e centrelle.
Ad litteram: abbiamo perduto gli addobbi ed i chiodini. Anticamente, a Napoli in occasione di festività, specie religiose, si solevano addobbare i portali delle chiese con gran drappi di stoffe preziose; tali addobbi erano chiamati aparature o apparature (etimologicamente deverbale d’un basso latino ad+ parare =addobbare; accaddeva però talvolta che - per sopravvenuto mal tempo, il vento e la pioggia scompigliassero, fino a distruggerli gli addobbi ed a svellere drappi e chiodini o bullette(in napoletano centrelle dal greco kéntron= chiodo) usati per sostenerli; la locuzione attualmente viene usata per dolersi quando, per sopravvenute, inattese cause vengano distrutti o vanificati tuttti gli sforzi operati per raggiungere un alcunché.
30. Avimmo perduto a Felippo e ô panaro
Ad litteram: abbiamo perduto Filippo e la cesta. Id est: ci abbiamo rimesso tutto: il capitale e gli interessi. Locuzione di portata simile alla precedente, che a differenza di quella di cui al num. 22, usata solo dalle persone anziane, ancóra perdura nel parlato comune rammenta una non meglio identificata farsa pulcinellesca di Antonio Petito nella quale un tal Pancrazio aveva affidato al suo servo Filippo una cesta di cibarie , perché la portasse a casa, ma il malfido servo, riuniti altri suoi pari, si diede a gozzovigliare facendo man bassa delle cibarie contenute nella cesta, e temendo poi le reazioni del padrone, evitò di tornare a casa lasciando il povero Pancrazio a dolersi del fatto con la frase in epigrafe.
BRAK

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