domenica 20 settembre 2009

EPITETI

EPITETI
Qui di sèguito prendo in esame molte delle parole napoletane usate quali epiteti rivolti soprattutto verso le donne o in uso scambievolmente tra le donne del popolino.
Tenendo dietro a quanto ebbi a dire alibi circa la voce locena e dintorni e che qui, per rapidità di consultazione, riporto ( la locena pur essendo un taglio di carne gustosissimo, è un taglio che, ricavato dal quarto anteriore della bestia, il meno pregiato e meno costoso, è da ritenersi di mediocre qualità, quasi di scarto, e di tutti i vari nomi con cui è connotato in Italia, quello che piú si attaglia a simili minime qualità, è proprio il napoletano lòcena.
Etimologicamente infatti la parola lòcena nel suo precipuo significato di vile, scadente è forgiato come il toscano ocio/a ed i successivi locio/locia (dove è evidente l’agglutinazione dell’articolo) sul latino volgare avicus mediante una forma aucius che in toscano sta per: scadente, di scarto; da locio a locia e successiva locina con consueta epentesi di una consonante (qui la N) per facilitare la lettura, si è pervenuto a locina→locena.
Chiarito il concetto di partenza, passiamo al significato traslato: fu quasi normale in un’epoca: fine ‘500, principio ‘600 in cui la donna non era tenuta in gran conto (a quell’epoca risalgono, a ben pensare, quasi tutti i proverbi misogini della tradizionale cultura partenopea …), trasferire il termine lòcena da un taglio di carne di scarto, ad una donna… di scarto, quale poteva esser ritenuta una donna becera, villana, sciatta,sguaiata, volgare, sfrontata ed, a maggior ragione,una donna di malaffare o anche solo chi fosse una demi vierge o che volesse apparir tale..
Rammenterò che altrove, con linguaggio piú pungente se non piú crudo, tale tipo di donna è detto péreta, soprattutto quando quelle sue pessime qualità la donna le inalberi e le metta ostentatamente in mostra; le ragioni di questo nome sono facilmente intuibili laddove si ponga mente che il termine péreta è il femminile metafonetico di píreto (dal b. lat.:peditu(m)) cioè: peto, scorreggia che sono manifestazioni viscerali rumorose rispetto alla corrispondente loffa (probabilmente dal tedesco luft - loft= aria) fetida manifestazione viscerale silenziosa, ma olfattivamente tremenda.
Va da sé che una donna che strombazzi le sue pessimi qualità, si comporta alla medesima stregua di un peto, manifestando rumorosamente la sua presenza e ben si può meritare, con icastico, seppur crudo linguaggio, l’appellativo di péreta. a margine rammento che talvolta l’epiteto péreta è addizionato di un aggettivo stellïata= scintillante, luminosa quasi a voler indicare che la donna che strombazzi le sue pessimi qualità, si comporta alla medesima stregua di un peto, manifestando rumorosamente la sua presenza e lo faccia (a maggior disdoro) in maniera cosí chiara e palese come un astro brillante.
Per completezza dirò poi che simile donna becera e volgare, altrove, ma con medesima valenza è anche detta alternativamente lumèra o anche lume a ggiorno atteso che una donna becera e volgare abbia nel suo quotidiano costume l’accendersi iratamente per un nonnulla; tale prender fuoco facilmente richiama quello simile del lume a gas (lumèra) o di quello a petrolio ( lume a ggiorno) ambedue altresí maleolenti tali quale una péreta.
Ciò che vengo dicendo è tanto vero che addirittura questo tipo di donna è stato codificato nella Smorfia napoletana che al num. 43 recita: donna Pereta for’ ô balcone per indicare appunto una donna… di scarto che faccia di tutto per mettersi in mostra; ed addirittura nella smorfia il termine péreta da nome comune è divenuto quasi nome proprio.)
Tento ora qui di sèguito l’illustrazione degli epiteti che le popolane sogliono rivolgersi l’un l’altra , per offendersi talvolta pesantemente; preciso súbito che gli epiteti di cui dirò sono presenti oltre che sulle labbra di infime donnaccole, anche passim negli scritti di Basile, Sgruttendio, Cortese, Trinchera ed altri.
Ciò detto, principio, augurandomi di risultare il piú chiaro possibile ,anche se non esauriente, atteso che gli epiteti – soprattutto di viva voce - possono essere molti di piú, stante la vivacità d’inventiva del popolo napoletano e soprattutto quello plebeo;


-capèra = ad litteram: pettinatrice a domicilio ed estensivamente: pettegola, propalatrice di notizie raccolte in giro e riportate magari corredate di falsità aggiunte ad arte alle originarie notizie conosciute durante l’itinerante lavoro; etimologicamente è voce derivato da capo (testa) + il suffisso femm. di pertinenza era (al masch.èra diventa iere (es.: ‘a salum+èra, ‘o salum+iere));
caiotela/caiotula = donnicciuola pettegola adusa a andarsene in giro a raccogliere e propalare notizie,ma pure donna plebea, becera, sporca che emani cattivo odore e per ampliamento: donna lercia di facili costumi; semanticamente la seconda accezione si spiega con un supposto etimo da caiorda (che è ipotizzato dall’ebraico hajordah) = puzzola; ma piú che caiorda pare che la voce di partenza debba essere una sia pure non attestata *chiaiorda con riferimento a donna abitante la Riviera di Chiaia un tempo strada molto sporca, covo di gente malfamata; tuttavia mi pare molto difficile, morfologicamente parlando, pervenire a caiotela/caiotula sia che si parta da caiorda che da chiaiorda. Ecco perché penso che sia preferibile l’ipotesi etimologica che collega le voci caiotela/caiotula al basso latino catula= cagna. In questo caso sarebbero salve sia la morfologia (da catula con consueta doppia epentesi vocalica (epentesi tipica delle lingue meridionali) io facilmente si giunge a caiotula) sia la semantica ( è nell’indole della cagna priva di padrone, vagabondare latrando (cfr. spettegolando) e concedendosi ai randagi (cfr. donna di facili costumi).
cannaccara s.vo ed agg.vo f.le che letteralmente sta per provvista di troppe, eccessive canacche(= collane vistose; dall’arabo hannaqa)= collane vistose che rendono inelegate e perciò spregevole la donna che le indossi che oltre alla voce a margine fu apostrofata talora con il termine sié maesta ‘ncannaccata dove sié è l’apocope metatetica del francese sei(gneuse = signora) femminile di seigneur= signore), maesta = maestra e ‘ncannaccata = provvista di collane;
banchèra= ad litteram: venditrice al minuto che lavora servendosi di un banco/bancone tenuto all’aperto sulla pubblica via, venditrice che essendo in contatto con molte persone può – come la precedente capèra - diventar pettegola, propalatrice di notizie; etimologicamente è voce derivata da banche plurale di banco (che è dal germ. *bank 'sedile di legno' ) + il suffisso femm. di pertinenza era o altrove iera ;
votacàntere = vuota-pitali quella donna (probabilmente lercia, sporca,o pensata tale), addetta agli infimi uffici quale quello di svuotare in mare( per solito durante la c.d. malora ‘e chiaia(vedi altrove)) i vasi di comodo in cui le famiglie depositavano i propri esiti fisiologici; etimologicamente la voce votacàntare risulta esser l’unione di una voce verbale vòta = vuota (3° pers. sing. ind. pres. dell’infinito votà= vuotare che è un denominale derivato dal lat. volg. *vocitu(m), variante di *vacitu(m), part. pass. di *vacíre 'essere vuoto', corradicale del lat. vacuus 'vuoto') + il sostantivo càntare plurale di càntaro= vaso di comodo, pitale etimologicamente dal lat. càntharu(m) forgiato sul greco kantharos, da non confondersi con il termine cantàro (che è dall’arabo quintâr) voce usata per indicare una unità di misura: cantàio= quintale ed è a tale misura che si riferisce il detto napoletano: Meglio ‘nu cantàro ‘ncapo ca n’onza ‘nculo ( e cioè: meglio sopportare il peso d’un quintale in testa che (il vilipendio) di un’oncia nel culo (e non occorre spiegare cosa sia l’oncia richiamata…)); molti napoletani sprovveduti e poco informati confondono la faccenda ed usano dire, erroneamente: Meglio ‘nu càntaro ‘ncapo…etc.(e cioè: meglio portare un pitale in testa che un’oncia nel culo!), ma ognuno vede che è incongruo porre in relazione un peso (oncia) con un vaso di comodo (càntaro) piuttosto che con un altro peso (cantàro);
vajassa = serva, fantesca ma intesa in senso dispregiativo ; dall’arabo: baassa attraverso il francese bajasse con la solita alternanza partenopea b/v, da cui in italiano: bagascia= meretrice.

funnachèra letteralmente abitante, frequentatrice di un fondaco, il fondaco(in napoletano fúnneco) fu, dalla seconda metà dell’ ‘800, ai primi del ‘900, un locale a pianterreno o seminterrato, usato come magazzino o come abitazione poverissima;ma anche estensivamente un cortilaccio o vicolo cieco circondato di abitazioni da povera gente, ed addirittura una zona poverissima ed insalubre della città ( a Napoli ne esistettero fino ai primi del 1900, a dir poco una settantina (tra i quali il famoso Funneco Verde cantato da Salvatore Di Giacomo) ubicati quasi tutti nella città vecchia segnatamente nelle zone del Porto e Pendino e spesso detti fondaci prendevano il loro nome da quello degli artieri che vi aprivono bottega: es: funneco verde =fondaco degli ortolani, funneco ‘a ramma fondaco dei ramai) con costruzioni fatiscenti e malsane; quindi la funnachèra quale abitante o frequentatrice di un fondaco, connota una donna di bassa condizione civile , intesa becera, volgare, triviale; etimologicamente voce denominale di fúnneco che è derivato dall'arabo funduq (attraverso lo spagnolo fúndago(con assimilazione progressiva nd→nn e variazione di tipo popolare della occlusiva velare sonora g con la piú aspra e dura occlusiva velare sorda c):altra ipotesi etimologica è che tale fondaco: 'alloggio, magazzino', possa derivare dal gr. pandokêion(pan=tutto, dokomai=accolgo)ed in tal caso fondoca varrebbe oltre che magazzino anche locanda, albergo pubblico; da fondaco e funneco '+ il solito suffisso femminile di pertinenza era scaturisce funnachera;
vasciajola letteralmente abitante di un basso locale a pianterreno o seminterrato, usato come magazzino o come abitazione poverissima, simile al fondaco; ) e quindi donna, di infima condizione civile , intesa becera, volgare, triviale, incline al pettegolezzo e alla chiassata; etimologicamente la voce vasciajola è un chiaro denominale di vascio (lat.: bassu(m))+ il suffisso lat. volg.: ariolus/la con un’ inattesa dissimilazione totale della r;
janara catarrosa letteralmente strega affetta da catarro e dunque sporca, lercia; di per sé la janara= strega, megera, donna plebea brutta e malefica, etimologicamente pare essere un derivato del nome della dea pagana Diana(m), non manca però chi pensa ad una derivazione da (r)janara forma metatetica di irana/iranara = granata coperta di peli di capra; catarrosa = agg.femm. sofferente di catarro: una vecchia catarrosa
o che rivela la presenza di catarro: tosse, voce catarrosa denominale di catarro che è dal tardo lat. catarrhu(m), che è dal gr. katárrous, deriv. di katarrêin 'scorrere giú;
janara cecagnòla o scazzata letteralmente strega, megera,quasi cieca o cisposa; cecagnòla = guercia nell’immaginario comune l’esser guercio o come il successivo, l’esser cisposo è di persona (specie se donna) volgare, laida, sporca, falsa ed inaffidabile, tendente alla cattiveria; l’etimo di cecagnola risulta un deverbale di cecà/cecare dal lat. caecare, mentre la voce scazzata = cisposa, da scaccolare è un aggettivo da un participio passato dell’infinito scazzà = scaccolare, liberar gli occhi dalle caccole che formano il cispo (in napoletano scazzimma da un lat.volgare caccita; non si può però escludere che il verbo scazzà derivi da un basso latino ex-cacare composto di cacare)
spernocchia =conocchia/canocchia o cicala di mare: piccolo crostaceo marino con duro carapace, commestibile, con corpo allungato e zampe anteriori ripiegate, atte alla presa; per traslato donna coriacea, repulsiva, scostante; letteralmente vale l’italiano sparnocchia; la voce napoletana è un adattamento popolare giocoso di spannocchia (dal lat. volg. *panucula(m), per il class. panicula(m), dim. di panus ' con protesi di una s intensiva) forse per la forma che ricorda quella di una pannocchia ben accartocciata nelle sue foglie;
trafechèra letteralmente vale l’italiano traffichina e dunque donna dedita a traffici poco onesti, imbrogliona, intrigante; etimologicamente è un deverbale del verbo trafechïà attraverso il sostantivo trafeca (travaso) + il consueto suffisso femm. èra; la voce trafechïà in primis vale (con derivazione dal catalano trafegar)travasare il vino (da un tardo latino: trans + faex-faecis= feccia )e quindi estensivamente: maneggiare, esercitar traffici illeciti;
muzzecútela vale l’italiano maldicente,malevola sparlatrice, mordace detto soprattutto di donna che in una discussione pretende d’aver sempre l’ultima parola; etimologicamente è un deverbale del verbo muzzecà (morsicare, mordere anche in senso figurato) che è forse da un basso latino *muccicare, se non dal tardo lat. morsicare, deriv. di morsus, part. pass. di mordíre 'mordere' con tipico passaggio rs>rz>zz.
trammèra vale l’italiano colei che tesse inganni, congiure, insidie, donna inaffidabile;va da sé che la voce a margine non à nulla a che spartire con il termine tram essendo etimologicamente un derivato della voce trama (dal lat. trama(m) ) = macchinazione, intrigo, con tipico raddoppiamento popolare della labiale m e l’aggiunta del suff. femm. èra;
cajòtela vale l’italiano donna di facili costumi probabilmente voce derivata da un lat. (foemina) *caveottula con riferimento al ristretto covo (cavea) in cui detta femmina prestava la sua opera mercenaria;
pernacchia da non confondere con l’omonima voce italiana con la quale si rende il napoletano pernacchio, cioè il suono volgare emesso con un forte soffio a labbra serrate, in segno di disprezzo o di scherno; (ricordo súbito che la voce pernacchio, anticamente fu vernacchio e con tale voce derivata dal tardo lat. vernaculu(m) si significò inizialmente la vera e propria scoreggia cioè il suono volgare emesso dai visceri per espellere gas intestinali e solo successivamente con la parola vernacchio/pernacchio si intese il suono che imitativamente a quello prodotto dai visceri veniva emesso dalle labbra serrate in sengno di dileggio e/o disprezzo.) questa a margine è offesa che si rivolge ad una donnaccola brutta, ripugnante e dai modi volgari che tuttavia, nel tentativo di farsi notare ed accettare usa agghindarsi in maniera ridondante ed appariscente attirandosi spesso il dileggio di coloro che la guardino, e che spesso usano nomarla pernacchia ‘mpernacchiata (donnaccola agghindata) l’etimo di pernacchia è dal lat. vernacula 'cose servili, scurrili'neutro plur (poi inteso femm.). di vernaculum deriv. di verna 'schiavo nato in casa'
pirchipétola/perchipetola vale l’italiano donna ciana, becera, donnaccola pettegola e volgare, linguacciuta, quando non donna di facili costumi con derivazione dell’addizione della voce perchia = perca: pesce acquatico di scarsissimo valore con bocca grossa e ventre ampio e floscio + petola/petula = pettegola, ciarliera; delle medesime infime qualità: bocca grossa (come che sottolineata dal pesante trucco), e ventre ampio e floscio, frutto del tipo di… lavoro comportante spesso gravidanze indesiderate è accreditata
la donna di facili costumi detta perchia spesso ciarliera e dunque pirchipétola/perchipétola;
chiazzèra donna plebea, ciana, volgare adusa ad urlare, vociare sguaiatamente soprattutto palam in piazza in maniera spesso scomposta, volgare, triviale, scurrile, sboccata, maleducata rozza, zotica; etimologicamente derivata dall’addizione di chiazza (=piazza dal lat. platea(m) 'via ampia', che è dal gr. platêia, f. sost. di platy/s 'ampio, largo)+ il solito suff. femm. èra
fuchèra donnaccola pettegola e volgare adusa ad accendere metaforici fuochi, seminando zizzania, con derivazione dall’addizione di fuoche (plurale di fuoco che è dal lat. focu(m)) + il consueto suff. femm. di pertinenza èra

‘mmicïata donna di facili costumi, viziosa ; voce quasi del tutto desueta che però si può ancora riscontrare – con intenzioni e valenza molto offensive - nel parlato plebeo di talune cittadine dell’area vesuviana; etimologicamente derivata dal basso latino *in vitiata da un in (illativo)+ vitium con stravolgimento dell’originario significato di vitium inteso non piú come errore, ma come la disposizione abituale al male; l'acquiescenza continua agli istinti piú bassi; per il passaggio di inv a ‘mm vedi alibi invece=’mmece, invidia=’mmidia;
scigna cacata letteralmente scimmia sporca d’escrementi e per traslato: donna lercia, laida,sporca quantunque tenti di apparire avvenente (tené ‘e bbellizze d’’a scigna = avere le grazie della scimmia pensato animale grazioso in quanto imitatore dell’essere umano)scigna deriva dal lat. simia→simja, con un consueto passaggio di s+ vocale a sci: (vedi altrove semum→scemo) e mj→gn (come in ca(m)mjare→cagnà) cacata = part. passato femm. aggettivato dell’infinito cacà/cacare = defecare dal latino cacare;
aucellona ‘nzevosa uccellone unto id est: donnaccola appariscente, ma sporca, lercia; aucellona è l’accrescitivo femm. (vedi il suff. ona) del sostantivo maschile auciello derivato da un tardo lat. aucellus doppio diminutivo di avis>avicula>avicellus>avuciello>auciello con tipica dittongazione cie della sillaba ce, sillaba implicata ossia seguita da due consonanti; ‘nzevosa= unta, untuosa e quindi sporca, lercia con etimo da un basso latino in(illativo) + sebosus = ingrassato, aggettivo forgiato su sebum= grasso, in+s sfocia sempre in ‘nz e tipica è l’alternanza partenopea b/v (vedi barca/varca, bocca/vocca etc.;
zandraglia perucchiosa zandraglia = donna volgare, sporca incline alle chiassate, ai litigi ed al pettegolezzo; perucchiosa = pidocchiosa, coperta di pidocchi,la voce zandraglia (etimologicamente dal francese les entrailles,)indicò dapprima le donne povere volgari e vocianti che si litigavano, alle porte delle cucine reali o del macello situato a Napoli presso il ponte Licciardo, le interiora e le ossa delle bestie macellate,(donde l’espressione partenopea: va’ fa ll’osse ô ponte= vai a raccattar le ossa al ponte, invito perentorio e malevolo rivolto a chi ci importunasse con richieste fastidiose, affinché ci liberi della sua sgradevole presenza, spostandosi altrove!) interiora ed ossa distribuite gratuitamente; poi, in altra epoca, con la medesima voce si indicarono le donne designate a ripulire dai resti umani i campi di battaglia e/o i luoghi di esecuzioni capitali (ed in tali occasioni queste donne malvissute si contendevano l’un l’altra le vesti e qualche effetto personale dei soldati o dei condannati); l’aggettivo perucchiosa femm. metafonetico di perucchiuso vale pidocchiosa, affetta dai pidocchi, dalle zecche, ma pure avara, taccagna forgiato sul sostantivo perocchio (con derivazione da un originario lat.pedis= pidocchio attraverso un diminutivo pediculus alterato in peduculus→ peduc’lus →perocchio con la tipica alternanza osco- mediterranea d/r) addizionato dei suffissi di appartenenza uso/osa;
zellósa aggettivo sostantivato femm. metafonetico di zelluso e vale tignosa, affetta da alopecia(in napoletano: zella) la voce a margine etimologicamente è formata dall’addizione di zella (da un lat. regionale (p)silla(m) dal greco psilòs =nudo, calvo; il raddoppiamento della liquida è d’origine popolare, (come alibi mellone da melon – ‘ntallià da in-taliare etc. ) con i soliti suffissi di appartenenza uso/osa;

fetósa aggettivo sostantivato femm. metafonetico di fetuso e vale fetida, poco raccomandabile, pericolosa, sporca, lercia, che puzza; la voce a marigine etimologicamente è formata dall’addizione di fieto (che è uno dei pochi lemmi derivati non da un accusativo latino, ma da un nom.: foetor= puzzo) con i soliti suffissi di appartenenza uso/osa;

mmerdósa di per sé pur’esso un aggettivo sostantivato femm., metafonetico di mmerduso e varrebbe in primis: sporco di escrementi, ma sta pure per persona abietta, spregevole, capace di qualsiasi slealtà; l’etimo risulta essere la consueta addizione di un sostantivo con i soliti suffissi di appartenenza uso/osa;il sostativo in questione è chiaramente mmerda (dritto per dritto dal lat. merda(m)=escrementi umani ed animali;


culo ‘e tiella letteralmente fondo di padella (che per essere costantemente a contatto con il fuoco, risulta bruciacchiato ed annerito, inteso dunque perennemente sporco; culo di per sé culo, sedere,deretano, ma nell’accezione a margine sta per fondo, etimologicamente dal basso latino culu(m) che è dal greco kolon=intestino;
tiella è la padella, teglia e segnatamente quella di ferro con etimo dal lat. volgare tegella(m) diminutivo di tegula (in origine i tegami furono di argilla cotta come le tegole); da tegella →tejella/teiella→tiella;
cacatrònele sostantivo che (intraducibile ad litteram in quanto sarebbe caca-tuoni), indica la donnaccola becera, sfrontata, scostumata che non si fa scrupolo di fare trombetta del proprio posteriore abbandonandosi palam al crepitío prolungato di rumorosi peti.
la voce a margine è formata dall’unione di caca (voce verbale 3° pers. sing. ind. pres. dell’infinito cacà/cacare =defecare, dal basso lat. cacare) + il sostantivo femm. plurale trònele = tuoni, percosse,peti (dal basso lat. tonitru(m)→*tronitu(m) con un suff. diminutivo atono femm. ole (lat.ulae);
cuopp’ ‘allesse cartoccio (conico) di castagne lesse, inteso tale cartoccio bagnato e macchiato (la buccia interna delle castagne lesse tinge di scuro la carta con cui si confeziona il cartoccio!) e quindi lercio, sporco e tali sono ritenute le donnaccole cui è riferito l’epiteto a margine; cuoppo = cartoccio (conico) quanto all’etimo è una forma masch. e dittongata del tardo lat. cuppa(m) per il class. cupa(m)= botte, per la comunanza funzionale, sebbene non di forma, del concetto di capienza e ricezione; allesse plur. di allessa= castagna privata della dura scorza esterna e bollita in acqua con aggiunta di foglie d’alloro e semi di finocchio derivata dal part. pass. femm. del tardo lat. elixare 'far cuocere nell'acqua, sebbene qualcuno proponga un tardo lat. *ad-lessa(m) ma non ne vedo la necessità;
furnacella sfunnata letteralmente piccolo forno sfondato; va da sé che quale epiteto rivolto ad una donnaccola con la voce fornacella non si indica certamente il fornetto in pietra o metallo, ma furbescamente la vulva di colei cui è diretto l’epiteto, vulva che risultando sfunnata (sfondata) accredita la donnaccola offesa d’esser donna di facili costumi, se non addirittura una meretrice abbondantemente conosciuta in senso biblico; furnacella= fornetto portatile alimentato a carbone; nell’espressione a margine vale però per traslato : vulva atteso che sia il fornetto sia la vulva son sede(l’uno di un reale fuoco, l’altra di uno figurato; rammenterò al proposito che nel parlato napoletano tra le piú comuni voci per indicare la vulva c’è quella che suona purchiacca/pucchiacca che con etimo dal greco pýr +k(o)leacca←*cljacca sta per fodero di fuoco; tornando a furnacella dirò che l’etimologia è dall’acc. lat. volgare furnacella(m) che è un diminutivo con cambio di suffisso per cui in luogo dell’atteso furnacula(m) dim. di furnum si è ottenuto la ns. furnacella(m); sfunnata= sfondata, rotta , consunta part. pass. femm. aggettivato dell’infinito sfunnà = sfondare; denominale del latino fundu(m) con protesi di una s questa volta distrattiva;
tozzola spugnata = cantuccio di pane raffermo ammollato in acqua, dunque donnaccola lercia, ciana, sporca,bagnata; la tozzola essendo un cantuccio di pane raffermo è cosa inutile, da buttar via, inservibile, tal quale la donnaccola volgare e spregevole cosí chiamata; tozzola= cantuccio di pane raffermo, tozzo; tozzola etimologicamente forse è un diminutivo femminilizzato del lat. tursum =gambo, da un *tursola→turzola e per assimilazione regressiva tuzzola→tozzola;
spugnata part. pass. femm. aggettivato dell’infinito spugnà= ammollare etimologicamente denominale di spogna= spugna che è dal lat. spongia(m);
vrenzola spurtusata letteralmente straccio bucato e dunque donna volgare, lercia , rabberciata, stracciona, raffazzonata ; di per sé la voce vrenzola nel suo significato primo di straccio e poi in quello estensivo di persona, donna mal fatta o mal ridotta pare che etimologicamente possa ricollegarsi ad una brenniciola→brenciola diminutivo di un’originaria brenna corrispondente (vedi il Du Cange) ad un basso lat. breisna= rozza, vile,senza valore ma non manca chi fa derivare brenna dall'ant. fr. braine (giumenta) sterile e quindi priva di valore; spurtusata part. pass. femm. aggettivato dell’infinito spertusà =bucare denominale della voce pertuso =buco (dal lat. *pertusium derivato di pertundere=bucare) con protesi di una s intensiva.
guallecchia vale di per sé ernia molliccia e dunque per traslato donna dappoco, volgare, fastidiosa tal quale un’ernia molliccia quella stessa che a Napoli è indicata oltre che con la voce a margine anche con l’espressione guallera cu ‘e filosce (ernia corredata di spugnose frittatine) ed infatti la voce a margine risulta essere una gustosa forma eufemistica della voce guallera (dall’arabo wadara =ernia) incrociata con la voce pellecchia=pelle aggrinzita, molle e cadente ma pure buccia sottile (ad es. di pomidoro) ( che deriva da un lat. volg. pellicla(m) per il class. pellicula(m) diminutivo di pellis-is = pelle, buccia); rammento pure che la voce filoscio di cui filosce/i è il plurale = frittata sottile e spugnosa (dal francese filoche da fil= filo sottile ;
squàcquara vale di per sé neonata, bambina piccola e come offesa rivolta ad una donna: flaccida, deforme,senza forze, rachitica; in effetti al di là di imprevisti malanni costituzionali, una neonata non può avere tutta la gagliardía fisica di un’adulta e spesso si mostra flaccida e senza forze; quanto all’etimo la voce a margine risulta un deverbale di squacquarà che riproduce in modo onomatopeico il verso della quaglia giovane ed infatti a Napoli, nel gergo giovanile, una ragazza giovane si disse quaglia (che è dall'ant. fr. quaille, voce derivata dal lat. volg. *coacula(m), di origine onomatopeica) e la piccola bambina quagliarella
chiarchiósa pesante offesa che rivolta ad una donna l’accredita d’esser sudicia, sporca, lordata quando non estensivamente laida meretrice; la voce a margine di suo è un aggettivo poi sostantivato (vedi il suff. femm. di pertinenza osa/oso unito al sostantivo di partenza che è chiarchio = lordura, sozzura, muco nasale (di probabile etimo onomatopeico);

‘nfranzesata letteralmente infranciosata, meretrice che à contratto il mal francese cioè la lue o sifilide e dunque donnaccia da trivio; rammenterò che un tempo la sifilide fu detta a Napoli mal francese in quanto ritenuta malattia infettiva trasmessa attraverso le prostitute dai soldati francesi di Carlo VIII re di Francia (1470-1498),che era figlio di Luigi XI e di Carlotta di Savoia.(c’è sempre un Savoia (mannaggia a loro!) sulla strada dei Napoletani!) , mentre in Francia fu chiamato mal napolitaine, in quanto pensato propagato tra i medesimi soldati dalle prostitute partenopee che già ne erano affette, e per dileggio si usò dire di chi fosse stato colpito dall’infezione: È stato in… Francia! Etimologicamente la voce a margine è un’adattamento dialettale di infranciosata che è il part. passato femm. dell’infinito infranciosare per il piú comune infrancesare (da un in illativo + francese).

RAFFAELE BRACALE - napoli

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