domenica 25 ottobre 2009

VARIE 428

1. MARE A CHI À DDA AVÉ E VIATO A CHI À DDA DÀ
Letteralmente:Male per chi deve avere e beato chi deve dare; cioè Meschino chi deve avere e beato chi deve dare. A prima vista parrebbe il contrario, ma l'attenta osservazione della realtà fa concludere che è esatto ciò che afferma il proverbio; in effetti il creditore che si trovi in una posizione di attesa è in una situazione peggiore del debitore che, avendo già ottenuto ciò che à determinato la sua posizione debitoria, può - magari - rimandare sine die la soluzione del suo debito risultando cosí privilegiato rispetto al suo creditore che già conferito un quid
2.FARNE CCHIÚ 'E PETRO BIALARDO.
FARNE piú di PETRO BIALARDO Con l’espressione in epigrafe si vuole bollare il comportamento scorretto di qualcuno che abbia commesso numerose gravi malefatte al punto di esser ritenuto esecutore di scorrette azioni, tali da superare per numero e qualità quelle commesse da un tal Petro Bialardo. Non v’è identicità di vedute circa chi veramente fosse stato il suddetto BIALARDO. Opinione corrente è quella che identifica Petro Bialardo con l’astrologo salernitano Pietro Bailardo, vissuto nel XII secolo ed arso sul rogo nel 1149, accusato di magia. Secondo quando tramandato da un semisconosciuto poeta Luca Pazienza,di cui mancano attestati riferimenti biografici, si vuole che al momento del trapasso dell’ astrologo, il Crocefisso della Chiesa prossima al luogo del rogo, abbia compiuto un grande miracolo, ma trattandosi di storie sorte in ambito medioevale, periodo incline alla nascita di leggende è difficile credere che il suddetto mago si sia veramente macchiato di azioni cosí riprovevoli tali da diventare pietra di paragone per altrui misfatti. Altra tesi ravvisa in Petro BIALARDO nient’altro che la corruzione del nome di PIETRO ABELARDO (1079 – 1142) filosofo e teologo vissuto a Parigi dove insegnò e dove conobbe in casa del teologo FULBERTO che lo ospitava la di lui nipote ELOISA e se ne innamorò pazzamente, diventandone l’assiduo amante e sollevando lo sdegno del Fulberto, che – per vendetta -lo fece evirare. Il comportamento libertino e licenzioso di Abelardo fu ritenuto in epoca medioevale esempio di azioni riprovevoli, di talché non è errato ipotizzare che il Bialardo della epigrafe sia proprio il suddetto ABELARDO.
3.FÀ 'A SPINA 'E PESCE.
Letteralmente: far la spina di pesce. Id est: non portare a compimento un'operazione qualsivoglia, tentando di rimandarne il compimento e la conclusione sine die, tentando in questo modo di riceverne il maggior beneficio possibile, beneficio che verrebbe meno qualora si portasse a compimento l'operazione principiata. La locuzione che vien riferita a chiunque truffaldinamente cerchi di guadagnare attardandosi nel portare a buon fine ciò che à principiato nacque a ricordo di ciò che avvenne ad un povero pescatore che, lavorando, si ferí ad una mano nella quale s'era conficcata una spina di pesce. Per esser medicato, il pescatore si recò presso la casa di un medico al quale portò in omaggio una spasella (cestello) di pesce fresco. Il medico, operò una sommaria medicazione e congedò il pescatore invitandolo a ritornare dopo un paio di giorni. Il pescatore ritornò dopo alcuni giorni recando altro pesce freschissimo e la scena continuò a ripetersi parecchie volte fino a che un giorno il pescatore non trovò in casa il medico, ma un figliolo di costui che esercitava la medesima professione paterna. Ebbene, il giovane medico resosi conto che la mano non sarebbe guarita fino a che la spina fosse rimasta infissa nella ferita riuscí ad estrarla dalla mano, che medicata fu avviata a guarigione. Tornato a casa il vecchio medico, il giovane figlio, pensando di essere complimentato, gli comunicò che aveva liberato il pescatore della sua maledetta spina. Al che il disonesto genitore lo redarguí violentemente dicendogli: Stupido, comportandoti come ti sei comportato ài perduto il beneficio di ricevere ancora gratuitamente del buonissimo pesce fresco!
4.SE FRUSCIA PINTAURO D''E SFUGLIATELLE JUTE ACITO.
Letteralmente: si pavoneggia Pintauro di sfogliatelle inacidite. Id est: gloriarsi a sproposito di situazioni che piú che dimostrare la propria valentia, mettono in mostra risultati scadenti delle proprie azioni. Pintauro è un antichissimo pasticciere napoletano famoso produttore di sfogliatelle, dolce tipico partenopeo inventato a Napoli dalle monache del convento della Croce di Lucca ad imitazione riduttiva d’un tronfio, ricco dolce similare (santarosa) ideato da loro consorelle nel monastero di Santa Rosa in Furore (Amalfi) e diffuso poi in tutto il mondo.
5.DÀ ZIZZA 'E VACCA PE TARANTIELLO.
Letteralmente: dar mammella di mucca per tarantello. La locuzione à una doppia valenza a seconda del significato che si dà al termine tarantello. In una prima accezione tarantello è un pezzo di carne dato come aggiunta vicino a della carne piú pregiata, al fine di sistemarne il giusto peso. Usandola con tale accezione, figuratamente, la locuzione significa che colui contro cui è rivolta, non si è impegnato molto nel dare il giusto dovuto, ma à rabberciato la prestazione portandola a compimento con l'uso di materiali di scarto. Nel caso che con la voce tarantello si voglia indicare la pregiata pancetta di tonno, figuratamente vuol significare che colui contro cui la locuzione è diretta, si è comportato da gran mistificatore ed imbroglione come chi abbia conferito vilissima mammella di mucca in luogo della dovuta, costosa pancetta di tonno.
6.MANTENIMMOCE PULITE, CA CE STANNO 'E CCARTE JANCHE!
Letteralmente: manteniamoci netti perché son presenti le carte bianche! Id est: Non affrontiamo argomenti scabrosi; teniamo a mente che ci sono dei bambini che ci ascoltano ed in loro presenza è sconveniente toccare argomenti che potrebbero provocare domande a cui sarebbe difficile rispondere.
7.FACIMMO AMMUINA!
Letteralmente: facciamo confusione. È l'invito a creare il disordine nel quale si possa mestare al fine di conseguire dei vantaggi. La locuzione in epigrafe, dai soliti disinformati e bugiardi storici postunitari si ritiene essere addirittura il titolo di un articolo di un preteso regolamento della marina borbonica del 1841, articolo nel quale si sarebbero indicati i vari modi di fare ammuina; si tratta chiaramente (ed alibi lo dimostrerò) di una voluta sciocchezza tesa a denigrare l'organizzazione e la valentia della marineria di Francesco II Borbone...
8.TENÉ 'A NEVE DINT' Â SACCA.
Letteralmente: tenere la neve in tasca. Id est: avere o mostrar d'avere grandissima fretta quale quella che dovrebbe portare chi trasportasse neve tenendola in tasca e volesse evitare di perderla; cosa - peraltro - impossibile giacché basta il calore del corpo per portare alla liquefazione della neve trasportata tenendola in una tasca dei vestiti.
9.A LIETTO ASTRITTO, CÓCCATE 'MMIEZO.
Letteralmente: in un letto stretto, coricati in mezzo. Il consiglio della locuzione non è quello di sapersi adattare alle situazioni, quanto quello di ricercare in ogni occasione la soluzione migliore; in un letto stretto, perché piccolo o perché già occupato da altri, è consigliabile coricarsi al centro, il posto piú sicuro, che può preservare da rovinose cadute laterali.
10.'O SCARPARO E 'O BANCARIELLO: NUN SE SAPE CHI À FATTO 'O PIRETO
Letteralmente: il calzolaio e il deschetto: non si sa chi à fatto il peto.Icastica espressione che viene usata allorché in una situazione che non presti il fianco a difficili interpretazioni, ci si trovi davanti a qualcuno che non voglia riconoscere la propria responsabilità e mesti nel torbido per scaricare su altri la medesima, anche su chi - per legge di natura - è chiaramente impossibilitato a compiere ciò di cui si intende accusarlo come nel caso dell'espressione in epigrafe dove venga accusato d’aver del cul fatto trombetta un deschetto che manca invece dello strumento necessario a produrre peti, per cui sarebbe o è sciocco addebitarli a lui in luogo del calzolaio.
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