sabato 27 marzo 2010

SFOGLIATELLE – SANTAROSA

SFOGLIATELLE – SANTAROSA
Nota
La santarosa è il dolce che può dirsi l’antenato della sfogliatella. La sfogliatella, dolce tipicamente partenopeo e molto conosciuto nacque infatti (sia pure con un nome diverso: santarosa), come spesso accadde per tanti dolci napoletani, nacque in un monastero: quello di Santa Rosa (donde il nome), sulla costiera amalfitana, fra Furore e Conca dei Marini. In quel riservato luogo ci si dedicava tantissimo alla preghiera, allo studio ed al lavoro manuale; il poco tempo libero residuo, (non potendo le monache intrattener rapporti con il mondo esterno…) veniva speso in cucina, amministrata in un regime di stretta autarchia: le monache avevano il loro orto e la loro vigna, sí da ridurre al minimo i contatti con l’esterno, ed aumentare, con la preghiera, quelli con l’Eterno. Anche il pane le religiose se lo facevano da sole, cuocendolo nel forno ogni due settimane. Il menú servito a refettorio era ovviamente uguale per tutte; soltanto le monache piú anziane potevano godere di un vitto speciale, fatto di semplici, ma nutrienti minestrine. Avvenne cosí che un giorno di tanto tempo fa (siamo nel 1600) la suora addetta alla cucina si accorse che in un tegame era avanzata un po’ di semola cotta nel latte, preparata per una vecchia suora sdentata; buttarla sarebbe stato un sacrilegio. Fu cosí che, come ispirata dal Cielo , la suora cuciniera vi cacciò dentro un paio di uova, due o tre cucchiai di ricotta, un po’ di frutta secca tritata , dello zucchero e del liquore al limone. “Potrebbe essere un ripieno”, disse fra sé e sé. Ma da metter dentro a che cosa? La fantasia non le mancava e risolse súbito il problema: preparò con uova e farina due sfoglie di pasta vi aggiunse strutto e vino bianco, e vi sistemò nel mezzo il ripieno. Poi, per soddisfare il suo gusto estetico, sollevò un po’ la sfoglia superiore, le diede la forma di un cappuccio di monaco, ed infornò il tutto. A cottura ultimata, guarní il dolce con un cordone di crema pasticciera e delle amarene candite. La Madre Superiora, a cui per prima fu ammannito il dolce, sulle prime lo annusò , e súbito dopo (non si è Madri superiore indarno o per caso!...) fiutò l’affare: con quell’invenzione benedetta (e soprattutto saporita) si poteva far del bene sia ai contadini della zona, che alle casse del convento. La clausura non veniva messa in pericolo: il dolce poteva esser messo nella classica ruota, in uscita. Sempre che, sia chiaro, i villici ci avessero messo (in entrata), qualche moneta. Al dolce venne assegnato ovviamente , il nome della Santa a cui era dedicato il convento. Come tutti i doni di Dio, la santarosa non poteva restare confinata in un sol luogo, per la gioia di pochi. Occorse del tempo, ma poi il dolce divenne noto in tutto il napoletano; in effetti la santarosa impiegò circa centocinquant’anni per percorrere i sessanta chilometri tra Amalfi e Napoli. Qui vi arrivò ai primi del 1800, per merito dell’oste Pasquale Pintauro, nipote di una delle monache del convento amalfitano. I napoletani d’antan potrebbero opporre che Pintauro fu un pasticciere, e non un oste. Eppure al tempo di cui stiamo parlando, P.Pintauro era effettivamente un oste, con bottega in via Toledo, proprio di fronte alla strada di Santa Brigida. La bottega di P.Pintauro rimase un’osteria fino al 1818, anno in cui Pasquale entrò in possesso, probabilmente come grazioso dono della sua zia monaca che gliene parlò in articulo mortis, della ricetta originale della santarosa. Fu cosí che Pintauro da oste divenne pasticciere, e la sua osteria si convertí in un laboratorio dolciario, dove si produssero con le sfogliatelle anche altri dolci pare d’invenzione dello stesso Pintauro: zeppole di san Giuseppe, code d’aragoste ,babà con l’uvetta e naturalmente tutti gli altri dolci della tradizione partenopea, nati quasi tutti nei monasteri femminili napoletani e/o della provincia o copiati da altri famosi dolcieri come nel caso del diplomatico e del ministeriale . Pintauro non si limitò a diffondere la santarosa: la modificò, eliminando la crema pasticciera e l’amarena, e sopprimendo la protuberanza superiore a cappuccio di monaco. Era nata la sfogliatella. La sua varietà piú famosa, la cosiddetta “riccia”(il nome fa riferimento all’involucro di questa nobile sfogliatella che è in pasta sfoglia minutamente ondulato, mantiene da allora la sua forma triangolare, a conchiglia, vagamente rococò, mentre la sfogliatella frolla (il cui nome fa riferimento all’involucro di questa semplice sfogliatella involucro che è appunto in pasta frolla) à la forma di una grossa e liscia conchiglia di capesanta.

Ingredienti per 6 porzioni di sfogliatelle/santarosa:
per la pasta
- Farina tipo 00, 4 etti
2 tuorli
Zucchero semolato: 50 gr.
Strutto 1 etto
Sale fino q.s.
Acqua fredda q.s.

Per il ripieno
- Semolino: 150 gr.
- Ricotta, 3 etti.
- Zucchero a velo: 1 etto

- Canditi misti 150 gr. –
- Un uovo e 2 tuorli
- Essenza di vaniglia
- Cannella in polvere
- Sale fino q.s.
- Strutto 70 gr.
Per la decorazione
Crema pasticciera 3 etti
Amarene candite 2 etti

Posta la farina in una capace ciotola, incorporatele 100 g di di strutto (non sostituitelo con il burro!, sarebbe una bestemmia…) , lo zucchero semolato, un pizzico di sale e la poca acqua fredda sufficiente ad ottenere un impasto sodo ed elastico che, dopo d’avergli dato la forma di una palla, farete riposare coperto per un'ora al fresco. Frattanto approntate il ripieno: fate bollire in una casseruolina mezzo litro circa d'acqua leggermente salata, versatevi il semolino a pioggia; aggiungete 20 gr. strutto: ripreso il bollore, mantenetelo 5 minuti, rimescolando. Tolto il semolino dal fuoco, fatelo freddare e trasferitelo in una terrina: incorporatevi la ricotta, 100 g di zucchero a velo, un uovo intero e due tuorli, i canditi sminuzzati, un cucchiaio d'essenza e un pizzico di cannella. Fate riposare il composto in frigorifero, coperto da un tovagliolo.

Fate liquefare gli ultimi 50 gr. di strutto. Stendete la pasta sulla spianatoia infarinata: la sfoglia dovrà essere il piú sottile possibile e di forma rettangolare: tagliatela in 4 pezzi quadrati di eguali dimensioni(circa 10 cm. di lato) , spennellateli di strutto e sovrapponeteli. Fate riposare mezz'ora. Arrotolate strettamente le sfoglie sovrapposte, rifilate le estremità del rotolo e tagliatelo a fette larghe 1 cm circa.

Poggiata orizzontalmente ogni fetta sulla spianatoia, spianatela leggermente e delicatamente con il matterello, agendo da centro verso sinistra in alto, quindi dal centro verso destra in basso. Otterrete una larga losanga;tenendola poggiata sulla mano sinistra chiusa a pugno/imbuto spingete con l’indice della mano destra il centro della losanga fino ad ottenere per ogni losanga una sorta di sacchettino triangolare nel quale depositare una cucchiaiata di ripieno; fate aderire i bordi del sacchettino e sigillateli premendo : adagiate le sfogliatelle cosí ottenute su una teglia da forno verniciata di strutto. Acceso il forno, regolate il termostato 200° C. Ripetete sino ad esaurimento: spennellate le sfogliatelle di chiare sbattute e fatele cuocere per 20 minuti; indi abbassate il termostato a 180°, e poco dopo portatelo a 160° e fate cuocere altri 10 minuti. Estraete le sfogliatelle dal forno adagiatele su di un marmo tenendole tutte orizzontate con il vertice del triangolo verso l’alto ed il bordo verso il basso; riempite con la crema pasticcera un sacco a poche e decorate ogni sfogliatella con un cordone di crema pasticcera posto seguendo il bordo a circa un centimetro da esso, aggiungete sul cordone cinque amarene poste a distanza regolare e servite queste sfogliatelle/santarosa cosparse con dello zucchero a velo.
residuo. Nel caso evitaste di decorare il dolce con crema pasticciera ed amarene, avreste ottenuto non delle santarosa, ma delle ottime sfogliatelle ricce.
Raffaele Bracale

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