giovedì 24 giugno 2010

MANNAGGIA Ô SURICILLO E PPEZZA ‘NFOSA.

MANNAGGIA Ô SURICILLO E PPEZZA ‘NFOSA.

Letteralmente: mannaggia al topolino ed (allo) straccio bagnato.
Il motto viene pronunciato a mo’ di imprecazione da chi voglia evitare di pronunciarne altra piú triviale.
Varie le interpretazioni della locuzione in ispecie nei confronti del topolino fatto oggetto di maledizione
Esamino qui di seguito le varie interpretazioni e per ultima segnalo la mia.
1 – (avv. Renato de Falco) L’illustre amico e scrittore di cose napoletane reputa che il suricillo in epigrafe altro non sia che il frustolo d’epitelio secco che si produceva in ispecie sulle braccia e sulle gambe allorché le si lavavano soffregandole non con una spugna, ma con uno straccetto bagnato. È vero, da ragazzi usavamo dare il nome di suricillo a quei frustoli d’epitelio e/o pàtina grassa sporca divelti con il soffregamento dello straccio madido d’acqua.Ma il dotto amico de Falco, per far passare per buona la sua idea è costretto a leggere la e dell’epigrafe non come congiunzione ma come aferesi di de e leggere ‘e pezza ‘nfosa pronunciando in maniera scempia la p di pezza, laddove il proverbio raccolto dalla viva voce della gente suona: mannaggia ‘o suricillo e ppezza ‘nfosa ed è chiara la geminazione iniziale della p di pezza e il significato di congiunzione della e.Per cui, a malgrado dell’amicizia e della stima che nutro per l’avvocato de Falco, non posso addivenire alla sua idea.
2 –(prof. Francesco D’Ascoli) Il defunto professore (parce sepulto!) nel suo per altro informato LA FILOSOFIA POPOLARE NAPOLETANA, sbrigò la faccenda, ravvisando nel suricillo i pezzetti di panno che si staccavano assumendo la forma del musculus, dallo straccio per lavare a terra;l’idea non è percorribile stante anche per D’Ascoli la medesima lettura impropria della locuzione che ne fa il de Falco leggendo la E come aferesi di de e non come congiunzione.
3 – (dr. Sergio Zazzera)L’ottimo (?) dr. Zazzera si lava le mani e propone un improbabile sorcio alle prese con un orcio di olio dal quale sia saltato via uno stoppaccio non si comprende perché umido.
A questo punto reputo che potrebbe essere piú veritiera l’interpretazione che mi fu data temporibus illis da mia nonna che asserí che la locuzione conglobava una imprecazione rivolta ad un sorcetto introdottosi in una casa ed un suggerimento dato agli abitanti di detta casa quello cioè di introdurre sotto le fessure delle porte uno straccio bagnato per modo che al topo fossero precluse le vie di fuga e lo si potesse catturare.Volendo dire: È entrato il topino?Non c’è problema! Ce ne possiamo liberare:lo catturiamo, ma prima affinchè non ci sfugga, turiamo con uno straccio bagnato ogni fessura in modo da precludergli vie di fuga e procediamo alla cattura!
Ma poiché fino a che non ci si sente soddisfatti, è buona norma continuare ad investigare, continuando nell’investigazione, mi pare di poter affermare che la nonna aveva dato una casta spiegazione a dei vocaboli (e perciò a tutta l’espressione) per non inquietare la fantasia di un piccolo adolescente.
Infatti alla luce di ulteriori indagini ed al supporto di altre menti di appassionati studiosi di cose napoletane mi pare si possa accogliere la tesi del prof. Amedeo Messina che vede nel suricillo (marcato su di un *xurikilla tardo latino usato in luogo del piú classico mentula) il membro maschile...
Peraltro l’amico prof. Carlo Iandolo illustre scrittore di cose partenopee in una sua dotta lettera mi fa notare che nella passata parlata napoletana le pezze piú note erano quelle che le donne portavano nel loro corredo, e che usavano per i loro bisogni fisiologici di ogni volger di luna; con il nome pezze si indicavano altresí quelle che significavano il danaro ed in effetti tra il 1750 ed il 1865 con il termine pezza si indicò una grossa moneta d’argento del valore di 12 carlini, ossia 120 grana, moneta pari quindi ad oltre 1 ducato che contava 100 grana.
Ecco dunque che , messa da parte la casta spiegazione data dalla nonna si possa addivenire a ritenere che l’innocente imprecazione con la quale si è soliti commentare piccolissimi inconvenienti ai quali non occorra dare faticose soluzioni, sia sgorgata sulle labbra di una donna trovatasi davanti alla improcrastinabile richiesta di favori, da parte del suo uomo (...pronto alla tenzone...) e gli abbia dovuto opporre che non era… il tempo adatto, giacché sebbene ‘o suricillo fosse inastato, ‘a pezza ...era ‘nfosa e dunque l’accesso sconsigliato o vietato!
Etimologicamente il termine mannaggia è appunto una deformazione ( per una sorta di sincope e fusione interna con raddoppiamento espressivo della nasale n) della frase: ma(le)+ n(e)= malanno aggia→ mannaggia= male ne abbia. In origine malanno aggia fu dal lat. malum + habeat →malum abjat→malum aggia→ malanno aggia→ ma(la)nn(o)aggia→mannaggia .
Esiste poi una variazione piú letteraria che del parlato popolare di mannaggia ed è malannàggia, ma è pochissimo usata pur essendo piú vicina all’etimo iniziale.

Raffaele Bracale.

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