sabato 31 luglio 2010

FILETTO DI VITELLO AI FUNGHI PORCINI SU CREMA DI CIPOLLE

FILETTO DI VITELLO AI FUNGHI PORCINI SU CREMA DI CIPOLLE
ingredienti e dosi per 6 persone:
per i filetti
6 spesse fette di filetto di vitello di ca 2 etti cadauna,
3 spicchi d’aglio mondati ed affettati sottilmente,
3 grossi funghi porcini freschi o surgelati, nettati ed affettati sottimente (1/2 cm.) con taglio francese,
sale fino e pepe nero q.s.
1 cipolla dorata mondata e tritata,
1 bicchiere e mezzo di olio d’oliva e.v.p.s. a f.
1 gran ciuffo di prezzemolo lavato asciugato e tritato finemente.
per la crema di cipolle
Ingredienti e dosi per 6 persone
100 g. di strutto,
100 g. di speck tagliato a dadini,
800 g. di cipolle dorate mondate ed affettate sottilmente,
2 cucchiai di farina,
1 litro di brodo vegetale da verdure fresche o da dado vegetale,
Sale fino q.s.,
Pepe decorticato q.s.,
100 g. di pinoli tostati,
Un gran ciuffo di prezzemolo lavato asciugato e tritato finemente,
100 g.di uva passita ammollata e strizzata,
1 bicchiere di panna vegetale da cucina,
Il succo filtrato di un limone non trattato.
Procedimento
Si comincia approntando la crema di cipolle nel modo che segue: Tagliare in fette molto sottili le cipolle.Porre in una padella di ferro nero lo strutto e farlo sciogliere a fuoco dolce; unire
lo speck tagliato a dadini e le cipolle affettate bagnando il tutto con mezzo bicchiere d’acqua bollente e far cuocere per 15 minuti le cipolle, fino a che non siano diventate ben morbide, ma non scure.
Spolverare con la farina e aggiungere il brodo tenuto in caldo.
Salare, pepare e lasciare cuocere a fuoco basso per 15 minuti circa.
Infine versare la panna e il succo di limone.Infine aggiungere pinoli tostati ed uva passita ammollata e strizzata; fuori del fuoco aggiungere il trito di prezzemolo.
Mescolare bene e tenere in caldo fino al momento di impiattare.
Sciacquare velocente i filetti con acqua fredda corrente, asciugarli e poggiandoli su di un tagliere scalopparli a libro con un coltello a lama larga e flessibile operando un taglio francese (lama poggiata a 45° e spinta verso l’esterno) badando a non tagliare sino in fondo i filetti, ma orttenendo da ogni filetto una sorta di libriccino a piú fogli; a questo punto salare e pepare i singoli fogli e farcirne ogni coppia con due fettine d’aglio ed una fettina di fungo porcino sfettato ugualmente alla francese allo spessore di ½ cm. A questo punto richiudere i fogli dei filetti pressandoli leggermente; verniciare con mezzo bicchiere d’olio un ampio tegame di ferro nero, farlo arroventare a fuoco sostenuto e scottarvi (3 minuto per faccia) i filetti farciti. Prelevare i filetti scottati e tenerli da parte, rabboccare con l’olio residuo, aggiungere la cipolla tritata e quando a fuoco vivo sarà dorata aggiungere i filetti scottati e trasferire il tegame in forno preriscaldato (200°) dove in circa 35 minuti completare la cottura dei filetti.
Distribuire a specchio sul fondo dei singoli piatti un paio di cucchiaiate di crema di cipolle ed adagiarvi i filetti cospargendoli con il trito di prezzemolo.
Servire caldi di forno questi gustosissimi filetti farciti. Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso,Campi Flegrei d.o.c., Taurasi), stappati un’ora prima di usarli, possibilmente scaraffati e serviti a temperatura ambiente
Mangia Napoli, bbona salute! Scialàteve e faciteve ‘a scarpetta!
Raffaele Bracale

JANNE FEMMENIELLO

JANNE FEMMENIELLO
Il gentile sig. F. D.V. (la solita questione di privatezza mi impone di indicare solo le iniziali di nome e cognome…) mi à chiesto spiegazione dell’antica espressione in epigrafe, espressione che pare fosse stata usata dal patriota e letterato Luigi Serio (Massa Equana, Napoli, 1744 † Napoli 1799)., nei confronti dell’abate economista e letterato. Ferdinando Galiani(Chieti 1728 -† Napoli 1787), nel corso di una lunga disputa letteraria intercorsa tra i due. Sorvolando sulla materia della disputa tra i due letterati ò cosí risposto in due tornate al sig.F. D.V.
Rispondo al vostro quesito circa l’espressione janne femmeniello ed in particolare circa il significato di janne.
Quantunque esso vocabolo non sia attestato in alcun calepino antico o moderno del napoletano io penso d’aver comunque trovato la esatta chiave di lettura del termine che dovrebbe valere: meretrice da trivio ma pure stupido, babbeo risultando essere un adattamento d’area campana e/o laziale di voci nordiche come il bergamasco: gioana, il bolognese zagn, o voci meridionali come il siciliano ianni tutte voci che etimologicamente appaiono essere degradazione semantica di nomi proprii Iohanna – Iohannus.
Preso da un dubbio ò aggiunto nella mail di risposta:
Mi faccia cortesemente sapere dove à esattamente letto l’espressione janne femmeniello. Non vorrei che un’involontaria errata trascrizione dell’espressione conducesse fuori via e voi e me.Allo stato dei fatti parrebbe che chi disse il Galiani janne femmeniello voleva insolentirlo chiamandolo stupida meretrice pederasta. Dopo d’aver inoltrato la mail ò continuato un po’ la ricerca e mi sono imbattuto in un antico vocabolario del napoletano (Raffaele D’Ambra) che prendeva in considerazione l’espressione in epigrafe, per cui ò inviato una seconda mail all’amico:
Faccio sèguito alla mia precedente risposta per significarvi che ò trovato riscontro per l’espressione janne femmeniello nell’ antico vocabolario del prof. Raffaele D’Ambra che (unico fra tutti i compilatori di vocabolarii del napoletano antichi e moderni) la prende in considerazione spiegandola come antica maschera del teatro popolare, buffone pederasta, sciocco omosessuale e ricorda che morfologicamente janne è una contrazione di joanne (avvalorando cosí la mia idea che etimologicamente trattasi di degradazione semantica di nomi proprii Iohanna – Iohannus) marcata sul sostantivo zanni (Giovanni) che fu una buffonesca maschera del teatro popolare d’area lombardo-veneta. Spero di avervi completamente chiarito la faccenda.
Giunto a questo punto penso di poter riassumere tutta la faccenda dicendo che janne femmeniello vale zanni pederasta e prima di far punto trovo interessante ricordare gli etimi delle parole fin qui prese in considerazione; ed abbiamo
Janne s.vo m.le = zanni, buffone, sciocco; contrazione di joanne= giovanni; etimologicamente trattasi di degradazione semantica del nome proprio Iohannus come altrove il bergamasco
gioana s.vo f.le = meretrice da trivio è etimologicamente una degradazione semantica del nome proprio Iohanna.
zanni s.vo m.le = , buffone, sciocco personaggio del servo nella commedia dell’arte, che rappresentò originariamente un contadino stupido e credulone;
forma toscanizzata del veneto Zani, corrispondente al tosc. Gianni, ipocoristico del nome proprio Giovanni].
femmeniello s.vo m.le = pederasta passivo, effeminato etimologicamente diminutivo di femmena (che è dal lat. fémina(m) con raddoppiamento espressivo della post-tonica m normale in parole sdrucciole) diminutivo reso maschile adattando il suffisso m.le iello in luogo dell’atteso suff. f.le ella adattamento resosi necessario in quanto il diminutivo f.le femmenella non avrebbe reso compiutamente l’idea di un uomo con devianze sessuali, potendosi ritenere la voce femmennella indicante semplicemente una piccola donna e non un uomo dedito alla pederastia.
E qui potrei far punto, ma – come è mio costume preferisco aggiungere qualche rigo per dire di altre parole che possono riallacciarsi a femmeniello:
recchione o ricchione, s. m. omosessuale maschile, pederasta,gay, vocabolo che, partito dal lessico partenopeo, è approdato per merito o colpa di taluna letteratura minore ed altre forme artistiche quali: teatro cinema e televisione, nei piú completi ed aggiornati vocabolarî della lingua nazionale dove viene riportata come voce volgare, nel generico significato di omosessuale maschile.
Molto piú precisamente della lingua nazionale, però, il napoletano con i vocaboli a margine non definisce il generico omosessuale maschile, ma l’omosessuale maschile attivo quello cioè che nel rapporto sodomitico svolge la parte attiva; chi invece svolge la parte passiva è definito, come ò détto, nel napoletano : femmeniello che è quasi: femminuccia, piccola femmina. Torniamo al recchione - ricchione precisando súbito che nel napoletano tale omosessuale maschile non va confuso (come invece accade nell’italiano)con il pederasta il quale, come dal suo etimo greco: pais-paidos=fanciullo ed erastós=amante, è chi intrattiene rapporti omosessuali con i fanciulli;per il vero la parlata napoletana non à un termine specifico per indicare il pederasta e ciò probabilmente perché la pedofilía o pederastía fu quasi sconosciuta alla latitudine partenopea, quantuque Napoli sia stata città di origine e cultura greca ;dicevo: ben diverso il pederasta dal recchione – ricchione che infatti à i suoi viziosi rapporti sodomitici quasi esclusivamente con adulti di pari risma.
Ed accostiamoci adesso al problema etimologico del termine recchione – ricchione; sgombrando súbito il campo dall’idea che esso termine possa derivare dall’affezione parotidea nota comunemente con il termine orecchioni, affezione che attaccando le parotidi le fa gonfiare ed aumentare di volume.
Una prima e principale scuola di pensiero, alla quale, del resto mi sento di aderire fa risalire i termini in epigrafe al periodo viceregnale(XV-XVI sec.) sulla scia del termine spagnolo orejón con il quale i marinai spagnoli solevano indicare i nobili incaici, conosciuti nei viaggi nelle Americhe, che si facevano forare ed allungare, tenendovi attaccati grossi e pesanti monili, le orecchie; con il medesimo nome erano indicati anche dei nobili peruviani privilegiati, noti altresí per i loro costumi viziosi e lascivi; taluni di costoro usavano abbigliarsi in maniera ridondante ed eccentrica talora cospargendosi di polvere d’oro i padiglioni auricolari,donde l’espressione napoletana: tené ‘a póvera ‘ncopp’ ê rrecchie = avere la polvere sulle orecchie, usata ironicamente appunto per indicare gli omosessuali.
Da non dimenticare che detti usi di incaici e peruviani furono spesso mutuati da molti marinai che sbarcavano a Napoli, provenienti dalle Americhe, agghindati con grossi e pesanti orecchini(cosa che i napoletani non apprezzarono ritenendo gli orecchini monili da donna e non da uomo..) e parecchi di questi marinai furono súbito indicati con i termini in epigrafe oltre che per l’abbigliamento e le acconciature usati anche per il modo di proporsi ed incedere quasi femmineo, atteso che dai napoletani si ritenne che il loro comportamento sessualecambiato, fosse stato determinato dalla lunga permanenza in mare, per i viaggi transoceanici, permanenza che li costringeva a non aver rapporti con donne e doversi contentare di averne con altri uomini.
Successivamente i termini recchione – ricchione palesi adattamenti dello orejón spagnolo passarono ad indicare non solo i marinai, ma un po’ tutti gli omosessuali attivi, conservando il termine femmeniello/femmenielle per quelli passivi.
E mi pare che ce ne sia abbastanza, anche se – per amore di completezza – segnalo qui una nuova ipotesi etimologica proposta dall’amico prof. Carlo Jandolo che ipotizza per ricchione/recchione una culla greca: orkhi-(pédes)= chi à la strozzatura dei testicoli,impotente, con aferesi iniziale, suono di transizione i fra r –cch con raddoppiamento popolare e suffisso qualitativo accrescitivo one; tuttavia lo stesso Jandolo non esclude un influsso di recchia soprattutto tenendo presente la fraseologia riportata che fa riferimento ad un orecchio impolverato.
A malgrado dei sentimenti amicali che nutro per Jandolo, non trovo serî motivi per abbandonare quella, a mio avviso, convincente via vecchia per percorrere la impervia nuova.

Ed a questo punto penso di poter affermare che sati est e fermarmi qui.
Raffaele Bracale

JACOVELLA/JACUVELLA/GHIACOVELLA

JACOVELLA/JACUVELLA/GHIACOVELLA
La parole in epigrafe sono tre rappresentazioni morfologiche leggermente diverse di un’ unica voce, termine antichissimo, presente fin dal sec. XIV e ss., già preso in esame e contenuto nell’ Elenco di parole napoletane (primo modesto tentativo di dar vita ad un vocabolario della lingua napoletana), elenco che Colantonio Stigliola (1548 -1623) mise in appendice alla sua versione in lingua napoletana dell’ Eneide.
Pur essendo antichissimo, il termine non è però desueto ed ancora vive nell’uso quotidiano in tutta l’area linguistica campana, radicato principalmente sia nell’ alta Irpinia che nel napoletano. Amplissimo il ventaglio dei significati che partendo dal comportamento superficiale, cosa poco seria,modo di agire che genera confusione, inconcludenti tira e molla, giungono all’ intrigo, pretesto, banale astuzia, sotterfugio teso a perder tempo, a giocherellare, a cincischiare, nel tentativo di defilarsi per non compiere qualcosa di molto piú serio; anticamente il vocabolo che sto esaminando fu usato anche per indicare dispettucci da innamorati, vezzi, moine, tenerezze da innamorati, quegli stessi che – come vedemmo alibi – erano detti anche vruoccole o cicerannammuolle; piú spesso comunque la jacovella, jacuvella o ghiacovella indicò la trama, l’intrigo, la gherminella piú o meno sciocca, buffonesca, cialtronesca, semplicistica.

Per ciò che attiene all’etimologia di jacovella/jacuvella/ ghiacovella, questa volta devo dissentire da quanto proposto dall’ amico il dotto avv.to Renato de Falco, attivissimo (ad ottant’anni suonati!) esperto di cose napoletane il quale per la voce in esame, rifiutando altre piú accolte e convincenti etimologie, ipotizza una culla latina, chiamando in causa uno strano jaculum= dardo dandone però una connessione semantica a jacovella che mi pare troppo inconferente se non pretestuosa…
Non so come sia accaduto, ma questa volta reputo che l’amico Renato – solitamente preciso ricercatore – sia stato un po’ superficiale e si sia lasciato sfuggire che la parola jacovella/ jacuvella/ ghiacovella nacque in ambito teatral-marionettistico per identificare le gherminelle, le azioni sceniche di un tal Giacomino (in dialetto Jacoviello diminutivo di Jacovo id est Giacomo che poi altro non era che l’adattamento del nome proprio francese Jacque, nome con il quale colà si soprannominò il contadino sciocco e semplicione, contadino che in tal veste entrò nel teatro delle marionette dove fu Jacovo o Jacoviello e le sue azioni furono le jacovelle jacuvelle o, con diversa scrittura, le ghiacovelle. E tali azioni furon prese a modello per identificare tutte quelle elencate in principio. A titolo di curiosità rammento altresí che dall’originario nome francese Jacque si trasse la voce giacchetta che era il tipo di indumento pratico e non ricercato indossato dai contadini.
Non so cosa abbia spinto Renato de Falco a scartare l’ipotesi Jacovo e a proporre il latino jaculum.
Ma è rimasto solo!
F. D’Ascoli, C. Jandolo e recentemente M. Cortelazzo propendono in coro ,ed indegnamente io con loro, per una degradazione semantica del nome proprio Giacomo – Jacovo.
Et de hoc satis.
Raffaele Bracale

TRUFFA, RAGGIRO, FREGATURA & dintorni

TRUFFA, RAGGIRO, FREGATURA & dintorni
Lo spunto per queste paginette mi fu dato l’altro giorno dall’assistere alla proiezione televisiva d’un famosissimo film del principe della risata Totò (Antonio Focas Flavio Angelo Ducas Comneno De Curtis Di Bisanzio Gagliardi, più noto come Antonio De Curtis, in arte Totò (Napoli, 15 febbraio 1898 –† Roma, 15 aprile 1967),). L’esilarante pellicola, incentrata sul racconto dei numerosi, continuati imbrogli e raggiri messi in atto, per sopravvivere, da una coppia di lestofanti (lo stesso Totò ed il compare impersonato da Nino Taranto (Napoli, 28 agosto 1907 – †Napoli, 23 febbraio 1986) aveva per titolo Totò truffa ’62 e l’amico N.C. (i consueti problemi di privatezza mi impongono l’indicazione delle sole iniziali di nome e cognome), con cui assistevo alla proiezione mi chiese quali fossero i sinonimi in italiano del s.vo truffa ed i corrispondenti del napoletano; glieli elencai rapidamente e qui li illustro piú diffusamente; in italiano abbiamo dunque:
truffa, s.vo f.le
1 (dir.) il reato commesso da chi ricava illecito profitto a danno di altri avendoli indotti in errore con artifici e raggiri: commettere una truffa; essere vittima di una truffa
2 (estens.) frode, inganno, imbroglio | legge, decreto truffa, nel linguaggio giornalistico, legge, decreto il cui vero fine sia diverso da quello dichiarato e si risolva a danno della collettività.
Etimologicamente dal provenz. ant. trufa, che è dal lat. tardo tufera, propr. 'tartufo', poi 'inganno';
raggiro, s.vo m.le
– L’azione o l’effetto del raggirare, sempre in senso fig., quindi imbroglio, inganno fatto per mezzo di parole tortuose e promesse allettanti o di altri mezzi idonei a sorprendere l’altrui buonafede: è riuscito a farsi strada a forza di raggiri; mise in campo tutti i più sottili r.; è un infame r.; adoperò raggiri e violenze. In diritto penale, il raggiro può essere elemento costitutivo del reato di truffa. Etimologicamente deverbale di raggirare = trarre qualcuno in inganno; abbindolare, truffare: farsi, lasciarsi raggirare;
aggirarsi, girare intorno; (fig.) vertere, incentrarsi; raggirare deriva da aggirare con protesi di un r(i) iterativo;
fregatura, s.vo f.le
1 (pop.) inganno, truffa, imbroglio: dare una fregatura, imbrogliare; prendere una fregatura, essere imbrogliato | cosa scadente, deludente: quel film è una fregatura
2 (non com.) il fregare un oggetto contro un altro; il segno che ne rimane. Etimologicamente deverbale di fregare (dal lat. fricare) fregare = 1. a. Passare piú volte la mano o un oggetto condotto dalla mano sulla superficie d’un corpo, premendo con piú o meno forza: f. il pavimento con la spazzola; fregarsi gli occhi (per cacciare il sonno, o per accertarsi di essere bene sveglio, di vederci bene, davanti a cosa che susciti meraviglia o incredulità); fregarsi le mani, una contro l’altra, per scaldarsele o per mostrare soddisfazione (è anche espressione metaforica per indicare uno stato di contentezza, di soddisfazione e sim.). b. Strisciare sfregando: E ’l buon Sordello in terra fregò ’l dito (Dante); animali che avanzano fregando il ventre al suolo; f. il gesso sulla lavagna; f. ... 2. (non com.) segnare, cancellare con uno o piú freghi
3. (pop.ed è il ns. caso) ingannare, truffare; rovinare, danneggiare: restare fregato; farsi fregare' bocciare a un esame, a un concorso | vincere, superare, spec. con l'astuzia, ma anche con l'inganno e con la frode: fregare un avversario, un concorrente | rubare: mi hanno fregato la moto; un oggetto fregato
4 (volg.) possedere sessualmente; fottere | (assol.) avere un rapporto sessuale ||| fregarsi v. intr. pron. (pop.) non preoccuparsi, disinteressarsi, infischiarsi (usato esclusivamente nella forma fregarsene): fregarsene di qualcuno, di qualcosa | in espressioni di tono volgare: chi se ne frega?; frégatene!.
Imbroglio s.vo m.le
1 groviglio, intrico: un imbroglio di fili
2 (fig.) faccenda, situazione intricata, confusa: cacciarsi in un imbroglio; tirarsi fuori da un imbroglio. DIM. imbroglietto, imbrogliuccio PEGG. imbrogliaccio
3 (fig. ed è il ns. caso ) espediente inteso a trarre in inganno, a modificare illecitamente la situazione a proprio vantaggio: questo affare nasconde un imbroglio
4 (mar.) ciascuno dei cavetti applicati a una vela per poterla serrare
5 (mus.) intreccio di parti vocali o strumentali con sovrapposizione di ritmi diversi; è frequente nelle opere buffe o di carattere giocoso.
Etimologicamente deverbale di imbrogliare : ingannare, confondere,avviluppare per modo che l’ingannato, il confuso, l’avviluppato è quasi impossibilitato a venir fuori dalla situazione fonte del suo inviluppo; etimologicamente con ogni probabilità il verbo italiano imbrogliare è un adattamento del corrspondente napoletano ‘mbruglià che, a sua volta è da un imbogliare→’mbogliare (con successiva epentesi di una erre eufonica)derivato da un in illativo + bollire nel senso di confondere (ciò che bolle si mescola talmente che si fonde con e cioè confonde; ma per completezza vedi oltre sub ‘mbroglia.
A questo punto esaurite le voci dell’italiano passiamo alle numerose voci napoletane:

bidone s.vo m.le
1 in primis grosso recipiente di lamiera o di plastica, di forma generalmente cilindrica o parallelepipeda: i bidoni del latte; i bidoni della spazzatura; semilavorato d'acciaio a sezione rettangolare, largo 15-30 cm, alto 1-3 cm e lungo 4-10 m, da cui per successiva laminazione si ricavano lamiere sottili.
2 (fig. fam.ed è il caso che ci occupa ) imbroglio, truffa: fare, prendersi un bidone | appuntamento andato a vuoto | acquisto incauto, sbagliato
3 (fam.) apparecchiatura, macchina che non funziona o funziona male | atleta di scarsa abilità o che si rivela inferiore alle attese; etimologicamente è voce derivata dal fr. bidon
frabbuttaria, s.vo f.le
1 in primis: malizia, doppiezza, cattiveria, comportamento da farabutto e quindi
2 slealtà, grave mascalzonata, inganno spregevole, truffa ignobile; etimologicamente è voce denominale di frabbutto= canaglia, briccone, furfante; a sua volta frabbutto (dal quale, rammento per incidens, è stato recuperato l’italiano farabutto) è dal ted. Freibeuter 'predone' ' filibustiere', che è dall'ol. vrijbuiter, comp. di vrij 'libero' e buit 'bottino';
mattunella,s.vo f.le
letteralmente:
1mattonella, piastrella quadrata, rettangolare o esagonale, di cemento, graniglia o ceramica, usata per rivestimenti e pavimentazioni edilizie, laterizio o conglomerato di forma varia per pavimentazioni e rivestimenti
2 denominazione generica di oggetti che ànno una forma simile a una mattonella: mattonella di carbone, di gelato
3 sponda del tavolo da biliardo.; etimologicamente è un denominale di mattone,che si ritiene marcato sul lat. maltha, gr. μάλϑα o μάλϑη.
4 sotterfugio, trabocchetto, tranello, trappola, imbroglio, truffa, frode
È esattamente dalla accezione sub 3 che deriva semanticamente il significato sub 4. Per apprezzare tale passaggio occorre far riferimento ad un’icastica espressione partenopea che suona: Fà ‘a mattunella che ad litteram è fare la sponda, fare la mattonella Lo si dice di chi, nei rapporti interpersonali si comporti ingannevolmente, ipocritamente come ad es. di chi faccia le viste di augurarti il bene, mentre in cuor suo abbia tutt’altra intenzione. La locuzione è mutuata dal giuco del biliardo dove il giocatore pur cercando la buca, mira la sponda detta in gergo mattunella e vi scaglia la biglia contro.Chi fa la mattonella trae in inganno, imbroglia, tende un tranello;

‘mbroglia, s.vo f.le
1 grossogroviglio, intrico:’na ‘mbroglia ‘e file( un imbroglio di fili )
2 (fig.) faccenda, situazione intricata,grandemente confusa: ‘nfilarse dinto a ‘na ‘mbroglia (cacciarsi in un imbroglio);
3 (fig.ed è il ns. caso ) importante, grosso, ignobile espediente inteso a trarre in inganno, a modificare illecitamente la situazione a proprio vantaggio: st’affare annasconne ‘na ‘mbroglia(questo affare nasconde un imbroglio); ‘mbròglia è altresí una fantasticheria intrisa di parole eccedenti, un pretesto lungamente... diluito di chiacchiere tendenti al raggiro ed è quanto all’etimo un deverbale di ‘mbruglià= imbrogliare che a sua volta è dal fr. ant. brouiller 'mescolare, confondere', deriv. di brou 'brodo' e semanticamente si spiega essendo – come ò detto – la ‘mbroglia null’altro che una sequela di parole eccedenti, un pretesto di chiacchiere diluite tali quale un brodo.
In coda a tale voce faccio notare che dal medesimo verbo ‘mbruglià→imbrogliare l’italiano trasse il s.vo m.le imbroglio che nel napoletano è s.vo f.le (‘mbroglia) secondo il noto principio che già illustrai alibi che nel napoletano un oggetto o qualsiasi altro è inteso, se maschile, piú piccolo o contenuto del corrispondente femminile; abbiamo ad . es. ‘a tavula (piú grande rispetto a ‘o tavulo piú piccolo ),‘a tammorra (piú grande rispetto a ‘o tammurro piú piccolo ), ‘a cucchiara(piú grande rispetto a ‘o cucchiaro piú piccolo), ‘a carretta (piú grande rispetto a ‘o carretto piú piccolo ); fanno eccezione ‘o tiano che è piú grande de ‘a tiana e ‘o caccavo piú grande de ‘a caccavella; se ne ricava che la ‘mbroglia napoletana è pensata piú grave o grossa dell’imbroglio dell’italiano;
pagliettaría s.vo f.le voce di quasi esclusivo àmbito forense è infatti precisamente il cavillo, l’ espediente dialettico, la trovata quasi sempre truffaldina, ma ingegnosa, azioni che di per sé son tutte riconducibili al modo di agire dei cosiddetti
paglietta s.vo m.le e solo m.le voce singolare maschile che indica un avvocatucolo,un leguleio cavilloso, ma inesperto e spesso truffaldino; letteralmente la voce a margine parrebbe essere un diminutivo vezzeggiativo di paglia e come tale femminile, mentre in realtà è – come ò detto- voce singolare maschile (‘o paglietta) nei significati detti ed è voce che al plurale va scritta correttamente ‘e pagliette, mentre scritta con la geminazione iniziale: ‘e ppagliette torna ad esser femminile indicando i tipici cappelli di paglia, solitamente usati dagli uomini) e va letta con la geminazione iniziale della p; scritta però, come ò detto, con la iniziale p scempia: ‘e pagliette, la medesima voce plurale di paglietta è maschile e per chiaro traslato o sineddoche indica appunto avvocatucoli, legulei cavillosi, ma inesperti quegli stessi cioè che ad inizio del 1900 usavano indossare a mo’ di divisa comune una paglietta (cappello di paglia (donde il nome, partendo da un lat. palea(m)) da uomo, con cupolino alto, in foggia di tamburo, bordato di nastro di seta, ampia e piatta tesa rigida il tutto rigorosamente di colore nero per distinguersi da tutti gli altri uomini che erano soliti indossare, in ispecie nella bella stagione, pagliette di color chiaro; e con questa spiegazione penso d’aver fatto giustizia sommaria del parere di qualcuno (ma non ne ricordo il nome…né meriterebbe d’esser rammentato ) che fantasiosamente fa risalire il termine paglietta inteso, come riportato, quale avvocatucolo, leguleio cavilloso, ma inesperto e truffaldino all’ampia gorgiera rigida indossata sulle toghe dagli avvocati d’antan; ora atteso che la gorgiera fu colletto plissettato ed inamidato indossato da talune categorie di notabili in epoca cinquecentesca e seicentesca,e poi definitivamente dismesso, mentre il tipo paglietta inteso avvocatucolo etc. è figura del tardo ‘800 – principî ‘900, non vedo dove (se non presso un costumista tearale) un avvocatucolo del tardo ‘800 o dei primi del ‘900 avrebbe potuto reperire una gorgiera inamidata e plissettata da indossare sulla toga...
da paglietta con aggiunta del suffisso di pertinenza ria si è giunto a pagliettaría voce che per sua fortuna è rimasta nell’àmbito della parlata napoletana e non è pervenuto in quello della lingua italiana dove è pur presente la voce paglietta nel significato di avvocatucolo etc.; ò detto per sua fortuna poi che se la voce pagliettaría fosse approdata nel dialetto di alighieri dante sarebbe stata certamente stravolta in pagliettería= azione o comportamento da paglietta subendo lo stesso trattamento della voce partenopea fessaría che pervenuta nell’italiano divenne fessería assumendo una inesatta e chiusa e non etimologica al posto della esatta aperta a forse nella sciocca convinzione che una vocale chiusa fosse piú consona di una aperta alla eleganza (?) della lingua nazionale;
paraustiello s.v. m.le vedi oltre in coda sub trastula;
perraría,s.vo f.le
letteralmente comportamento da pérro (cane furente; cfr. sp. perro); poi
1 atto crudele,cattiveria, malvagità;
2 inganno inumano, malvagio, efferato, sadico, etimologicamente dallo sp perrería= mascalzonata;
scartiloffio/a, s.vo m.le o f.le
Ci troviamo questa volta a parlare di due parole, l’una maschile, l’altra femminile, che fan parte del fiorito ed icastico linguaggio partenopeo, ambedue nell’originario significato di atto, manovra truffaldini tesi a raggiunger lo scopo di affibbiare, per solito a stranieri, carta straccia in luogo di buona carta mnoneta; estensivamente poi ogni atto o manovra truffaldini operati in danno di sprovveduti, disattenti, incolti, creduloni che facilmente si lasciano raggirare ed imbrogliare.
Storicamente le voci in epigrafe nacquero tra il finire del 1700 ed i principi del 1800 a Napoli, al tempo delle frequentazioni di viaggiatori stranieri che accorrevano a visitare le città centro meridionali e nacquero nell’àmbito della camorra (setta di malviventi che uniti in consorteria tentano di procacciar con ogni mezzo lecito, ma piú spesso illecito, guadagni e benefici ai propri membri; etimologicamente camorra è corruzione ed adattamento del termine spagnolo gamurra che, a sua volta è da chamarra = abito di foggia iberica preferito dalla peggior risma di lazzaroni partenopei) che, per il tramite di suoi adepti, gestiva a suo pro quell’antico fenomeno turistico; non è che il trascorrer del tempo abbia fatto cambiar molto le cose; attualmente a Napoli, ma ugualmente in altre città centro-meridionali le vittime preferite degli scartiloffisti che sono ovviamente coloro che praticano lo scartiloffio, sono pur sempre i turisti o i derelitti cafoni e/o pacchiani, cioè gli sprovveduti provinciali che giungono in città divenendo, a loro malgrado, súbito preda di furbi lestofanti truffatori che li raggirano ed imbrogliano; e ciò avviene non perché i cittadini stanziali siano piú furbi o svelti dei cafoni o dei pacchiani, ma solo perché i cittadini ben conoscono di che infidi panni vestono i truffatori che si aggirano per piazze, vicoli e stazioni della città ed accuratamente tentano di evitarli e tenersene lontani.
Torniamo alle parole a margine e vediamone un po’ l’etimologia, per la ricerca della quale non bisogna mai dimenticare il significato originario di scartiloffio/a che è la truffa tesa ad appioppar carta straccia in luogo di buona cartamoneta; ordunque:
Scartiloffio/a addizione del sostantivo scartoffia con l’aggettivo loffio/a;
Scartoffia : voce gergale forse nordica, per indicare una carta da giuoco senza valore, una cartina;
Loffio/a: letteralmente frollo, cascante, molle e quindi scadente, inutile; etimologicamente da un ant. tedesco: slapf→slaf, ma non gli sarebbe estraneo il latino labi da cui il toscano labile =inconsistente.
Si comprende facilmente che una scartoffia che sia anche loffia rappresenti quanto di peggio possa capitare ad un povero turista o ad un provinciale che approdi o giunga nella nostra città o in cento altre città d’arte del centro-meridione; rammenterò – per chiudere in … allegria - l’incipit del film Guardie e ladri in cui lo scartiloffista Totò (ecco che torna il principe del sorriso…) si dedicava ad una particolare forma di scartiloffio: l’appioppare ad un credulo turista americano una grossa patacca che è una ovviamente falsa moneta antica di grosse dimensioni il cui nome è dall’arabo bataqa attraverso lo spagnolo pataca.

traniello s.vo m.le
insidia, trappola per trarre in inganno o indurre in errore;
etimologicamente deverbale di tranare, variante ant. di trainare (dal lat. volg. *traginare, deriv. di *tragere, per il class. trahere 'trarre')propr. 'trascinare in un'insidia'; in coda all’elencazione dei termini napoletani che rendono l’italiani truffa, raggiro, fregatura etc. ne considero altri due vocaboli che pur sostanziando un raggiro o una fregatura, mancano del cattivo intendimento di ricavare illeciti profitti in danno di altri avendoli indotti in errore con artifici e raggiri; si tratta infatti di due vocaboli d’àmbito artistico e segnatamente teatrale e si riferiscono ambedue alle innocenti gherminelle usate da attori e saltimbanchi per divertire il pubblico degli ingenui, candidi spettatori con i loro spettacoli farciti di trucchi e giuochi di mano; i vocaboli sono:
jacuvella,s,vo f.le
termine antichissimo, presente fin dal sec. XIV e ss., già preso in esame e contenuto nell’ Elenco di parole napoletane (primo modesto tentativo di dar vita ad un vocabolario della lingua napoletana), elenco che Colantonio Stigliola (1548 -1623) mise in appendice alla sua versione in lingua napoletana dell’ Eneide.
Pur essendo antichissimo, il termine non è però desueto ed ancora vive nell’uso quotidiano in tutta l’area linguistica campana, radicato principalmente sia nell’ alta Irpinia che nel napoletano. Amplissimo il ventaglio dei significati che partendo dal comportamento superficiale, cosa poco seria,modo di agire che genera confusione, inconcludenti tira e molla, giungono all’ intrigo, pretesto, banale astuzia, sotterfugio teso a perder tempo, a giocherellare, a cincischiare, nel tentativo di defilarsi per non compiere qualcosa di molto piú serio; anticamente il vocabolo che sto esaminando fu usato anche per indicare dispettucci da innamorati, vezzi, moine, tenerezze da innamorati, quegli stessi che – come vedemmo altrove – erano detti anche vruoccole o cicerannammuolle; piú spesso comunque la jacovella/jacuvella/ ghiacovella indicò la trama, l’intrigo, la gherminella piú o meno sciocca, buffonesca, cialtronesca, semplicistica.

Per ciò che attiene all’etimologia di jacovella/jacuvella/ ghiacovella, questa volta devo dissentire da quanto proposto dall’ amico il dotto avv.to Renato de Falco, attivissimo esperto di cose napoletane il quale per jacovella/jacuvella/ ghiacovella rifiutando altre piú accolte e convincenti etimologie, ipotizza una culla latina, chiamando in causa uno strano jaculum= dardo dandone però una connessione semantica a jacovella che mi pare troppo inconferente se non pretestuosa…
Non so come sia accaduto, ma questa volta reputo che l’amico Renato – solitamente preciso ricercatore – sia stato un po’ superficiale e si sia lasciato sfuggire che la parola jacovella/ ghiacovella nacque in ambito teatral-marionettistico per identificare le gherminelle, le azioni sceniche di un tal Giacomino (in dialetto Jacoviello diminutivo di Jacovo id est Giacomo che poi altro non era che l’adattamento del nome proprio francese Jacque, nome con il quale colà si soprannominò il contadino sciocco e semplicione, contadino che in tal veste entrò nel teatro delle marionette dove fu Jacovo o Jacoviello e le sue azioni furono le jacovelle o, con diversa scrittura, le ghiacovelle. E tali azioni furon prese a modello per identificare tutte quelle elencate in principio. A titolo di curiosità rammento altresí che dall’originario nome francese Jacque si trasse la voce giacchetta che era il tipo di indumento pratico e non ricercato indossato dai contadini.
Non so cosa abbia spinto Renato de Falco a scartare l’ipotesi Jacovo e a proporre il latino jaculum.
Ma è rimasto solo!
F. D’Ascoli, C. Jandolo e recentemente M. Cortelazzo propendono in coro ,ed indegnamente io con loro, per una degradazione semantica del nome proprio Giacomo – Jacovo.

- Trastula s.vo f.le
sostantivo femm. sing. usato per indicare un generico trucco e/o inganno; in realtà come deverbale di trastulià (che letteralmente è il porre in essere innocenti giochini o inganni da saltimbanchi) la voce a margine solo estensivamente indica ogni altro inganno teso ad imbrogliare, raggirare etc; ad un superficiale esame potrebbe sembrare che il verbo napoletano trastulià donde la derivata tràstula sia un adattamento del toscano trastullare; non è cosí però; è vero che ambedue i verbi, l’italiano ed il napoletano, partono da un comune latino transtum che fu in origine il banco cui erano assisi i rematori delle galee romane, per poi divenire i banchi su cui si esibivano i saltimbanchi con i loro trucchi ed inganni detti in napoletano trastule e chi li eseguiva fu il trastulante passato in seguito a definir semplicemente l’imbroglione , ma mentre l’italiano trastullare è usato nel ridotto significato di dilettare con giochini i bambini, il napoletano trastulià à il piú duro significato di mettere in atto trucchi ed inganni, e non per divertire i bambini, quanto per ledere gli adulti;
Giunti a questo punto rammenterò che tutte le voci che ò elencate furono usate negli scrittori partenopei (poeti, drammaturghi etc.) a far tempo dal 1400 con eccezione di quelle nate (ad. es. pagliettaría) in epoche successive. C’è una sola voce che non à trovato posto nei reperti letterarii, ma è rimasta a far tempo dal 1940 circa, nel parlato popolare ed ancora vi permane ben salda avendo soppiantato quasi tutte le voci elencate fin qui con le sole eccezioni di ‘mbroglia e tràstula; la voce è
paraustiello voce singolare maschile nata in origine in senso positivo per significare esempio, spiegazione ma che à finito per prendere il senso negativo di ragionamento caustico, capzioso, pretestuoso cavillo, metafora maliziosa e furbesca, appiglio gratuito, arbitrario, infondato, fittizio, esempio, ma ad usum delphini, argomentazione tortuosa etc. Quanto all’etimologia ancóra c’è qualcuno che sulla scorta del primo significato di esempio, spiegazione propende per l’iberico para usted (per voi) quasi che con la parola paraustiello si volesse avvertire: tutto ciò che abbiamo detto è stato un esempio portato per voi. La cosa non convince soprattutto perché il paraustiello fin quasi dal suo apparire non fu usato solo nel senso positivo di esempio, spiegazione ma prese quasi súbito nell’uso del discorrere popolare (come ò detto) il senso negativo di ragionamento caustico, capzioso, metafora maliziosa e furbesca, appiglio gratuito, arbitrario, infondato, fittizio,argomentazione tortuosa e dunque mi pare corretto pensare per l’etimo di paraustiello ad un adattamento del greco paràstasis che vale giustappunto ragionamento, metafora, argomentazione.
Ed a questo punto penso d’avere esaurito l’argomento, d’aver contentato l’amico N.C.e qualche altro dei miei ventiquattro lettori e poter ben dire Satis est.
Raffaele Bracale

BRICCONE – BIRBANTE - CANAGLIA – FURFANTE & DINTORNI

BRICCONE – BIRBANTE - CANAGLIA – FURFANTE & DINTORNI

Anche questa volta su quesito dell’amico P.G. (al solito, motivi di privatezza mi impongono di non riportar solo le iniziali di nome e cognome di chi mi scrive per sollecitar ricerche) mi occuperò delle voci italiane in epigrafe, di altri eventuali sinonimi, voci collegate e delle corrispondenti voci del napoletano.
Cominciamo con
briccone s. m. [f. -a] 1 persona scaltra, malvagia, senza scrupoli
2 (scherz.) persona simpaticamente astuta, riferito soprattutto a ragazzi; birbante;
quanto all’etimo, molti si trincerano dietro il solito pilatesco etimo incerto mentre una sostanziosa scuola di pensiero pensa – epperò non so con quanta esattezza, atteso un’evidente differenza semantica di cui dirò – pensa dicevo ad un antico francese bric = stolto; tale idea non mi convince punto poi che trovo che semanticamente siano addirittura agli antipodi la persona scaltra, astuta, malvalgia indicata con la voce briccone e lo stolto dell’ antico francese bric e mi fa meraviglia che una considerazione tanto ovvia non sia stata fatta da nessuno dei numerosi linguisti che accolgono l’idea che briccone provenga dall’antico francese bric; molto piú perseguibile m’appare l’idea che briccone abbia una relazione di filiazione o fraternità con l’ant. alto tedesco brëcho= offensore, perturbatore,predone, malfattore; un’altra scuola di pensiero pensa per briccone ad un accrescitivo (cfr. il suff. one) di bricco antica voce etimologicamente pare ricostruito su di un termine settentrionale bricca=luogo scosceso, dirupo; bricco valse nel linguaggio regionale furfante ma a mio avviso è molto forzato il collegamento semantico tra il furfante di bricco ed il dirupo di bricca; a questo punto penso proprio che delle tre proposte la migliore via etimologica di briccone sia quella dell’ant. alto tedesco brëcho= offensore, perturbatore,predone, malfattore; procediamo oltre ed abbiamo
birbante s. m. e f. - 1. persona scaltra e malvagia che conduce vita poco onesta 2. (scherz.) Ragazzo furbo e impertinente. persona scaltra e malvagia. 3 (ant.) truffatore; quanto all’etimo la voce a margine risulta il part. presente di un non attestato *birbare che a sua volta pare marcato su di una lettura metatetica del sost. fr. bribe 'tozzo di pane dato per elemosina', quindi birbare varrebbe in primis accattonare, elemosinare e di conseguenza il birbante verrebbe, in primis, ad essere un accattone, un vagabondo, e solo per ampiamento semantico: un briccone,uno scaltro, un malvagio. Andiamo oltre:
canaglia s. f. 1 individuo malvagio, ribaldo | (scherz.) persona astuta, birbante 2 (lett.) gente spregevole, marmaglia;quanto all’etimo la voce a margine risulta senza tentennamenti essere un derivato del francese canaille= furfante.
furfante s. m e f. persona disonesta; farabutto, malfattore.
Quanto all’etimo la voce a margine risulta essere il part.pres. di un *furfare/forfare= agire fuori dalla legge, verbi tratti dal lat. med. foras-facere/foris-facere = agire al di fuori del lecito e/o consentito: for(as)fa(cie)nte(m)→furfante
Giunti a questo punto, prima di proseguire soffermiamoci su alcuni termini fin qui incontrati:
individuo s. m. 1 organismo vivente considerato distintamente da ogni altro della specie o del genere a cui appartiene; 2 la persona considerata nella sua singolarità: l'interesse dell'individuo non deve esser posto al di sopra di quello della comunità
3 persona che non si conosce o di cui non si vuol dire il nome (spec. spreg.): c'è un individuo che ti cerca; un individuo sospetto, pericoloso; un losco individuo
come agg. (lett.) 1 indiviso o indivisibile 2 individuale, particolare. Quanto all’etimo è voce derivata dal lat. individuu(m), comp. di in- e dividuus 'separato, separabile'=non separato,non separabile;
scaltro/a agg.vo m.le o f.le
1 che agisce, parla e si comporta con accortezza, con avvedutezza; per estens., astuto/a, furbo/a
2 che è espressione di scaltrezza: comportamento scaltro. Quanto all’etimo è voce deverbale derivata dal verbo scaltrire= diventare avveduto, attento o piú guardingo; acquistare abilità, perizia, sicurezza, spec. nella propria attività o professione; il verbo scaltrire/rsi è derivato dal b. lat. s +calterire per cauterire= 'bruciare', deriv. di cauterium 'cauterio', perché il restare scottato induce ad una condotta piú guardinga;
malvagio/aagg.vo m.le o f.le [pl. f. -ge] 1 cattivo/a, perfido/a, malefico/a: una donna malvagia, un carattere malvagio; azioni, parole malvage;
2 (fam.) pessimo: un tempo malvagio; quel film non è malvagio: è abbastanza bello
3 (lett.) pesante, difficile 4 (ant.) falso; come s. m.le [f.le -a] persona perfida, crudele | il Malvagio, per antonomasia, il diavolo. Quanto all’etimo è voce derivata dal provenz. malvatz, che è dal lat. volg. *malifatiu(m) 'che à cattiva sorte', comp. di malum 'cattivo' e fatum 'destino';
truffatore s. m. chi imbroglia con una truffa; chi sottrarre qualcosa con truffa; chi per abitudine agisce truffaldinamente cioè commettendo il reato di ricavare illecito profitto a danno di altri avendoli indotti in errore con artifici e raggiri. Quanto all’etimo è voce derivata dal verbo truffare a sua volta denominale di truffa che è dal provenz. ant. trufa,tratto per metatesi dal lat. tardo tufera, propr. 'tartufo', poi 'inganno';
astuto agg. 1 dotato di astuzia: essere piú astuto di una volpe; che astuto!
2 che denota astuzia; detto, fatto con astuzia: risposta astuta. Quanto all’etimo è voce derivata dal lat. astutu(m);

ribaldo s. m. 1 nel medioevo, soldato di bassa condizione o servo che seguiva gli eserciti, dedicandosi soprattutto a saccheggi
2 (estens.) chi vive di attività disoneste, di truffe, rapine ecc.; briccone, furfante, mascalzone. Quanto all’etimo è voce derivata dal fr. ant. ribaud, provenz. ribaut, deriv. del medio alto ted. hriba 'prostituta';
perfido agg. 1 che non tiene fede alla parola data, sleale
2 che agisce con intenzioni malvagie; che è incline a provocare, traendone soddisfazione, il male e il danno di altre persone: quell'uomo è di animo perfido; un perfido traditore | che denota subdola malvagità: un'azione perfida
3 (iperb. , scherz.) cattivo, pessimo (detto di cibo, bevanda, tempo atmosferico e sim.); numerosi i sinonimi dell’agg. a margine; tra i piú usati rammento: falso, traditore, infido sleale, insincero, malfido, malvagio, crudele, efferato, (iperb.) pessimo, terribile. Rammento che talvolta viene usato impropriamente come sinonimo di perfido, infido, malfido etc. anche l’agg.vo malfidato che invece è colui che è solito diffidare, colui che è sempre sospettoso
Quanto all’etimo è voce derivata dal lat. perfidu(m), comp. di per 'al di là, oltre' e fidus 'fedele, leale'; propr. 'che viene meno alla fede data';
malefico agg. [pl. m. -ci] 1 che reca danno: clima malefico; una persona malefica
2 di maleficio; che è frutto di maleficio: arti malefiche; influsso malefico
come sostantivo m. (ant.) stregone.
Quanto all’etimo è voce derivata dal lat. maleficu(m), comp. di male 'male' ed un tema di facere;
farabutto s. m. [f. -a] persona senza scrupoli, capace di qualsiasi slealtà; mascalzone.
Quanto all’etimo è parola pervenuta nella lingua nazionale marcata sul napoletano frabbutto derivato dal ted. freibeuter 'predone' a sua volta ricavato dall'ol. vrijbuiter, comp. di vrij 'libero' e buit 'bottino' = saccheggiatore, filibustiere
mascalzone s. m. [f. -a] persona capace di azioni spregevoli o disoneste (anche scherz.): comportarsi da mascalzone; non fare il mascalzone! Persona d'animo volgare, priva di scrupoli o di scarso senso morale.
Riferito ai bambini è molto usato il vezz. mascalzoncello. Quanto all’etimo per alcuni la voce è un’alterazione di maniscalco "garzone di stalla", per incrocio con scalzo,ma a mio avviso è migliore l’idea di chi vi legge un’addizione dello spagn. mas (dal lat. magis= piú) e di scalzone accrescitivo di scalzo cioè piú che scalzo= persona male in arnese,vile per modo di vestire ed incedere, cialtrone;
Marmaglia o maramaglia, s. f. 1 insieme di gente spregevole; 2 (scherz.) gruppo chiassoso di bambini o ragazzi. Quanto all’etimo la voce risulta derivata dal fr. marmaille, deriv. di marmot 'bambino, marmocchio'.
Esaurite cosí le voci dell’italiano, passiamo a quelle del napoletano dove troviamo:
- bazzariota s.m. voce antica e desueta che in origine indicò un rivenditore girovago, un treccone cioè un venditore al minuto di generi alimentari (spec. verdure,legumi, uova, pollame ecc.); rivendugliolo cioè chi rivende al minuto, per lo piú cibo o merci di poco conto, in baracche o con carrettini, | (spreg.) venditore disonesto; poi per ampliamento semantico indicò il perdigiorno, il briccone, il giovinastro sfaccendato (detto alibi icasticamente stracquachiazze e cioè propriamente il bighellone aduso ad un cosí lungo, continuo, ma inconferente girovagare tale da addirittura consumare, stancar le piazze; di per sé il verbo stracquà che forma la voce stracquachiazze unito con il sostantivo chiazze plurale di chiazza (=piazza dal latino platea) indicherebbe lo spiovere, il venir meno della pioggia, ma nel caso di stracquachiazze estensivamente sta per il venir meno… delle forze o della consistenza strutturale delle ipotetiche piazze calpestate, senza tregua dal perdigiorno o dal bazzariota di turno;
quanto all’etimo bazzariota deriva dall’arabo bazàr=mercato attraverso un greco mod. bazariotes o pazariotes= mercante, negoziante;

frabbutto ed al f.le frabbotta ; di questo sostantivo con cui si indica la persona capace di azioni spregevoli o disoneste, il cattivo soggetto malvagio, senza scrupoli proclive ad ogni nefandezza, ò già detto antea sotto la voce dell’italiano farabutto, voce che fu marcata su questa napoletana a margine; quanto all’etimo frabbutto come ò già détto deriva ted. freibeuter 'predone' a sua volta ricavato dall'ol. vrijbuiter, comp. di vrij 'libero' e buit 'bottino' = saccheggiatore, filibustiere;
guittone/a s.vo ed agg.vo m.le o f.le in primis vale mendicante, vagabondo e poi furfante,birbone,malvagio, maligno, semanticamente spiegati con il fatto che chi vagabondi perdendo tempo e non applicandosi ad un onesto lavoro da cui trarre sostentamento, debba ricavarlo per forza comportandosi da briccone e/o canaglia; etimologicamente la voce a margine attestata anche come guidone deriva dallo spagnolo guitón= guitto che ebbe significato spregiativo;
guittaglione/a s.vo ed agg.vo m.le o f.le si tratta di un ampiamento morfologico della voce precedente, di cui, con medesimo etimo, conserva le stesse accezioni sia pure con accento maggiormente dispregiativo;
chiappo ‘e ‘mpiso locuzione nominale m.le e solo tale= briccone, canaglia; Letteralmente: cappio da impiccato Si tratta di una sorta di metonimia con la quale nel napoletano si indica quel che in lingua toscana è il pendaglio da forca, il delinquente che meriterebbe di essere impiccato, l’avanzo di galera., ma anche piú tranquillamente, solamente una persona furba; è voce usata quasi esclusivamente nei confronti degli adulti; nei confronti di ragazzi o adolescenti, con valenza piú bonaria se ne usa il diminutivo chiappillo. Etimologicamente chiappo = cappio è dal basso latino cap’lum forma sincopata di capulum= fune; ‘mpiso = impiccato, sospeso, persona furba ed è, quanto all’etimo, il part. pass. del verbo ‘mpennere che è da in + pendere = sospendere; normale il passaggio di nd a nn come ad es. in unda che dà onna.
matèleco/a agg.vo m.le o f.le voce desueta che valse cattivo/a, malvagio/a, ma anche crudele, feroce, spietato/a, scellerato/a, empio/a, perverso/a, sadico/a, maligno/a; non semplicissima l’etimologia:
si ritenne un tempo che la voce derivasse dal riferimento ai matti, folli abitanti di Matélica,cittadina in provincia di Macerata, ma francamente è una spiegazione che poco convince stante l’evidente generalizzazione non comprovabile di un comportamento, e perché probabilmente ci si lasciò fuorviare da un’assonanza tra matto e Matélica; tralascio anche l’ ipotesi ugualmente non soddisfacente di Salvioni (linguista (Bellinzona 1858 †Milano 1920), che pensò ad un māt = morto e penso sia piú perseguibile l’idea di Ernesto Giammarco (linguista abruzzese) che lèsse in matèleco un lat. reg. *matelicu(m) derivato da mat(t)us = ubriaco, incrociato con matula = imbecille;

piezzo ‘e catapiezzo letteralmente pezzo di granpezzo; locuzione usata nel parlato popolare e per altro assente negli scritti,con le eccezioni di Basile e Sarnelli, e quelle di antichi dizionarii: D’Ambra,Andreoli etc. ) come un sostantivo maschile nel significato di ribaldo, briccone, birbonaccio; la voce piezzo= pezzo (adattamento al maschile del lat. volg. *pettia(m), di origine celtica di per sé non à valenze negative anzi riferito a persona lo si usa per sottolinearne la robustezza fisica, l'avvenenza: ‘nu piezzo d'ommo; che bellu piezzo ‘e guagliona |’nu piezzo grosso, (fig.) persona importante, influente; il significato negativo viene assunto se piezzo è usato in espressioni di insulto quali vi’ che piezzo ‘e ciuccio!, piezzo ‘e bbaccalà! o ancóra nell’espressione qui a margine piezzo ‘e catapiezzo espressione dove catapiezzo è usato quale iterativo, peggiorativo della voce piezzo attraverso il prefisso rafforzativo katà; rammento a questo punto una particolarità e cioè che vòlta al femminile l’espressione a margine non suona (come invece ci si attenderebbe) pezza ‘e catapezza, (dove catapezza verrebbe ad essere l’iterativo, peggiorativo della voce pezza), ma suona piezzo ‘e catapuzza espressione nella quale il masch. piezzo è usato con una licenza grammaticale, in funzione femminile e l’attesa voce catapezza viene trasformata in catapuzza con un evidente bisticcio tra due diversi termini: catapezza e catapuzza dei quali catapuzza con palese derivazione da lat. tardo cataputia che è da un gr. *katapytía, da pytía 'coagulo') indica un’ erba delle Euforbiacee con proprietà emetiche e purganti; a conclusione di tutto ciò, ricordo che comunque piezzo ‘e catapiezzo e piezzo ‘e catapuzza non vengono usati in senso palesemente dispregiativo o offensivo, ma sempre in funzione scherzosa ed eufemistica.
Scauzone a.e s.m. persona priva di calze e scarpe, male in arnese,vile per modo di vestire ed incedere, cialtrone e per estensione persona capace di azioni spregevoli o disoneste, cattivo soggetto malvagio, senza scrupoli proclive ad ogni nefandezza; la voce risulta essere un accrescitivo (cfr. il suff. one) in funzione dispregiativa di scauzo =scalzo che è contrazione di scalz(at)o; scauzo è dal lat. excalcèatu(m) p. p. del lat. excalceare, comp. di ex- 'via da' e calceare 'mettere le calzature', deriv. di calceus 'scarpa'; normale nel napoletano il passaggio del lat al ad au (cfr. altus→auto→àvuto→àveto= alto alter→àuto→ato= altro).

sfaccimmo s. m. dalla doppia valenza; in senso negativo: farabutto, mascalzone; in senso positivo: furbo, intraprendente, determinato (specie di una persona giovane.). È parola formata dal sost.: faccia con l’avvio di una s detrattiva ed il suffisso dispregiativo immo nell’ovvia idea di significar: persona priva di faccia (senza vergogna). Attenzione!In napoletano esiste anche la voce sfaccimma che però non è il femminile della parola precedente ed à ben altro significato ed etimologia,indicando il prodotto dell’eiaculazione maschile; anche etimologicamente la voce sfaccimma à derivazione del tutto diversa dal pregresso sfaccimmo; sfaccimma infatti prende l’avvio da una voce di tipo onomatopeico sfacc che indica la violenza dell’emissione, addizionato del solito suffisso imma qui però con funzione intensiva, non dispregiativa.
Rammenterò per amor di completezza che quando si volesse usare il termine precedente: sfaccimmo riferito ad una donna, non si userà sfaccimma che come visto indica un’altra cosa, ma una sorta di diminutivo, vezzeggiativo: sfaccemmusella che indica alternativamente o la mascalzoncella o la furbetta intraprendente.


spogliampise ag.vo e s.vo m.le e f.le letteralmente colui/colei che spoglia, depreda gli impiccati e estensivamente persona capace di azioni ripropevoli se non disoneste, persona malvagia, priva di scrupoli, crudele, feroce, spietata, scellerata, empia, perversa, sadica, maligna proclive ad essere efferata, disumana, brutale; quanto all’etimo è voce formata dall’agglutinazione della voce verbale spoglia (3° p.sg. ind. pres. dell’infinito spuglià = spogliare (dal lat. spōliare, deriv. di spolium con normale chiusura della lunga tonica ō in u) addizionata del sostantivo ‘mpise plurale di ‘mpiso= impiccato; ‘mpiso è il p.p. di ‘mpennere= impiccare, sospendere (dal lat. in + pendere).
Zappulajuolo/a ag. e s.m.e f. letteralmente colui/colei che zappa, ma per ampliamento semantico sta dispregiativamente per cattivo soggetto malvagio, senza scrupoli proclive ad un comportamento violento atto ad arrecar danno come potrebbe intendersi lo zappatore aduso con i colpi della vanga o zappa a violentare la terra; la voce a margine etimoloficamente deriva dal verbo zappulià forma ampliata di zappà che è un denominale di zappa dal lat. tardo sappa(m),
Janne s.vo m.le = zanni, buffone malevolo, sciocco cattivo e prevaricante; etimologicamente è contrazione di joanne= giovanni; trattandosi di degradazione semantica del nome proprio Iohannus come altrove il bergamasco gioana s.vo f.le = meretrice da trivio è etimologicamente una degradazione semantica del nome proprio Iohanna.
Zanni/o s.vo m.le = , buffone malevolo, sciocco cattivo e prevaricante personaggio del servo nella commedia dell’arte, che rappresentò originariamente un contadino stupido e credulone ed in seguito assunse carattere un po’ negativi;
quanto all’etimo è forma toscanizzata del veneto Zani, corrispondente al tosc. Gianni, ipocoristico del nome proprio Giovanni.


E qui penso di poter far punto, convinto, se non di avere esaurito l’argomento, di averne détto a sufficienza contentando l’amico P.G., qualche altro dei miei abituali 24 lettori e chiunque altro dovesse leggermi.
raffaele bracale

venerdì 30 luglio 2010

STUPIDO E DINTORNI

STUPIDO E DINTORNI
Pochi giorni or sono due giovani miei nipoti avevano in corso una loro disputa per non ricordo bene quale banale questioncella; nel durante, il piú grande dei due gratificò l’altro d’una serie di contumelie dandogli in rapida successione dello scemo, stupido, cretino, imbecille, deficiente; sentendosi vilipeso il ragazzo mi chiese di intervenire per redarguire l’offensore, ma io non seppi dir di piú che:”Porta pazienza e consòlati pensando che ti à offeso in lingua italiana; lo avesse fatto in napoletano, avrebbe potuto sotterrarti sotto una ben piú vasta e pesante coltre di contumelie!”
E per tener dietro con degli esempi presi ad illustrare le voci partenopee che traducono le cennate voci italiane;lo faccio anche adesso qui di sèguito.
Al solito diamo prima un rapidissimo sguardo alle parole italiane, per passare poi a quelle ben piú numerose della lingua napoletana;
scemo: chi à o denota poco senno,; sciocco ed insulso etimologicamente deverbale dal latino ex-semare= privar della metà di qualcosa; comp. di ex via da e un deriv. di símis metà;
stupido: chi denota stupidità, scarsa intelligenza e piú propriamente chi è proclive, anche senza motivo, a stupirsi; etimologicamentedal lat. stupidu(m), deriv. di stupíre 'stupire';
cretino: etimologicamente dal franco-provenz. crétin, propr. cristiano, che, usato dapprima nel significato di povero cristiano, poveraccio, à poi assunto valore spregiativo nel senso di stupido etc.;
imbecille: che, chi à scarsa intelligenza: etimologicamente dal latino imbecille(m): debole fisicamente o mentalmente;
deficiente: che, chi è intellettualmente e psichicamente inferiore alla media; etimologicamente dal latino deficiente(m) part. presente di deficere= mancare.

E veniamo al napoletano ed alle sue numerose voci che rendono queste qui elencate:
alleccuto o alluccuto o anche locco: persona stupida, di aspetto poco intelligente; etimologicamente dal latino alucus per ulucus/ulluccus donde anche l’italiano allocco;
anchiòne: propriamente lo sciocco, il babbeo aduso a non discutere, ad accettar per buona ogni cosa, ad ubbidire, il tutto in linea con la sua etimologia che è dal latino anculus(da cui il diminutivo femm. ancilla) = servo ;
babbano: che è lo sciocco, il gonzo e – per dirla con Cicerone - l’uomo di nessun numero o conto; questo napoletano babbano à in babbaleo il corrispettivo toscano e come questo, etimologicamente una radice greca in bambaliòn dal verbo bambalein=avere l’aria attonita ed incantata;
babbio ed il suo accrescitivo, dispregiativo babbione: uomo sciocco e di poco cervello; etimologicamente dal latino bàblus sincopato di bàbulus=stolto;
babbuasso: indica lo scioccone, lo stupidone inveterato, quasi dispregiativo ed accrescitivo del menzionato babbano; etimologicamente da collegarsi (tenendo presente appunto che il suffisso asso, corrispondente al toscano accio à valore dispregiativo) ad un latino volgare babbius← babejus che diede anche il toscano: babbeo;
basciòscio donde anche i corrotti pachiochio/pachiochiero indicano tutti lo sciocco, rammollito, rimbambito; non di facile lettura l’etimologia: a bascioscio, ma piú ancora a pachiochio/pachiochiero non dovrebbe essere estraneo lo spagnolo chocho nell’accezione di molle,vuoto, ma non è peregrina l’idea che riporta il nostro bascioscio alla voce baciocco/occolo sorta di strumento sonoro di legno fatto a mo’ di scodella, dato ai fanciulli per giocarci, quale tamburello; in fondo il napoletano bascioscio connota lo sciocco vuoto di zucca;
battilocchio che denota lo stupido che inceda quasi, con tutte le inevitabili, dure conseguenze negative, ad occhi chiusi, anzi bendati; originariamente il battilocchio etimologicamente dal francese: battant l’oeil fu una cuffia da donna, ampia cuffia le cui falde ricadevano sugli occhi; in seguito con la parola battilocchio si finí per indicare piú che la cuffia, chi la indossasse anche se lasciandosi trasportar dalla desinenza maschile si appioppiò all’uomo e non alla donna (che pure indossava la cennata cuffia) il termine battilocchio;
cacchio/cacchione: è lo sciocco, lo stupido che non à speranze di migliorare; costui viene appaiato al membro maschile inteso non come organo veicolo della riproduzione (in tal caso non sarebbe figura né dello sciocco, né dello stupido), ma come semplice e perciò sciocco veicolo dei liquidi scarti renali; etimologicamente come la parola cazzo, di cui cacchio e l’accrescitivo cacchione sono addolcimenti eufemistici, vengono – come altrove ricordai da una voce gergale marinaresca greca akatiòn= albero della nave;
cannapierto: è lo stupido dall’aria melensa, che si guarda intorno con lo sguardo perso e la bocca aperta; il napoletano cannapierto stranamente, ma icasticamente piú che alla bocca fa riferimento all’organo ad essa collegato il canale della gola espressivamente reso con il termine canna, etimologicamente dal greco kànna originariamente kàna voce semita dall’ebraico qaneh;
catàmmaro: è il sempliciotto, il babbeo che necessita quasi di esser accompagnato, portato mano nella mano; infatti etimologicamente la parola è una commistione greco/latino katà + manus = mano nella mano, come alibi: pedecatapede = passo dopo passo (da pedes+ katà+ pedes );
chiafeo: antichissima voce, quasi desueta che indica lo sciocco, il grullo, il melenso etimologicamente da collegarsi al greco kophòs = babbeo, attreverso l’aggettivo kophaîos;
chionzo: voce di ampia diffussione tanto da ritrovarla nel comune lessico nazionale, sebbene in quest’ultimo con attinenza al solo aspetto fisico di una persona che sia bassa, grassa e tarchiata e dunque goffa; con la medesima accezione la voce la si ritrova nel dialetto lucchese dove è: chionso/pionso ed in quello calabrese dove è : chionzu; in napoletano la voce attiene piú che all’aspetto fisico, a quello intellettivo, connotando il rozzo babbeo, dall’aria attonita e distratta; etimologicamente la voce si fa risalire unanimemente ad un longobardo klunz= goffo, rozzo;
chiochiaro/ chiochiero: voce ancora viva nell’icastico linguaggio popolare, voce usata per indicare il melenso, sciocco babbeo di zucca vuota, accompagnata per solito da un gesto offensivo consistente nel far muovere velocemente ed alternativamente l’avambraccio a dritta e mancina, tenendo la mano destra drizzata verso l’alto con le dita unite in modo che il polpastrello del pollice , tocchi contemporaneamente tutti gli altri; etimologicamente piú che allo spagnolo chocho =molle, vuoto, pare che debba riferirsi al latino cochlea = conchiglia, considerata nel momento che sia vuotata del suo frutto;non è però da scartar l’ipotesi che la parola, giacché è usata anche per designare lo zotico villano, possa collegarsi alla voce chiochia che è variante di ciocia (termine dall’etimo sconosciuto, di ambito laziale usato per indicare un particolare tipo di calzatura indossata dai contadini) alla voce chiochia unendo il tipico suffisso di competenza aro/ero si arriva ai nostri chiochiaro/chiochiero;
ferlocco ed il suo metatico frellocco: voce in voga negli anni d’antan ed oggi quasi desueta, voce divertente che si usò per indicare lo sciocco citrullo che, a maggior disdoro fosse anche vanesio e privo di sostanza in linea con l’etimologia della parola che risulta dall’unione di un latino ferla = verga vuota con il precedente locco;
fesso: esattamente lo sciocco balordo, senza una sua consistenza fisica e/o morale, in tutto in linea con il suo etimo dal latino fissus part. pass. del verbo findere =spaccare, dividere;
fogliamolla: non ci si lasci ingannare dalla desinenza femminile: la parola è un aggettivo sostantivato invariabile e lo si riferisce, senza alcuna variazione desinenziale, sia all’uomo che alla donna: ‘nu fogliamolla o ‘na fogliamolla nel significato di persona sciocca e neghittosa nonché molle tal quale la tenera foglia da cui deriva ed a cui è rassomigliata ; etimologicamente dai tardo latini: folia + molle(m);

- gliògliaro: antica voce ormai desueta che un tempo fu usata quale corruzione (ma nel medesimo significato, e medesime modalità) del precedente chiòchiaro.
- lasagna e l’accrescitivo lasagnone nonché il composto pappalasagne (mangialasagne): antiche voci (non dimentichiamo che con il soprannome di lasagna il re Ferdinando II Borbone soleva appellare suo figlio Francesco II e non perché costui – come inesattamente riportato da certa frettolosa aneddotica pseudo-storica – fosse goloso dell’omonima pietanza, quanto perché il re riteneva suo figlio – sia pure ingiustamente – inetto e d’intelligenza poco pronta) con le quali si designavano anche con valenza bonaria, il bietolone, gracile e non molto sveglio, dal carattere cedevole ed accondiscendente, la cedevolezza che si ritrova nell’impasto di uova e farina da cui si ricava la sfoglia per trarne lasagne etimologicamente dal greco lagaròs = floscio, molle;
- mammalucco: ad un dipresso lo sciocco impenitente, dall’aria frastornata, tal quale il precedente cannapierto; etimologicamente questo mammalucco è dall’arabo mamluk = schiavo, soldato prigioniero;
- mamozio: illustrai già abbondantemente alibi la voce a margine, intesa come designante persona (adulto e/o ragazzo) inceppata nei movimenti o nell’espressione a mo’ di fantoccio o di pupazzo o anche di figurina mal scolpita o incisa e piú estensivamente individuo torpidamente imbambolato tale da apparire di duro comprendonio, e parlai della sua etimologia che risulta essere, checché ne dicano i proff. Cortelazzo e Marcato nel loro Dizionario dei dialetti italiani, la corruzione del nome Mavorzio da riferirsi ad una enorme, quantunque acefala, statua del IV sec. d. C. raffigurante il nobile puteolano FLAVIO EGNAZIO LOLLIANO QUINTO MESIO MAVORZIO, pretore urbano, proconsole della provincia dell’ Aquila e candidato questore, statua che fu appunto ritrovata a Pozzuoli nel corso (1704) degli scavi per l’erigenda chiesa di san Giuseppe; l’ inesperto scultore chiamato al restauro della statua acefala la corredò di una testa tanto piccola da risultare sproporzionata e per giunta dall’aria melensa; i puteolani impiegarono un nonnulla per trasformare il nome MAVORZIO in mamozio accreditandolo della stupidità suggerita dal volto della piccola (segno di scarso contenuto di cervello) testa indegnamente restaurata;
- mammuoccelo: che è propriamente l’uomo dall’aria melensa ed attonita denotante mancanza di intelletto, stupidità; etimologicamente da collegarsi, come corruzione diminutiva, al toscano bamboccio e dunque a bambo che in origine indicò l’infante ed in seguito lo sciocco e lo stupido;
- messere: altra voce antica ed ormai desueta, di sapore ironico, voce che nel significato ironico di stupido, sciocco e credulone non si ritrova che in qualche poeta d’antan ( ad es.: E. Murolo che in una sua gustosa canzone di cui ora mi sfugge il titolo, lo usa ironicamente appunto in luogo di becco, affermando che una donna supera, se intende tradirlo, tutte le pastoie approntatele dal proprio uomo, giungendo, metaforicamente, a fumarselo e a farlo messere id est becco in quanto l’uomo è sciocco, stupido e credulone); la voce, ò detto è ironica, pur se etimologicamente starebbe per mio signore, mio sire risultando esser composta dal provenz.: mes=mio +sere/sire=signore;
- moscammocca: l’ignavo, lo scioccone, l’allocco tanto irresoluto ed immoto da starsene perennemente a bocca aperta tanto da permettere addirittura che le mosche vi passeggino dentro entrando ed uscendo ad libitum; va da sé l’etimologia che fotografa l’atteggiamento di questo ignavo aduso a portarsi la mosca in bocca che è l’esatta traduzione di moscammocca (mmocca infatti è: in+bocca );
mucchione: è propriamente non il bambino, ma l’adolescente o anche l’adulto fatto cosí sciocco, melenso, inetto tanto da non esser capace o non avvertire la necessità di ripulirsi del moccio che gli coli dal naso; etimologicamente da qualcuno si vorrebbe correlare la voce ad un generico latino murcus→murcius =stolto, ma – rammentato quanto appena detto - penso che non è o sarebbe scorretto pensare ad un deverbale del latino muccare che è da muccus= moccio, catarro; tuttavia non è da scartare neppure l’ipotesi che mucchione sia l’accrescitivo, dispregiativo di mucchio(che è da un latino cumulus→muculus→muc’lus→mucchio) nel senso di uomo grosso e grasso e dunque stolto e sciocco tenendo presente il luogo comune partenopeo per il quale: ommo gruosso bubbelis es = l’uomo grosso è sciocco , dove il maccheronico bubbelis è corruzione di bàblus sincopato di bàbulus=stolto;

- ‘ntòntero : propriamente lo stupido, il melenso ed il perennemente frastornato; voce di tutta l’area mediterranea: la si ritrova anche in Sicilia: ‘ntòntaro, in Sardegna: dòndaro oltre che in Portogallo e Spagna dove è solo tonto tal quale l’italiano tonto; per tutte le voci l’etimologia è latina: tonitus = stordito come chi è colpito dal tuono; cfr.il toscano attonito;
- ‘ntruglione : propriamente il bietolone dal viso inespressivo, incapace di discernere; non bisogna dimenticare infatti che la parola ‘ntruglione non è che l’accrescitivo di ‘ntruglio che non è il toscano intruglio= mescolanza di sostanze diverse, ma è, gastronomicamente, l’intestino d’agnello abbondantemente speziato e avvolto strettamente su sé stesso al segno di non poterlo piú dipanare, cotto su braci ardenti;
- ‘nzallanuto ed il derivato zallo (caro al commediografo Raffaele Viviani) che significano l’uno il confuso, lo stordito, l’altro lo sciocco, il credulone in ispecie se anche innamorato di una donna di piccola virtú;etimologicamente ambedue le voci sono da collegarsi piú che al latino in-sanire,ad un in-salunire o piú probabilmente al greco selenizomai= esser lunatico e dunque stordito, confuso ed inebetito;
- ‘nzipeto letteralmente insipido, sciocco, privo di sale e figuratamente scialbo, banale; privo di vivacità, di spirito, di personalità e quindi anche piatto, melenso, insulso, anonimo, insignificante, grigio. si tratta etimologicamente di parola derivata dall’acc.vo lat. insipidum (insipido, privo di sale) accusativo a cui è da collegarsi anche la voce astratta ‘nzepetaría = cosa sciocca, sciapíta, sciocchezza, stoltezza, scempiaggine, stupidaggine, scemenza, insensatezza, bestialità, fesseria , atto o faccenda di persona che non dà gusto; parola, come ò accennato, costruita partendo dall’acc.vo lat. insipidum (insipido, privo di sale) con aggiunta del suffisso di pertinenza dei nomi astratti aría;normale poi il passaggio dell’originario ns al napoletano nz come consueto l’alternanza delle dentali d→t nel percorso morfologico insipidu(m)→ (i)nsipid(u)’nsipid(u)→’nzipet→’nzepet + aría→’nzepetaría.

pachialone: è lo sciocco incitrullito, l’inveterato babbeo, basso e grasso, ma d’indole bonaria, pacifica, tranquilla, semplice richiamata per l’appunto dall’aspetto di persona tarchiata, grassoccia accreditata nell’inteso comune di non aver malizia o cattiveria; la voce è derivata etimologicamente dal un tardo latino regionale pachylus →pachilós addizionato del suff. accrescitovo one; pachylus →pachilós derivò da un pachýs greco ="grassoccio"
papurchio: è lo stolto inveterato che, a maggior disdoro, sia anche poco prestante fisicamente; etimologicamente è voce dal lat. baburculum→baburc(u)lu(m)→papurchio, diminutivo di un baburcus= stolto e melenso;
purpetta: evidente traslato dispregiativo e non perché la polpetta da cui purpetta non sia cibo gustoso e saporito,in ispecie se fritta e non cotta al forno, ma, in quanto preparato con carne trita, si presta al concorso di piú residui di tagli di carne anche non pregiati presenti sul banco del macellaio, che intrugliandoli può conferire una preparazione anche di scarto, come di scarto viene a dimostrarsi il soggetto gratificato della voce a margine;
rapesta: altro paragone dispregiativo di cui vien gratificato l’uomo inetto e dappoco, come dappoco è la rapa (latino: rapistrum)selvatica che lo rappresenta;
scapucchione: epiteto per solito riferito a ragazzo dalla testa grossa, ma ovviamente vuota, ed estensivamente all’adulto che si ostini a restare ragazzo, non venendo a capo mai di nulla, né quanto a comprensione, né quanto ad azioni; voce violentemente ironica ed offensiva forgiata com’è quale accrescitivo intensivo (vedi la solita prostesi della iniziale esse, ed il suffisso one) della parola capocchia (che è dal latino capuclum← capiclum per capitulum diminutivo di caput) che nell’idioma napoletano indica però il glande testa notoriamente poco atta al raziocinio;
- scatozza: precisamente: ignorante, babbeo, scioccone; si tratta di una antica voce, ormai però abbondantemente desueta, nata in ambito teatrale dove fu il nome proprio di un ridicolo personaggio goffo, sciocco, stupido ed ignorante; uscito dall’ambito teatrale il termine trasmigrò come aggettivo in quello letterario dei poeti partenopei secenteschi, e da esso entrò nel linguaggio comune;
- sciabbecco: precisamente il bietolone, lo sciocco, lo stupidone aduso a piegarsi ad ogni vento, come che mentalmente vuoto e privo d’ogni opinione e/o cognizione; in origine lo sciabecco (dal turco sumbeki, attraverso un arabo šumbûk) indicò un lungo e stretto naviglio, veloce, ma – per la sua esile consistenza – facilmente preda dei venti e dei marosi;
- sciaddeo/sciardeo : esattamente lo sciocco, l’incapace buono a nulla ; rammenterò qui che sciaddeo/sciardeo son la medesima parola: nella seconda si è verificato il fenomeno del parlato popolare, d’estrazione osco-mediterranea, di rotacizzare la prima d, ma la parola è la stessa; per quanto riguarda l’ etimologia di sciaddeo escludo a priori che la si debba riferire al nome dell’apostolo Giuda Taddeo - che con sciaddeo à solo una tenue assonanza, non risultando da nessuna sacra scrittura (vangeli – atti degli apostoli – lettere etc.) che il suddetto Giuda Taddeo fosse uno sprovveduto o un incapace,- e propendo per il verbo greco skedao= comportarsi da sbandato e/o sprovveduto; ancora ricorderò che dalla femminilizzazione di sciardeo,cioè da sciardea si trasse il diminutivo sciardella nel significato di donna inetta, di casalinga incapace di fare i donneschi lavori di casa con attenzione e secondo i crismi dovuti; a Napoli è 'na sciardella la casalinga che lavi le stoviglie, facendosele scappare di mano e rompendole, che lavi i pavimenti con poca acqua, che spolveri superficialmente, che riponga gli abiti in modo raffazzonato, cosí che riprendendoli uno li trovi stazzonati e gualciti al punto di non poterli indossare, una donna insomma inetta ed inaffidabile, una sbadata patentata.
Esiste anche un peggiorativo del termine sciardea -sciardella ed è sciuazza, peraltro addolcimento – attraverso l’epentesi di una efelchistica u – di un’originaria sciazza (che è dal latino ex-apta=inadatta)inteso troppo duro o volgare;
- sciamegna/sciamenchia: e cioè lo sciocco, il grullo, l’allocco; la parola, con un arzigogolo mentale, trasferisce una probabile deficienza corporale ad una ben piú grave deficienza mentale: etimologicamente infatti la parola deriva da un (mo)scia + megna o(mo)scia + menchia dove megna/menchia stanno ovviavente per minchia (che è dal latino méncla collaterale di mèntula diminutivo di menta = membro maschile) nella pretesa che un uomo impossibilitato o incapace di avere un’erezione debba esser uno sciocco, uno stupido o un allocco;
- scialabbacchione: di per sé il balbuziente che come incapace di farsi capire, è conseguentemente stupido e sciocco; etimologicamente la parola, come accrescitivo (cfr. il suff. one) è un deverbale del latino ex-alapare = balbettare;
- sciosciammocca: come altrove, anche questo sciocco, credulone, facilmente circuibile, nasce come personaggio del teatro popolare partenopeo ed agí in numerose piéces comiche fino a quando il famosissimo commediografo Eduardo Scarpetta (Napoli 1853 -1925, padre naturale dei fratelli De Filippo: Eduardo, Titina e Peppino)non se ne impossessò, facendone una sua creazione, rendendolo protagonista – col nome di Felice o Feliciello Sciosciammocca - di innumerevoli pochade, molte delle quali tratte da originali francesi; dal teatro poi il nome sciosciammocca, diventato aggettivo dilagò nel parlato partenopeo; preciso qui che la parola sciosciammocca sebbene abbia ad un dipresso il medesimo significato della precedente moscammocca, non va confusa con essa in quanto la precedente fa riferimento a qualcuno che per ignavia lascia addirittura che le mosche gli passeggino in bocca, questo sciosciammocca a margine identifica colui che per ignavia ed inettitudine avrebbe bisogno di chi gli soffiasse in bocca per raffredare i bocconi troppo caldi che avesse ingurgitato;
- smocco ed il suo accrescitivo smuccone connotano il medesimo individuo sciocco, melenso, inetto di cui al precedente mucchione al quale vanno riferiti come intensivi, intensività rappresentata dalla solita prostesi della esse;
- stucchione/strucchione: propriamente il perticone, lo spilungone inteso come vuoto di mente o – per l’eccessiva altezza – perennemente con la testa nelle nuvole e quindi svagato e stupido; etimologicamente stucchione/strucchione provengono al napoletano, attraverso uno spagnolo estuche da un antico provenzale estug = canna secca e perciò vuota;
- tòtaro che sta per tòtano: originariamente un mollusco della specie dei calamari; il fatto che sia un mollusco à fatto pensare ad una sorta di mollezza caratteriale dell’uomo gratificato del termine tòtaro (etimologicamente da un greco teythís attraverso un latino tòtilus con normale cambio delle liquide l→r), quantunque di per sé il tòtano non sia sempre vuoto (come invece lo stupido cui si appaia) ed anzi venga quasi sempre preparato abbonbantemente imbottito (‘o totaro ‘mbuttunato) rammenterò a margine che con la parola tòtaro, nel comune parlato napoletano, con altra valenza, si indica pure il membro maschile eretto, al segno che nella smorfia napoletana al numero 67 è codificato: ‘o tòtaro dint’ â chitarra a significare il coito in atto;
- turzo: per significare lo sciocco, lo stupido completamente inutile, anzi da scartare tal quale il torsolo (per solito poco edibile) di ortaggi o torsolo di altro; in napoletano infatti ‘o turzo non è solo il torsolo di cavolfiore o broccolo, ma si ànno anche: ‘o turzo ‘e bbotta: il residuo di un fuoco d’artificio combusto, e ancòra ‘o turzo ‘e penniello: ciò che resta di un pennello da barba lungamente usato, perciò logoro ed inutile; tutti questi turzi sono inutilizzabili, da buttar via e – per traslato – stupidi, sciocchi etc. etimologicamente turzo è dal latino tursus = stelo, gambo;
- zimeo: siamo giunti alla fine della nostra elencazione e ci imbattiamo in una parola che serve ad indicare il finto tonto colui che in perfetta malafede, fa ‘o francese o se veste ‘a fesso facendo le viste di non capire o di non comprendere per esimersi dal compiere qualcosa cui invece (o per dovere o graziosità) sarebbe tenuto; per cui piú che con uno sciocco si à a che fare con un ignobile furbastro; etimologicamente zimeo risulta essere una popolaresca contrazione d’uno zio (zi’) (Bartolo)meo personaggio non meglio identificato, ma ricordato nel comune popolare come un avaro aduso a non addivenire mai a richieste di danaro, trincerandosi dietro la scusa di non aver capito.
A margine e completamento di tutte le voci trattate qui di sèguito esamino le voci astratte dell’italiano e del napoletano che ad esse si riferiscono; abbiamo per l’italiano:
cretinata s. f.
1 frase o azione da cretino: dire, fare una cretinata
2 cosa da nulla, di poco valore, facilissima; è voce costruita sull’a.vo/s.vo cretino che è dal franco-provenz. crétin, propr. 'cristiano', che, usato dapprima nel significato di 'povero cristiano, poveraccio', à poi assunto valore spregiativo
fessería s. f. (pop.)
1 azione, parola da fesso; stupidaggine: fare, dire fesserie
2 (estens.) cosa da nulla, sciocchezza, inezia: non badare, è una fesseria! Etimologicamente si tratta di uno sciocco adattamento del napoletano fessaría (vedi oltre) operato attraverso una pretestuosa assimilazione vocalica progressiva che à trasformato in e la a della sillaba sa (cfr. fessaría) etimologicamente ineccepibile derivata com’è dal s.vo fessa; si tratta insomma di una incomprensibile mutazione che opera il toscano trasformando un’aperta A etimologica (da fessa → fessaria) per adottare una piú chiusa E (fessaría vien trasformata in fessería) nella sciocca convinzione che la vocale chiusa E sia piú consona dell’aperta A alla elegante (?) lingua di Alighieri Dante…
scemenza s. f. (fam.)
1 l'essere scemo, insulso: questa è una prova di scemenza da parte tua
2 atto, frase da scemo: non diciamo scemenze!; la voce quanto all’etimo è un derivato di scemo ( che è un deverbale del lat. volgare lat. *exsemare, comp. di ex- 'via da' e un deriv. di símis 'metà'); a scemo è stato aggiunto il suffisso (delle voci collettive ed astratte) enza derivato dal lat. ens→entia→enza suffisso anticamente usato nel linguaggio poetico (cfr. Rohlfs);
scempiaggine s. f.
1 l'essere scempio, sciocco
2 atto, frase da scempio; sciocchezza. la voce, oramai non molto in uso, quanto all’etimo è un derivato di scempio = privo di senno ( scempio è dal lat. tardo simplu(m), variante del class. simplex -pli°cis 'semplice') per pervenire a scempiaggine all’a.vo/s.vo scempio si è aggiunto il suffisso aggine (delle voci collettive ed astratte) derivato (cfr. Rohlfs) dal lat. ago→agine→aggine;
sciocchezzas. f.
1 l'essere sciocco: è stato di una sciocchezza imperdonabile
2 atto, frase da sciocco: fare, dire sciocchezze
3 cosa da nulla, di poco valore: regalare una sciocchezza; per lui fare questo è una sciocchezza; costa una sciocchezza, un prezzo irrisorio; quanto all’etimo è un derivato di sciocco (che è dal lat. lat. exsuccu(m) 'privo di sugo', comp. di ex-, con valore privativo, e succus 'sugo, sapore') addizionato del suffisso ezza usato per formare da gli aggettivi dei nomi astratti; tale suffisso è derivato (cfr. Rohlfs) dal lat. itia;
stupidata s. f.
1 atto, discorso stupido.
2 (fam.)
cosa senza importanza, di valore irrisorio non ringraziarmi di questo omaggio, si tratta di una stupidata;quanto all’etimo è un derivato di stupido (che è dal lat. stupidu(m), deriv. di stupíre 'stupire'.

E veniamo alle voci astratte, relative alla voce in epigrafe, del napoletano che sono sono:
fessaría s.vo f. astr.
1 azione, parola da fesso; stupidaggine;
2 (estens.) cosa da nulla, sciocchezza, inezia; come ò chiarito precedentemente etimologicamente è voce ricavata dall’a.vo fessa femminile di fesso= sciocco balordo (p.p. del lat. fendere) addizionato del suffisso tonico greco ía delle voci astratte, cui è stata aggiunta (epentesi) una r eufonica donde ía→ría ; rammento che la voce a margine è pervenuta nel toscano che l’à impropriamente ed inutilmente stravolta in fessería ritenuto, ma a torto!, piú elegante di fessaría
‘nzepetaría s.vo f. astr.
1 azione, parola insulsa, priva di sapidità, stupidaggine;
2 (estens.) cosa da nulla, sciocchezza, inezia;
3 comportamento svenevole, sdolcinato, lezioso; etimologicamente la voce è costruita sull’a.vo ‘nzipeto addizionato del suffisso tonico greco ía delle voci astratte, cui è stata aggiunta (epentesi) una r eufonica donde ía→ría; ‘nzípeto è l’acc.vo lat. (i)nsipidu(m) con tipico passaggio di ns→nz (cfr. ‘nzalata, ‘nzieme etc.) e passaggio della sonora d alla sorda t come nelle parole sdrucciole;

‘ntrugliaría s.vo f. astr.
1 azione da sciocco,babbeo,stupido,parola insulsa o tendente all’inganno,;
2 (estens.) cosa da nulla, sciocchezza senza valore, stupidaggine, inezia; etimologicamente la voce è costruita sul s.vo ‘ntrúglio addizionato del suffisso tonico greco ía delle voci astratte, cui è stata aggiunta (epentesi) una r eufonica donde ía→ría; a sua volta ‘ntruglio che in primis vale pasticcio , mescolanza disgustosa di cibi o bevande, (fam.) medicina di cattivo sapore e per estensione: scritto, discorso, lavoro raffazzonato,azione ingannevole; etimologicamente è un deverbale di (i)ntrugliare che lascia supporre un tardo lat.*intrullare= mescolare con la trulla diminutivo di trua=mestola

puttanata s.vo f. astr.
1 in origine azione da puttana, poi notizia inverosimile,,stupida,sciocca, ed infine parola insulsa o tendente all’inganno,;
2 (estens.) cosa incredibile , sciocchezza senza valore, stupidaggine, inezia; etimologicamente è voce costruita sul s.vo puttana derivata dal fr. ant. putain, (cfr. pute, f. di put, che è dal lat. puti°du(m) 'puzzolente');
scemaría s. f. (fam.)
1 l'essere scemo, insulso;
2 atto, frase da scemo: nun dicimmo scemaríe!;
3 un tempo (ora non piú) la voce fu usata nel parlato comune della città bassa per indicare una casa di cura dove venivano ricoverati i folli e/o dementi: la piú conosciuta fu la cosiddetta ‘a scemaría ‘e Miano (Miano è un popoloso ed anche malfamato (camorra) quartiere della periferia nord di Napoli);
quanto all’etimo la voce è un derivato di scemo ( che è un deverbale del lat. volgare lat. *exsemare, comp. di ex- 'via da' e un deriv. di símis 'metà'); a scemo è stato aggiunto il suffisso tonico greco ía delle voci astratte, cui è stata aggiunta (epentesi) una r eufonica donde ía→ría;
smuccaría/smucchézza s.vi f. astratti
1. (pop.) Atto, comportamento o parole da babbeo, da sciocco: nun dicere smuccaíe!
2. (fig.) Cosa trascurabile, di nessun valore; inezia 4etimologicamente sia smuccaría che smucchézza sono derivati di smocco (cfr. antea)= sciocco, babbeo; smuccaría è stato ottenuto con il suffisso tonico greco ía delle voci astratte, cui è stata aggiunta (epentesi) una r eufonica donde ía→ría, mentre per smucchezza ci si è serviti del suff. tonico ézza usato per formare da gli aggettivi dei nomi astratti; tale suffisso è derivato (cfr. Rohlfs) dal lat. itia;
zòrbia s.vo f.
in primis la voce a margine vale
1 scarto, feccia, fecciume; per estensione semantica vale
2 canaglia, marmaglia; ed infine per traslato sta per
3 sciocchezza,cosa inutile, stupidità; etimologicamente è l’unica delle voci napoletane non costruita con i soliti suffissi: ría o ezza. Si tratta infatti di voce derivata direttamente dall’arabo šurba/ šarba = sciroppo,e non dall’arabo-persiano sciorbah o tsciorbach (che diede il napoletano sciorba= zuppa) dove trae origine da un tema verbale sciaríba= bere in quanto trattasi di zuppa molto liquida; con il medesimo termine sciorbah o tsciorbach in Turchia si indica una lenta vivanda a base di riso.
E qui penso proprio di poter mettere un punto fermo. Satis est.
Raffaele Bracale

BUZZURRO MALEDUCATO ROZZO etc.

BUZZURRO MALEDUCATO ROZZO etc.


Anche questa volta,come feci alibi parlando di anticchia, lenticchia etc., prendo spunto da una richiesta fattami da un caro amico, facente parte della Ass.ne Ex Alunni del Liceo classico G.Garibaldi di Napoli, amica di cui, per questioni di privatezza, mi limiterò ad indicare le sole iniziali di nome e cognome: N.C. e mi soffermo parlare delle voci italiane in epigrafe e delle corrispondenti voci del napoletano. Cominciamo dicendo che in italiano per indicare un soggetto proclive alla villania e/o a comportamenti ineducati si usano una o piú delle seguenti voci:
buzzurro s. m. [f. -a] 1 nome che si dava in Toscana ai montanari svizzeri che d'inverno scendevano a vendere caldarroste, castagnaccio e/o polenta oppure ad esercitare il mestiere di spazzacamino;
2 soprannome affibbiato a Roma, dopo il 1870, ai piemontesi e agli altri invasori settentrionali trasferitisi nella capitale;
3 (estens.) persona rozza, villana, zotica.
Per ciò che riguarda l’etimo, checché ne dica il D.E.I. che pilatescamente si trincera dietro uno sconfortante etimo sconosciuto, penso che ben si possa seguire l’idea di Ottorino Pianigiani che postulò una derivazione dal tedesco putzer→buzzer= che netta, che pulisce, azioni semanticamente vicinissime a quelle dello spazzacamino;
maleducato agg. e s. m. [f. -a] generica voce usata per indicare che, chi non à avuto una buona educazione; screanzato, villano: una persona maleducata; è un bel maleducato! Per ciò che attiene all’etimo è voce formata dall’addizione di male (avv. derivato dal lat. male, avv., deriv. dell'agg. malus 'cattivo' nel significato di 1 in modo non buono, non equo, non giusto; 2 in modo non soddisfacente, non conveniente, non rispondente alle aspettative: non in conformità con le leggi morali o le convenzioni sociali)unito ad educato in funzione di agg.: che à ricevuto una buona educazione; cortese, garbato, gentile; educato è il p. p. del verbo educare (= formare con l'insegnamento e con l'esempio il carattere e la personalità di qualcuno, spec. dei giovani, sviluppandone le facoltà intellettuali e le qualità morali secondo determinati principi; verbo che è dal lat. educare, intensivo di educere 'trarre fuori, allevare', comp. di ex- 'fuori' e ducere 'trarre';
rozzo : agg.vo 1 si dice di cosa ancora ruvida, non ben levigata o rifinita: pietra rozza; lana rozza, grezza; muro rozzo, non intonacato | (estens.) non finito di lavorare, ancora in abbozzo: mobile, disegno rozzo
2 (fig.) non ingentilito, non raffinato, non dirozzato: un uomo rozzo; parole rozze; una civiltà ancora rozza
3 sgarbato, maleducato: avere modi molto rozzi
è voce derivata dal lat. volg. *rudius, compar. neutro di rudis; cfr. rude;
grossolano : agg.vo 1 poco fine, di esecuzione poco accurata; ordinario, dozzinale: una stoffa grossolana; un lavoro grossolano
2 approssimativo, non preciso: un conto grossolano
3 di modi volgari e poco raffinati, di scarsa educazione: gente grossolana; un uomo grossolano; tenere un comportamento grossolano ' scherzi grossolani, volgari, di cattivo gusto | errore grossolano, enorme, marchiano;
derivato dal lat. tardo grossu(m) + il suff. di pertinenza aneus→ano ed epentesi eufonica del suono consonantico;
rustico: agg.vo 1 di campagna: fondo rustico | stile rustico, che arieggia quello campagnolo | pizza rustica: pasticcio ripieno di formaggi, carne, salumi e aromi vari
2 (fig.) riferito a persona, poco socievole, scontroso, rozzo: un uomo dal carattere rustico; avere modi rustici, villani | (estens.) semplice, alla buona: una cena rustica
3 detto di cose, grezzo, non rifinito: facciata rustica, senza intonaco;
deriva dal lat. rusticu(m), che è da rus ruris 'campagna';
sgarbato/a agg. e s. m.e f. [f. -a]
1 che non à garbo, sgraziato: una risata sgarbata
2 che si comporta in modo poco garbato, poco cortese: un impiegato molto sgarbato | che denota scortesia: risposta sgarbata; contegno sgarbato | persona sgarbata. Per ciò che attiene all’etimo, è voce formata da una s distrattiva + l’agg.vo garbato (derivato di garbo 1 che à compitezza nel comportarsi e nel trattare con gli altri; amabilità, cortesia 2 chi à modo aggraziato di eseguire una cosa: scrivere, dipingere con garbo | a garbo, come si deve, per bene, a modo: un lavoro fatto a garbo
3 che à esattezza, finitezza di forme; linea armoniosa che si conferisce a un oggetto mediante un accurato lavoro di modellatura e rifinitura; quanto all’etimo l’aggettivo garbato è un denominale di garbo che è forse (quest’ ipotesi è infatti morfologicamente poco convincente…) garbo e conseguentemente garbato è dall’ a. a. tedesco garwî= ornamento, forma ma piú probabilmente dall’arabo qalib= modello, sagoma passato nel francese med. come galbe donde il ns. garbo;
villano/a agg. e s. m.e f. [f. -a]

1 (ant. , lett.) abitante della campagna: però giri Fortuna la sua rota / come le piace, e 'l villan la sua marra (DANTE Inf. XV, 95-96) | cfr. il proverbio : carta canta, villan dorme, quando si à in mano qualcosa di scritto, si può stare piú tranquilli che i patti vengano rispettati
2 (spreg.) persona rozza, priva di garbo e cortesia: comportarsi da villano; non fare il villano! | villano rifatto, rivestito, ripulito, si dice di chi è diventato ricco o è salito socialmente, ma à conservato animo e modi rozzi | cfr. il proverbio : scherzi di mano, scherzi da villano. anche agg.vo 1 rozzo, scortese, maleducato: un atto, un modo villano; un ragazzo villano; 2 (ant.) crudele, spietato: Morte villana, di pietà nemica, / di dolor madre antica; quanto all’etimo la voce villano è dal lat. tardo villanu(m), deriv. di villa;
tànghero/a agg.vo m.le e f.le voce a carattere offensivo usata per indicare una persona grossolana, rozza, maleducata per natura e/o per scarsa educazione, materiale, ordinaria e spesso villana soprattutto nel comportamento piú che nel modo d’esprimersi; circa
l’etimologia non vi sono certezze, ma a mio avviso la voce appare un adattamento dell’ant. fr. tangre = ostinato (nella rozzezza);
zotico/a agg.vo m. e f. [pl. m. –ci pl. f. che] villano/a, rozzo/a, incivile: un uomo zotico; maniere, espressioni zotiche
anche s. m. e f. persona zotica. quanto all’etimo la voce zotico è con ogni probabilità dal lat. (i)dioticu(m) agg.vo di idiota= che è chi conduce vita privata, persona rozza, incolta,ignorante, uomo privato', che come tale fu considerato 'incompetente, inesperto' rispetto a chi rivestisse incarichi pubblici; altra ipotesi è che zotico sia dal gr. zotikós 'pieno di vita' e tale ipotesi si spiegherebbe semanticamente col fatto che chi è pieno di vita e/o vitalità è esuberante fino ad essere scostumato per eccessiva vitalità; altra opinione, infine cui mi sento di potere aderire è che zotico derivi dal lat. ex-òticus= forestiero e dunque ignaro delle regole, costumanze e corretti usi del paese in cui ci si trovi con conseguenti comportamenti rozzi, villani o addirittura incivili. Quest’ultima ipotesi, per il vero, appare un po’ forzata quanto alla morfologia perché è rarissimo il passaggio della x latina a z.

Esaurite cosí ad un dipresso le voci dell’italiano, veniamo al napoletano dove troviamo:
banchiéro s.m. uomo maleducato e plebeo e per estensione, monello, bricconcello; per quanto riguarda l’etimo,una scuola di pensiero fantasiosamente ipotizzò fosse parola derivata dai comportamenti non del tutto signorili, quando non truffaldini, tenuti dagli addetti (banchieri) fiorentini ai banchi di cambiavalute ed affini, addetti fiorentini che nell’epoca medioevale operarono nella città di Napoli; è idea però che non convince assolutamente, non essendo né accertati, né attestati comportamenti poco signorili se non truffaldini di quei tal fiorentini, ed alla luce del sostantivo banchèra (donna ciana, cialtrona, spregevole e plebea) corrispettivo al femminile della voce a margine, penso che ambedue le voci banchiéro e banchèra siano da collegarsi alla voce banco (mobile a forma di tavolo allungato che negli esercizi commerciali o nei mercatini popolari separa i venditori dai compratori, a volte con vetrine per l'esposizione della merce, voce derivata dal tedesco *bank 'sedile di legno') e semanticamente il collegamento tra banco e comportamento rozzo, villano, spregevole è da cercarsi nel fatto che chi avesse, specialmente nei mercatini rionali, un banco per la vendita al minuto di merci e/o vettovaglie agiva in maniera non signorile anzi piuttosto rozza e villana, essendo spesso tali venditori ( e lo vedremo qui di seguito) degli ineducati contadini o montanari che offrivano direttamente i prodotti che avevano loro stessi coltivato in campagna o in altura. A margine di tutto ciò sottolineo che in napoletano il suffisso maschile iéro/e(dal francese ier cfr. G. Rohlfs) al femminile perde il dittongo diventando èra come ad es. alibi salumiero/e ma salumèra;
calandriéllo s.m.ed esclusivamente maschile : un’eventuale femminile calandrella e lo vedremo qui di sèguito è voce di diverso significato ed etimologia. Il termine calandriello indica in primis un calzare da montanaro, ciocia e per traslato villano, rozzo, scortese, maleducato come è inteso comunemente chi provenga dal monte; rammento che la voce a margine – con piccoli adattamenti morfologici – è presente in un po’ tutti i linguaggi regionali del ns. meridione e dell’area mediterranea; per quanto riguarda l’etimo si tratta di un diminutivo (cfr. il suff. iello) di un’originaria calandra che il D.E.I. dice voce derivata da una base mediterranea cal- donde calo/calonis e caliga che indicavano appunto calzature di tipo rustico; il nome della calzatura passò poi ai montanari che la usavano; ricordo ancóra che il napoletano oltre la voce calandriello à anche la voce calandrella che a tutta prima a gli sprovveduti potrebbe apparire essere il femminile di calandriello ma non è cosí essendo calandrella voce affatto originaria di diverso etimo e significato: ora del primo pomeriggio allorché il sole scotta maggiormente ; l’etimo di calandrella è dallo spagnolo calenturilla diminutivo di calentura= calore febbrile;
cafone s. ed agg.vo m. villano,zotico, contadino, montanaro villanzone, rozzo, scortese, maleducato proveniente dalla provincia napoletana;il medesimo villano,zotico, contadino, montanaro proveniente da province diverse da quella napoletana, in napoletano è indicato come cafone ‘e fora ; E su ciò non v’à questione; si è d’accordo un po’ tutti. Il problema sorge quando si comincia a congetturare intorno all’etimologia della parola..Ci sono numorose opinioni : in primis quella che, partendo da scritti di Cicerone(Filippiche ed altro), riallaccia la voce cafone ad un nome personale di origine osca: Cafo riferito con tono spregiativo ad un uomo incolto e villano; altra opinione è quella che riallaccia il termine cafone al verbo osco(la cui esistenza, peraltro, non è provata) *kafare= zappare.Segnalo infine la proposta (che mi pare migliore di altre) dell’amico prof. Carlo Jandolo, proposta, ripresa peraltro da quella di G.Alessio, che collega la parola cafone al greco: skaphèus, collaterale di skapaneus= contadino, zappatore.
Escludo altresí, in quanto da ritenersi leggende metropolitane, le idee che cafone possa derivare dal fatto che gli abitanti dell’entroterra o della piú remota provincia onnicomprensivamente detti cafune, giungendo in città,vi camminassero legati gli un gli altri con una fune, o l’altra idea che fossero detti cafune gli abitanti dell’entroterra o della piú remota provincia che venissero in città ad acquistare bestiame e vi giungessero armati di fune per legare e tirar via le bestie comprate.
Ciò annotato passo ad indicare quella che per un periodo fu la mia diversa opinione fondata sul fatto che, storicamente, nel tardo ‘800 ed ai principi del ‘900 eran definiti, nel parlar comune,cafoni non solo gli zappatori, i villani e consimili, ma estensivamente un po’ tutti gli abitanti o i nativi dei paesini dell’entroterra campano, paesini arroccati sui monti ,-come quelli del sannio- beneventano, del casertano o dell’ alta Irpinia - difficili da raggiungere e chi li raggiungeva con carretti o altro aveva bisogno di aiuto per ascendere fino al paese propriamente detto. A tale bisogna provvedevano nerboruti paesani che scendevano incontro ai visitatori , ed erano armati di robuste funi con le quali aiutavano nell’ascensione le persone bisognose d’aiuto.Tali paesani erano indicati con la locuzione “chille cu ‘a fune o chille c’’a fune “ id est: quelli con la fune. Da c’’a fune a cafune il passo è breve e d è ipotizzabile che con esso termine si indicassero tutti gli abitanti dell’entroterra o della piú remota provincia. cafune è comunque un plurale. Il singolare cafone pensai si era potuto formare successivamente tenendo presente i consueti fenomeni metafonetici della lingua napoletana alla stregua di guaglione che al plurale fa guagliune. Trascorso del tempo ad una piú attenta lettura ò dovuto tuttavia convenire che la mia non fosse ipotesi propriamente scientifica e che anzi potesse giustamente apparire un’ipotesi paretimologica percorribile sí, ma poco convincente.
Ed è perciò che una volta segnalata, faccio un passo indietro, atteso che solo gli stupidi non cambiano mai idea, e mi accodo ben volentieri alla proposta (che mi pare migliore di altre) dell’amico prof. Carlo Jandolo, proposta, ripresa per il vero da quella di G.Alessio (ma assente peraltro nel D.E.I.), che collega la parola cafone al greco: skaphèus, collaterale di skapaneus= contadino, zappatore
Cazzeo/a/cazzero/era a.vo e s.vo m. e f. tànghero/a, villano/a, zoticone/a, grossolano/a, rozzo/a, maleducato/a. Etimologicamente è voce derivata dall’addizione del s.vo cazzo e del suffisso di pertinenza ero→eo/era→ea; la voce cazzo(membro virile, pene, voce derivata dal greco akation= albero della nave e fu voce del linguaggio gergale dei marinai) è spesso e qui usata figuratamente in senso spregevole per indicare una persona sciocca, minchiona cosí come ad es. in cazzone= scioccone, babbeo;
chiòchiaro/chiòchiero: sost. ed agg.vo m. voce ancóra viva nell’icastico linguaggio popolare, voce usata per indicare (come ampliamento semantico) il villano, lo scostumato rozzo individuo proclive al comportamento ineducato, ma usata in primis per indicare il melenso, lo sciocco, il babbeo di zucca vuota,ed in tale accezione la voce è accompagnata per solito da un gesto offensivo consistente nel far muovere velocemente ed alternativamente l’inalberato avambraccio a dritta e mancina, tenendo la mano destra drizzata verso l’alto con le dita unite in modo che il polpastrello del pollice , tocchi contemporaneamente tutti gli altri; etimologicamente piú che allo spagnolo chocho =molle, vuoto, pare che debba riferirsi al latino cochlea = conchiglia, considerata nel momento che sia vuotata del suo frutto;non è però da scartar l’ipotesi che la parola, usata anche per designare lo zotico villano, possa collegarsi alla voce chiochia che è variante di ciocia (termine dall’etimo sconosciuto, di àmbito laziale usato per indicare un particolare tipo di calzatura indossata dai contadini) alla voce chiochia unendo il tipico suffisso di competenza aro/ero si arriva ai nostri chiòchiaro/chiòchiero;
ciamàrro/tamàrro s.m. letteralmente in primis bestia da macellare e per traslato zoticone, villano, rozzo, incivile; etimologicamente sia nella forma ciamàrro che in quella di tamàrro son da collegarsi allo spagnolo zamàrro= fiacco, zotico;
ciampruósco/zampruósco s.m. letteralmente in primis grossa scarpa, scarpone, scarpaccia e per traslato zoticone, villanzone,tanghero,screanzato; voce esclusivamente maschile (non appare attestata un femminile ciamprosca/zamprosca); è voce che etimologicamente pare derivare da una base zampra/ciampra (dal francese chambre) addizionata del suffisso uósco forse adattamento del suffisso dispregiativo, diminutivo del lat. cl. usculus; la base zampra/ciampra è la medesima presente anche in zambracca (1 cameriera sudicia e sciatta, 2 (estens.) prostituta 3 serva di infimo conio, fantesca addetta alla pulizia dei cessi); la voce zambracca origina dall’addizione del suffisso dispregiativo acca (accia) con la parola zambra (che è dal francese chambre) in francese la voce chambre indicò dapprima una generica camera, poi uno stanzino ed infine il gabinetto di decenza.Semanticamente essendo la voce chambre nell’ultima accezione di natura spregiativa si presta sia alla formazione del s.vo dispregiativo zambracca, sia alla formazione dell’ugualmente dispregiativo s.vo zampra/ciampra→ zampruósco/ciampruósco = scarpone, scarpaccia;
cutecóne s.m. ad litteram: coticone e cioè sordido, taccagno, untuoso spilorcio; e per ampiamento semantico anche zotico, villano; parola accrescitivo di cotica dal b.latino cutica(m)=cotenna;

furetano/a sost.m. e femm.le = campagnolo/a, contadino/a voce derivata dal b. lat. foritanus/a tratto da foris= fuori (il contadino, il campagnolo vengono ovviamente da fuori città e sono accreditati di essere carenti di educazione e perciò villani, rozzi villanzoni,tangheri);
‘gnurante a.vo m. e f.1 che non sa, non conosce, non è informato; che è privo del tutto o in parte di determinate nozioni: essere ignorante di musica, in matematica | (assol.) non sufficientemente preparato nello studio o nella professione, nel mestiere che fa: uno scolaro, un giornalista, un tecnico ignorante.
2 che non ha istruzione, che è senza cultura: una persona ignorante
3 (fam.) privo di buona educazione e dunque zotico, villano, rozzo; etimologicamente la voce a margine risulta essere un adattamento dialettale del particio presente ignorante del verbo ignorare (dal lat. ignorare, deriv. di ignarus 'ignaro’); il verbo ignorare è comunque estraneo al napoletano;
‘ndurrone/a a.vo e s.vo m. e f.zoticone/a, villano/a,incivile; etimologicamente è voce ricavata dall’addizione di un in (illativo) + l’agg.vo lat. duru(m) nel significato di sgraziato, rozzo, impudente, spiacevole, con raddoppiamento espressivo della liquida r ed aggiunta di un suffisso accrescitivo (one/a);
Pacchiano/a questa volta, ci troviamo difronte ad una parola (sost. ed agg.vo m. o f.) oramai pressoché desueta , ma che fu molto usata negli anni tra il ’40 ed il ’50 dello scorso secolo e fu usata per indicare i contadini, i provinciali ed estensivamente gli zoticoni ed i rozzi provinciali provenienti dai paesi (nei quali per altro si rifugiarono parecchi napoletani per sfuggire ai bombardamenti della seconda guerra mondiale) della campagna partenopea (da non confondere dunque con i cafoni per solito provinciali di montagna).
Ancora piú estensivamente con il termine pacchiano si identificò il villano, il rozzo provinciale fisicamente ben pasciuto, e con il corrispettivo pacchiana la contadinotta di generose forme, quella contadina, detta affettuosamente ‘a pacchianella ‘e ll’ova, che ogni giorno era solita rifornire le case dei cittadini sfollati id est:fuggiti dalla città, di generi alimentari freschi (uova, formaggi,insaccati, latte, burro nonché verdure ed altri prodotti dell’orto).
Chiarito ad un dipresso il concetto di pacchiano/a, passiamo a parlare brevemente della sua etimologia.
Sgombriamo súbito il campo da quella che – a mio avviso – è solo una graziosa, ma pretestuosa paretimologia e cioè che con la parola pacchiana e poi il corrispondente maschile si indicasse, contrariamente al cafone che è montanaro, la contadina, la villana e poi il contadino, il villano che giungessero in città p’’a chiana attraverso cioè la pianeggiante campagna. È altresí da escludere una pretesa derivazione onomatopeica da un ipotizzato, ma non spiegato suono pacchio.
Cosa mai produrrebbe nel pacchiano il suddetto suono? Non è dato sapere!...
Un’altra tentazione è che il termine pacchiano/a possa collegarsi al sostantivo italiano pacchia =gran mangiata e per estensione: vita beata e tranquilla, gioiosa ed allegra (dal latino: patulum→pat’lum→pac’lum→pacchio e pacchia = cibo,pasto),oppure che il termine pacchiano/a possa essere un deverbale di pacchiare: vivere beatamente, satollandosi di cibo e/o altro, senza quasi fatica; a me non pare però che, per quanto ben nutriti e satolli, i contadini durino una vita che sia solo una pacchia; ugualmente penso sia da scartare l’ipotesi che pacchiano/a possan derivare da un tardo latino regionale pachylus →pachilós derivato da un pachýs greco ="grassoccio"; il latino regionale pachylus aveva già dato il nap. pachialone= uomo basso grasso e d’indole bonaria.
Non resta dunque che aderire, per l’etimologia di pacchiano, a quanto proposto dal grandissimo prof. Rohlfs che ne congettura una derivazione per metatesi dal sostantivo chiappa (forgiato su di una radice indoeuropea klapp) nel significato però non di sasso sporgente, ma di natica, elemento sporgente del corpo umano, tenendo presente la morfologia fisica del pacchiano o piú spesso della pacchiana, dotati quasi sempre di sostanziose natiche sporgenti.
ruónto sost. ed agg.vo solamente m.le, non è attestato, né codificato un ipotetico femminile ronta; è antica parola (cfr. D’Ambra, Andreoli, P.P.Volpe etc.) ormai desueta che valse plebeo, villano, volgare; di non tranquilla lettura l’etimo; scartata (per patente differenza di significati) a mio avviso una derivazione dal lat.ro(tu)ndu(m)→rondu→ruondu→ruontu non resta che pensare ad una derivazione dal lat. rudis= rozzo, inesperto, ignorante, incapace quantunque morfologicamente passare da rudis a ruonto comporta un cammino non chiaro e difficilmente perseguibile;
scrianzato/a agg. e s. m.e f. ineducato/a, scortese, che, chi è senza creanza; maleducato/a;
chiarissimo l’etimo in quanto la voce a margine è formata sulla voce crianza (creanza,compitezza, gentilezza dallo sp. crianza, deriv. di criar 'allevare, educare', che è dal lat. creare 'creare') con la protesi di una s distrattiva;
scurbutéco/a agg. e s. m.e f. di per sé in primis indica chi è affetto da scorbuto e solo figuratamente che, chi à un carattere scontroso, aspro, rozzo, volgare e scostante;
tranquillo l’etimo derivando la parola dall’unione del suffisso aggettivale eco/eca →ico/ica con il sostantivo scurbuto (scorbuto che è dal lat. scient. mediev. scorbutus, derivato dall'ant. scandinavo skyr-bjugr, nome di una malattia (bjugr) causata dal latte cagliato;
tàmmaro/tamarro agg.vo e s. maschile e solo maschile: non è né attestato, né né codificato un ipotetico femminile tàmmara; è un antico sostantivo (presente già nel D’Ambra, Andreoli, P.P.Volpe ed altri ) nel significato di colono,contadino e pure per ampiamento semantico sbirro; oggi è parola ancóra vivanel linguaggio popolare e vale ( epperò ormai solo come aggettivo) rozzo, volgare, ignorante , zotico e scostante; quanto all’etimo le parola nella doppia morfologia derivata dall’arabo tammar = produttore e poi mercante di datteri; la voce napoletana è stata altresí influenzata dall’ omonimo ebraico tammar = pianta da datteri; semanticamente l’accostamento tra l’arabo tammar = produttore e poi mercante di datteri e la voce napoletana tàmmaro è da ricercarsi nel fatto che nell’inteso comune il colono, il contadino e pure lo sbirro oltre che il mercante sono individui carenti di educazione e buone maniere e dunque rozzi, volgari, ignoranti, zotici e scostanti;
terrazzano sost.vo maschile e solo maschile: non è né attestato, né né codificato un ipotetico femminile terrazzana; è altro antico sostantivo (presente già nel D’Ambra, Andreoli, P.P.Volpe ed altri ) nel significato di colono,contadino, nonché nativo ed abitante di un sobborgo rurale; per ampliamento semantico persona rozza, incolta, volgare quali normalmente sono intesi coloro che si dedicano al duro lavoro dei campi. Etimologicamente è parola derivata dal lat. mediev. terrazanu(m), deriv. del class. terra 'terra'; normale nel napoletano il raddoppiamento espressivo della z;
zampàmpero o in una forma contratta zàmpero; la forma a margine zampàmpero è sost.vo ed agg.vo maschile e solo maschile:infatti non è né attestato, né codificato un ipotetico femminile zampàmpera, mentre la forma contratta zàmpero è anche usata al femminile zàmpera; quella a margine è voce nata intorno al 1830 nel significato originario di guitto, attore miserabile, persona che vive in modo misero, squallido, attore comico che recita in piccole compagnie girovaghe, attore da strapazzo passato poi a significare cafone, tanghero, zotico, villanzone quale normalmente fu inteso chi si dedicava al duro, oscuro lavoro di saltimbanco. Etimologicamente è parola derivata dal nome proprio d’un tal Luigi Anzampàber (mancano precisi dati anagrafici, ma il nome è riportarto nell’Enciclopedia dello Spettacolo di P. Gelli 1977, nonché nell’ Almanacco italiano pubblicato da Marzocco nel1960)
che appunto intorno al 1830 sosteneva le parti di Stenterello nella compagnia girovaga d’un tal Filippo Perini (anche di costui mancano precisi dati anagrafici); il cognome di Luigi Anzampàber venne nel corso del tempo variamente storpiato in Azempàmber, Azempambèr fino a Zampàmber donde i napoletani trassero il loro zampàmbero= guitto, attore miserabile, persona che vive in modo misero, squallido attore da strapazzo, attore comico che recita in piccole compagnie girovaghe, e poi cafone, tanghero, zotico, villanzone.
E veniamo alle ultime due voci per le quali ci troviamo in presenza di due parole usate in primis per indicare un oggetto e poi ,come accaduto per altre parole già esaminate (cfr. ciampruosco, calandriello etc.), passate ad indicare, per traslato, il villano, il rozzo, lo scortese, il maleducato come è inteso comunemente chi usi l’oggetto di cui qui di seguito:
zampitto s.m. ma nel traslato aggettivale anche femminile zampitta. In origine la voce a margine (s.vo maschile) indica un particolare tipo di calzatura rustica usata da contadini e/o montanari; nel traslato vale villano/a, villanzone/a, rozzo/a; etimologicamente il s.vo è legato alla parola zampa (di per sé
1)ciascuno degli arti degli animali; in partic., la parte dell'arto che tocca terra: le zampe del cavallo, del cane, della gallina, della mosca; le zampe anteriori, posteriori dei quadrupedi; animale a due, a quattro zampe; alzare, allungare le zampe | in cucina, la parte inferiore dell'arto, dal ginocchio in giù: una zampa di maiale arrosto | zampe di gallina, (fig.) rughe sottili che si formano intorno agli occhi | a zampa di gallina, (fig.) si dice di scrittura brutta e illeggibile.
2) spec. pl. (scherz.) gamba dell'uomo: camminare a quattro zampe, carponi; andare a zampe all'aria, cadere rovinosamente; (fig.) fallire | mano dell'uomo: qua la zampa!; giù le zampe!, si dice in tono minaccioso a chi cerca di mettere le mani su qualcosa
3) (non com.) gamba, piede di un mobile: le zampe della sedia, dell'armadio
4) struttura o dispositivo che per forma o funzione ricorda l'arto di un animale; quanto all ‘etimo si ritiene un incrocio di zanca con gamba di cui zanca è sinonimo.);
zappiéllo sost.vo e poi agg.vo maschile e solo maschile: non è né attestato, né codificato un ipotetico femminile zappélla; come s.vo indica una piccola zappa; la zappa è un attrezzo originariamente agricolo manuale usato nei lavori dei campi (ma poi (specialmente nella forma ridotta di zappetta) è oggetto usato anche da altri artieri: giardinieri, muratori ecc.); esso oggetto consiste in una lama, per lo piú di forma trapezoidale o rettangolare leggermente incurvata, infilata perpendicolarmente in un manico di legno; serve a rompere le zolle, fare solchi ecc. in napoletano la voce femminile zappetta (diminutivo di zappa che è dal lat. tardo sappa(m)) è diventata il maschile zappiello secondo il noto criterio che passim ò illustrato, per il quale gli oggetti maschili sono intesi piú piccoli ( anche ovviamente attraverso il diminutivo) dei corrispondenti femminili intesi piú grandi (cfr. ad es. alibi ‘a tammorra (piú grande rispetto a ‘o tammurro piú piccolo ), ‘a cucchiara(piú grande rispetto a ‘o cucchiaro piú piccolo) ‘a carretta (piú grande rispetto a carretto piú piccolo )unica eccezione: ‘o tiano (piú grande rispetto a tiana piú piccola )etc. ; l’oggetto a margine passò poi nel traslato aggettivale, ad indicare il villano, il villanzone il rozzo cosí come pensato, nell’inteso comune, l’artiere che usi l’oggetto a margine.
A questo punto, prima di chiudere mi piace aggiungere poche altre voci del napoletano che, quasi sempre per traslato, rendono quelle dell’epigrafe; e sono:catarchio, cozzale, racchio, scuonceco, scamuso zabbarrone zaffio zurlo esaminiamole singolarmente:
catarchio s.m. vale in primis babbeo, sciocco, sempliciotto, tonto e quindi per traslato rozzo, villano grossolano, rustico, selvaggio; sgarbato, maleducato, come sono intese le persone poco intelligenti, poco accorte; quanto all’etimo escluse le non convincenti lat. cathàrteum (=da purificare) e cathartum (=mota,fango,sudiciume) che semanticamente appaiono troppo lontane sia dal sigfnificato primo che da quello traslato, faccio mia l’opinione del Rohlfs che in catarchio lesse il greco katàrchaios (= decrepito, molto vecchio) che semanticamente si può piú facilmente accostare al sempliciotto, tonto e quindi per traslato rozzo, villano grossolano;
cozzale s.m. vale in primis nuca, collottola rasa ,tipica di certi ordini monastici ed in particolare dei frati conversi addetti alle mansioni piú umili ,quindi per traslato persona sciocca, sempliciotta, rozza, grossolana, rustica, come sono intese le persone umili battezzate per stolte, deficienti, imbecilli, scimunite; quanto all’etimo la voce appare un denominale del lat. reg. cotja collaterale di cocja( nuca, collottola) con il tipico passaggio del gruppo tj a –zz -
racchio/a s.vo ed agg.vo m.le o f.le letteralmente in primis piccolo grappolo stentato che resta sulla vite dopo la vendemmia; per traslato poi che, chi è rozzo/a, grossolano/a, brutto/a, sgraziato/a, avvizzito/a. La voce è molto usata al femminile. D’ etimo incerto, ma appare probabile una derivazione da un lat. parlato *rac(u)lu(m)→raclu(m)→racchio quale diminutivo di una forma latina marcata sul greco rax=acino d’uva;
scuonceco/sconceca agg.vo m.le o f.le ( voce deverbale formata attraverso la protesi di una esse (distrattiva) al verbo conciare= sciupare, rovinare che diede dapprima il termine scuoncio= sciupato, rovinato e poi con ampliamento di suffisso il termine a margine scuonceco= deforme, storpio ma anchesmagrito, deperito, smunto,sformato etc.e quindi inteso rozzo/a, grossolano/a, brutto/a, sgraziato/a;

scamuso/scamosa Antico, icastico aggettivo napoletano presente in tutti i dizionarî d’antan dal D’Ambra al P.P.Volpe all’Andreoli e negli scritti di autori dal ‘600 alla fine dell’ ‘800 e poi non piú riscontrato negli autori piú moderni, sebbene ancóra vivo nel parlato soprattutto del popolo della città bassa, aggettivo riferito con piccole differenze sia a soggetti animati che inanimati;
riferito a soggetti animati e piú precisamente a persone significa in italiano: rozzo, grossolano, rustico,grezzo e per ampiamento semantico si disse di persona magra ed allampanata;
riferito a cose inanimate(stoffe e/o oggetti ) vale nell’italiano: ruvido,squamoso,irto; riferito infine a negozio o bottega indica un locale rustico,malmesso,trasandato. Parlando dell’etimologia di scamuso, escludiamo súbito la facile ma fallace tentazione di un collegamento alla voce scamunéa/éja/era s.f. che con derivazione dal lat. *scammonia/scammonea che furono dal greco skammonía indicò in primis un’erba dal cui estratto si ricavava un purgante ed indicò poi (forse per un traslato espressivo) gente vile, bordaglia, unione di monelli e, piú genericamente, plebaglia, ma ognuno vede che semanticamente è difficile trovare il collegamento tra un’erba purgativa ed un vocabolo che vale malandato, messo male, mal ridotto, malsano; ugualmente non mi sento di poter accettare l’idea di chi propone per scamuso un collegamento etimologico con squamoso (cfr. antea); è vero che il significato di squamoso nell’accezione di ruvido, irto può – all’incirca – valere il napoletano scamuso come è pure vero che il nesso latino qua dà spesso il napoletano ca (cfr. ad es. exquassare→scassare) pur tuttavia non mi sento di accogliere la proposta che presupporrebbe un transito di accostamento ad un vocabolo della lingua italiana, accostamenti che ò sempre bandito e non per un colpevole provincialismo o sciovinismo, ma in nome di un’originaria derivazione di tutte le voci partenopee dagli antichi idiomi (latino, greco ed altro); d’altro canto nemmeno mi convice l’etimologia proposta dall’amico prof. Carlo Iandolo che lègge in scamuso una s intensiva che precede l’avverbio greco kamái = a terra ottenendo da skamái→scamuso; questa proposta, semanticamente mi appare troppo debole e morfomogicamente, alquanto forzata con quell’unione di greco (skamái) con un suff. latino (osus→oso→uso).
A questo punto non rimane che prender per buona l’antica idea che vede in scamuso un adattamento metaplasmatico dello spagnolo (e)scamocho che accanto al significato di avanzo e resto à pure quelli di persona magra, allampanata; d’altro canto nello spagnolo è anche vivo il verbo escamochar (guastare, sciupare) che à fornito altresí il verbo napoletano scamuscià/are nei significati di afflosciare, diventar floscio e/o senza forze.
zabbarrone s.vo m.le e solo m.le non appare attestata, quantunque sia ipotizzabile una zabbarrona ; vale in primis arruffone, acciabattatore, raffazzonatore e quindi per traslato rozzo, grossolano, rustico, selvaggio; sgarbato, maleducato, villano come è chi tenti di aggiustare, in modo approssimativo e frettoloso, una cosa mal fatta; la voce à un etimo iberico: zaborrero (residuo, cosa incompiuta, rabberciata);
zaffio o zaffo s.vo m.le e solo m.le; è voce che (con derivazione dall’iberico zafio ma non è da escludere un collegamento ad un lat. med. zaffo= servitore all’ordine d’un magistrato (sbirro)) vale in primis uomo violento, sbirro, e quindi anche esso per traslato rozzo, grossolano, rustico, selvaggio; sgarbato, maleducato, villano come è inteso chi usi mezzi violenti;
zurro/zurlo s.vo ed agg.vo m.le e solo m.le non appare attestata, quantunque sia ipotizzabile una zurra/zurla; si tratta di un’ unica voce dalla doppia morfologia: la seconda è solo un addolcimento della prima adottando la morbida consonante liquida laterale alveolare elle in luogo della piú dura consonante liquida vibrante erre; si tratta di voce pressoché desueta usata un tempo nel significato di rozzo, grossolano, rustico, villano (in linea con il suo etimo dall’iberico zurro(n)= rozzo); per ampiamento semantico valse anche furbo, scaltro semanticamente vicini a chi sia sgarbato, maleducato.
E qui penso di poter far punto convinto d’avere esaurito l’argomento e soddisfatto l’amico N.C. e chi dovesse leggere queste paginette.
Satis est.
Raffaele Bracale