mercoledì 15 settembre 2010

LAGNA – LAMENTO & DINTORNI

LAGNA – LAMENTO & DINTORNI
Questa volta è stato il caro amico G. G. (i consueti problemi di privatezza mi costringono ad indicare solo le iniziali di nome e cognome) a chiedermi di illustrare le eventuali differenze tra le voci in epigrafe e di indicargli le voci dell’idioma partenopeo che le rendono . Accontento lui e qualche altro dei miei ventiquattro lettori,entrando súbito in argomento.
Lagna s.vo f.le
1– Lamento insistente e noioso: finiscila con quella lagna!; per estens., di discorso o faccenda lunghi, interminabili, noiosi: che lagna questa conferenza!; protesta o lamento ripetuto, insistente | (estens.) testo, discorso, brano musicale lento, prolisso, noioso;
fig. anche riferito a persona lagnosa: quella l. di mio marito; sei proprio una lagna!
2 -anche cosa molesta, che dia motivo di lagnarsi: Lèvati quinci e non mi dar più lagna (Dante).
Quanto all’etimo è un deverbale del lat. lania(re) 'dilaniare', poi 'dolersi, lamentarsi', dall'abitudine delle prefiche di graffiarsi e strapparsi i capelli in segno di dolore.


Lamento s.vo m.le
1 suono, voce, parola che esprime dolore; per estens., verso di dolore di un animale: emettere, mandare, levare un lamento; un lamento straziante; il lamento di un cane ferito | lamento funebre, (etnol.) manifestazione rituale di cordoglio, espressa davanti alla salma nelle forme consacrate dalla tradizione (grida, nenie, gesti ecc.)
2 (estens.) suono flebile e triste: il lamento di un violino
3 espressione di risentimento; lagnanza, rimostranza: essere sordo ai lamenti altrui
4 componimento in versi, per lo piú di carattere popolare, in cui si esprime il dolore per la morte di una persona, diffuso soprattutto nel medioevo;
5 (mus.) composizione vocale che commemora un personaggio illustre; nell'opera, aria in cui il personaggio esprime la sua disperazione per la morte della persona amata.
Quanto all’etimo è dal lat. lamentu(m);
Gemito s.vo m.le
grido sommesso, lamento; voce di dolore (anche fig.): i gemiti dei feriti; il gemito del vento; il gemito del popolo oppresso. Quanto all’etimo è voce dal lat. gemitu(m)derivato da gemere;

guaito s.vo m.le
1 in primis verso acuto, breve e lamentoso emesso da animali, e spec. dal cane quando prova dolore
2 (estens.) lamento | (spreg.) stonatura nel canto, forzatura della voce.
Quanto all’etimo è voce deverbale di guaire che è dal lat. vagire 'vagire', con gu- iniziale di orig. germ.; cfr. ad es. guado;
lamentela s.vo f.le
lamento continuo o ripetuto; lagnanza: è una lamentela generale; si sentono lamentele sul suo conto.
Quanto all’etimo è voce derivata da lamentu(m) con suff. durativo ela come per querela, cautela ecc.
E passiamo alle voci napoletane che rendono quelle dell’italiano:

addiasillo s.vo m.le
lamento continuo o ripetuto; lagnanza, piagnisteo, querimonia; etimologicamente è voce ricavata corrompendo ed agglutinando in un sol termine l’espressione latina: dies irae, dies ille (giorno dell’ira, quel dí) inizio d’una sequenza della liturgia dei defunti del religioso francescano, poeta e scrittore Tommaso da Celano (Celano, circa 1200 – †Val dei Varri, circa 1270) autore appunto dell'inno Dies irae di due vitae di san Francesco d'Assisi, di una vita di santa Chiara, ed almeno due lodi del Poverello.

diasilla s.vo m.le
, mugolio, piagnucolio, lamento, pianto, querimonia, lamentazione, lagno; etimologicamente è voce derivata, come dalla precedente dalla corruzione ed agglutinazione in un sol termine della sola parte finale dell’espressione latina: (dies irae,) dies ille→diasilla (giorno dell’ira, quel dí)
gnagnera s.vo f.le piagnucolio, lamento insistente, fastidioso e non motivato di donna querula; quanto all’etimolo è voce, come attestato nella stragrande maggioranza dei maggiori dizionarii in uso (D.E.I. – Treccani – Garzanti ed altri) palesemente onomatopeica, presente in varie altre parlate regionali con significati analoghi; fa eccezione il solo D’Ascoli che fantasiosamente si inventò una derivazione da un non attestato spagnolo ñaña (lèggi gnagna )(escremento) in un suo bizzarro significato estensivo di fastidio.Dissento dal D’Ascoli toto corde e mi accodo ai D.E.I. – Treccani – Garzanti ed altri.
catalajo s.vo m.le voce antica ed ormai desueta; tuttavia talora la si ritrova, sulla bocca di vecchi partenopei della città bassa, corrotta in cantaguaje riferita a persona che sia solita lamentarsi di sue vere o piú spesso presunte sventure, avversità, traversie; di per sé invece la corretta voce a margine vale lamento, gemito dolente, voce meste e dolorose espresso ad alta voce mesta se non dolorosa ed è etimologicamente costruita sul s.vo lajo (che è dal fr. lais=suono, canto) con protesi di un catà rafforzativo; rammento che il sostantivo lajo/laio è presente anche nella lingua italiana ed indicò in origine, con riferimento alla poesia francese medievale, un componimento lirico di argomento amoroso o fantastico, recitato o cantato con accompagnamento musicale; successivamente il medesimo s.vo anche nel linguaggio poetico della lingua italiana (usato però esclusivam. al plur. lai),indicò voci meste e dolorose, lamenti.
iumisso anzi jumisso s.vo m.le
Voce antica, ma desueta ed assente, purtroppo per me che l’ò cercata, in tutti i repertorii in mio possesso;corrisponde però all’italiano gemito in tutti i suoi significati: grido sommesso, lamento; voce di dolore (anche fig.); in mancanza di possibilità di confronti, ò dovuto far da solo e reputo, a mio modo di vedere, che l’etimo sia un adattamento locale (ge→ju) dal francese gemisse(ment)= gemito; per il passaggio della g palatale ad j cfr. ad es.: jennero che è da generu(m); non meraviglia altresí il passaggio di e ad u cosa normale in sillaba iniziale atona (cfr. perócchio ma purucchiuso, tellína→tunninola etc.);
lagno s.vo m.le nel suo significato primo la voce a margine vale: fossato con acqua, acquitrinio fangoso ma, per traslato vale lamento fastidioso o lagnanza insistente e noiosa, l’uno e l’altra semanticamente vicini al fastidio d’un acquitrinio fangoso ed appiccicaticcio; per quanto riguarda l’ etimo della voce preferisco accodarmi all’idea dell’amico prof. Carlo Iandolo che lègge in questo lagno un agg.vo amnius da amnis=fiume con successiva agglutinazione dell’art. l→ *l-amnius ed esito finale lagnu(s)→lagno , come somniu(m)→sogno, piuttosto che ritener la voce (considerato il suo significato primo) un deverbale di di lagnarsi che, come ò già detto, è dal lat. laniare 'dilaniare', poi 'dolersi, lamentarsi', dall'abitudine delle prefiche di graffiarsi e strapparsi i capelli in segno di dolore.
lamiénto s.vo m.le s. m.
1 suono, voce, parola che esprime dolore; per estens., verso di dolore di un animale:fa unu lamiento (si lamenta in continuazione);’nu lamientestrazziante (un lamento straziante); ‘o lamiento ‘e ‘nu cane feruto(il lamento di un cane ferito) | ‘o lamiento d’’o funnarale( il lamento funebre), (etnol.) manifestazione rituale di cordoglio, espressa davanti alla salma nelle forme consacrate dalla tradizione (grida, nenie, gesti ecc.)
2 (estens.) suono flebile e triste: il lamento di un violino
3 espressione di risentimento; lagnanza, rimostranza: essere sordo ai lamenti altrui
per quanto riguarda l’ etimo la voce è dal lat. lamentu(m);
lòteno s.vo m.le è propriamente un litigio lungo, noioso,ripetitivo che spesso si ripropone a scadenze continue; di tale lòteno la caretteristica precipua è appunto quella d’essere noiosamente ripetitivo ( donde il fastidio affine a quello del pregresso lagno) e quasi appiccicaticcio; etimologicamente lòteno è da collegarsi a lota = fango (dal lat. lutum a sua volta dalla medesima radice di luere=lavare, bagnare; partendo da lota(fango, terra bagnata) si va a lotulum (fangoso, melmoso, appiccicaticcio) donde con dissimilazione l→n il nostro lòteno;

‘nzíria s.vo f.le è il fastidioso, lamentoso capriccio proprio del bambino piccolo, d''o criaturo, capriccio accompagnato spesso dal piagnucolare senza motivo apparente e per ciò indica estensivamente indica anche un prolungato, lamentoso pianto, apparentemente non supportato da cause facilmente riscontrabili o riconoscibili; tale lamentoso piagnucolare è, ovviamente, costume dei bambini e segnatamente degli infanti, ai quali – impossibilitati a rispondere – sarebbe vano o sciocco chieder ragione del loro pianto; spesso di tali piccoli bambini che, all’approssimarsi dell’ora del riposo notturno, comincino a piagnucolare lamentosamente se ne suole commentare l’atteggiamento con l’espressione:Lassa ‘o stà… è ‘nziria ‘e suonno… (lascialo stare,non curartene, non preoccuparti: è bizza dovuta al sonno… per cui bisogna aver pazienza!).
Rommento ancóra che un tempo accanto alla forma ‘nziria, vi furono anche, con medesimo significato:zírria, zirra .
Per quanto riguarda l’etimologia del vocabolo ‘nziria (da cui gli aggettivi ‘nzeriuso/’nzeriosa che connotano i bambini/e che si abbandonano ai capricci ed alle bizze) scartata l’ipotesi che provenga da un in + ira: troppo distanti sono infatti l’idea di ira da quelle di bizza, capriccio, non mi sento neppure di aderire a ciò che fu proposto dall’amico avv.to Renato de Falco nel suo, peraltro informato Alfabeto napolitano vol. 1° e cioè che la parola ‘nziria potesse discender dal greco sun-eris = con dissidio, stante quasi il contrasto che si viene a creare tra il bambino in preda alla ‘nziria e l’adulto che dovrebbe dar corso alle richieste, in quanto reputo l’eventuale contrasto solo un effetto della ‘nziria, non il suo sostrato; penso che sia molto piú probabile una discendenza da un latino insidiae; a sua volta da un in + sedeo = sto sopra, mi fermo su,insisto che ben mi pare possa rappresentare semanticamente l’impuntatura fanciullesca che è tipica della ‘nziria.
parafísema attestato (Basile) anche come parafísemo s.vo m.le voce antica e desueta che vale: protesta o lamento ripetuto, insistente fissazione ingiustificata; capriccio irragionevole, poco meno che físema = fisima; quanto all’etimo è voce costruita partendo da un’alterazione del gr. (só)phisma, (deriv. di sophízesthai 'divenire saggio' (da sophía 'sapienza'), poi 'cavillare,reiterare i concetti, valersi di sottili argomentazioni’, tutte cose semanticamente vicine al lamento ripetuto ed insistente), con prostesi della cong. parà = circa, quasi ottenendosi paraphisma e successivo paraphisema mediante l’anaptissi eufonica di una e tra ph= f e s;
píccio s.vo m.le piagnucolío, piagnisteo, lamento prolungato e noioso, tipici di bambini o di donne immature; quanto all’etimo è voce da un lat. volg. *pipiu(m) connesso al verbo pipiare = piagnucolare; per il passaggio della seconda sillaba pi a cci cfr. accio←apium, saccio←sapio etc.
pívulo s.vo m.le letteralmente in primis pigolío, poi per estensione e traslato piagnucolío, piagnisteo etc. come la voce precedente; etimologicamente è voce deverbale di piulà/pivulà che è dal Lat. volg. *piulare→*pivulare (con epentesi di una v eufonica), per il class. pipilare, di orig. onomatopeica;
règnula s.vo f.le lamento a denti stretti, provocatorio, piagnucolío dispettoso, provocatorio e molesto;
quanto all’etimo è voce deverbale da un lat. volg. *ringulare ( da ringi = digrignare i denti) che ebbe anche una forma frequentativa; *ringuljare che per metatesi diede regnuljare = piagnucolare; règnula è però un diretto derivato metatetico di *ringulare→rengulare→regnulare senza transitare per il frequentativo *ringuljare.
riépeto o liépeto s.vo m.le vedi oltre sub taluorno;
sciabbàcco s.vo m.le in primis vale: fracasso, baraonda, schiamazzo, trambusto e poi per estensione e/o traslato lamento, lamentela, reclamo, protesta, querela, piagnisteo (che non possono mancare in una baraonda);etimologicamente è voce dall’arabo šábak= trambusto;

sizia – sizia o siziasizia s.vo m.le lamento querulo e reiterato; la voce viene usata quasi sempre nell’icastica espressione che suona: fa unu sizia-sizia.
letteralmente: fa un sitio- sitio, cioè si lamenta continuamente riferito di solito ad inopportuni bambini o a fastidiose donne che assillano con richieste pressanti ed irritanti richiedere tese ad ottenere qualcosa richiesta appunto con ossessiva petulanza. La voce e la locuzione son ricavate prendendo spunto da un episodio dei Vangeli quello relativo al “Sitio!”(ò sete), una delle sette parole pronunciate da Cristo sulla croce.Rammento che alla richiesta del Signore i soldati risposero offrendogli da bere dell'aceto misto ad acqua e ciò non per ulteriormente vilipenderlo, ma solo perché un misto d’acqua ed aceto è la bevanda piú adatta a spegnere l'arsura.


taluórno s.vo m.le lamento reiterato, ripetizione noiosa, canto fastidioso; etimologicamente taluorno non deriva come improvvidamente e fantasiosamente pensò qualcuno (D’Ascoli) da un inesistente latino: tal-urnus: ripetizione; in realtà il termine taluorno è da collegarsi all’antica voce latorno voce che nella lingua ufficiale è ormai desueta tanto da essere addirittura inopinatamente esclusa (manca persino nel Pianegiani!) nei correnti ed accreditati vocabolarî della lingua italiana; tale latorno (etimologicamente deverbale di ritornare con dissimilazione r→l) indicò un lamento reiterato, una ripetizione noiosa, un canto o una persona fastidiosa e con una tipica dittongazione regionale della sillaba to (forse intesa breve) la voce latorno divenne latuorno sia in area calabro-lucana che in area pugliese, dove indicò il tipico lamento funebre delle prefiche (dal lat. praefica(m), f.le dell'agg. praeficus 'messo a capo', deriv. di praeficere 'mettere a capo', perché la prefica era preposta al gruppo delle ancelle che piangevano; in effetti essa prefica fu la donna che, presso gli antichi romani, veniva pagata per piangere e lamentarsi durante le cerimonie funebri; l'usanza ancóra sopravvive in alcune aree mediterranee europee; scherzosamente la voce prefica è usata poi anche per indicare una persona che si lamenti per nulla; ,il lamento funebre, nelle aree soprindicate è detto anche riépeto/liépeto che semanticamente richiamano il latuorno/taluorno con il suo reiterarsi.
riépeto o liépeto s.vo m.le sono un’unica voce con due grafie leggermente diverse cioè con la tipica alternanza/dissimilazione partenopea delle liquide r/l etimologicamente risultano essere deverbali di repetà, che da un lat. medioevale repetare indicò appunto il pianger lamentoso durante i funerali e/o le veglie funebri. Alla luce di tutto quanto detto mi pare che, relativamente all’etimo di taluorno si possa finalmente affermare che in napoletano la voce taluorno indicò dapprima il tipico lamento funebre delle prefiche e poi estensivamente atto noioso e/o ogni fastidio reiterato, e – quanto all’etimo- messo da parte il fantasioso tal – urnus del D’Ascoli, si possa tranquillamente intendere come lettura metatetica di latuorno→taluorno.
trívulo s.vo m.le s. in primis la voce a margine è
1 (bot.) nome di diverse piante spinose | (lett.) pruno, rovo, sterpo:
2 (mil.) ciascuno degli arnesi metallici provvisti di punte che si spargevano anticamente sul terreno per ostacolare l'avanzata della cavalleria;
3 (fig. ed è il caso che ci occupa ) tormento,fastidio preoccupazione, angustia che generano pianto, lamentele, rimostranze, proteste :’na vita ‘ntrivule e ‘ntempesta (una vita fra triboli e tempeste); l’etimo è dal lat. tribulu(m), dal gr. tríbolos 'spino'; normale nel napoletano l’alternanza b/v cfr. barca→varca, bocca→vocca, bótte→vótte etc.
zinfunía s.vo f.le , piagnucolio reiterato , accordo discordante di suoni, lamento continuo ed immotivato , pianto, querimonia, lamentazione, lagno tutti espressi, spesso coralmente ed a gran volume di voce da bambini o donne immature ; etimologicamente è voce derivata dal gr. symphonía , comp. di sy/n- 'sin-' e un deriv. di phoné 'suono'; comune nel napoletano il passaggio della s a z
ziteresélla s.vo f.le voce antichissima, popolaresca, ma desueta nata nella città bassa al tempo(fine 1800 principi 1900) in cui ancóra alcune popolane esercitavano il mestiere di capera (pettinatrice girovaga, ciarliera e pettegola; la voce è dal lat.parlato capa(m)+ il suffisso di attinenza era f.le di iere cfr. salumera ma al m.le salumiere etc. );la voce a margine ziteresélla in primis valse cantafera,cantilena, tiritera, querimonia lunga e tediosa ed estensivamente lamento, lagnanza con riferimento alle noiose tiritere, farcite di lamenti e lagnanze con cui le logorroiche pettinatrici a domicilio solevano condire il loro lavoro errabondo; in effetti etimologicamente la voce è formata dall’agglutinazione del sostantivo zi’ ( che è l’ apocope di zia) usato (in luogo d’un corretto sié) in unione con il nome proprio Teresella (ipocoristico di Teresa) degradato semanticamente a nome comune.Sarebbe vano andare alla ricerca di quella Teresella che – con ogni probabilità – fu una conosciuta ciarliera, lamentosa capera che svolgeva la sua attività nei bassi, fondaci o case della città bassa inondando di lamenti, lagnanze e querimonie le povere clienti che ipso facto servendosi del nome della pettinatrice coniarono il termine ziteresélla per indicare unacantilena,una tiritera,una querimonia lunga e tediosa ed estensivamente unlamento,una lagnanza; rammento comunque che a Napoli piú che il semplice ipocoristico Teresella ,di Teresa è in uso dapprima il diminutivo Teresina e poi il suo vezzeggiativo Teresenella.
Faccio ora un passo indietro e chiarisco la faccenda della voce zi’ usata in luogo di sié , ricordando che spesso nel napoletano una voce che nella prima sillaba à la consonante esse, quest’ultima viene letta zeta determinando una confusione tra voci diverse ed inducendo in errore, come capita ad es. con i sostantivi signore e signora che apocopati rispettivamente in si’= si(gnore) e sié = signora (sié è apocope ricostruita di signora dalla voce francese femminilizzata e metatetica di seigneur → sie-(gneuse); per errore tali si’ e sié vengon letti zi’ e zié→zi’ che sono invece l’apocope di zio e zia che sono dal lat. thiu(m)/thia(m) e dunque voci affatto diverse da signore e signora che son voci di rispetto, ma generiche rispetto a zio/zia che indicano un chiaro rapporto parentale che di norma manca nel rapporto interpersonale dei soggetti indicati come signore o signora; rammento al proposito l’espressione essere ‘o si’ nisciuno che ad litteram è : essere il signor nessuno. Espressione usata nei confronti di chi sia ritenuto un’autentica nullità, un essere di nessuna valenza e/o importanza un autentico signor nessuno.Rammento che spesso anche tra napoletani di vecchio conio la locuzione in epigrafe suona, per la ragione ricordata come: essere ‘o zi’ nisciuno sostituendo la sibilante S con una piú dura, ma inesatta Z e persino il grandissimo don Peppino Marotta,si lasciò confondere ed incolse nell’errore di tradurre l’espressione in maniera errata: essere lo zio nessuno , laddove la parola esatta da usarsi nella locuzione è: si’ che comporta la traduzione in signore. In effetti usando lo scorretto zi’ nisciuno ci troveremmo ad avere a che fare con la parola zi’ forma apocopata della voce zio(zio) che è dal lat. thiu(m) e l’espressione in un certo senso si snaturerebbe del suo significato giacché usando zi’ nisciuno (zio nessuno) non si raggiungerebbe l’icastica espressività che è contenuta nell’esatta locuzione che prevede l’uso di si’ nisciuno (signor nessuno) dove si’ è la forma apocopata della parola si(gnore).
Giunto a questo punto potrei anche ritenermi soddisfatto e reputare d’aver contentato l’amico G.G. e qualche altro dei miei ventiquattro lettori,mettendo un punto fermo; ma prima di farlo mi piace ricordare a vol d’uccello qualche verbo o espressione che si collegano alle voci esaminate:

allamentarse = lamentarsi, lagnarsi; reclamare, protestare, rimostrare;
fà unu sizia-sizia ne ò già détto antea sub sizia-sizia;
lepetà/repetà/ repetïàre/ ïà
dolersi, pianger lamentosamente durante i funerali e/o le veglie funebri. cfr. antea sub taluorno;
Piccïàre/ ïà cfr. antea sub píccio;
regnulïàre/ ïà cfr. antea sub regnula;

sciabbacchïàre/ïà cfr. antea sub sciabbacco
Faccio notare in coda a quest’ultimo elenco che in napoletano tutti i verbi in ïare/ïà comportano una sillaba in piú rispetto ai verbi in iare/à cosa che esige una coniugazione diversa; ad esempio in napoletano esistono i verbi cacciare/à e cacc ïare/ïà; il primo (trisillabo) con etimo dal lat. volg. *captiare, deriv. del class. capere 'prendere' vale: 1 mandare via con la forza o sgarbatamente; scacciare (anche fig.): caccià ‘e casa malamente (cacciare di casa, in malo modo); caccià ‘e cattive penziere(scacciare i cattivi pensieri)

2 (fam.) tirar fuori, cavare, estrarre: caccià ‘na cosa ‘e sorde(tirar fuori del danaro)
ed à una normale coniugazione dei verbi di prima cng.che ad es. all’ind. presente è i’ caccio/tu cacce/isse caccia/nuje cacciàmmo/vuje cacciàte/lloro càcciano
Affatto diverso è il quadrisillabo caccïare/ïà che a malgrado abbia il medesimo etimo dal lat. volg. *captiare, deriv. del class. capere 'prendere', vale: dare la caccia a un animale selvatico per ucciderlo o catturarlo e non segue la normale coniugazione dei verbi di prima cng ma una che tiene conto della sillaba in piú, per cui ad es. all’ind. presente è i’caccéjo/tu caccíje/isso caccéja/nuje caccíjammo/
vuje caccíjate/lloro caccéjano
Sulla falsariga della coniugazione ora indicata si comportano tutti i verbi in ïare/ïà anche se non esistono loro similari in are/à, per cui i sunnotati verbi in ïare/ïà si adeguano tutti alla medesima coniugazione di caccïare/ïà e non a quella di cacciare/à.

Demumque penso proprio di poter metter ora il mio consueto satis est.
Raffaele Bracale

Nessun commento: