domenica 14 ottobre 2012

‘NZALLANÍ – ‘NZALLANIRSE & DINTORNI

‘NZALLANÍ – ‘NZALLANIRSE & DINTORNI Questa volta ci soffermeremo sui due verbi in epigrafe, dei quali il secondo rappresenta la forma riflessiva del primo, verbi che entrarono ed ancóra entrano nel comune parlato partenopeo soprattutto nella forma di participio passato aggettivato ‘nzallanuto/a e spessissimo in unione con i sostantivi viecchio e vecchia: viecchio ‘nzallanuto, vecchia ‘nzallanuta nei significati di confondere/ confondersi, stordire/stordirsi, intontire/intontirsi e dunque confuso/a, stordito/a, intontito/a, che spesso icasticamente riproducono l’atteggiamento ed il comportamento di persone avanti negli anni, persone che si mostrano, in quasi tutte le occasioni distratti ed addirittura talora rimbambiti. I verbi in epigrafe in senso transitivo, come si evince, si riferiscono alle malevole azioni di coloro che con il loro fastidioso agire intralciano l’altrui vivere inducendo gli altri in confusione, in istordimento, in intontimento e/o distrazione tali da indurre in errore (cfr. Statte zitto ca me staje ‘nzallanenno!= Taci ché mi stai frastornando!), mentre usati in senso riflessivo raccontano la confusione, lo stordimento l’intontimento in cui incorrono spontaneamente soprattutto le persone anzione che usano mostrarsi anche coscientemente e per cattiva volontà, distratti, disattenti, frastornati quasi gloriandosi di questo loro status che ritengono ineludibile e di pertinenza della loro età avanzata. Ma spesso si tratta di un atteggiamento di comodo! Ciò detto veniamo a trattare della questione etimologica dei verbi in epigrafe. La faccenda non è delle piú tranquille; una prima scuola di pensiero (cui peraltro aderisce accanto ad Antonio Altamura, anche l’amico prof. Carlo Iandolo) mette in relazione i verbi ‘nzallaní – ‘nzallanirse con il verbo latino insanire (impazzire – perdere i lumi) che avrebbe generato (attraverso l’inserimento di una non spiegata o chiarita sillaba lu) *insalunire donde per metatesi sillabica, aferesi iniziale, cambio ‘ns→’nz e raddoppiamento espressivo della l→ll ‘nzallanire. Ipotesi interessante ma, tutto sommato, morfologicamente molto tortuosa. Trovo forse piú perseguibile l’etimo proposto dall’altro amico l’ avv.to Renato de Falco che alla medesima stregua del fu (parce sepulto!) prof. Francesco D’ Ascoli pensano di collegare i verbi in epigrafe con il greco selenizomai= esser lunatico e dunque stordito, confuso ed inebetito , oppure al verbo zalaino di significato simile al precedente;l’amico de Falco fa anche di piú e collega al greco zalaino anche l’aggettivo sostantivato partenopeo zallo che è lo sciocco,l’inesperto, il credulone in ispecie se anche innamorato di una donna di piccola virtú. Per ciò che riguarda i verbi in epigrafe mi pare di potere accettare l’ipotesi di De Falco e di D’Ascoli; ma per quanto riguarda la voce zallo sono di diverso parere e cioè che il vocabolo zallo, sia o possa essere corruzione di tallo (che è dal lat. thallus, forgiato sul greco tallòs; di per sé il tallo è il germoglio, la talea, la giovane foglia tenera , il virgulto che semanticamente ben potrebbe, per traslato, indicare con la sua tenera inconsistenza, la accondiscendenza credula dell’inesperto zallo;morfologicamente ci saremmo in quanto è pacifico il passaggio del lat th al nap. z (cfr. thia→zia), tuttavia mi sento di poter formulare anche un’altra ipotesi per la voce zallo ipotesi che espongo qui di sèguito. Atteso che con il termine zallo (aggettivo sostantivato) nella parlata napoletana si intese ed ancóra si intende il babbeo, l’allocco, lo stupido credulone, occorre rammentare che le medesime accezioni le à la voce zanno che ripete in napoletano il termine italiano zanni equivalente di Giovanni famoso personaggio della commedia cinquecentesca bergamasca dove lo zanni/Giovanni era il servo sciocco e credulone; di talché non è azzardato ipotizzare una rilettura popolare di zanno diventato zallo con sostituzione (magari a dispetto di qualche norma che presiede la linguistica!) delle nasali nn con le piú comode ll. Ultimissima ipotesi è poi che zallo (=babbeo, allocco, stupido credulone) usato spessissimo in riferimento (cfr. R. Viviani) ad un graduato tutore della legge, ad uno sbirro intesi sempre sciocchi, stupidi e creduloni (ibidem: ‘o zallo s’ammocca= lo sciocco sbirro prende per buona… una fandonia ), possa essere corruzione di comodo di un originario zaffio o zaffo che con derivazione dall’iberico zafio vale uomo violento, sbirro, ma non è da escludere un collegamento ad un lat. med. zaffo= servitore all’ordine d’un magistrato (sbirro?). Da zaffo a zallo, per adattamento corruttivo del parlato, il passo non è lungo, come potrebbe non esserlo (con buona pace dei linguisti) quello da zanno a zallo! Satis est, fatta salva qualche inopinata sciocchezza asserita. Raffaele Bracale

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