lunedì 22 luglio 2013

VARIE 2471

'A carne se jetta e 'e cane s'arraggiano. Letteralmente: la carne si butta ed i cani s'arrabbiano. Id est: c'è abbondanza di carne, ma mancanza di danaro per acquistarla e ciò determina profonda rabbia in chi, non avendo pecunia, non può approfittare dell'abbondanza delle merci. Per traslato, il proverbio è usato in tutte le situazioni in cui una qualsiasi forma di indigenza è ostativa al raggiungimento di un fine che parrebbe invece a portata di mano; ciò vale anche nei rapporti tra i due sessi: per es. allorchè la donna si offra apertamente e l'uomo non abbia il coraggio di cogliere l'occasione; un terzo - spettatore, magari concupiscente, commenta la situazione con le parole in epigrafe. 'A vecchia a 'e trenta 'austo, mettette 'o trapanaturo a 'o ffuoco. Letteralmente: la vecchia ai trenta d'agosto (per riscaldarsi) mise nel fuoco l'aspo. Il proverbio viene usato a mo' di avvertenza, soprattutto nei confronti dei giovani o di chi si atteggi a giovane, che si lasciano cogliere impreparati alle prime avvisaglie dei freddi autunnali che già si avvertano sul finire del mese di agosto, freddi che - come dice l'esperienza - possono essere perniciosi al punto da indurre i più esperti (la vecchia) ad usare come combustibile persino un utile oggetto come un aspo, l'arnese usato per ammatassare la lana filata. Per estensione, il proverbio si usa con lo stesso fine di ammonimento, nei confronti di chiunque si lasci cogliere impreparato non temendo un possibile inatteso rivolgimento di fortuna - quale è il freddo in un mese ritenuto caldo. Jì zumpanno asteche e lavatore. Letteralmente: andar saltando per terrazzi e lavatoi. Id est: darsi al buon tempo, trascorrendo la giornata senza far nulla di costruttivo, ma solo bighellonando in ogni direzione: a dritta e a manca, in alto (asteche=lastrici solai,terrazzi) ed in basso (i lavatoi erano olim ubicati in basso - per favorire lo scorrere delle acque - presso sorgenti di acque o approntate fontane, mentre l'asteche, ubicati alla sommità delle case,erano i luoghi deputati ad accogliere i panni lavati per poterli acconciamente sciorinare al sole ed al vento, per farli asciugare. Pare ca mo te veco vestuto 'a urzo. Letteralmente: Sembra che ora ti vedrò vestito da orso. Locuzione da intendersi in senso ironico e perciò antifrastico. Id est: Mai ti potrò vedere vestito della pelle dell'orso, giacché tu non hai nè la forza, nè la capacità fisica e/o morale di ammazzare un orso e vestirti della sua pelle. La frase viene usata a commento delle azioni iniziate da chi sia ritenuto inetto al punto da non poter portare al termine ciò che intraprende. 'O cucchiere 'e piazza: te piglia cu 'o 'ccellenza e te lassa cu 'o chi t'è mmuorto. Letteralmente: il vetturino da nolo: ti accoglie con l'eccellenza e ti congeda bestemmiandoti i morti.Il motto compendia una situazione nella quale chi vuole ottenere qualcosa, in principio si profonde in ossequi e salamelecchi esagerati ed alla fine sfoga il proprio livore represso, come i vetturini di nolo adusi a mille querimonie per attirare i clienti, ma poi - a fine corsa - pronti a riversare sul medesimo cliente immani contumelie, in ispecie allorché il cliente nello smontare dalla carrozza questioni sul prezzo della corsa, o - peggio ancora - non lasci al vetturino una congrua mancia. Jì cascia e turnà bauglio oppure Jì stocco e turnà baccalà. Letteralmente: andar cassa e tornare baùle oppure andare stoccafisso e tornare baccalà. Id est: non trarre profitto alcuno o dallo studio intrapreso o dall'apprendimento di un mestiere, come chi inizi l'apprendimento essendo una cassa e lo termini da baùle ossia non muti la sua intima essenza di vacuo contenitore, o - per fare altro esempio - come chi inizi uno studio essendo dello stoccafisso e lo termini diventando baccalà, diverso in forma, ma sostanzialmente restando un immutato merluzzo. Con il proverbio in epigrafe, a Napoli, si è soliti commentare le maldestre applicazioni di chi non trae profitto da ciò che tenta di fare, perchè vi si applica maldestramente o con cattiva volontà. Tu muscio-muscio siente e frusta llà, no! Letteralmente: Tu senti il richiamo(l'invito)e l'allontanamento no. Il proverbio si riferisce a quelle persone che dalla vita si attendono solo fatti o gesti favorevoli e fanno le viste di rifiutare quelli sfavorevoli comportandosi come gatti che accorrono al richiamo per ricevere il cibo, ma scacciati, non vogliono allontanarsi; comportamento tipicamente fanciullesco che rifiuta di accettare il fatto che la vita è una continua alternanza di dolce ed amaro e tutto deve essere accettato, il termine frusta llà discende dal greco froutha-froutha col medesimo significato di :allontanati, sparisci. 'E denare so' comm'a 'e chiattille: s'attaccano a 'e cugliune. Letteralmente: i soldi son come le piattole: si attaccano ai testicoli. Nel crudo, ma espressivo adagio partenopeo il termine cugliune viene usato per intendere propriamente i testicoli, e per traslato, gli sciocchi e sprovveduti cioé quelli che annettono così tanta importanza al danaro da legarvisi saldamente. He 'a murì rusecato da 'e zzoccole e 'o primmo muorzo te ll'à da dà mammèta Che possa morire rosicchiato dai grossi topi di fogna ed il primo morso lo devi avere da tua madre. Icastica maledizione partenopea giocata sulla doppia valenza del termine zoccola che, a Napoli, identifica sia il topo di fogna che la donna di malaffare Ma te fosse jiuto 'o lliccese 'ncapo? Letteralmente: ma ti fosse andato il leccese in testa? Id est: fossi impazzito? Avessi perso l'uso della ragione? Icastica espressione che, a Napoli, viene usata nei confronti di chi, senza motivo, si comporti irrazionalmente. Il leccese dell'espressione non è - chiaramente - un abitante di Lecce, ma un tipo di famoso tabacco da fiuto, prodotto, temporibus illis, nei pressi del capoluogo pugliese; l'espressione paventa il fatto che il tabacco fiutato possa- non si sa bene come - aver raggiunto, attraverso le coani nasali il cervello e leso così le facoltà raziocinanti del... fiutatore. 'A fatica d''e fracete se venne a caro prezzo. Letteralmente: il lavoro degli svogliati, si vende caro. Id est: chi ha scarsa voglia di lavorare richiede compensi altissimi per modo da spaventare e distogliere il committente dalla sua richiesta d'opera. Dalle e ddalle, 'o cucuzziello addeventa tallo. Letteralmente: dagli e dagli la zucchina diventa tallo.Id est: ad insistere sempre sulla medesima questione si finisce male come a cogliere zucchini continuamente non restano che le foglie. Il tallo è la foglia commestibile delle cucurbitacee, ma pure essendo edibile è sempre meno pregiata e saporita dello zucchino che già di suo non è molto saporito. Quann'è pe vizzio, nun è peccato! Letteralmente: Quando dipende da un vizio, non è peccato. A prima vista parrebbe che la locuzione si ponga agli antipodi della morale cristiana che considera peccato anche i vizi, soprattutto i capitali; ma tenendo presente che il vizzio(correttamente scritto con due zete in napoletano) della locuzione è il vitium latino, ovvero il mero difetto, si comprenderà la reale portata della frase che scusa la cattiva azione generata non per dolo, ma per mero difetto o errore. Passasse ll'ngelo e dicesse: Ammenne! Letteralmente: Possa passare un angelo e dire "Così sia!" La locuzione usata come in epigrafe con il congiuntivo ottativo la si adopera per augurarsi che accada qualcosa, sia nel bene che nel male; usata con l'indicativo ha finalità imprecativa, mentre usata con il passato remoto serve quasi a spiegare che un determinato accadimento, soprattutto negativo è avvenuto perchè, l'angelo invocato è realmente passato ed ha,con il suo assenso, prodotto il fatto paventato da taluno e augurato invece da un di lui nemico. Va truvanno: 'mbruoglio, aiutame. Letteralmente: va alla ricerca di un imbroglio che lo soccorra. Così a Napoli si dice di chi in situazioni difficili e senza apparenti vie di scampo, si rifugi nell'astuzia, nell'inganno, in situazioni ingarbugliate rimestando nelle quali spera di trovare l'aiuto alla soluzione dei problemi Paré Pascale passaguaje. Letteralmente: sembrare Pasquale passaguai. Così sarcasticamente viene appellato chi si va reiteratamente lamentando di innumerevoli guai che gli occorrono, di sciagure che - a suo dire, ma non si sa quanto veridicamente - si abbattono su di lui rendendogli la vita un calvario di cui lamentarsi, compiangendosi, con tutti. Paré 'o pastore d''a meraviglia. Letteralmente: sembrare un pastore della meraviglia Id est: avere l'aria imbambolata, incerta, statica ed irresoluta quale quella di certuni pastori del presepe napoletano settecentesco raffiguratiin pose stupite ed incantate per il prodigio cui stavano assistendo; tali figurine in terracotta il popolo napoletano suole chiamarle appunto pasture d''a meraviglia, traducendo quasi alla lettera l'evangelista LUCA che scrisse: pastores mirati sunt. Meglio a san Francisco ca 'ncpp' a 'o muolo. Letteralmente: meglio (stare) in san Francesco che sul molo. Id est: di due situazioni ugualmente sfavorevoli conviene scegliere quella che comporrti minor danno. Temporibus illis in piazza san Francesco, a Napoli erano ubicate le carceri, mentre sul Molo grande era innalzato il patibolo che poi fu spostato in piazza Mercato; per cui la locuzione significa: meglio carcerato e vivo, che morto impiccato. Futtatenne! Letteralmente:Infischiatene, non dar peso, lascia correre, non porvi attenzione. E' il pressante invito a lasciar correre dato a chi si sta adontando o si sta preoccupando eccessivamente per quanto malevolmente si stia dicendo sul suo conto o si stia operando a suo danno. Tale icastico invito fu scritto dai napoletani su parecchi muri cittadini nel 1969 allorché il santo patrono della città, san Gennaro, venne privato dalla Chiesa di Roma della obbligatorietà della "memoria" il 19 settembre con messa propria. I napoletani ritennero la cosa un declassamento del loro santo e allora scrissero sui muri cittadini: SAN GENNA' FUTTATENNE! Volevano lasciare intendere che essi, i napoletani, non si sarebbero dimenticati del santo quali che fossero stati i dettami di Roma. Fà a uno tabbacco p''a pippa. Letteralmente: farne di uno tabacco per pipa. Id est ridurre a furia di percosse qualcuno talmente a mal partito al punto da trasformarlo, sia pure metaforicamente, in minutissimi pezzi quasi come il trinciato per pipa. Fà trenta e una trentuno. Quando manchi poco per raggiungere lo scopo prefisso, conviene fare quell'ultimo piccolo sforzo ed agguantare la meta: in fondo da trenta a trentuno v'è un piccolissimo lasso. La locuzione rammenta l'operato di papa Leone X che fatti 30 cardinali, in extremis ne creò un trentunesimo. Essere carta canusciuta. Letteralmente: essere carta nota. Id est: godere di cattiva fama, mostrarsi inaffidabile e facilmente riconoscibile alla medesima stregua di una carta da giuoco opportunamente "segnata" dal baro che se ne serve. Essere cchiù fetente 'e 'na recchia 'e cunfessore. Letteralmente: essere più sporco di un orecchio di confessore. L'icastica espressione viene riferita ad ogni persona assolutamente priva di senso morale, capace di ogni nefandezza; tale individuo è parificato ad un orecchio di confessore, non perché i preti vivano con le orecchie sporche, ma perché i confessori devono, per il loro ufficio, prestare l'orecchio ad ogni nefandezza e alla summa dei peccati che vengono quasi depositati nell'orecchio del confessore, orecchio che ne rimane metaforicamente insozzato. 'O rialo ca facette Berta a' nepota: arapette 'a cascia e le dette 'na noce. Letteralmente : il regalo che fece Beerta alla nipote: aprì la cassa e le regalò una noce. La locuzione è usata per sottolineare l'inconsistenza di un dono, specialmente quando il donatore lascerebbe intendere di essere intenzionato a fare grosse elargizioni che, all'atto pratico, risultano invece essere parva res. 'E ppazzie d''e cane fernesceno a ccazze 'nculo. Letteralmente: i giochi dei cani finiscono con pratiche sodomitiche. Id est: i giuochi di cattivo gusto finiscono inevitabilmente per degenerare, per cui sarebbe opportuno non porvi mano per nulla. La icastica locuzione prende l'avvio dalla osservazione della realtà allorché in una torma di cani randagi si comincia per gioco a rincorrersi e a latrarsi contro l'un l'altro e si finisce per montarsi vicendevolmente; la postura delle bestie fa pensare sia pure erroneamente a pratiche sodomitiche. Amicizia stretta, se spezza cu 'na mazza. Letteralmente: un'amicizia stretta si spezza con un bastone; id est: bisogna ricorrere alla violenza per sciogliere un'amicizia di vecchia data, ben rinsaldata; non viene meno la vera amicizia per futili motivi. Tanno se chiamma grano, quanno sta 'int' â votta. Letteralmente: allora si chiama grano, quando sarà nella botte. Id est: i risultati per potersene vantare, occorre prima conseguirli; non ci si deve vestire della pelle dell'orso prima d'aver ammazzato il suddetto animale. La locuzione in epigrafe ripete le parole che un tal contadino disse al figliuolo che si vantava di un gran raccolto prima della mietitura. Tre ccalle e mmescamméce. Letteralmente: tre calli(cioè mezzo tornese) e mescoliamoci. Così, sarcasticamente, è definito a Napoli colui che si intromette nelle faccende altrui, che vuol sempre dire la sua. Il tre calle era una moneta di piccolissimo valore; su una delle due facce v'era raffigurato un cavallo da cui per contrazione prese il nome di calle. La locuzione significa: con poca spesa si interessa delle faccende altrui. Chi se fa masto, cade dint' ô mastrillo. Letteralmente: chi si fa maestro, finisce per essere intrappolato. L'ammonimento della locuzione a non ergersi maestri e domini delle situazioni, viene rivolto soprattutto ai presuntuosi e supponenti che son soliti dare ammaestramenti o consigli non richiesti, ma poi finiscono per fare la fine dei sorci presi in trappola proprio da coloro che pretendono di ammaestrare. Tutto a Giesù e niente a Maria. Letteralmente: tutto a Gesù e niente a Maria; ma non è un incitamento a conferire tutta la propria devozione a Gesù e a negarla alla Vergine; è invece l'amara constatazione che fa il napoletano davanti ad una iniqua distribuzione di beni di cui ci si dolga, nella speranza che chi di dovere si ravveda e provveda ad una più equa redistribuzione. Il più delle volte però non v'è ravvedimento e la faccenda non migliora per il petente. Chi guverna 'a rrobba 'e ll'ate nun se cocca senza cena Letteralmente: chi amministra i beni altrui, non va a letto digiuno. Disincantata osservazione della realtà che più che legittimare comportamenti che viceversa integrano ipotesi di reato, denuncia l'impossibilità di porvi riparo: gli amministratori di beni altrui sono incorreggibili ladri! Paré ll'ommo 'ncopp'a' salera Letteralmente: sembrare l'uomo sulla saliera. Id est: sembrare, meglio essere un uomo piccolo e goffo, un omuncolo simile a quel Tom Pouce, viaggiatore inglese, venuto a Napoli sul finire del 1860, molto piccolo e ridicolo preso a modello dagli artigiani napoletani che lo raffigurarono a tutto tondo sulle stoviglie in terracotta di uso quotidiano. Per traslato, l'espressione viene riferita con tono di scherno verso tutti quegli omettini che si danno le arie di esseri prestanti fisicamente e moralmente, laddove sono invece l'esatto opposto. Fà comme a santa Chiara: dopp' arrubbata ce mettetero 'e pporte 'e fierro. Letteralmente: far come per santa Chiara; dopo che fu depredata le si apposero porte di ferro. Id est: correre ai ripari quando sia troppo tardi, quando si sia già subìto il danno paventato, alla stessa stregua di ciò che accadde per la basilica di santa Chiara che fu provvista di solide porte di ferro in luogo del preesistente debole uscio di legno, ma solo quando i ladri avevano già perpetrato i loro furti a danno della antica chiesa partenopea. Essere 'a tina 'e miezo. Letteralmente: essere il tino di mezzo. Id est: essere la massima somma di quanto più sporco, più laido, più lercio possa esistere. Offesa gravissima che si rivolge a persona ritenuta così massimamente sporca, laida e lercia da essere paragonata al grosso tino di legno posto al centro del carro per la raccolta dei liquami da usare come fertilizzanti, nel quale tino venivano versati i liquami raccolti con due tini più piccoli posti ai lati del tino di mezzo dove veniva riposto il letame raccolto. 'A capa 'e ll'ommo è 'na sfoglia 'e cepolla. Letteralmente: la testa dell'uomo è una falda di cipolla. E' il filosofico, icastico commento di un napoletano davanti a comportamenti che meriterebbero d'esser censurati e che si evita invece di criticare, partendo dall'umana considerazione che quei comportamenti siano stati generati non da cattiva volontà, ma da un fatto ineluttabile e cioé che il cervello umano è labile e deperibile ed inconsistente alla stessa stregua di una leggera, sottile falda di cipolla. Nun tené voce 'ncapitulo. Letteralmente: non aver voce nel capitolo. Il capitolo della locuzione è il consesso capitolare dei canonaci della Cattedrale; solo ad alcuni di essi era riservato il diritto di voto e di intervento in una discussione. La locuzione sta a significare che colui a cui è rivolta l'espressione non ha nè l'autorità, nè la capacità di esprimere pareri o farli valere, non contando nulla. Tu nun cuse, nun file e nun tiesse; tanta gliuommere 'a do' 'e ccacce? Letteralmente: Tu non cuci, non fili e non tessi, tanti gomitoli da dove li tiri fuori? Tale domanda sarcastica la si rivolge a colui che fa mostra di una inesplicabile, improvvisa ricchezza; ed in effetti posto che colui cui viene rivolta la domanda non è impegnato in un lavoro che possa produrre ricchezza, si comprende che la domanda è del tipo retorico sottintendendo che probabilmente la ricchezza mostrata è frutto di mali affari. E' da ricordare anche che il termine GLIUOMMERO (gomitolo)indicava, temporibus illis, anche una grossa somma di danaro corrispondente a circa 100 ducati d'argento. Menarse dint' ê vrache... Letteralmente: buttarsi nelle imbracature. Id est: rallentare il proprio ritmo lavorativo, lasciarsi prendere dalla pigrizia, procedere a rilento. L'icastica espressione che suole riferirsi al lento agire soprattutto dei giovani, prende l'avvio dall'osservazione del modo di procedere di cavalli che quando sono stanchi, sogliono appoggiarsi con le natiche sui finimenti posteriori detti vrache (imbracature) proprio perché imbracano la bestia. Chi poco tène, caro tène. Letteralmente: Chi ha poco, lo tiene da conto. Id est: il povero non può essere generoso Lassa ca va a ffunno 'o bastimento, abbasta ca morèno 'e zzoccole. Letteralmente: lascia che affondi la nave, purchè muoiano i ratti. Con questa locuzione si suole commentare l'azione spericolata di chi è disposto anche al peggio pur di raggiungere un suo precipuo scopo; proverbio nato nell'ambito marinaresco tenendo presente le lotte che combattevano i marinai con i ratti che infestavano le navi. Nce vonno cazze 'e vatecare pe fà figlie carrettiere Letteralmente: occorrono membri da vetturali per generare figli carrettieri Id est: per ottenere i risultati sperati occorre partire da adeguate premesse; addirittura nella locuzione si adombra quasi la certezza che taluni risultati non possano essere raggiunti che per via genetica, quasi che ad esempio il mestiere di carrettiere non si possa imparare se non si abbia un genitore vetturale di bestie da soma... Si mine 'na sporta 'e taralle 'ncapo a chillo, nun ne va manco uno 'nterra Letteralmente: se butti il contenuto di una cesta di taralli sulla testa di quello non ne cade a terra neppure uno (stanti le frondose ed irte corna di cui è provvista la testa e nelle quali, i taralli rimarrebbero infilati). Icastica ed iperbolica descrizione di un uomo molto tradito dalla propria donna. Muntagne e muntagne nun s'affrontano. Letteralmente: le montagne non si scontrano con le proprie simili. E' una velata minaccia di vendetta con la quale si vuol lasciare intendere che si è pronti a scendere ad un confronto anche cruento, stante la considerazione che solo i monti sono immobili... Faccia 'e trent'anne 'e fave. Letteralmente: faccia da trent'anni di fava. Offesa gravissima con la quale si suole bollare qualcuno che abbia un volto poco rassicurante, da galeotto, dal quale non ci si attende niente di buono, anzi si paventano ribalderie. La locuzione fu coniata tenendo presente che la fava secca era il cibo quasi quotidiano che nelle patrie galere veniva somministrato ai detenuti; i trent'anni rammentano il massimo delle detenzione comminabile prima dell'ergastolo; per cui un individuo condannato a trent'anni di reclusione si presume si sia macchiato di colpe gravissime e sia pronto a reiterare i reati, per cui occorre temerlo e prenderne le distanze. Sparà a vrenna. Letteralmente: sparare a crusca. Id est: minacciare per celia senza far seguire alle parole , i fatti minacciati. L'espressione la si usa quando ci si riferisca a negozi, affari che si concludono in un nulla di fatto e si ricollega ad un'abitudine dell'esercito borbonico i cui proiettili, durante le esercitazioni, erano caricati con crusca, affinchè i colpi non procurassero danno alla truppa che si esercitava. 'E sciabbule stanno appese e 'e fodere cumbattono. Letteralmente: le sciabole stanno attaccate al chiodo e i foderi duellano. L'espressione è usata per sottolineare tutte le situazioni nelle quali chi sarebbe deputato all'azione, per ignavia o cattiva volontà si è fatto da parte lasciando l'azione alle seconde linee, con risultati chiaramente inferiori alle attese. 'A taverna d''o trentuno. Letteralmente: la taverna del trentuno. Così, a Napoli sogliono, inalberandosi, paragonare la propria casa tutte quelle donne che vedono i propri uomini e la numerosa prole ritornare in casa alle più disparate ore, pretendendo che venga loro servito un pasto caldo. A tali pretese, le donne si ribellano affermando che la casa non è la taverna del trentuno, nota bettola partenopea che prendeva il nome dal civico dove era ubicata, bettola dove si servivano i pasti in modo continuato a qualsiasi ora del giorno e della notte. 'A vacca, pe nun movere 'a coda se facette magnà 'e ppacche da 'e mosche. Letteralmente: la mucca per non voler muovere la coda, si lasciò mangiare le natiche dalle mosche. Lo si dice degli indolenti e dei pigri che son disposti a subire gravi nocumenti e non muovono un dito per evitarli alla stessa stregua di una vacca che assalita dalle mosche per non sottostare alla fatica di agitare la coda, lasci che le mosche le pizzichino il fondo schiena! Trasì o passà cu 'a scoppola. Letteralmente: entrare o passare con lo scappellotto. Id est: entrare in teatro o altri luoghi pubblici come musei o pinacoteche o mostre artistiche senza pagare e senza le necessarie credenziali: biglietti o inviti. La locuzione fotografa il benevolo comportamento di taluni custodi che son soliti fare entrare i ragazzi senza pagare il dovuto, spingendoli dentro con un compiacente scappellotto. Per traslato la locuzione si attaglia a tutte quelle situazioni dove gratuitamente si ottengono benefìci per la magnanimità di coloro che invece dovrebbero controllare. Pozza murì 'e truono a chi nun le piace 'o bbuono. Letteralmente: possa morire di violenta bastonatura chi non ama il buono. In una città come Napoli dove vi è un'ottima e succulenta cucina chi non è buongustaio merita di morire bastonato violentemente. in napoletano TRUONO significa sia tuono che percosse violente. 'A forca è fatta p''e puverielle. Letteralmente: la forca è fatta per i poveri. Id est: nei rigori della legge vi incorrono solo i poveri, i ricchi trovano sempre il modo di scamparla. In senso storico, la locuzione rammenta però che la pena dell'impiccaggione era comminata ai poveri, mentre ai ricchi ed ai nobili era riservata la decapitazione o - in tempi più recenti - la fucilazione. Piglià vavia e metterse 'nguarnascione. Letteralmente: prender bava e porsi in guarnaccia. Id est: assumere aria e contegno da arrogante; lo si dice soprattutto di coloro che, essendo assurti per mera sorte o casualità a piccoli posti di preminenza, si atteggiano ad altezzosi ed onniscienti,cercando di imporre agli altri il loro modo di veder le cose, se non la vita, laddove in realtà poggiano la loro albagia sul nulla. Darse 'e pizzeche 'ncopp' â panza. Letteralmente: darsi pizzichi sulla pancia. Id est: sopportare, rassegnarsi, far buon viso a cattivo gioco. E' il consiglio che si dà a chi ad una contrarietà sarebbe pronto a render la pariglia ed invece gli si consiglia di sopportare assestandosi dei pizzichi sulla pancia quasi che il dolore fisico che ne deriva servisse a lenire quello morale, in nome del quale ci si sentirebbe pronto a scatenare una guerra! 'Ncopp' ô muorto se canta 'o miserere. Letteralmente: sul morto si piange il miserere Id est: non bisogna precorrere i tempi, in ispece quelli delle lamentazioni che allora son lecite quando ci si trovi davanti al fatto compiuto del danno patito, mai prima. Bbuono pe scerià 'a ramma. Letteralmente: buono per pulire le stoviglie di rame. Così in modo quasi rabbioso viene definito un frutto così aspro di sapore da non essere edibile, ma che può solo servire alla pulizia delle pentole di rame. Un tempo, quando non esistevano acciai inossidabili o allumini leggeri, le pentole erano in rame opportunamente ricoperte di stagno; per la loro pulizia e lucidatura ci si serviva di pietra pomice, arena 'e vitrera (sabbia da vetraio ricca di silice), e limoni con i quali si soffregavano le pentole fino a detergerle e addirittura farle luccicare. Per traslato, la locuzione in epigrafe si attaglia anche a chi è di carattere così aspro e spigoloso da non consentire ad alcuno di avervi rapporti. Piscià acqua santa p''o velliculo. Letteralmente: orinare acqua santa dall'ombelico. La locuzione, usata sarcasticamente nei confronti di coloro che godano immeritata fama di santità significa, appunto, che coloro cui è diretta sono da ritenersi tutt'altro che santi o miracolosi, come invece lo sarebbero quelli che riuscissero a mingere da un orifizio inesistente, addirittura dell'acqua santa. A 'e tiempe 'e PAPPAGONE Letteralmente: Ai tempi di PAPPAGONE Id est: in un tempo lontanissimo. Così vengono commentate cose di cui si parli che risultano risalenti a tempi lontanissimi, quasi mitici. Il PAPPAGONE della locuzione non è la famosa maschera creata dal compianto attore napoletano Peppino De Filippo; ma è la corruzione del cognome PAPPACODA antichissima e nobile famiglia partenopea che ha lasciato meravigliosi retaggi architettonici risalenti al 1400, in varie strade napoletane. Arretìrate, pireto! Letteralmente: Ritirati, peto! Imperiosa ed ingiuriosa invettiva rivolta verso chi, per essere andato fuori dei limiti consentiti, si cerchi di ridimensionare esortandolo, anzi imponendogli di rientrare nei ranghi, anche se non si capisce come un peto, partito dalla sua sede vi possa rientrare a comando... A 'nu parmo d''o culo mio, fotta chi vô. Letteralmente: ad un palmo dal mio sedere, si diverta chi vuole. Id est: fate pure i vostri comodi, purchè li facciate lontano dal mio spazio vitale, non mi coinvolgiate e soprattutto non mi arrechiate danno! Dicette 'o miedeco 'e Nola: Chesta è 'a ricetta e ca Ddio t''a manna bbona... Letteralmente: Disse il medico di Nola: Questa è la ricetta e che Dio te la mandi buona. La locuzione viene usata quando si voglia sottolineare che, dinnanzi ad un problema, si sia fatto tutto quanto sia nelle proprie possibilità personali e che occorra ormai confidare solo in Dio dal quale si attendono gli sperati risultati positivi. Fà 'nu quatto 'e maggio. Letteralmente: fare un quattro di maggio. Id est: sloggiare, cambiar casa, trasferirsi altrove. Da intendersi anche in senso figurato di allontanarsi, o recedere dalle proprie posizioni. Nel lontanissimo 1611 il vicerè Pedro de Castro, conte di Lemos, nell'intento di porre un po' di ordine nel caos dei quasi quotidiani traslochi che si operavano nella città di Napoli, fissò appunto al 4 di maggio la data fissa soltanto nella quale si potevano operare i cambiamenti di casa. Il giorno 4, da allora divenne la data nella quale gli inquilini erano soliti conferire mensilmente gli affitti ai proprietarii di immobili concessi in fitto. S'à dda ògnere l'asso. Letteralmente: occorre ungere l'asse. Id est: se si vuole che la faccenda si metta in moto e prosegua bisogna, anche obtorto collo, sottostare alla ineludibile necessità di ungere l'ingranaggio: inveterata necessità che viene di lontano quando i birocciai solevano spalmare con grasso animale gli assi che sostenevano gli elementi rotanti dei loro calessi, affinché più facilmente si potesse procedere con meno sforzo delle bestie deputate allo scopo. Il traslato in termini di "mazzette" da distribuire è ovvio e non necessita d'altri chiarimenti. Paré 'nu pireto annasprato. Letteralmente: sembrare un peto inzuccherato. Lo si dice salacemente di chi si dia troppe arie, atteggiandosi a superuomo, pur non essendo in possesso di nessuna dote fisica o morale atta all'uopo. Simili individui vengono ipso facto paragonati ad un peto che, non si sa come, sia inzuccherato, ma che per quanto coperto di glassa dolce resta sempre un maleodorante, vacuoflatus ventris. L'Accìomo ê Bbanche nuove. Letteralmente: l' Ecce homo ai Banchi nuovi. Così oggi i napoletani sogliono indicare quei giovani, che - per essere alla moda - non si radono, mantenendo ispidi ed incolti quei pochi peli che dovrebbero costituire l'onor del mento, e per apparire in linea con i dettami della moda si mostrano smagriti e pallidi. La locuzione rammenta una scultura lignea sita in un'edicola posta ai Banchi Nuovi - quartiere napoletano sviluppatosi a ridosso della Posta Vecchia e Santa Chiara - scultura rappresentante il CRISTO reduce dai tribunali di Anna e Caifa, ed appare il Cristo, dopo le percosse e gli sputi subiti dai saldati romani, sofferente, smagrito, con la barba ispida, lo sguardo allucinato, proprio come i giovani cui la locuzione si attaglia. Chi tène cummedità e nun se ne serve, nun trova 'o prevete ca ll'assolve. Letteralmente: Chi ha comodità e non se ne serve, non trova un prete che l'assolva. Id est: chi ha avuto, per sorte o meriti, delle comodità deve servirsene, in caso contrario commetterebbe non solo una sciocchezza autolesiva, ma pure un peccato così grave per la cui assoluzione non sarebbe bastevole un semplice prete, ma bisognerebbe far ricorso al penitenziere maggiore. Quanno nun site scarpare, pecché rumpite 'o cacchio a 'e semmenzelle? Letteralmente: poiché non siete ciabattino, perché infastidite le semenze? La locuzione barocca, anzi rococò viene usata quando si voglia distogliere qualcuno dall'interessarsi di faccende che non gli competono non essendo supportate, né dal suo mestiere, né dalle sue capacità intellettive o morali. Le semenze sono i piccolissimi chiodini con cui i ciabattini sogliono sistemare la tomaia sulla forma di legno per procedere alla fattura di una scarpa. 'A riggina avette bisogno d''a vicina. Letteralmente: la regina dovette ricorrere alla vicina. Iperbolica locuzione con la quale si sottolinea che nessuno è bastevole a se stesso: persino la regina ebbe bisogno della propria vicina, figurarsi tutti gli altri esseri umani: siamo una società dove nessun uomo è un'isola. Senza fesse nun campano 'e deritte. Letteralmente: senza gli sciocchi non vivono i furbi; id est: in tanto prosperano i furbi in quanto vi sono gli sciocchi che consentano loro di prosperare. 'O purpo s'à dda cocere cu ll'acqua soja. Letteralmente: il polpo si deve cuocere con l'acqua propria.Id est: bisogna che si convinca da se medesimo, senza interventi esterni. La locuzione fa riferimento a tutte quelle persone che recedono da certe posizioni solo se si autoconvincono; con costoro è inutile ogni opera di convincimento, bisogna armarsi di pazienza ed attendere che si autoconvincano, come un polpo che per cuocersi non necessita di aggiunta d'acqua, ma sfrutta quella di cui è composto. Dà 'ncopp' a 'e recchie. Letteralmente: dare sulle orecchie. La locuzione consiglia il modo di comportarsi nei confronti dei boriosi, dei supponenti, dei saccenti adusi ad andare in giro tronfi e pettoruti a testa elevata quasi fossero i signori del mondo. Nei loro confronti bisogna usare una sana violenza colpendoli sulle orecchie per fargliele abbassare. N' aggio scaurato strunze, ma tu me jesce cu 'e piede 'a fora... Letteralmente: ne ho bolliti di stronzi, ma tu (sei così grosso)che non entri per intero nella pentola destinata all'uso. Iperbolica e barocca locuzione-offesa usata nei confronti di chi si dimostri così esageratamente pezzo di merda da meritarsi di esser paragonato ad un pollo o simile che ecceda i limiti della pentola rendendosi così difficile da esser bollito. Tante galle a cantà nun schiara maje juorno. Letteralmente: tanti galli a cantare non spunta mai il giorno. Id est: quando si è in tanti ad esprimere un parere intorno ad un argomento, a proporre una soluzione ad un problema, non si addiviene a nulla di concreto... Perché dunque farsi meraviglia se il parlamento italiano composto da un numero esorbitante di deputati e senatori non riesce mai a legiferare rapidamente e saggiamente: parlano in tanti... Sì, sì quanno curre e 'mpizze... Letteralmente: sì quando corri ed infili! La locuzione significa che si sta ponendo speranza in qualcosa che molto difficilmente si potrà avverare, per cui è da intendersi in senso ironico, volendo dire: quel che tu ti auguri avvenga, non avverrà. La locuzione fa riferimento ad un'antica gara che si svolgeva sulle piazze dei paesi meridionali. Si infiggeva nell'acciottolato della piazza del paese un'alta pertica con un anello metallico posto in punta ad essa pertica, libero di dondolare al vento. I gareggianti dovevano, correndo a cavallo, far passare nell'anello la punta di una lancia, cosa difficilissima da farsi. Madonna mia, mantiene ll'acqua! Letteralmente: Madanna mia reggi l'acqua. Id est: fa che la situazione non peggiori o non degeneri. L'invocazione viene usata quando ci si trovi davanti ad una situazione di contesa il cui esito si prospetti prossimo a degenerare per evidente cattiva volontà di uno o più dei contendenti. Ommo 'e ciappa. Letteralmente: uomo di bottone e, per traslato, uomo importante, di vaglia. La locuzione ha origini antichissime addirittura seicentesche allorché a Napoli esistette una consorteria particolare, la cd repubblica dei togati che riuniva un po' tutta la classe dirigente della città. Le ciappe (dal latino=capula) erano i grossi bottoni d'argento cesellato che formavano l'abbottonatura della toga simbolo, appunto, di detta consorteria. 'A nave cammina e 'a fava se coce. Letteralmente: la nave cammina, e la fava si cuoce. La locuzione mette in relazione il cuocersi della fava (che indica la sopravvivenza,id est la continuata abbondanza di cibo) con il cammino della nave ossia con il progredire delle attività economiche, per cui è più opportuno tradurre se la nave va, la fava cuoce. Essere 'nu casatiello cu ll'uva passa. Letteralmente: essere una caratteristica torta rustica pasquale ripiena d'uva passita. Id est: essere una persona greve, fastidiosa, indigesta, noiosa quasi come la torta menzionata già greve di suo per esser ripiena di formaggio, uova, salame, resa meno digeribile dalla presenza dell'uva passita... Nce vonno 'e cquatte laste e 'o lamparulo. Letteralmente: occorono i quattro vetri laterali ed il reggimoccolo. Id est: il lavoro compiuto è del tutto inutilizzabile in quanto palesamente incompleto e non fatto a regola d'arte; quello della locuzione è una lanterna ultimata in modo raffazzonato al punto che mancano elementi essenziali alla sua funzionalità. La locuzione viene perciò usata nei confronti di chi, ingiustificatamente, si gloria di aver fatto un eccellente lavoro, laddove ad un attento controllo esso risulta vistosamente carente . Jirsene cu 'na mana annanze e n'ata arreto. Letteralmente: andarsene con una mano davanti ed una di dietro (per coprirsi le vergogne). Era il modo con cui il debitore si allontanava dal luogo dove aveva eseguito la cessio bonorum, aveva cioè poggiato le nude natiche su di una colonnina posta innanzi al tribunale a dimostrazione di non aver più niente. La locuzione perciò significa e si usa per indicare chi, non avendo concluso nulla di buono, ci ha rimesso fino all'ultimo quattrino e non gli resta che l'ignominia di cambiar zona andandosene con una mano davanti ed una di dietro. A - miette mano â tela B - arriciette 'e fierre Le due locuzioni indicano l'incipit e il termine di un'opera e vengono usate nelle precise circostanze da esse indicate, ma sempre con un valore di sprone; sub A: metti mano alla tela, ossia, prepara la tela ché è giunto il momento di cominciare il lavoro. sub B: metti a posto i ferri, è giunta l'ora di lasciare il lavoro. Essere 'nu secaturnese. Letteralmente: essere un sega tornesi.Id est: essere un avaraccio, super avaro al punto di far concorrenza a taluni antichi tonsori di monete, che al tempo che circolavano monete d'oro o d'argento, usavano limarle per poi rivender la limatura e far così piccoli guadagni: venne poi la carta-moneta e finì il divertimento. Essere 'na meza pugnetta. Esser piccolo di statura, ma soprattutto valer poco o niente, non avere alcuna conclamata attitudine operativa, stante la ridottissima capacità fisica, intellettiva e morale essendo il prodotto di un gesto onanistico non compiuto neppure per intero. Essere 'na galletta 'e Castiellammare. Letteralmente: essere un biscotto di Castellammare. Id est: essere poco incline ad atti di generosità, anzi tener sempre saldamente chiusi i cordoni della borsa essendo molto restio ad affrontare spese di qualsiasi genere, in ispecie quelle destinate ad opere di carità, essere insomma così duro nei propri parsimoniosi intendimenti da essere paragonabile ai durissimi biscotti prodotti in Castellammare, biscotti a lunga conservazione usati abitualmente come scorta dalla gente di mare che li preferiva al pane perché non ammuffivano, ma che erano così tenacemente duri che - si diceva - neppure l'acqua di mare riuscisse ad ammorbidire. 'E curalle ll'à dda fà 'o turrese. Letteralmente: i coralli li deve lavorare il torrese. Id est: ognuno deve fare il proprio mestiere, che però deve esser fatto secondo i crismi previsti; non ci si può improvvissare competenti; nella fattispecie la lavorazione del corallo è appannaggio esclusivo dell'abitante di Torre del Greco, centro campano famoso nel mondo appunto per la produzione di oggetti lavorati in corallo. Mo t''o ppiglio 'a faccia 'o cuorno d''a carnacotta Letteralmente. adesso lo prendo per te dal corno per la carne cotta. Icastica ed eufemistica espressione con la quale suole rispondere chi, richiesto di qualche cosa, non ne sia in possesso né abbia dove reperirla o gli manchi la volontà di reperirla. Per comprendere appieno la locuzione bisogna sapere che la carnacotta è il complesso delle trippe o frattaglie bovine o suine che a Napoli vengono vendute già atte ad essere consumate o dai macellai o da appositi venditori girovaghi che le servono ridotte in piccoli pezzi su minuscoli fogli di carta oleata; i piccoli pezzi di trippa vengono prima irrorati col succo di limone e poi cosparsi con del sale che viene prelevato da un corno bovino scavato ad hoc proprio per contenere il sale e bucato sulla punta per permetterne la distribuzione. Detto corno viene portato dal venditore di trippa, appeso in vita e lasciato pendente sul davanti del corpo. Proprio la vicinanza con intuibili parti anatomiche del corpo, permettono alla locuzione di significare che ci si trovi nell'impossibilità di aderire alle richieste. Pure 'e cuffiate vanno 'mparaviso. Letteralmente: anche i corbellati vanno in paradiso. Massima consolatoria con cui si tenta di rabbonire i dileggiati cui si vuol fare intendere che sì è vero che ora son presi in giro, ma poi spetterà loro il premio del paradiso. Il termine cuffiato cioè corbellato è il participio passato del verbo cuffià che deriva dal sostantivo coffa = peso, carico, a sua volta dall'arabo quffa= corbello. Dicette 'o scarrafone: Pò chiovere 'gnostia comme vò isso, maje cchiù niro pozzo addeventà... Disse lo scarafaggio: (il cielo) può far cadere tutto l'inchiostro che vuole, io non potrò mai diventare più nero di quel che sono. La locuzione è usata da chi vuole far capire che ha già ricevuto e sopportato tutto il danno possibile dall'esterno, per cui altri sopravvenienti fastidi non gli potranno procurar maggior danno. Abbacca addò vence. Letteralmente: collude con chi vince. Di per sé il verbo abbaccare presupporrebbe una segretezza d'azione che però ormai nella realtà non si riscontra, in quanto l'opportunista - soggetto sottinteso della locuzione in epigrafe non si fa scrupolo di accordarsi apertis verbis con il suo stesso pregresso nemico, se costui, vincitore, gli può offrire vantaggi concreti e repentini. Lo sport di salire sul carro del vincitore e di correre in suo aiuto è stato da sempre praticato dagli italiani. Tené 'e fruvole dint'ô mazzo. Letteralmente: avere i fulmini, i razzi nel sedere. Icastica espressione con la quale si indicano i ragazzi un po' troppo vivaci ed irrequieti ritenuti titolari addirittura di fuochi artificiali allocati nel sedere, fuochi che con il loro scoppiettio costringono i ragazzi a non stare fermi, anzi a muoversi continuamente per assecondare gli scoppiettii. La locuzione viene riferita soprattutto ai ragazzi, ma anche a tutti coloro che non stanno quieti un momento. Letteralmente 'e fruvole sono i fulmini, le folgori dal latino fulgor con roticizzazione e successiva metatesi della elle. Rummané â prevetina o comme a don Paulino. Rimanere alla maniera dei preti o come don Paolino. Id est: Rimanere in condizioni economiche molto precarie addirittura come un mitico don Paolino, sacerdote nolano che, non avendo di che comprare ceri per celebrar messa, si doveva accontentare di tizzoni accesi. Tanto va 'a lancella abbascio ô puzzo, ca ce rummane 'a maneca. Letteralmente: tanto va il secchio al fondo del pozzo che ci rimette il manico. Il proverbio con altra raffigurazione, molto più icastica, ripete il toscano: tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino, e ne adombra il significato sottointendendo che il ripetersi di talune azioni, a lungo andare, si rivelano dannose per chi le compie. La lancella della locuzione è propriamente un secchio atto ad attingere acqua dal pozzo, secchio provvisto di doghe lignee e di un manico in metallo che, sollecitato lungamente, finisce per staccarsi dal secchio. Signore mio scanza a mme e a chi coglie. Letteralmente: Signore mio fa salvo me e chiunque possa venir colto. E' la locuzione invocazione rivolta a Dio quando ci si trovi davanti ad una situazione nella quale si corra il pericolo di finire sotto i colpi imprecisi e maldestri di qualcuno che si stia cimentando in operazioni non supportate da perizia. 'O piezzo cchiù gruosso à dda essere 'a recchia. Letteralmente: il pezzo più grande deve essere l'orecchio. Iperbolica minaccia che un tempo veniva rivolta soprattutto ai ragazzini chiassosi e/o facinorosi cui si promettevano inenarrabili percosse tali da ridurli in pezzi di cui il più grande avrebbe dovuto essere l'orecchio. Essere 'na guallera cu 'e filosce. Letteralmente: essere un'ernia corredata di frittate d'uova. Icastica offensiva espressione con cui si denota una persona molle ed imbelle dal carattere debole quasi si tratti di una molle pendula ernia a cui siano attaccate, per maggior disdoro delle ugualmente molli e spugnose frittatine d'uova. Mettere a uno 'ncopp' a 'nu puorco. Letteralmente: mettere uno a cavallo di un porco. Id est: sparlar di uno, spettegolarne, additarlo al ludibrio degli altri, come avveniva anticamente quando al popolino era consentito condurre alla gogna il condannato trasportandolo a dorso di maiale affinché venisse notato da tutti e fatto segno di ingiurie e contumelie. Oramaje ha appiso 'e fierre a sant' Aloja. Letteralmente: ormai ha appeso i ferri a sant'Eligio. Id est: ormai non ha più velleità sessuali,(ha raggiunto l'età della senescenza ...)Il sant'Aloja della locuzione è sant'Eligio (in francese Alois) al mercato, basilica napoletana dove i cocchieri di piazza andavano ad appendere i ferri dei cavalli che, per raggiunti limiti di età, smettevano di lavorare. Da questa consuetudine, il proverbio ammiccante nei confronti degli anziani. Si me metto a ffà cappielle, nascéno criature senza capa. Letteralmente: se mi metto a confezionare cappelli nascono bimbi senza testa. Iperbolica amara considerazione fatta a Napoli da chi si ritenga titolare di una sfortuna macroscopica. A - Nun fa pérete a chi tène culo. B - Nun dà ponie a chi tène mane. I due proverbi in epigrafe, in fondo con parole diverse mirano allo stesso scopo: a consigliare cioè colui a cui vengon rivolti di porre parecchia attenzione al proprio operato per non incorrere - secondo un noto principio fisico - in una reazione uguale e contraria che certamente si verificherà; nel caso sub A, infatti è facile attendersi una salve di peti da parte di colui che, provvisto di sedere, sia stato fatto oggetto di una medesima salve. Nel caso sub B, chi ha colpito con pugni qualcuno si attenda pure la medesima reazione se il colpito è provvisto di mani. 'A sciotra 'e Cazzetta: iette a piscià e se ne cadette. Letteralmente: la cattiva fortuna di Cazzetta che si dispose a mingere e perse per caduta l'organo deputato alla bisogna. Iperbolica locuzione costruita dal popolo napoletano intorno ad un fantomatico Cazzetta ritenuto così sfortunato da non potersi permettere le più elementari funzioni fisiologiche senza incorrere in danni incommensurabii. La locuzione è l'amaro commento fatto da chi veda le proprie opere non produrre gli sperati risultati positivi, ma al contrario negatività non prevedibili. Quanno chiovono passe e ficusecche. Letteralmente: quando cadono dal cielo uva passita e fichi secchi. Id est: mai. La locuzione viene usata quale risposta dispettosa a chi chiedesse quando si potrebbe verificare un accadimento ritenuto invece dalla maggioranza irrealizzabile. Meglio scommunicato, ca communicato 'e pressa. Letteralmente: meglio scomunicato che comunicato di fretta.Id est: il danno morale è da preferirsi al danno fisico, soprattutto quando questo sia il danno ultimo:la morte; communicato 'e pressa significa: ricevere il Viatico. Doppo magnato e vìppeto" a' salute vosta". Letteralmente: Dopo d'aver mangiato e bevuto:"alla vostra salute". L'espressione in epigrafe si usa a Napoli, per commentare sarcasticamente il comportamento di chi approfitta di una situazione proficua e posticipa gli atteggiamenti augurali, dopo di aver goduto di benefici per i quali la buona norma vorrebbe che gli auguri venissero fatti antecedentemente prima cioè di godere dei frutti di azioni comuni; a mo' d'es.: un brindisi va fatto prima, non dopo una bevuta corale. Metterse 'e casa e puteca. Letteralmente: porsi di casa e bottega. Id est:accingersi ad un lavoro con massima attenzione ed attaccamento puntiglioso come chi dura la propria vita in quella che sia contemporaneamente casa e sede del proprio operare cui potersi dedicare senza soluzione di continuità e senza perdite di tempo che invece ci sarebbero qualora ci si dovesse spostare dalla bottega alla casaviceversa. Fà 'o scrupolo d''o ricuttaro. Letteralmente: fare lo scrupolo del magnaccia. Id est: scandalizzarsi grandemente al cospetto di altrui veniali mancanze, alla stregua di un lenone abituato a compiere gravi mancanze che si scandalizzasse di piccoli reati compiuti da altre persone.La locuzione è usata a Napoli appunto per bollare il comportamento chiaramente falso di chi abitualmente incline a delinquere mostra di scandalizzarsi davanti a piccole mancanze... Purtà p''e viche. Letteralmente: menare per i vicoli. Id est: comportarsi truffaldinamente nei confronti di qualcuno, imbrogliandolo, confondendolo, rimandando sine die il compimento di promesse formulategli, conducendolo per tortuosi e dispersivi vicoli in luogo della retta e più breve via maestra. L'espressione è normalmente intesa in senso figurato, ma potrebbe esserlo anche in senso concreto nel deprecato caso del furbo tassista che,invece di andare diritto alla meta, porti il povero passeggero in giro per la città prima di depositarlo a destinazione. 'A raggione s''a pigliano 'e fesse. Letteralmente: la ragione se la prendono gli sciocchi. La locuzione con aria risentita viene profferita da chi si vede tacitato con vuote chiacchiere, in luogo delle attese concrete opere. Se so' stutate 'e llampiuncelle. Letteralmente: si sono spente le luminarie. Id est: siamo alla fine, non c'è più rimedio, non c'è più tempo per porre rimedio ad alcunché, la festa è finita. Truòvate chiuso e piérdete chisto accunto. Letteralmente: Trovati chiuso e perditi questo cliente.La divertita locuzione viene usata in senso ironico a commento della situazione antipatica in cui qualcuno abbia a che fare con persona pronta ad infastidire o a richiedere i maggior vantaggi da un quid senza voler conferire il giusto corrispettivo, come nel caso ad es. di un cliente che pretenda di accaparrarsi la miglior merce, ma sia restio a pagare il giusto prezzo dovuto.L'accunto deriva dal latino: accognitus=cliente Fà tre fiche nove rotele. Letteralmente: fare con tre fichi nove rotoli. Con l'espressione in epigrafe, a Napoli si è soliti bollare i comportamenti o - meglio - il vaniloquio di chi esagera con le parole e si ammanta di meriti che non possiede, né può possedere. Per intendere appieno la valenza della locuzione occorre sapere che il rotolo era una unità di peso del Regno delle Due Sicilie e corrispondeva in Sicilia a gr.790 mentre a Napoli e suo circondario,ad 890 grammi per cui nove rotole corrispondevano a Napoli a circa 8 kg. ed è impossibile che tre fichi (frutto, non albero) possano arrivare a pesare 8 kg. Per curiosità storica rammentiamo che il rotolo, come unità di peso, è in uso ancora oggi a Malta che, prima di divenire colonia inglese, apparteneva al Regno delle Due Sicilie. Ancora ricordiamo che il rotolo deriva la sua origine dalla misura araba RATE,trasformazione a sua volta della parola greca LITRA, che originariamente indicava sia una misura monetaria che di peso; la LITRA divenne poi in epoca romana LIBRA (libbra)che vive ancora in Inghilterra col nome di pound che indica sia la moneta che un peso e come tale corrisponde a circa 453,6 grammi, pressappoco la metà dell'antico rotolo napoletano. 'A disgrazzia d''o 'mbrello è quanno chiove fino fino. Letteralmente: la malasorte dell'ombrello è quando pioviggina lentamente. Va da sè che l'ombrello corre i maggiori rischi di rompersi allorché debba essere aperto e chiuso continuamente, non quando debba sopportare un unico, sia pure violento, scroscio temporalesco; così l'uomo(che nel proverbio è adombrato sotto il termine di 'mbrello) soffre di più nel sopportare continuate piccole prove che non un solo , anche se pesante danno. Avimmo fatto: cupinte, cupinte: 'e cavére 'a fora e 'e fridde 'a dinto. Letteralmente: abbiamo fatto cùpidi, cùpidi: i caldi (son restati) di fuori ed i freddi(sono entrati) dentro. Icastica espressione napoletana che fotografa una realtà nella quale stravolgendo la logica e l'attesa, si dà via libera a chi non è all'altezza della situazione e si lascia a bocca asciutta chi meriterebbe la priorità nel godimento di un quid (che - nella fattispecie - sono i favori di una donna). 'A pecora s'à dda tusà, nun s'à dda scurtecà Letteralmente: la pecora va tosata, ma non scorticata. Id est: est modus in rebus: non bisogna mai esagerare; nel caso : è giusto che una pecora venga tosata, non è corretto però scarnificarla; come è giusto pagare i tributi, ma questi non devono essere esosi. - Zi' pre' 'o cappiello va stuorto... - Accussì ha dda jì! - Signor prete, il cappello va storto - Così deve andare. Simpatico duettare tra un gruppetto di monelli che - pensando di porre in ridicolo un prete - gli significavano che egli aveva indossato il suo cappello di sgimbescio, e si sentirono rispondere che quella era l'esatta maniera di portare il suddetto copricapo. La locuzione viene usata quando si voglia fare intendere che non si accettano consigli non richiesti soprattutto quando chi dovrebbe riceverli ha - per sua autorità - sufficiente autonomia di giudizio. Dicette Nunziata: Ce ponno cchiù ll'uocchie ca 'e scuppettate! Letteralmente: Disse Nunziata: Hanno più potenza gli occhi (il malocchio) che le schioppettate.Il napoletano teme più il danno che gli possa derivare dagli sguardi malevoli di taluno, che il danno che possono arrecargli colpi di fucile: dalle ferite da arma da fuoco si può guarire, più difficile sfuggire alla jettatura. A' nnotte se 'nzuraje Catiello. Letteralmente: Catello (inguaribile scapolo) prese moglie di notte. La locuzione fotografa una situazione che in italiano è resa con: MEGLIO TARDI CHE MAI, il Catello, infatti procrastinò tanto il suo matrimonio che quando fu celebrato era oramai notte. Nella locuzione partenopea si tenga presente la geminazione iniziale della lettera N nella parola notte che lascia capire che la A iniziale non è l'articolo femminile ('A) ma una preposizione che introduce un concetto temporale reso con la doppia N di notte; se la A fosse stato un articolo la successiva parola notte sarebbe stata scritta in maniera scempia con una sola N. 'E maccarune se magnano teniénte, teniénte. Letteralmente: i maccheroni vanno mangiati molto al dente. La locuzione a Napoli oltre a compendiare un consiglio gastronomico ineludibile, viene usata anche per significare che gli affari devono esser conclusi sollecitamente, senza por troppe remore in mezzo. Quanno siente 'o llatino da 'e fesse, è signo 'e mal' annata. Letteralmente: quando senti che gli sciocchi parlano latino, è segno di un cattivo periodo.Id est: l'ostentazione di cultura da parte degli stupidi ed ignoranti, prelude a tempi brutti, per cui son da temere gli sciocchi che si paludano da sapienti... Pare 'o sorice 'nfuso 'a ll'uoglio. Letteralmente: sembra un topolino bagnato da l'olio. La locuzione viene usata a Napoli nei confronti di taluni bellimbusti che vanno in giro tirati a lucido ed impomatati che in napoletantano suona: alliffati (dal greco aleiphar=olio); tali soggetti vengon paragonati ad un topolino che per ventura sia cascato nell'orcio dell'olio e ne sia riemerso completamente unto e luccicante. 'A carne se jetta e 'e cane s'arraggiano. Letteralmente: la carne si butta ed i cani s'arrabbiano. Id est: c'è abbondanza di carne, ma mancanza di danaro per acquistarla e ciò determina profonda rabbia in chi, non avendo pecunia, non può approfittare dell'abbondanza delle merci. Per traslato, il proverbio è usato in tutte le situazioni in cui una qualsiasi forma di indigenza è ostativa al raggiungimento di un fine che parrebbe invece a portata di mano; ciò vale anche nei rapporti tra i due sessi: per es. allorchè la donna si offra apertamente e l'uomo non abbia il coraggio di cogliere l'occasione; un terzo - spettatore, magari concupiscente, commenta la situazione con le parole in epigrafe. 'A vecchia a 'e trenta 'austo, mettette 'o trapanaturo a 'o ffuoco. Letteralmente: la vecchia ai trenta d'agosto (per riscaldarsi) mise nel fuoco l'aspo. Il proverbio viene usato a mo' di avvertenza, soprattutto nei confronti dei giovani o di chi si atteggi a giovane, che si lasciano cogliere impreparati alle prime avvisaglie dei freddi autunnali che già si avvertano sul finire del mese di agosto, freddi che - come dice l'esperienza - possono essere perniciosi al punto da indurre i più esperti (la vecchia) ad usare come combustibile persino un utile oggetto come un aspo, l'arnese usato per ammatassare la lana filata. Per estensione, il proverbio si usa con lo stesso fine di ammonimento, nei confronti di chiunque si lasci cogliere impreparato non temendo un possibile inatteso rivolgimento di fortuna - quale è il freddo in un mese ritenuto caldo. Jì zumpanno asteche e lavatore. Letteralmente: andar saltando per terrazzi e lavatoi. Id est: darsi al buon tempo, trascorrendo la giornata senza far nulla di costruttivo, ma solo bighellonando in ogni direzione: a dritta e a manca, in alto (asteche=lastrici solai,terrazzi) ed in basso (i lavatoi erano olim ubicati in basso - per favorire lo scorrere delle acque - presso sorgenti di acque o approntate fontane, mentre l'asteche, ubicati alla sommità delle case,erano i luoghi deputati ad accogliere i panni lavati per poterli acconciamente sciorinare al sole ed al vento, per farli asciugare. Pare ca mo te veco vestuto 'a urzo. Letteralmente: Sembra che ora ti vedrò vestito da orso. Locuzione da intendersi in senso ironico e perciò antifrastico. Id est: Mai ti potrò vedere vestito della pelle dell'orso, giacché tu non hai nè la forza, nè la capacità fisica e/o morale di ammazzare un orso e vestirti della sua pelle. La frase viene usata a commento delle azioni iniziate da chi sia ritenuto inetto al punto da non poter portare al termine ciò che intraprende. 'O cucchiere 'e piazza: te piglia cu 'o 'ccellenza e te lassa cu 'o chi t'è mmuorto. Letteralmente: il vetturino da nolo: ti accoglie con l'eccellenza e ti congeda bestemmiandoti i morti.Il motto compendia una situazione nella quale chi vuole ottenere qualcosa, in principio si profonde in ossequi e salamelecchi esagerati ed alla fine sfoga il proprio livore represso, come i vetturini di nolo adusi a mille querimonie per attirare i clienti, ma poi - a fine corsa - pronti a riversare sul medesimo cliente immani contumelie, in ispecie allorché il cliente nello smontare dalla carrozza questioni sul prezzo della corsa, o - peggio ancora - non lasci al vetturino una congrua mancia. Jì cascia e turnà bauglio oppure Jì stocco e turnà baccalà. Letteralmente: andar cassa e tornare baùle oppure andare stoccafisso e tornare baccalà. Id est: non trarre profitto alcuno o dallo studio intrapreso o dall'apprendimento di un mestiere, come chi inizi l'apprendimento essendo una cassa e lo termini da baùle ossia non muti la sua intima essenza di vacuo contenitore, o - per fare altro esempio - come chi inizi uno studio essendo dello stoccafisso e lo termini diventando baccalà, diverso in forma, ma sostanzialmente restando un immutato merluzzo. Con il proverbio in epigrafe, a Napoli, si è soliti commentare le maldestre applicazioni di chi non trae profitto da ciò che tenta di fare, perchè vi si applica maldestramente o con cattiva volontà. Tu muscio-muscio siente e frusta llà, no! Letteralmente: Tu senti il richiamo(l'invito)e l'allontanamento no. Il proverbio si riferisce a quelle persone che dalla vita si attendono solo fatti o gesti favorevoli e fanno le viste di rifiutare quelli sfavorevoli comportandosi come gatti che accorrono al richiamo per ricevere il cibo, ma scacciati, non vogliono allontanarsi; comportamento tipicamente fanciullesco che rifiuta di accettare il fatto che la vita è una continua alternanza di dolce ed amaro e tutto deve essere accettato, il termine frusta llà discende dal greco froutha-froutha col medesimo significato di :allontanati, sparisci. 'E denare so' comm'a 'e chiattille: s'attaccano a 'e cugliune. Letteralmente: i soldi son come le piattole: si attaccano ai testicoli. Nel crudo, ma espressivo adagio partenopeo il termine cugliune viene usato per intendere propriamente i testicoli, e per traslato, gli sciocchi e sprovveduti cioé quelli che annettono così tanta importanza al danaro da legarvisi saldamente. He 'a murì rusecato da 'e zzoccole e 'o primmo muorzo te ll'à da dà mammèta Che possa morire rosicchiato dai grossi topi di fogna ed il primo morso lo devi avere da tua madre. Icastica maledizione partenopea giocata sulla doppia valenza del termine zoccola che, a Napoli, identifica sia il topo di fogna che la donna di malaffare Ma te fosse jiuto 'o lliccese 'ncapo? Letteralmente: ma ti fosse andato il leccese in testa? Id est: fossi impazzito? Avessi perso l'uso della ragione? Icastica espressione che, a Napoli, viene usata nei confronti di chi, senza motivo, si comporti irrazionalmente. Il leccese dell'espressione non è - chiaramente - un abitante di Lecce, ma un tipo di famoso tabacco da fiuto, prodotto, temporibus illis, nei pressi del capoluogo pugliese; l'espressione paventa il fatto che il tabacco fiutato possa- non si sa bene come - aver raggiunto, attraverso le coani nasali il cervello e leso così le facoltà raziocinanti del... fiutatore. Fà 'e scarpe a quacched'uno. Letteralmente: Fare le scarpe a qualcuno. Id est: conciar male, ridurre a cattivo partito qualcuno fino al punto di approntargli la morte. L'espressione deriva dall'usanza che si teneva a Napoli, di far calzare ai morti di un certo rango - per l'ultimo viaggio - delle scarpe nuove, conservate all'uopo dai familiari. Cu chestu lignamme se fanno 'e strommole. Letteralmente: con questo legno si fanno le trottoline. Id est: Non attendetevi risultati migliori, perché con questo materiale che ci conferite non possiamo che fornirvi cose senza importanza e non altro! In una seconda valenza la locuzione sta a significare: badate che ciò che ci avete richiesto si fa con questo (scadente) materiale, non con altro più pregiato... Cu 'nu NO te spicce e cu 'nu Sì te 'mpicce! Letteralmente: con un NO ti liberi e con un Sì resti impicciato. Id est: il rifiuto o il diniego comportano vantaggi, mentre l'accondiscendere reca seco grossi problemi; il rispondere di no ad una richiesta comporta in effetti disagio solo al momento del diniego, ma il risponder di sì comporta innumerovoli e continuati disagi per tutto il tempo necessario a dar corso a quanto promesso. Addò nun ce stanno campane, nun ce stanno puttane. Letteralmente: dove non ci sono campane, non ci sono prostitute. Va da sè che il proverbio non deve essere inteso in senso strettamente letterale, giacché - per fare un esempio - nelle terre islamiche non vi sono campane, ma ciò non significa che non vi siano prostitute. Le campane della locuzione devono essere intese come segno di un'avvenuta conurbazione di un luogo, volendo affermar che le prostitute è più facile trovarle là dove vi siano possibili clienti piuttosto che in luoghi disabitati dove più rari possono essere i fruitori dell'opere delle prostitute. Dicette vavone: Levamme 'a 'ccasiona... Letteralmente: disse il trisavolo: Lasciamo stare... Id est: Occorre lasciar correre e non accapigliarsi ad ogni pie' sospinto, togliendo - anzi - l'occasione, ossia lasciando cadere i motivi prossimi che ci spingerebbero al contrasto; è l'invito alla pace anche rimettendoci. 'O rancio 'e dint' a 'e scoglie: ddoje vocche e 'a cascia 'e mmerda. A Napoli di una persona insignificante, buona solo a sparlare si dice che è simile al granchio degli scogli che è tutto chele(erroneamente dette bocche) e carapace. Chi 'a fa sporca, è priore. Letteralmente: chi si comporta male, diventa priore. Amaro principio che però parte dalla disincantata osservazione della realtà nella quale per assurgere ai posti di preminenza occorre comportarsi male se non peggio. Pìgliate 'a bbona, quanno te vène, pecché 'a trista nun manca maje. Letteralmente: Cogli la buona (occasione) quando ti si presenta, perché i momenti cattivi non mancano mai... E' il medesimo concetto del carpe diem oraziano con l'aggiunta di una pessimistica motivazione. Fà 'a spina 'e pesce. Letteralmente: far la spina di pesce. Id est: non portare a compimento un'operazione qualsivoglia, tentando di rimandarne il compimento e la conclusione sine die, tentando in questo modo di riceverne il maggior beneficio possibile, beneficio che verrebbe meno qualora si portasse a compimento l'operazione principiata. La locuzione che vien riferita a chiunque truffaldinamente cerchi di guadagnare attardandosi nel portare a buon fine ciò che ha principiato nacque a ricordo di ciò che avvenne ad un povero pescatore che, lavorando, si ferì ad una mano nella quale s'era conficcata una spina di pesce. Per esser medicato, il pescatore si recò presso la casa di un medico al quale portò in omaggio una spasella (cestello) di pesce fresco. Il medico, operò una sommaria medicazione e congedò il pescatore invitandolo a ritornare dopo un paio di giorni. Il pescatore ritornò dopo alcuni giorni recando altro pesce freschissimo e la scena continuò a ripetersi parecchie volte fino a che un giorno il pescatore non trovò in casa il medico, ma un figliolo di costui che esercitava la medesima professione paterna. Ebbene, il giovane medico resosi conto che la mano non sarebbe guarita fino a che la spina fosse rimasta infissa nella ferita riuscì ad estrarla dalla mano, che medicata fu avviata a guarigione. Tornato a casa il vecchio medico, il giovane figlio, pensando di essere complimentato, gli comunicò che aveva liberato il pescatore della sua maledetta spina. Al che il disonesto genitore lo redarguì violentemente dicendogli: Stupido, comportandoti come ti sei comportato hai perduto il beneficio di ricevere ancora gratuitamente del buonissimo pesce fresco! Se fruscia Pintauro d''e sfugliatelle jute acito. Letteralmente: si pavoneggia Pintauro di sfogliatelle inacidite. Id est: gloriarsi a sproposito di situazioni che più che dimostrare la propria valentia, mettono in mostra risultati scadenti delle proprie azioni. Pintauro è un antichissimo pasticciere napoletano famoso produttore di sfogliatelle, dolce tipico partenopeo inventato a Napoli dalle monache del convento della Croce di Lucca e diffuso poi in tutto il mondo. Dà zizza 'e vacca pe tarantiello. Letteralmente: dar mammella di mucca per tarantello. La locuzione ha una doppia valenza a seconda del significato che si dà al termine tarantello. In una prima accezione tarantello è un pezzo di carne dato come aggiunta vicino a della carne più pregiata, al fine di sistemarne il giusto peso. Usandola con tale accezione, figuratamente, la locuzione significa che colui contro cui è rivolta, non si è impegnato molto nel dare il giusto dovuto, ma ha rabberciato la prestazione portandola a compimento con l'uso di materiali di scarto. Nel caso che con la voce tarantello si voglia indicare la pregiata pancetta di tonno, figuratamente vuol significare che colui contro cui la locuzione è diretta, si è comportato da gran mistificatore ed imbroglione come chi abbia conferito vilissima mammella di mucca in luogo della dovuta, costosa pancetta di tonno. Mantenimmoce pulite, ca ce stanno 'e ccarte janche! Letteralmente: manteniamoci netti perché son presenti le carte bianche! Id est: Non affrontiamo argomenti scabrosi; teniamo a mente che ci sono dei bambini che ci ascoltano ed in loro presenza è sconveniente toccare argomenti che potrebbero provocare domande a cui sarebbe difficile rispondere. Facimmo ammuina! Letteralmente: facciamo confusione. E' l'invito a creare il disordine nel quale si possa mestare al fine di conseguire dei vantaggi. La locuzione in epigrafe, dai soliti disinformati e bugiardi storici postunitari si ritiene essere addirittura il titolo di un articolo di un preteso regolamento della marina borbonica del 1841, articolo nel quale si sarebbero indicati i vari modi di fare ammuina; si tratta chiaramente di una voluta sciocchezza tesa a denigrare l'organizzazione e la valentia della marineria di Francesco II Borbone... Tené 'a neve dint' a' sacca. Letteralmente: tenere la neve in tasca. Id est: avere o mostrar d'avere grandissima fretta quale quella che dovrebbe portare chi trasportasse neve tenendola in tasca e volesse evitare di perderla; cosa - peraltro - impossibile giacché basta il calore del corpo per portare alla liquefazione della neve trasportata tenendola in una tasca dei vestiti. A lietto astritto, cùccate 'mmiezo. Letteralmente: in un letto stretto, coricati in mezzo. Il consiglio della locuzione non è quello di sapersi adattare alle situazioni, quanto quello di ricercare in ogni occasione la soluzione migliore; in un letto stretto, perché piccolo o perché già occupato da altri, è consigliabile coricarsi al centro, il posto più sicuro, che può preservare da rovinose cadute laterali. 'O scarparo e 'o bancariello: nun se sape chi ha fatto 'o pireto Letteralmente: il calzolaio e il deschetto: non si sa chi ha fatto il peto.Icastica espressione che viene usata allorché in una situazione che non presti il fianco a difficili interpretazioni, ci si trovi davanti a qualcuno che non voglia riconoscere la propria responsabilità e mesti nel torbido per scaricare su altri la medesima, anche su chi - per legge di natura - è chiaramente impossibilitato a compiere ciò di cui si intende accusarlo come nel caso dell'espressione in epigrafe un deschetto che manca dello strumento necessario a produrre peti, per cui sarebbe sciocco addebitarli a lui in luogo del calzolaio. Essere ditto tòrtano e senza 'nzogna. Letteralmente: esser chiamato tortano, ma esser sprovvisto di sugna.Colui che viene indicato responsabile di qualcosa di cui - comprovatamente - non sia stato autore suole ribellarsi con la locuzione in epigrafe affermando cioè che non lo si può chiamare tortano, dal momento che egli è privo di strutto, ossia non ha commesso ciò che gli viene addebitato.Per intendere a pieno il significato della frase bisogna sapere che il tòrtano è una grossa ciambella rustica tipica del periodo pasquale, ricca di uova, salumi, provolone e formaggi, ma soprattutto di strutto che se manca non permette alla preparazione culinaria di esser detta: tortano, alla stessa stregua, non si può dare del ladro ad uno se non si ha la prova provata del suo ladrocinio. Ll'acqua 'nfraceta 'e bastimiente a mmare. Letteralmente: l'acqua rende fradice le navi in mare. Così gli accaniti bevitori di vino sogliono respingere un bicchiere d'acqua che venga loro offerto, volendo significare che mutare le abitudini buone può essere pernicioso, se non deleterio. Aizammo 'stu cummò! Letteralmente: solleviamo questo canterano! Id est: sobbarchiamoci questa fatica. A Napoli questa esclamazione viene pronunciata mo' di incitamento quando ci si trovi a principiare un'operazione materiale o meno, che si presuma faticosa e perciò scarsamente accetta quale quella di sollevare un pesante canterano in noce massello resi più ponderoso da un ripiano superiore in marmo cipollino. Figuratamente poi a Napoli quando qualcuno impalma una donna tutt'altro che avvenente e, magari, molto anziana, si suole commentare con un sarcastico: s'è aizato 'stu cummò (ha alzato questo mobile pesante!) E' gghiuto 'o ccaso 'ncopp' a 'e maccarune. Letteralmente: è finito il formaggio sui maccheroni. Id est: la faccenda ha avuto la sua logica e sperata conclusione, allo stesso modo come una spolverata di formaggio conclude nel miglior dei modi la presentazione di un fumante piatto di maccheroni. E' da rammentarsi che un tempo, a Napoli, quando i maccheroni venivano ammanniti per istrada a frettolosi avventori da appositi rivenditori detti "maccheronari" un piatto di maccheroni in bianco servito solo con l'aggiunta di formaggio e un po' di pepe si vendeva per due soldi ed era appunto detto 'o doje allattante cioè il due al latte, mentre i maccheroni al sugo di pomodoro costavano tre soldi ed erano detti 'o tre garibbalde con riferimento al rosso della camicia del masnadiero nizzardo. Va truvanno chi ll'accide. Letteralmente: va in cerca di chi lo ammazzi. Lo si dice di chi, sciocco e masochista provochi il prossimo, lo stizzisca al punto da provocarne gli istinti omicidi nei propri confronti. Essere brutto cu 'o tè cu 'o nè, 'o piripisso e 'o naianà. Locuzione praticamente intraducibile che racchiude nei suoi quattro termini la quintessenza della bruttezza per modo che colui contro cui viene usata sarà indicato come l'essere più brutto in circolazione. Tentare di individuare il significato dei quattro non-sense della locuzione è cosa impossibile. Buono p'aparà 'o mastrillo. Letteralmente: buono per armare la trappolina.Il mastrillo è la piccola trappola per topi nella quale a mo' di esca si pone un piccolissimo pezzetto di formaggio; così che quando di si dice di una razione alimentareche è buona per armare la trappola, si vuol significare che la razione è veramente parva res, esigua e non adatta a soddisfare neppure un normale appetito. Jì ascianno guaie cu 'o lanternino. Letteralmente: andare alla ricerca di guai con la lanterna. Id est: cacciarsi nei guai quasi con voluttà al punto di andarne alla ricerca con una metaforica lanterna che illumini i luoghi dove i guai stanno nascosti. Il termine asciare significa cercare qualcosa con insistenza quasi fiutandola e viene dal latino adflare: annusare con consueta trasformazione di FL in SCI come per FLOS che in napoletano diventa SCIORE. Si' ghiuto a sentere'a messa d''e disperate? Letteralmente: Sei stato ad assistere alla messa dei disperati? Questa sarcastica domanda viene rivolta a chi si presenti tardi ad un appuntamento perché trattenuto da altra incombenza cominciata tardi e protrattasi quale quella messa che temporibus illis, quando non esistevano ancora le messe vespertine veniva celebrata a Napoli presso la Chiesa della Pietà dei Turchini in via Medina, messa che principiava tardissimo, alle ore 14.30, e che era frequentata dai più incalliti tiratardi che spesso per assistere alla funzione mancavano l'appuntamento delle 15.00, orario canonico nel quale in tutte le cucine napoletane risuonava il fatidico "Menate!" e cioè "calate la pasta " del pranzo domenicale. Sabbato è arrivato, stammo a' fine d'''a semmana: allonga 'o punto e allarga 'a mana. Letteralmente: sabato è giunto, siamo alla fine della settimana, allunga il punto e allarga la mano. La locuzione è pronunciata a mo' di disonesto consiglio allorché ci si trovi davanti alla scadenza di un termine che colga impreparati; allora - prendendo spunto dal disonesto consiglio dato da un sarto ai propri lavoranti,- si esorta a rabberciare il lavoro per portarlo a conclusione nei termini, anche se non nei modi previsti. 'Mpigna, meze sòle e tacche. Letteralmente:tomaia, mezze suole e tacchi. La frase viene usata quando si voglia significare di trovarsi davanti ad una situazione così disastrata che occorra procedere ad una bonifica di parecchi dei suoi componenti come dinanzi ad una scarpa particolarmente rovinata occorrerà procedere alla sostituzione della tomaia, suole e tacchi, di talché converrebbe lo acquisto di un nuovo paio di scarpe piuttosto che portare a compimento una riparazione. 'A fatica d''e fracete se venne a caro prezzo. Letteralmente: il lavoro degli svogliati, si vende caro. Id est: chi ha scarsa voglia di lavorare richiede compensi altissimi per modo da spaventare e distogliere il committente dalla sua richiesta d'opera. Dalle a dalle 'o cucuzziello addeventa tallo. Letteralmente: dagli e dagli la zucchina diventa tallo.Id est: ad insistere sempre sulla medesima questione si finisce male come a cogliere zucchini continuamente non restano che le foglie. Il tallo è la foglia commestibile delle cucurbitacee, ma pure essendo edibile è sempre meno pregiata e saporita dello zucchino che già di suo non è molto saporito. Jì zumpanno asteche e lavatore. Letteralmente: andar saltando per terrazzi e lavatoi. Id est: darsi al buon tempo, trascorrendo la giornata senza far nulla di costruttivo, ma solo bighellonando in ogni direzione: a dritta e a manca, in alto (asteche=lastrici solai,terrazzi) ed in basso (i lavatoi erano olim ubicati in basso - per favorire lo scorrere delle acque - presso sorgenti di acque o approntate fontane, mentre l'asteche, ubicati alla sommità delle case,erano i luoghi deputati ad accogliere i panni lavati per poterli acconciamente sciorinare al sole ed al vento, per farli asciugare. Pare ca mo te veco vestuto 'a urzo. Letteralmente: Sembra che ora ti vedrò vestito da orso. Locuzione da intendersi in senso ironico e perciò antifrastico. Id est: Mai ti potrò vedere vestito della pelle dell'orso, giacché tu non hai nè la forza, nè la capacità fisica e/o morale di ammazzare un orso e vestirti della sua pelle. La frase viene usata a commento delle azioni iniziate da chi sia ritenuto inetto al punto da non poter portare al termine ciò che intraprende. 'O cucchiere 'e piazza: te piglia cu 'o 'ccellenza e te lassa cu 'o chi t'è mmuorto. Letteralmente: il vetturino da nolo: ti accoglie con l'eccellenza e ti congeda bestemmiandoti i morti.Il motto compendia una situazione nella quale chi vuole ottenere qualcosa, in principio si profonde in ossequi e salamelecchi esagerati ed alla fine sfoga il proprio livore represso, come i vetturini di nolo adusi a mille querimonie per attirare i clienti, ma poi - a fine corsa - pronti a riversare sul medesimo cliente immani contumelie, in ispecie allorché il cliente nello smontare dalla carrozza questioni sul prezzo della corsa, o - peggio ancora - non lasci al vetturino una congrua mancia. Jì cascia e turnà bauglio oppure Jì stocco e turnà baccalà. Letteralmente: andar cassa e tornare baùle oppure andare stoccafisso e tornare baccalà. Id est: non trarre profitto alcuno o dallo studio intrapreso o dall'apprendimento di un mestiere, come chi inizi l'apprendimento essendo una cassa e lo termini da baùle ossia non muti la sua intima essenza di vacuo contenitore, o - per fare altro esempio - come chi inizi uno studio essendo dello stoccafisso e lo termini diventando baccalà, diverso in forma, ma sostanzialmente restando un immutato merluzzo. Con il proverbio in epigrafe, a Napoli, si è soliti commentare le maldestre applicazioni di chi non trae profitto da ciò che tenta di fare, perchè vi si applica maldestramente o con cattiva volontà. Tu muscio-muscio siente e frusta llà, no! Letteralmente: Tu senti il richiamo(l'invito)e l'allontanamento no. Il proverbio si riferisce a quelle persone che dalla vita si attendono solo fatti o gesti favorevoli e fanno le viste di rifiutare quelli sfavorevoli comportandosi come gatti che accorrono al richiamo per ricevere il cibo, ma scacciati, non vogliono allontanarsi; comportamento tipicamente fanciullesco che rifiuta di accettare il fatto che la vita è una continua alternanza di dolce ed amaro e tutto deve essere accettato, il termine frusta llà discende dal greco froutha-froutha col medesimo significato di :allontanati, sparisci. 'E denare so' comm'a 'e chiattille: s'attaccano a 'e cugliune. Letteralmente: i soldi son come le piattole: si attaccano ai testicoli. Nel crudo, ma espressivo adagio partenopeo il termine cugliune viene usato per intendere propriamente i testicoli, e per traslato, gli sciocchi e sprovveduti cioé quelli che annettono così tanta importanza al danaro da legarvisi saldamente. He 'a murì rusecato da 'e zzoccole e 'o primmo muorzo te ll'à da dà mammèta Che possa morire rosicchiato dai grossi topi di fogna ed il primo morso lo devi avere da tua madre. Icastica maledizione partenopea giocata sulla doppia valenza del termine zoccola che, a Napoli, identifica sia il topo di fogna che la donna di malaffare Ma te fosse jiuto 'o lliccese 'ncapo? Letteralmente: ma ti fosse andato il leccese in testa? Id est: fossi impazzito? Avessi perso l'uso della ragione? Icastica espressione che, a Napoli, viene usata nei confronti di chi, senza motivo, si comporti irrazionalmente. Il leccese dell'espressione non è - chiaramente - un abitante di Lecce, ma un tipo di famoso tabacco da fiuto, prodotto, temporibus illis, nei pressi del capoluogo pugliese; l'espressione paventa il fatto che il tabacco fiutato possa- non si sa bene come - aver raggiunto, attraverso le coani nasali il cervello e leso così le facoltà raziocinanti del... fiutatore. Fà 'e scarpe a quacched'uno. Letteralmente: Fare le scarpe a qualcuno. Id est: conciar male, ridurre a cattivo partito qualcuno fino al punto di approntargli la morte. L'espressione deriva dall'usanza che si teneva a Napoli, di far calzare ai morti di un certo rango - per l'ultimo viaggio - delle scarpe nuove, conservate all'uopo dai familiari. Cu chestu lignamme se fanno 'e strommole. Letteralmente: con questo legno si fanno le trottoline. Id est: Non attendetevi risultati migliori, perché con questo materiale che ci conferite non possiamo che fornirvi cose senza importanza e non altro! In una seconda valenza la locuzione sta a significare: badate che ciò che ci avete richiesto si fa con questo (scadente) materiale, non con altro più pregiato... 'O pesce vo' tre effe: Frisco Fritto e Futo. Il pesce vuole tre effe: fresco, fritto e futo cioè vuoto ossia ben eviscerato. Il napoletano il pesce lo ama in frittura non bollito, giacché usa dire che il pesce bollito è buono per i malati; ciò vale naturalmente quando il pesce sia di piccola taglia e si possa friggere a dovere, mentre per il pesce grosso o da taglio a Napoli si preferisce cuocerlo sulla griglia o al forno. Cu 'nu NO te spicce e cu 'nu Sì te 'mpicce! Letteralmente: con un NO ti liberi e con un Sì resti impicciato. Id est: il rifiuto o il diniego comportano vantaggi, mentre l'accondiscendere reca seco grossi problemi; il rispondere di no ad una richiesta comporta in effetti disagio solo al momento del diniego, ma il risponder di sì comporta innumerovoli e continuati disagi per tutto il tempo necessario a dar corso a quanto promesso. Addò nun ce stanno campane, nun ce stanno puttane. Letteralmente: dove non ci sono campane, non ci sono prostitute. Va da sè che il proverbio non deve essere inteso in senso strettamente letterale, giacché - per fare un esempio - nelle terre islamiche non vi sono campane, ma ciò non significa che non vi siano prostitute. Le campane della locuzione devono essere intese come segno di un'avvenuta conurbazione di un luogo, volendo affermar che le prostitute è più facile trovarle là dove vi siano possibili clienti piuttosto che in luoghi disabitati dove più rari possono essere i fruitori dell'opere delle prostitute. Dicette vavone: Levamme 'a 'ccasiona... Letteralmente: disse il trisavolo: Lasciamo stare... Id est: Occorre lasciar correre e non accapigliarsi ad ogni pie' sospinto, togliendo - anzi - l'occasione, ossia lasciando cadere i motivi prossimi che ci spingerebbero al contrasto; è l'invito alla pace anche rimettendoci. 'O rancio 'e dint' a 'e scoglie: ddoje vocche e 'a cascia 'e mmerda. A Napoli di una persona insignificante, buona solo a sparlare si dice che è simile al granchio degli scogli che è tutto chele(erroneamente dette bocche) e carapace. Chi 'a fa cchiù sporca, è priore. Letteralmente: chi si comporta male, diventa priore. Amaro principio che però parte dalla disincantata osservazione della realtà nella quale per assurgere ai posti di preminenza occorre comportarsi male se non peggio. Pìgliate 'a bbona, quanno te vène, pecché 'a trista nun manca maje. Letteralmente: Cogli la buona (occasione) quando ti si presenta, perché i momenti cattivi non mancano mai... E' il medesimo concetto del carpe diem oraziano con l'aggiunta di una pessimistica motivazione. Mare a chi à dda avé e viato a chi à dda dà Letteralmente: Meschino chi deve avere e beato chi deve dare. A prima vista parrebbe il contrario, ma l'attenta osservazione della realtà fa concludere che è esatto ciò che afferma il proverbio; in effetti il creditore che si trovi in una posizione di attesa è in una situazione peggiore del debitore che, avendo già ottenuto ciò che ha determinato la sua posizione debitoria, può - magari - rimandare sine die la soluzione del suo debito risultando così privilegiato rispetto al suo creditore che ha già conferito un quid Farne cchiù 'e Petro BIALARDO. FARNE più di PETRO BIALARDO Con l’espressione in epigrafe si vuole bollare il comportamento scorretto di qualcuno che abbia commesso numerose gravi malefatte al punto di esser ritenuto esecutore di scorrette azioni, tali da superare per numero e qualità quelle commesse da un tal Petro Bialardo. Non v’è identità di vedute circa la vera identità del suddetto BIALARDO. Opinione corrente è quella che identifica Petro Bialardo con l’astrologo salernitano Pietro Bailardo, vissuto nel XII secolo ed arso sul rogo nel 1149, accusato di magia. Secondo quando tramandato da un non altrimenti noto poeta Luca Pazienza, si vuole che al momento del trapasso, il Crocefisso della Chiesa prossima al luogo del rogo, abbia compiuto un grande miracolo, ma trattandosi di storie sorte in ambito medioevale, periodo incline alla nascita di leggende è difficile credere che il suddetto mago si sia veramente macchiato di azioni così riprovevoli tali da diventare pietra di paragone per altrui misfatti. Altra tesi ravvisa in Petro BIALARDO nient’altro che la corruzione del nome di PIETRO ABELARDO (1079 – 1142) filosofo e teologo vissuto a Parigi dove insegnò e dove conobbe in casa del teologo FULBERTO che lo ospitava la di lui nipote ELOISA e se ne innamorò pazzamente, diventandone l’assiduo amante e sollevando lo sdegno del Fulberto, che – per vendetta -lo fece evirare. Il comportamento libertino e licenzioso di Abelardo fu ritenuto in epoca medioevale esempio di azioni riprovevoli, di talché non è errato ipotizzare che il Bialardo della epigrafe sia proprio il suddetto ABELARDO. Fà 'a spina 'e pesce. Letteralmente: far la spina di pesce. Id est: non portare a compimento un'operazione qualsivoglia, tentando di rimandarne il compimento e la conclusione sine die, tentando in questo modo di riceverne il maggior beneficio possibile, beneficio che verrebbe meno qualora si portasse a compimento l'operazione principiata. La locuzione che vien riferita a chiunque truffaldinamente cerchi di guadagnare attardandosi nel portare a buon fine ciò che ha principiato nacque a ricordo di ciò che avvenne ad un povero pescatore che, lavorando, si ferì ad una mano nella quale s'era conficcata una spina di pesce. Per esser medicato, il pescatore si recò presso la casa di un medico al quale portò in omaggio una spasella (cestello) di pesce fresco. Il medico, operò una sommaria medicazione e congedò il pescatore invitandolo a ritornare dopo un paio di giorni. Il pescatore ritornò dopo alcuni giorni recando altro pesce freschissimo e la scena continuò a ripetersi parecchie volte fino a che un giorno il pescatore non trovò in casa il medico, ma un figliolo di costui che esercitava la medesima professione paterna. Ebbene, il giovane medico resosi conto che la mano non sarebbe guarita fino a che la spina fosse rimasta infissa nella ferita riuscì ad estrarla dalla mano, che medicata fu avviata a guarigione. Tornato a casa il vecchio medico, il giovane figlio, pensando di essere complimentato, gli comunicò che aveva liberato il pescatore della sua maledetta spina. Al che il disonesto genitore lo redarguì violentemente dicendogli: Stupido, comportandoti come ti sei comportato hai perduto il beneficio di ricevere ancora gratuitamente del buonissimo pesce fresco! Se fruscia Pintauro d''e sfugliatelle jute acito. Letteralmente: si pavoneggia Pintauro di sfogliatelle inacidite. Id est: gloriarsi a sproposito di situazioni che più che dimostrare la propria valentia, mettono in mostra risultati scadenti delle proprie azioni. Pintauro è un antichissimo pasticciere napoletano famoso produttore di sfogliatelle, dolce tipico partenopeo inventato a Napoli dalle monache del convento della Croce di Lucca e diffuso poi in tutto il mondo. Dà zizza 'e vacca pe tarantiello. Letteralmente: dar mammella di mucca per tarantello. La locuzione ha una doppia valenza a seconda del significato che si dà al termine tarantello. In una prima accezione tarantello è un pezzo di carne dato come aggiunta vicino a della carne più pregiata, al fine di sistemarne il giusto peso. Usandola con tale accezione, figuratamente, la locuzione significa che colui contro cui è rivolta, non si è impegnato molto nel dare il giusto dovuto, ma ha rabberciato la prestazione portandola a compimento con l'uso di materiali di scarto. Nel caso che con la voce tarantello si voglia indicare la pregiata pancetta di tonno, figuratamente vuol significare che colui contro cui la locuzione è diretta, si è comportato da gran mistificatore ed imbroglione come chi abbia conferito vilissima mammella di mucca in luogo della dovuta, costosa pancetta di tonno. Mantenimmoce pulite, ca ce stanno 'e ccarte janche! Letteralmente: manteniamoci netti perché son presenti le carte bianche! Id est: Non affrontiamo argomenti scabrosi; teniamo a mente che ci sono dei bambini che ci ascoltano ed in loro presenza è sconveniente toccare argomenti che potrebbero provocare domande a cui sarebbe difficile rispondere. A lietto astritto, cùccate 'mmiezo. Letteralmente: in un letto stretto, coricati in mezzo. Il consiglio della locuzione non è quello di sapersi adattare alle situazioni, quanto quello di ricercare in ogni occasione la soluzione migliore; in un letto stretto, perché piccolo o perché già occupato da altri, è consigliabile coricarsi al centro, il posto più sicuro, che può preservare da rovinose cadute laterali. 'O scarparo e 'o bancariello: nun se sape chi ha fatto 'o pireto Letteralmente: il calzolaio e il deschetto: non si sa chi ha fatto il peto.Icastica espressione che viene usata allorché in una situazione che non presti il fianco a difficili interpretazioni, ci si trovi davanti a qualcuno che non voglia riconoscere la propria responsabilità e mesti nel torbido per scaricare su altri la medesima, anche su chi - per legge di natura - è chiaramente impossibilitato a compiere ciò di cui si intende accusarlo come nel caso dell'espressione in epigrafe un deschetto che manca dello strumento necessario a produrre peti, per cui sarebbe sciocco addebitarli a lui in luogo del calzolaio. Essere ditto tòrtano e senza 'nzogna. Letteralmente: esser chiamato tortano, ma esser sprovvisto di sugna.Colui che viene indicato responsabile di qualcosa di cui - comprovatamente - non sia stato autore suole ribellarsi con la locuzione in epigrafe affermando cioè che non lo si può chiamare tortano, dal momento che egli è privo di strutto, ossia non ha commesso ciò che gli viene addebitato.Per intendere a pieno il significato della frase bisogna sapere che il tòrtano è una grossa ciambella rustica tipica del periodo pasquale, ricca di uova, salumi, provolone e formaggi, ma soprattutto di strutto che se manca non permette alla preparazione culinaria di esser detta: tortano, alla stessa stregua, non si può dare del ladro ad uno se non si ha la prova provata del suo ladrocinio. Ll'acqua 'nfraceta 'e bastimiente a mmare. Letteralmente: l'acqua rende fradice le navi in mare. Così gli accaniti bevitori di vino sogliono respingere un bicchiere d'acqua che venga loro offerto, volendo significare che mutare le abitudini buone può essere pernicioso, se non deleterio. Aizammo 'stu cummò! Letteralmente: solleviamo questo canterano! Id est: sobbarchiamoci questa fatica. A Napoli questa esclamazione viene pronunciata mo' di incitamento quando ci si trovi a principiare un'operazione materiale o meno, che si presuma faticosa e perciò scarsamente accetta quale quella di sollevare un pesante canterano in noce massello resi più ponderoso da un ripiano superiore in marmo cipollino. Figuratamente poi a Napoli quando qualcuno impalma una donna tutt'altro che avvenente e, magari, molto anziana, si suole commentare con un sarcastico: s'è aizato 'stu cummò (ha alzato questo mobile pesante!) E' gghiuto 'o ccaso 'ncopp' a 'e maccarune. Letteralmente: è finito il formaggio sui maccheroni. Id est: la faccenda ha avuto la sua logica e sperata conclusione, allo stesso modo come una spolverata di formaggio conclude nel miglior dei modi la presentazione di un fumante piatto di maccheroni. E' da rammentarsi che un tempo, a Napoli, quando i maccheroni venivano ammanniti per istrada a frettolosi avventori da appositi rivenditori detti "maccheronari" un piatto di maccheroni in bianco servito solo con l'aggiunta di formaggio e un po' di pepe si vendeva per due soldi ed era appunto detto 'o doje allattante cioè il due al latte, mentre i maccheroni al sugo di pomodoro costavano tre soldi ed erano detti 'o tre garibbalde con riferimento al rosso della camicia del masnadiero nizzardo. Va truvanno chi ll'accide. Letteralmente: va in cerca di chi lo ammazzi. Lo si dice di chi, sciocco e masochista provochi il prossimo, lo stizzisca al punto da provocarne gli istinti omicidi nei propri confronti. Essere brutto cu 'o tè cu 'o nè, 'o piripisso e 'o naianà. Locuzione praticamente intraducibile che racchiude nei suoi quattro termini la quintessenza della bruttezza per modo che colui contro cui viene usata sarà indicato come l'essere più brutto in circolazione. Tentare di individuare il significato dei quattro non-sense della locuzione è cosa impossibile. Buono p'aparà 'o mastrillo. Letteralmente: buono per armare la trappolina.Il mastrillo è la piccola trappola per topi nella quale a mo' di esca si pone un piccolissimo pezzetto di formaggio; così che quando di si dice di una razione alimentareche è buona per armare la trappola, si vuol significare che la razione è veramente parva res, esigua e non adatta a soddisfare neppure un normale appetito. Jì ascianno guaie cu 'o lanternino. Letteralmente: andare alla ricerca di guai con la lanterna. Id est: cacciarsi nei guai quasi con voluttà al punto di andarne alla ricerca con una metaforica lanterna che illumini i luoghi dove i guai stanno nascosti. Il termine asciare significa cercare qualcosa con insistenza quasi fiutandola e viene dal latino adflare: annusare con consueta trasformazione di FL in SCI come per FLOS che in napoletano diventa SCIORE. Si' ghiuto a sentere'a messa d''e disperate? Letteralmente: Sei stato ad assistere alla messa dei disperati? Questa sarcastica domanda viene rivolta a chi si presenti tardi ad un appuntamento perché trattenuto da altra incombenza cominciata tardi e protrattasi quale quella messa che temporibus illis, quando non esistevano ancora le messe vespertine veniva celebrata a Napoli presso la Chiesa della Pietà dei Turchini in via Medina, messa che principiava tardissimo, alle ore 14.30, e che era frequentata dai più incalliti tiratardi che spesso per assistere alla funzione mancavano l'appuntamento delle 15.00, orario canonico nel quale in tutte le cucine napoletane risuonava il fatidico "Menate!" e cioè "calate la pasta " del pranzo domenicale. 'A carne se jetta e 'e cane s'arraggiano. Letteralmente: la carne si butta ed i cani s'arrabbiano. Id est: c'è abbondanza di carne, ma mancanza di danaro per acquistarla e ciò determina profonda rabbia in chi, non avendo pecunia, non può approfittare dell'abbondanza delle merci. Per traslato, il proverbio è usato in tutte le situazioni in cui una qualsiasi forma di indigenza è ostativa al raggiungimento di un fine che parrebbe invece a portata di mano; ciò vale anche nei rapporti tra i due sessi: per es. allorchè la donna si offra apertamente e l'uomo non abbia il coraggio di cogliere l'occasione; un terzo - spettatore, magari concupiscente, commenta la situazione con le parole in epigrafe. 'A vecchia a 'e trenta 'austo, mettette 'o trapanaturo a 'o ffuoco. Letteralmente: la vecchia ai trenta d'agosto (per riscaldarsi) mise nel fuoco l'aspo. Il proverbio viene usato a mo' di avvertenza, soprattutto nei confronti dei giovani o di chi si atteggi a giovane, che si lasciano cogliere impreparati alle prime avvisaglie dei freddi autunnali che già si avvertano sul finire del mese di agosto, freddi che - come dice l'esperienza - possono essere perniciosi al punto da indurre i più esperti (la vecchia) ad usare come combustibile persino un utile oggetto come un aspo, l'arnese usato per ammatassare la lana filata. Per estensione, il proverbio si usa con lo stesso fine di ammonimento, nei confronti di chiunque si lasci cogliere impreparato non temendo un possibile inatteso rivolgimento di fortuna - quale è il freddo in un mese ritenuto caldo. Jì zumpanno asteche e lavatore. Letteralmente: andar saltando per terrazzi e lavatoi. Id est: darsi al buon tempo, trascorrendo la giornata senza far nulla di costruttivo, ma solo bighellonando in ogni direzione: a dritta e a manca, in alto (asteche=lastrici solai,terrazzi) ed in basso (i lavatoi erano olim ubicati in basso - per favorire lo scorrere delle acque - presso sorgenti di acque o approntate fontane, mentre l'asteche, ubicati alla sommità delle case,erano i luoghi deputati ad accogliere i panni lavati per poterli acconciamente sciorinare al sole ed al vento, per farli asciugare. Pare ca mo te veco vestuto 'a urzo. Letteralmente: Sembra che ora ti vedrò vestito da orso. Locuzione da intendersi in senso ironico e perciò antifrastico. Id est: Mai ti potrò vedere vestito della pelle dell'orso, giacché tu non hai nè la forza, nè la capacità fisica e/o morale di ammazzare un orso e vestirti della sua pelle. La frase viene usata a commento delle azioni iniziate da chi sia ritenuto inetto al punto da non poter portare al termine ciò che intraprende. 'O cucchiere 'e piazza: te piglia cu 'o 'ccellenza e te lassa cu 'o chi t'è mmuorto. Letteralmente: il vetturino da nolo: ti accoglie con l'eccellenza e ti congeda bestemmiandoti i morti.Il motto compendia una situazione nella quale chi vuole ottenere qualcosa, in principio si profonde in ossequi e salamelecchi esagerati ed alla fine sfoga il proprio livore represso, come i vetturini di nolo adusi a mille querimonie per attirare i clienti, ma poi - a fine corsa - pronti a riversare sul medesimo cliente immani contumelie, in ispecie allorché il cliente nello smontare dalla carrozza questioni sul prezzo della corsa, o - peggio ancora - non lasci al vetturino una congrua mancia. Jì cascia e turnà bauglio oppure Jì stocco e turnà baccalà. Letteralmente: andar cassa e tornare baùle oppure andare stoccafisso e tornare baccalà. Id est: non trarre profitto alcuno o dallo studio intrapreso o dall'apprendimento di un mestiere, come chi inizi l'apprendimento essendo una cassa e lo termini da baùle ossia non muti la sua intima essenza di vacuo contenitore, o - per fare altro esempio - come chi inizi uno studio essendo dello stoccafisso e lo termini diventando baccalà, diverso in forma, ma sostanzialmente restando un immutato merluzzo. Con il proverbio in epigrafe, a Napoli, si è soliti commentare le maldestre applicazioni di chi non trae profitto da ciò che tenta di fare, perchè vi si applica maldestramente o con cattiva volontà. Tu muscio-muscio siente e frusta llà, no! Letteralmente: Tu senti il richiamo(l'invito)e l'allontanamento no. Il proverbio si riferisce a quelle persone che dalla vita si attendono solo fatti o gesti favorevoli e fanno le viste di rifiutare quelli sfavorevoli comportandosi come gatti che accorrono al richiamo per ricevere il cibo, ma scacciati, non vogliono allontanarsi; comportamento tipicamente fanciullesco che rifiuta di accettare il fatto che la vita è una continua alternanza di dolce ed amaro e tutto deve essere accettato, il termine frusta llà discende dal greco froutha-froutha col medesimo significato di :allontanati, sparisci. 'E denare so' comm'a 'e chiattille: s'attaccano a 'e cugliune. Letteralmente: i soldi son come le piattole: si attaccano ai testicoli. Nel crudo, ma espressivo adagio partenopeo il termine cugliune viene usato per intendere propriamente i testicoli, e per traslato, gli sciocchi e sprovveduti cioé quelli che annettono così tanta importanza al danaro da legarvisi saldamente. He 'a murì rusecato da 'e zzoccole e 'o primmo muorzo te ll'à da dà mammèta Che possa morire rosicchiato dai grossi topi di fogna ed il primo morso lo devi avere da tua madre. Icastica maledizione partenopea giocata sulla doppia valenza del termine zoccola che, a Napoli, identifica sia il topo di fogna che la donna di malaffare Ma te fosse jiuto 'o lliccese 'ncapo? Letteralmente: ma ti fosse andato il leccese in testa? Id est: fossi impazzito? Avessi perso l'uso della ragione? Icastica espressione che, a Napoli, viene usata nei confronti di chi, senza motivo, si comporti irrazionalmente. Il leccese dell'espressione non è - chiaramente - un abitante di Lecce, ma un tipo di famoso tabacco da fiuto, prodotto, temporibus illis, nei pressi del capoluogo pugliese; l'espressione paventa il fatto che il tabacco fiutato possa- non si sa bene come - aver raggiunto, attraverso le coani nasali il cervello e leso così le facoltà raziocinanti del... fiutatore. 'A fatica d''e fracete se venne a caro prezzo. Letteralmente: il lavoro degli svogliati, si vende caro. Id est: chi ha scarsa voglia di lavorare richiede compensi altissimi per modo da spaventare e distogliere il committente dalla sua richiesta d'opera. Dalle a dalle 'o cucuzziello addeventa tallo. Letteralmente: dagli e dagli la zucchina diventa tallo.Id est: ad insistere sempre sulla medesima questione si finisce male come a cogliere zucchini continuamente non restano che le foglie. Il tallo è la foglia commestibile delle cucurbitacee, ma pure essendo edibile è sempre meno pregiata e saporita dello zucchino che già di suo non è molto saporito. Quann'è pe vizzio, nun è peccato! Letteralmente: Quando dipende da un vizio, non è peccato. A prima vista parrebbe che la locuzione si ponga agli antipodi della morale cristiana che considera peccato anche i vizi, soprattutto i capitali; ma tenendo presente che il vizzio(correttamente scritto con due zete in napoletano) della locuzione è il vitium latino, ovvero il mero difetto, si comprenderà la reale portata della frase che scusa la cattiva azione generata non per dolo, ma per mero difetto o errore. Passasse ll'ngelo e dicesse: Ammenne! Letteralmente: Possa passare un angelo e dire "Così sia!" La locuzione usata come in epigrafe con il congiuntivo ottativo la si adopera per augurarsi che accada qualcosa, sia nel bene che nel male; usata con l'indicativo ha finalità imprecativa, mentre usata con il passato remoto serve quasi a spiegare che un determinato accadimento, soprattutto negativo è avvenuto perchè, l'angelo invocato è realmente passato ed ha con il suo assenso prodotto il fatto paventato da taluno e augurato invece da un di lui nemico. Va truvanno: 'mbruoglio, aiutame. Letteralmente: va alla ricerca di un imbroglio che lo soccorra. Così a Napoli si dice di chi in situazioni difficili e senza apparenti vie di scampo, si rifugi nell'astuzia, nell'inganno, in situazioni ingarbugliate rimestando nelle quali spera di trovare l'aiuto alla soluzione dei problemi Paré Pascale passaguaje. Letteralmente: sembrare Pasquale passaguai. Così sarcasticamente viene appellato chi si va reiteratamente lamentando di innumerevoli guai che gli occorrono, di sciagure che - a suo dire, ma non si sa quanto veridicamente - si abbattono su di lui rendendogli la vita un calvario di cui lamentarsi, compiangendosi, con tutti. Paré 'o pastore d''a meraviglia. Letteralmente: sembrare un pastore della meraviglia Id est: avere l'aria imbambolata, incerta, statica ed irresoluta quale quella di certuni pastori del presepe napoletano settecentesco raffiguratiin pose stupite ed incantate per il prodigio cui stavano assistendo; tali figurine in terracotta il popolo napoletano suole chiamarle appunto pasture d''a meraviglia, traducendo quasi alla lettera l'evangelista LUCA che scrisse: pastores mirati sunt. Meglio a san Francisco ca 'ncpp' a 'o muolo. Letteralmente: meglio (stare) in san Francesco che sul molo. Id est: di due situazioni ugualmente sfavorevoli conviene scegliere quella che comporrti minor danno. Temporibus illis in piazza san Francesco, a Napoli erano ubicate le carceri, mentre sul Molo grande era innalzato il patibolo che poi fu spostato in piazza Mercato; per cui la locuzione significa: meglio carcerato e vivo, che morto impiccato. Futtatenne! Letteralmente:Infischiatene, non dar peso, lascia correre, non porvi attenzione. E' il pressante invito a lasciar correre dato a chi si sta adontando o si sta preoccupando eccessivamente per quanto malevolmente si stia dicendo sul suo conto o si stia operando a suo danno. Tale icastico invito fu scritto dai napoletani su parecchi muri cittadini nel 1969 allorché il santo patrono della città, san Gennaro, venne privato dalla Chiesa di Roma della obbligatorietà della "memoria" il 19 settembre con messa propria. I napoletani ritennero la cosa un declassamento del loro santo e allora scrissero sui muri cittadini: SAN GENNA' FUTTATENNE! Volevano lasciare intendere che essi, i napoletani, non si sarebbero dimenticati del santo quali che fossero stati i dettami di Roma. Fà a uno tabbacco p''a pippa. Letteralmente: farne di uno tabacco per pipa. Id est ridurre a furia di percosse qualcuno talmente a mal partito al punto da trasformarlo, sia pure metaforicamente, in minutissimi pezzi quasi come il trinciato per pipa. Fà trenta e una trentuno. Quando manchi poco per raggiungere lo scopo prefisso, conviene fare quell'ultimo piccolo sforzo ed agguantare la meta: in fondo da trenta a trentuno v'è un piccolissimo lasso. La locuzione rammenta l'operato di papa Leone X che fatti 30 cardinali, in extremis ne creò un trentunesimo. Essere carta canusciuta. Letteralmente: essere carta nota. Id est: godere di cattiva fama, mostrarsi inaffidabile e facilmente riconoscibile alla medesima stregua di una carta da giuoco opportunamente "segnata" dal baro che se ne serve. Essere cchiù fetente 'e 'na recchia 'e cunfessore. Letteralmente: essere più sporco di un orecchio di confessore. L'icastica espressione viene riferita ad ogni persona assolutamente priva di senso morale, capace di ogni nefandezza; tale individuo è parificato ad un orecchio di confessore, non perché i preti vivano con le orecchie sporche, ma perché i confessori devono, per il loro ufficio, prestare l'orecchio ad ogni nefandezza e alla summa dei peccati che vengono quasi depositati nell'orecchio del confessore, orecchio che ne rimane metaforicamente insozzato. 'O rialo ca facette Berta a' nepota: arapette 'a cascia e le dette 'na noce. Letteralmente : il regalo che fece Beerta alla nipote: aprì la cassa e le regalò una noce. La locuzione è usata per sottolineare l'inconsistenza di un dono, specialmente quando il donatore lascerebbe intendere di essere intenzionato a fare grosse elargizioni che, all'atto pratico, risultano invece essere parva res. 'E ppazzie d''e cane fernesceno a ccazze 'nculo. Letteralmente: i giochi dei cani finiscono con pratiche sodomitiche. Id est: i giuochi di cattivo gusto finiscono inevitabilmente per degenerare, per cui sarebbe opportuno non porvi mano per nulla. La icastica locuzione prende l'avvio dalla osservazione della realtà allorché in una torma di cani randagi si comincia per gioco a rincorrersi e a latrarsi contro l'un l'altro e si finisce per montarsi vicendevolmente; la postura delle bestie fa pensare sia pure erroneamente a pratiche sodomitiche. Amicizia stretta, se spezza cu 'na mazza. Letteralmente: un'amicizia stretta si spezza con un bastone; id est: bisogna ricorrere alla violenza per sciogliere un'amicizia di vecchia data, ben rinsaldata; non viene meno la vera amicizia per futili motivi. Tanno se chiamma grano, quanno sta 'int' a' votta. Letteralmente: allora si chiama grano, quando sarà nella botte. Id est: i risultati per potersene vantare, occorre prima conseguirli; non ci si deve vestire della pelle dell'orso prima d'aver ammazzato il suddetto animale. La locuzione in epigrafe ripete le parole che un tal contadino disse al figliuolo che si vantava di un gran raccolto prima della mietitura. Tre ccalle e mmescamméce. Letteralmente: tre calli(cioè mezzo tornese) e mescoliamoci. Così, sarcasticamente, è definito a Napoli colui che si intromette nelle faccende altrui, che vuol sempre dire la sua. Il tre calle era una moneta di piccolissimo valore; su una delle due facce v'era raffigurato un cavallo da cui per contrazione prese il nome di calle. La locuzione significa: con poca spesa si interessa delle faccende altrui. Chi se fa masto, cade dint' a 'o mastrillo. Letteralmente: chi si fa maestro, finisce per essere intrappolato. L'ammonimento della locuzione a non ergersi maestri e domini delle situazioni, viene rivolto soprattutto ai presuntuosi e supponenti che son soliti dare ammaestramenti o consigli non richiesti, ma poi finiscono per farte la fine dei sorci presi in trappola proprio da coloro che pretendono di ammaestrare. Tutto a Giesù e niente a Maria. Letteralmente: tutto a Gesù e niente a Maria; ma non è un incitamento a conferire tutta la propria devozione a Gesù e a negarla alla Vergine; è invece l'amara constatazione che fa il napoletano davanti ad una iniqua distribuzione di beni di cui ci si dolga, nella speranza che chi di dovere si ravveda e provveda ad una più equa redistribuzione. Il più delle volte però non v'è ravvedimento e la faccenda non migliora per il petente. Chi guverna 'a rrobba 'e ll'ate nun se cocca senza cena Letteralmente: chi amministra i beni altrui, non va a letto digiuno. Disincantata osservazione della realtà che più che legittimare comportamenti che viceversa integrano ipotesi di reato, denuncia l'impossibilità di porvi riparo: gli amministratori di beni altrui sono incorreggibili ladri! Paré ll'ommo 'ncopp'a' salera Letteralmente: sembrare l'uomo sulla saliera. Id est: sembrare, meglio essere un uomo piccolo e goffo, un omuncolo simile a quel Tom Pouce, viaggiatore inglese, venuto a Napoli sul finire del 1860, molto piccolo e ridicolo preso a modello dagli artigiani napoletani che lo raffigurarono a tutto tondo sulle stoviglie in terracotta di uso quotidiano. Per traslato, l'espressione viene riferita con tono di scherno verso tutti quegli omettini che si danno le arie di esseri prestanti fisicamente e moralmente, laddove sono invece l'esatto opposto. Fà comme a santa Chiara: dopp' arrubbata ce mettetero 'e pporte 'e fierro. Letteralmente: far come per santa Chiara; dopo che fu depredata le si apposero porte di ferro. Id est: correre ai ripari quando sia troppo tardi, quando si sia già subìto il danno paventato, alla stessa stregua di ciò che accadde per la basilica di santa Chiara che fu provvista di solide porte di ferro in luogo del preesistente debole uscio di legno, ma solo quando i ladri avevano già perpetrato i loro furti a danno della antica chiesa partenopea. Essere 'a tina 'e miezo. Letteralmente: essere il tino di mezzo. Id est: essere la massima somma di quanto più sporco, più laido, più lercio possa esistere. Offesa gravissima che si rivolge a persona ritenuta così massimamente sporca, laida e lercia da essere paragonata al grosso tino di legno posto al centro del carro per la raccolta dei liquami da usare come fertilizzanti, nel quale tino venivano versati i liquami raccolti con due tini più piccoli posti ai lati del tino di mezzo dove veniva riposto il letame raccolto. 'A capa 'e ll'ommo è 'na sfoglia 'e cepolla. Letteralmente: la testa dell'uomo è una falda di cipolla. E' il filosofico, icastico commento di un napoletano davanti a comportamenti che meriterebbero d'esser censurati e che si evita invece di criticare, partendo dall'umana considerazione che quei comportamenti siano stati generati non da cattiva volontà, ma da un fatto ineluttabile e cioé che il cervello umano è labile e deperibile ed inconsistente alla stessa stregua di una leggera, sottile falda di cipolla. Nun tené voce 'ncapitulo. Letteralmente: non aver voce nel capitolo. Il capitolo della locuzione è il consesso capitolare dei canonaci della Cattedrale; solo ad alcuni di essi era riservato il diritto di voto e di intervento in una discussione. La locuzione sta a significare che colui a cui è rivolta l'espressione non ha nè l'autorità, nè la capacità di esprimere pareri o farli valere, non contando nulla. Tu nun cuse, nun file e nun tiesse; tanta gliuommere 'a do' 'e ccacce? Letteralmente: Tu non cuci, non fili e non tessi, tanti gomitoli da dove li tiri fuori? Tale domanda sarcastica la si rivolge a colui che fa mostra di una inesplicabile, improvvisa ricchezza; ed in effetti posto che colui cui viene rivolta la domanda non è impegnato in un lavoro che possa produrre ricchezza, si comprende che la domanda è del tipo retorico sottintendendo che probabilmente la ricchezza mostrata è frutto di mali affari. E' da ricordare anche che il termine GLIUOMMERO (gomitolo)indicava, temporibus illis, anche una grossa somma di danaro corrispondente a circa 100 ducati d'argento. Menarse dint' a 'e vrache... Letteralmente: buttarsi nelle imbracature. Id est: rallentare il proprio ritmo lavorativo, lasciarsi prendere dalla pigrizia, procedere a rilento. L'icastica espressione che suole riferirsi al lento agire soprattutto dei giovani, prende l'avvio dall'osservazione del modo di procedere di cavalli che quando sono stanchi, sogliono appoggiarsi con le natiche sui finimenti posteriori detti vrache (imbracature) proprio perché imbracano la bestia. Chi poco tène, caro tène. Letteralmente: Chi ha poco, lo tiene da conto. Id est: il povero non può essere generoso Lassa ca va a ffunno 'o bastimento, abbasta ca morèno 'e zzoccole. Letteralmente: lascia che affondi la nave, purchè muoiano i ratti. Con questa locuzione si suole commentare l'azione spericolata di chi è disposto anche al peggio pur di raggiungere un suo precipuo scopo; proverbio nato nell'ambito marinaresco tenendo presente le lotte che combattevano i marinai con i ratti che infestavano le navi. Nce vonno cazze 'e vatecare pe fà figlie carrettiere Letteralmente: occorrono membri da vetturali per generare figli carrettieri Id est: per ottenere i risultati sperati occorre partire da adeguate premesse; addirittura nella locuzione si adombra quasi la certezza che taluni risultati non possano essere raggiunti che per via genetica, quasi che ad esempio il mestiere di carrettiere non si possa imparare se non si abbia un genitore vetturale di bestie da soma... Si mine 'na sporta 'e taralle 'ncapo a chillo, nun ne va manco uno 'nterra Letteralmente: se butti il contenuto di una cesta di taralli sulla testa di quello non ne cade a terra neppure uno (stanti le frondose ed irte corna di cui è provvista la testa e nelle quali, i taralli rimarrebbero infilati). Icastica ed iperbolica descrizione di un uomo molto tradito dalla propria donna. Muntagne e muntagne nun s'affrontano. Letteralmente: le montagne non si scontrano con le proprie simili. E' una velata minaccia di vendetta con la quale si vuol lasciare intendere che si è pronti a scendere ad un confronto anche cruento, stante la considerazione che solo i monti sono immobili... Faccia 'e trent'anne 'e fave. Letteralmente: faccia da trent'anni di fava. Offesa gravissima con la quale si suole bollare qualcuno che abbia un volto poco rassicurante, da galeotto, dal quale non ci si attende niente di buono, anzi si paventano ribalderie. La locuzione fu coniata tenendo presente che la fava secca era il cibo quasi quotidiano che nelle patrie galere veniva somministrato ai detenuti; i trent'anni rammentano il massimo delle detenzione comminabile prima dell'ergastolo; per cui un individuo condannato a trent'anni di reclusione si presume si sia macchiato di colpe gravissime e sia pronto a reiterare i reati, per cui occorre temerlo e prenderne le distanze. Sparà a vrenna. Letteralmente: sparare a crusca. Id est: minacciare per celia senza far seguire alle parole , i fatti minacciati. L'espressione la si usa quando ci si riferisca a negozi, affari che si concludono in un nulla di fatto e si ricollega ad un'abitudine dell'esercito borbonico i cui proiettili, durante le esercitazioni, erano caricati con crusca, affinchè i colpi non procurassero danno alla truppa che si esercitava. 'E sciabbule stanno appese e 'e fodere cumbattono. Letteralmente: le sciabole stanno attaccate al chiodo e i foderi duellano. L'espressione è usata per sottolineare tutte le situazioni nelle quali chi sarebbe deputato all'azione, per ignavia o cattiva volontà si è fatto da parte lasciando l'azione alle seconde linee, con risultati chiaramente inferiori alle attese. 'A taverna d''o trentuno. Letteralmente: la taverna del trentuno. Così, a Napoli sogliono, inalberandosi, paragonare la propria casa tutte quelle donne che vedono i propri uomini e la numerosa prole ritornare in casa alle più disparate ore, pretendendo che venga loro servito un pasto caldo. A tali pretese, le donne si ribellano affermando che la casa non è la taverna del trentuno, nota bettola partenopea che prendeva il nome dal civico dove era ubicata, bettola dove si servivano i pasti in modo continuato a qualsiasi ora del giorno e della notte. 'A vacca, pe nun movere 'a coda se facette magnà 'e ppacche da 'e mosche. Letteralmente: la mucca per non voler muovere la coda, si lasciò mangiare le natiche dalle mosche. Lo si dice degli indolenti e dei pigri che son disposti a subire gravi nocumenti e non muovono un dito per evitarli alla stessa stregua di una vacca che assalita dalle mosche per non sottostare alla fatica di agitare la coda, lasci che le mosche le pizzichino il fondo schiena! Trasì o passà cu 'a scoppola. Letteralmente: entrare o passare con lo scappellotto. Id est: entrare in teatro o altri luoghi pubblici come musei o pinacoteche o mostre artistiche senza pagare e senza le necessarie credenziali: biglietti o inviti. La locuzione fotografa il benevolo comportamento di taluni custodi che son soliti fare entrare i ragazzi senza pagare il dovuto, spingendoli dentro con un compiacente scappellotto. Per traslato la locuzione si attaglia a tutte quelle situazioni dove gratuitamente si ottengono benefìci per la magnanimità di coloro che invece dovrebbero controllare. Pozza murì 'e truono a chi nun le piace 'o bbuono. Letteralmente: possa morire di violenta bastonatura chi non ama il buono. In una città come Napoli dove vi è un'ottima e succulenta cucina chi non è buongustaio merita di morire bastonato violentemente. in napoletano TRUONO significa sia tuono che percosse violente. 'A forca è fatta p''e puverielle. Letteralmente: la forca è fatta per i poveri. Id est: nei rigori della legge vi incorrono solo i poveri, i ricchi trovano sempre il modo di scamparla. In senso storico, la locuzione rammenta però che la pena dell'impiccaggione era comminata ai poveri, mentre ai ricchi ed ai nobili era riservata la decapitazione o - in tempi più recenti - la fucilazione. Piglià vavia e metterse 'nguarnascione. Letteralmente: prender bava e porsi in guarnaccia. Id est: assumere aria e contegno da arrogante; lo si dice soprattutto di coloro che, essendo assurti per mera sorte o casualità a piccoli posti di preminenza, si atteggiano ad altezzosi ed onniscienti,cercando di imporre agli altri il loro modo di veder le cose, se non la vita, laddove in realtà poggiano la loro albagia sul nulla. Darse 'e pizzeche 'ncopp' a' panza. Letteralmente: darsi pizzichi sulla pancia. Id est: sopportare, rassegnarsi, far buon viso a cattivo gioco. E' il consiglio che si dà a chi ad una contrarietà sarebbe pronto a render la pariglia ed invece gli si consiglia di sopportare assestandosi dei pizzichi sulla pancia quasi che il dolore fisico che ne deriva servisse a lenire quello morale, in nome del quale ci si sentirebbe pronto a scatenare una guerra! 'Ncopp' a 'o muorto se canta 'o miserere. Letteralmente: sul morto si piange il miserere Id est: non bisogna precorrere i tempi, in ispece quelli delle lamentazioni che allora son lecite quando ci si trovi davanti al fatto compiuto del danno patito, mai prima. Bbuono pe scerià 'a ramma. Letteralmente: buono per pulire le stoviglie di rame. Così in modo quasi rabbioso viene definito un frutto così aspro di sapore da non essere edibile, ma che può solo servire alla pulizia delle pentole di rame. Un tempo, quando non esistevano acciai inossidabili o allumini leggeri, le pentole erano in rame opportunamente ricoperte di stagno; per la loro pulizia e lucidatura ci si serviva di pietra pomice, arena 'e vitrera (sabbia da vetraio ricca di silice), e limoni con i quali si soffregavano le pentole fino a detergerle e addirittura farle luccicare. Per traslato, la locuzione in epigrafe si attaglia anche a chi è di carattere così aspro e spigoloso da non consentire ad alcuno di avervi rapporti. Piscià acqua santa p''o velliculo. Letteralmente: orinare acqua santa dall'ombelico. La locuzione, usata sarcasticamente nei confronti di coloro che godano immeritata fama di santità significa, appunto, che coloro cui è diretta sono da ritenersi tutt'altro che santi o miracolosi, come invece lo sarebbero quelli che riuscissero a mingere da un orifizio inesistente, addirittura dell'acqua santa. A 'e tiempe 'e PAPPAGONE Letteralmente: Ai tempi di PAPPAGONE Id est: in un tempo lontanissimo. Così vengono commentate cose di cui si parli che risultano risalenti a tempi lontanissimi, quasi mitici. Il PAPPAGONE della locuzione non è la famosa maschera creata dal compianto attore napoletano Peppino De Filippo; ma è la corruzione del cognome PAPPACODA antichissima e nobile famiglia partenopea che ha lasciato meravigliosi retaggi architettonici risalenti al 1400, in varie strade napoletane. Arretìrate, pireto! Letteralmente: Ritirati, peto! Imperiosa ed ingiuriosa invettiva rivolta verso chi, per essere andato fuori dei limiti consentiti, si cerchi di ridimensionare esortandolo, anzi imponendogli di rientrare nei ranghi, anche se non si capisce come un peto, partito dalla sua sede vi possa rientrare a comando... A 'nu parmo d''o culo mio, fotta chi vò. Letteralmente: ad un palmo dal mio sedere, si diverta chi vuole. Id est: fate pure i vostri comodi, purchè li facciate lontano dal mio spazio vitale, non mi coinvolgiate e soprattutto non mi arrechiate danno! Dicette 'o miedeco 'e Nola: Chesta è 'a ricetta e ca Ddio t''a manna bbona... Letteralmente: Disse il medico di Nola: Questa è la ricetta e che Dio te la mandi buona. La locuzione viene usata quando si voglia sottolineare che, dinnanzi ad un problema, si sia fatto tutto quanto sia nelle proprie possibilità personali e che occorra ormai confidare solo in Dio dal quale si attendono gli sperati risultati positivi. Fà 'nu quatto 'e maggio. Letteralmente: fare un quattro di maggio. Id est: sloggiare, cambiar casa, trasferirsi altrove. Da intendersi anche in senso figurato di allontanarsi, o recedere dalle proprie posizioni. Nel lontanissimo 1611 il vicerè Pedro de Castro, conte di Lemos, nell'intento di porre un po' di ordine nel caos dei quasi quotidiani traslochi che si operavano nella città di Napoli, fissò appunto al 4 di maggio la data fissa soltanto nella quale si potevano operare i cambiamenti di casa. Il giorno 4, da allora divenne la data nella quale gli inquilini erano soliti conferire mensilmente gli affitti ai proprietarii di immobili concessi in fitto. S'à dda ògnere l'asso. Letteralmente: occorre ungere l'asse. Id est: se si vuole che la faccenda si metta in moto e prosegua bisogna, anche obtorto collo, sottostare alla ineludibile necessità di ungere l'ingranaggio: inveterata necessità che viene di lontano quando i birocciai solevano spalmare con grasso animale gli assi che sostenevano gli elementi rotanti dei loro calessi, affinché più facilmente si potesse procedere con meno sforzo delle bestie deputate allo scopo. Il traslato in termini di "mazzette" da distribuire è ovvio e non necessita d'altri chiarimenti. Paré 'nu pireto annasprato. Letteralmente: sembrare un peto inzuccherato. Lo si dice salacemente di chi si dia troppe arie, atteggiandosi a superuomo, pur non essendo in possesso di nessuna dote fisica o morale atta all'uopo. Simili individui vengono ipso facto paragonati ad un peto che, non si sa come, sia inzuccherato, ma che per quanto coperto di glassa dolce resta sempre un maleodorante, vacuoflatus ventris. L'Accìomo a 'e Bbanche nuove. Letteralmente: l' Ecce homo ai Banchi nuovi. Così oggi i napoletani sogliono indicare quei giovani, che - per essere alla moda - non si radono, mantenendo ispidi ed incolti quei pochi peli che dovrebbero costituire l'onor del mento, e per apparire in linea con i dettami della moda si mostrano smagriti e pallidi. La locuzione rammenta una scultura lignea sita in un'edicola posta ai Banchi Nuovi - quartiere napoletano sviluppatosi a ridosso della Posta Vecchia e Santa Chiara - scultura rappresentante il CRISTO reduce dai tribunali di Anna e Caifa, ed appare il Cristo, dopo le percosse e gli sputi subiti dai saldati romani, sofferente, smagrito, con la barba ispida, lo sguardo allucinato, proprio come i giovani cui la locuzione si attaglia. Chi tène cummedità e nun se ne serve, nun trova 'o prevete ca ll'assolve. Letteralmente: Chi ha comodità e non se ne serve, non trova un prete che l'assolva. Id est: chi ha avuto, per sorte o meriti, delle comodità deve servirsene, in caso contrario commetterebbe non solo una sciocchezza autolesiva, ma pure un peccato così grave per la cui assoluzione non sarebbe bastevole un semplice prete, ma bisognerebbe far ricorso al penitenziere maggiore. Quanno nun site scarpare, pecché rumpite 'o cacchio a 'e semmenzelle? Letteralmente: poiché non siete ciabattino, perché infastidite le semenze? La locuzione barocca, anzi rococò viene usata quando si voglia distogliere qualcuno dall'interessarsi di faccende che non gli competono non essendo supportate, né dal suo mestiere, né dalle sue capacità intellettive o morali. Le semenze sono i piccolissimi chiodini con cui i ciabattini sogliono sistemare la tomaia sulla forma di legno per procedere alla fattura di una scarpa. 'A riggina avette bisogno d''a vicina. Letteralmente: la regina dovette ricorrere alla vicina. Iperbolica locuzione con la quale si sottolinea che nessuno è bastevole a se stesso: persino la regina ebbe bisogno della propria vicina, figurarsi tutti gli altri esseri umani: siamo una società dove nessun uomo è un'isola. Senza fesse nun campano 'e deritte. Letteralmente: senza gli sciocchi non vivono i furbi; id est: in tanto prosperano i furbi in quanto vi sono gli sciocchi che consentano loro di prosperare. 'O purpo s'à dda cocere cu ll'acqua soja. Letteralmente: il polpo si deve cuocere con l'acqua propria.Id est: bisogna che si convinca da se medesimo, senza interventi esterni. La locuzione fa riferimento a tutte quelle persone che recedono da certe posizioni solo se si autoconvincono; con costoro è inutile ogni opera di convincimento, bisogna armarsi di pazienza ed attendere che si autoconvincano, come un polpo che per cuocersi non necessita di aggiunta d'acqua, ma sfrutta quella di cui è composto. Dà 'ncopp' a 'e recchie. Letteralmente: dare sulle orecchie. La locuzione consiglia il modo di comportarsi nei confronti dei boriosi, dei supponenti, dei saccenti adusi ad andare in giro tronfi e pettoruti a testa elevata quasi fossero i signori del mondo. Nei loro confronti bisogna usare una sana violenza colpendoli sulle orecchie per fargliele abbassare. N' aggio scaurato strunze, ma tu me jesce cu 'e piede 'a fora... Letteralmente: ne ho bolliti di stronzi, ma tu (sei così grosso)che non entri per intero nella pentola destinata all'uso. Iperbolica e barocca locuzione-offesa usata nei confronti di chi si dimostri così esageratamente pezzo di merda da meritarsi di esser paragonato ad un pollo o simile che ecceda i limiti della pentola rendendosi così difficile da esser bollito. Tante galle a cantà nun schiara maje juorno. Letteralmente: tanti galli a cantare non spunta mai il giorno. Id est: quando si è in tanti ad esprimere un parere intorno ad un argomento, a proporre una soluzione ad un problema, non si addiviene a nulla di concreto... Perché dunque farsi meraviglia se il parlamento italiano composto da un numero esorbitante di deputati e senatori non riesce mai a legiferare rapidamente e saggiamente: parlano in tanti... Sì, sì quanno curre e 'mpizze... Letteralmente: sì quando corri ed infili! La locuzione significa che si sta ponendo speranza in qualcosa che molto difficilmente si potrà avverare, per cui è da intendersi in senso ironico, volendo dire: quel che tu ti auguri avvenga, non avverrà. La locuzione fa riferimento ad un'antica gara che si svolgeva sulle piazze dei paesi meridionali. Si infiggeva nell'acciottolato della piazza del paese un'alta pertica con un anello metallico posto in punta ad essa pertica, libero di dondolare al vento. I gareggianti dovevano, correndo a cavallo, far passare nell'anello la punta di una lancia, cosa difficilissima da farsi. Madonna mia, mantiene ll'acqua! Letteralmente: Madanna mia reggi l'acqua. Id est: fa che la situazione non peggiori o non degeneri. L'invocazione viene usata quando ci si trovi davanti ad una situazione di contesa il cui esito si prospetti prossimo a degenerare per evidente cattiva volontà di uno o più dei contendenti. Ommo 'e ciappa. Letteralmente: uomo di bottone e, per traslato, uomo importante, di vaglia. La locuzione ha origini antichissime addirittura seicentesche allorché a Napoli esistette una consorteria particolare, la cd repubblica dei togati che riuniva un po' tutta la classe dirigente della città. Le ciappe (dal latino=capula) erano i grossi bottoni d'argento cesellato che formavano l'abbottonatura della toga simbolo, appunto, di detta consorteria. 'A nave cammina e 'a fava se coce. Letteralmente: la nave cammina, e la fava si cuoce. La locuzione mette in relazione il cuocersi della fava (che indica la sopravvivenza,id est la continuata abbondanza di cibo) con il cammino della nave ossia con il progredire delle attività economiche, per cui è più opportuno tradurre se la nave va, la fava cuoce. Essere 'nu casatiello cu ll'uva passa. Letteralmente: essere una caratteristica torta rustica pasquale ripiena d'uva passita. Id est: essere una persona greve, fastidiosa, indigesta, noiosa quasi come la torta menzionata già greve di suo per esser ripiena di formaggio, uova, salame, resa meno digeribile dalla presenza dell'uva passita... Nce vonno 'e cquatte laste e 'o lamparulo. Letteralmente: occorono i quattro vetri laterali ed il reggimoccolo. Id est: il lavoro compiuto è del tutto inutilizzabile in quanto palesamente incompleto e non fatto a regola d'arte; quello della locuzione è una lanterna ultimata in modo raffazzonato al punto che mancano elementi essenziali alla sua funzionalità. La locuzione viene perciò usata nei confronti di chi, ingiustificatamente, si gloria di aver fatto un eccellente lavoro, laddove ad un attento controllo esso risulta vistosamente carente . Jirsene cu 'na mana annanze e n'ata arreto. Letteralmente: andarsene con una mano davanti ed una di dietro (per coprirsi le vergogne). Era il modo con cui il debitore si allontanava dal luogo dove aveva eseguito la cessio bonorum, aveva cioè poggiato le nude natiche su di una colonnina posta innanzi al tribunale a dimostrazione di non aver più niente. La locuzione perciò significa e si usa per indicare chi, non avendo concluso nulla di buono, ci ha rimesso fino all'ultimo quattrino e non gli resta che l'ignominia di cambiar zona andandosene con una mano davanti ed una di dietro. A - miette mano â tela B - arriciette 'e fierre Le due locuzioni indicano l'incipit e il termine di un'opera e vengono usate nelle precise circostanze da esse indicate, ma sempre con un valore di sprone; sub A: metti mano alla tela, ossia, prepara la tela ché è giunto il momento di cominciare il lavoro. sub B: metti a posto i ferri, è giunta l'ora di lasciare il lavoro. Essere 'nu secaturnese. Letteralmente: essere un sega tornesi.Id est: essere un avaraccio, super avaro al punto di far concorrenza a taluni antichi tonsori di monete, che al tempo che circolavano monete d'oro o d'argento, usavano limarle per poi rivender la limatura e far così piccoli guadagni: venne poi la carta-moneta e finì il divertimento. Essere 'na meza pugnetta. Esser piccolo di statura, ma soprattutto valer poco o niente, non avere alcuna conclamata attitudine operativa, stante la ridottissima capacità fisica, intellettiva e morale essendo il prodotto di un gesto onanistico non compiuto neppure per intero. Essere 'na galletta 'e Castiellammare. Letteralmente: essere un biscotto di Castellammare. Id est: essere poco incline ad atti di generosità, anzi tener sempre saldamente chiusi i cordoni della borsa essendo molto restio ad affrontare spese di qualsiasi genere, in ispecie quelle destinate ad opere di carità, essere insomma così duro nei propri parsimoniosi intendimenti da essere paragonabile ai durissimi biscotti prodotti in Castellammare, biscotti a lunga conservazione usati abitualmente come scorta dalla gente di mare che li preferiva al pane perché non ammuffivano, ma che erano così tenacemente duri che - si diceva - neppure l'acqua di mare riuscisse ad ammorbidire. 'E curalle ll'à dda fà 'o turrese. Letteralmente: i coralli li deve lavorare il torrese. Id est: ognuno deve fare il proprio mestiere, che però deve esser fatto secondo i crismi previsti; non ci si può improvvissare competenti; nella fattispecie la lavorazione del corallo è appannaggio esclusivo dell'abitante di Torre del Greco, centro campano famoso nel mondo appunto per la produzione di oggetti lavorati in corallo. Mo t''o ppiglio 'a faccia 'o cuorno d''a carnacotta Letteralmente. adesso lo prendo per te dal corno per la carne cotta. Icastica ed eufemistica espressione con la quale suole rispondere chi, richiesto di qualche cosa, non ne sia in possesso né abbia dove reperirla o gli manchi la volontà di reperirla. Per comprendere appieno la locuzione bisogna sapere che la carnacotta è il complesso delle trippe o frattaglie bovine o suine che a Napoli vengono vendute già atte ad essere consumate o dai macellai o da appositi venditori girovaghi che le servono ridotte in piccoli pezzi su minuscoli fogli di carta oleata; i piccoli pezzi di trippa vengono prima irrorati col succo di limone e poi cosparsi con del sale che viene prelevato da un corno bovino scavato ad hoc proprio per contenere il sale e bucato sulla punta per permetterne la distribuzione. Detto corno viene portato dal venditore di trippa, appeso in vita e lasciato pendente sul davanti del corpo. Proprio la vicinanza con intuibili parti anatomiche del corpo, permettono alla locuzione di significare che ci si trovi nell'impossibilità di aderire alle richieste. Pure 'e cuffiate vanno 'mparaviso. Letteralmente: anche i corbellati vanno in paradiso. Massima consolatoria con cui si tenta di rabbonire i dileggiati cui si vuol fare intendere che sì è vero che ora son presi in giro, ma poi spetterà loro il premio del paradiso. Il termine cuffiato cioè corbellato è il participio passato del verbo cuffià che deriva dal sostantivo coffa = peso, carico, a sua volta dall'arabo quffa= corbello. Dicette 'o scarrafone: Pò chiovere 'gnostia comme vò isso, maje cchiù niro pozzo addeventà... Disse lo scarafaggio: (il cielo) può far cadere tutto l'inchiostro che vuole, io non potrò mai diventare più nero di quel che sono. La locuzione è usata da chi vuole far capire che ha già ricevuto e sopportato tutto il danno possibile dall'esterno, per cui altri sopravvenienti fastidi non gli potranno procurar maggior danno. Abbacca addò vence. Letteralmente: collude con chi vince. Di per sé il verbo abbaccare presupporrebbe una segretezza d'azione che però ormai nella realtà non si riscontra, in quanto l'opportunista - soggetto sottinteso della locuzione in epigrafe non si fa scrupolo di accordarsi apertis verbis con il suo stesso pregresso nemico, se costui, vincitore, gli può offrire vantaggi concreti e repentini. Lo sport di salire sul carro del vincitore e di correre in suo aiuto è stato da sempre praticato dagli italiani. Tené 'e fruvole dint'a 'o mazzo. Letteralmente: avere i fulmini, i razzi nel sedere. Icastica espressione con la quale si indicano i ragazzi un po' troppo vivaci ed irrequieti ritenuti titolari addirittura di fuochi artificiali allocati nel sedere, fuochi che con il loro scoppiettio costringono i ragazzi a non stare fermi, anzi a muoversi continuamente per assecondare gli scoppiettii. La locuzione viene riferita soprattutto ai ragazzi, ma anche a tutti coloro che non stanno quieti un momento. Letteralmente 'e fruvole sono i fulmini, le folgori dal latino fulgor con roticizzazione e successiva metatesi della elle. Rummané â prevetina o comme a don Paulino. Rimanere alla maniera dei preti o come don Paolino. Id est: Rimanere in condizioni economiche molto precarie addirittura come un mitico don Paolino, sacerdote nolano che, non avendo di che comprare ceri per celebrar messa, si doveva accontentare di tizzoni accesi. Tanto va 'a lancella abbascio a 'o puzzo, ca ce rummane 'a maneca. Letteralmente: tanto va il secchio al fondo del pozzo che ci rimette il manico. Il proverbio con altra raffigurazione, molto più icastica, ripete il toscano: tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino, e ne adombra il significato sottointendendo che il ripetersi di talune azioni, a lungo andare, si rivelano dannose per chi le compie. La lancella della locuzione è propriamente un secchio atto ad attingere acqua dal pozzo, secchio provvisto di doghe lignee e di un manico in metallo che, sollecitato lungamente, finisce per staccarsi dal secchio. Signore mio scanza a mme e a chi coglie. Letteralmente: Signore mio fa salvo me e chiunque possa venir colto. E' la locuzione invocazione rivolta a Dio quando ci si trovi davanti ad una situazione nella quale si corra il pericolo di finire sotto i colpi imprecisi e maldestri di qualcuno che si stia cimentando in operazioni non supportate da perizia. 'O piezzo cchiù gruosso à dda essere 'a recchia. Letteralmente: il pezzo più grande deve essere l'orecchio. Iperbolica minaccia che un tempo veniva rivolta soprattutto ai ragazzini chiassosi e/o facinorosi cui si promettevano inenarrabili percosse tali da ridurli in pezzi di cui il più grande avrebbe dovuto essere l'orecchio. Essere 'na guallera cu 'e filosce. Letteralmente: essere un'ernia corredata di frittate d'uova. Icastica offensiva espressione con cui si denota una persona molle ed imbelle dal carattere debole quasi si tratti di una molle pendula ernia a cui siano attaccate, per maggior disdoro delle ugualmente molli e spugnose frittatine d'uova. Mettere a uno 'ncopp' a 'nu puorco. Letteralmente: mettere uno a cavallo di un porco. Id est: sparlar di uno, spettegolarne, additarlo al ludibrio degli altri, come avveniva anticamente quando al popolino era consentito condurre alla gogna il condannato trasportandolo a dorso di maiale affinché venisse notato da tutti e fatto segno di ingiurie e contumelie. Oramaje ha appiso 'e fierre a sant' Aloja. Letteralmente: ormai ha appeso i ferri a sant'Eligio. Id est: ormai non ha più velleità sessuali,(ha raggiunto l'età della senescenza ...)Il sant'Aloja della locuzione è sant'Eligio (in francese Alois) al mercato, basilica napoletana dove i cocchieri di piazza andavano ad appendere i ferri dei cavalli che, per raggiunti limiti di età, smettevano di lavorare. Da questa consuetudine, il proverbio ammiccante nei confronti degli anziani. Si me metto a ffà cappielle, nascéno criature senza capa. Letteralmente: se mi metto a confezionare cappelli nascono bimbi senza testa. Iperbolica amara considerazione fatta a Napoli da chi si ritenga titolare di una sfortuna macroscopica. A - Nun fa pérete a chi tène culo. B - Nun dà ponie a chi tène mane. I due proverbi in epigrafe, in fondo con parole diverse mirano allo stesso scopo: a consigliare cioè colui a cui vengon rivolti di porre parecchia attenzione al proprio operato per non incorrere - secondo un noto principio fisico - in una reazione uguale e contraria che certamente si verificherà; nel caso sub A, infatti è facile attendersi una salve di peti da parte di colui che, provvisto di sedere, sia stato fatto oggetto di una medesima salve. Nel caso sub B, chi ha colpito con pugni qualcuno si attenda pure la medesima reazione se il colpito è provvisto di mani. 'A sciotra 'e Cazzetta: iette a piscià e se ne cadette. Letteralmente: la cattiva fortuna di Cazzetta che si dispose a mingere e perse per caduta l'organo deputato alla bisogna. Iperbolica locuzione costruita dal popolo napoletano intorno ad un fantomatico Cazzetta ritenuto così sfortunato da non potersi permettere le più elementari funzioni fisiologiche senza incorrere in danni incommensurabii. La locuzione è l'amaro commento fatto da chi veda le proprie opere non produrre gli sperati risultati positivi, ma al contrario negatività non prevedibili. Quanno chiovono passe e ficusecche. Letteralmente: quando cadono dal cielo uva passita e fichi secchi. Id est: mai. La locuzione viene usata quale risposta dispettosa a chi chiedesse quando si potrebbe verificare un accadimento ritenuto invece dalla maggioranza irrealizzabile. 1 Essere all'abblativo. Letteralmente: essere all'ablativo. Id est: essere alla fine, alla conclusione e, per traslato, trovarsi nella condizione di non poter porre riparo a nulla. Come facilmente si intuisce l'ablativo della locuzione è appunto l'ultimo caso delle declinazioni latine. 2 Essere muro e mmuro cu 'a Vicaria. Letteralmente: essere adiacente alle mura della Vicaria. Id est: essere prossimo a finire sotto i rigori della legge per pregressi reati che stanno per esser scoperti. La Vicaria della locuzione era la suprema corte di giustizia operante in Napoli dal 1550 ed era insediata in CastelCapuano assieme alle carceri viceregnali. Chi finiva davanti alla corte della Vicaria e veniva condannato, era subito allocato nelle carceri ivi esistenti o in quelle vicinissime di San Francesco. 3 Cu 'o tiempo e c 'a paglia... Letteralmente: col tempo e la paglia (maturano le nespole). La frase, pronunciata anche non interamente, ma solo con le parole in epigrafe vuole ammonire colui cui viene rivolta a portare pazienza, a non precorrere i tempi, perché i risultati sperati si otterranno solo attendendo un congruo lasso di tempo, come avviene per le nespole d'inverno o coronate che vengono raccolte dagli alberi quando la maturazione non è completa e viene portata a compimento stendendo le nespole raccolte su di un letto di paglia in locali aerati e attendendo con pazienza: l'attesa porta però frutti dolcissimi e saporiti. 4 Sî arrivato alla monaca ‘e lignamme. Letteralmente: sei giunto presso la monaca di legno. Id est: sei prossimo alla pazzia. Anticamente la frase in epigrafe veniva rivolta a coloro che davano segni di pazzia o davano ripetutamente in escandescenze. La monaca di legno dell’epigrafe altro non era che una statua lignea raffigurante una suora nell’atto di elemosinare . Detta statua era situata sulla soglia del monastero delle Pentite presso l’Ospedale Incurabili di Napoli, ospedale dove fin dal 1600 si curavano le malattie mentali. 5 Stammo all'evera. Letteralmente: stiamo all'erba. Id est: siamo in miseria, siamo alla fine, non c'è più niente da fare. L'erba della locuzione con l'erba propriamente detta c'entra solo per il colore; in effetti la locuzione, anche se in maniera più estensiva, richiama quasi il toscano: siamo al verde dove il verde era il colore con cui erano tinte alla base le candele usate nei pubblici incanti: quando, consumandosi, la candela giungeva al verde, significava che s'era giunti alla fine dell'asta e occorreva tentare di far qualcosa se si voleva raggiunger lo scopo dell'acquisto del bene messo all'incanto; dopo sarebbe stato troppo tardi. 6 Hê sciupato ‘nu Sangradale. Letteralmente: Hai sciupato un sangradale. Lo si dice di chi, a furia di folli spese o cattiva gestione dei propri mezzi di fortuna, dilapidi un ingente patrimonio al punto di ridursi alla miseria più cupa ed esser costretti, magari, ad elemosinare per sopravvivere; il sangradale dell'epigrafe è il santo graal la mitica coppa in cui il Signore istituì la santa Eucarestia durante l'ultima cena e nella quale coppa Giuseppe d'Arimatea raccolse il divino sangue sgorgato dal costato di Cristo a seguito del colpo infertogli con la lancia dal centurione sul Golgota. Si tratta probabilmente di una leggenda scaturita dalla fantasia di Chrétien de Troyes che la descrisse nel poema Parsifal di ben 9000 versi e che fu ripresa da Wagner nel suo Parsifal dove il cavaliere Galaad, l'unico casto e puro, riesce nell'impresa di impossessarsi del Graal laddove avevan fallito tutti gli altri cavalieri non abbastanza puri. 7 Fatte capitano e magne galline. Letteralmente: diventa capitano e mangerai galline. Id est: la condizione socio-economica di ciascuno, determina il conseguente tenore di vita (olim il mangiar gallina era ritenuto segno di lusso e perciò se lo potevano permettere i facoltosi capitani non certo i semplici, poveri soldati). La locuzione ha pure un'altra valenza dove l'imperativo fatte non corrisponde a diventa, ma a mostrati ossia: fa le viste di essere un capitano e godine i benefici. 8 Chi nasce tunno nun pò murì quatro. Letteralmente: chi nasce tondo non può morire quadrato. Id est: è impossibile mutare l'indole di una persona che, nata con un'inclinazione, se la porterà dietro per tutta la vita. La locuzione, usata con rincrescimento osservando l'inutilità degli sforzi compiuti per cercar di correggere le cattive inclinazioni dei ragazzi, in fondo traduce il principio dell'impossibilità della quadratura del cerchio. 9 A chi parla areto, 'o culo le risponne. Letteralmente: a chi parla alle spalle gli risponde il sedere. La locuzione vuole significare che coloro che parlano alle spalle di un individuo, cioè gli sparlatori, gli spettegolatori meritano come risposta del loro vaniloquio una salve di peti. 10 A craje a craje comme a' curnacchia. Letteralmente: a crai, a crai come una cornacchia. La locuzione, che si usa per commentare amaramente il comportamento dell'infingardo che tende a procrastinare sine die la propria opera, gioca sulla omofonia tra il verso della cornacchia e la parola latina cras che in napoletano suona craje e che significa: domani, giorno a cui suole rimandare il proprio operato chi non ha seria intenzione di lavorare . 11 Chello ca nun se fa nun se sape. Letteralmente:(solo) ciò che non si fa non si viene a sapere. Id est: La fama diffonde le notizie e le propaga, per cui se si vuole che le cose proprie non si sappiano in giro, occorre non farle, giacché ciò che è fatto prima o poi viene risaputo. 12 'O pesce gruosso, magna 'o piccerillo. Letteralmente: il pesce grande mangia il piccolo. Id est più generalmente: il potente divora il debole per cui se ne deduce che è lotta impari destinata sempre all'insuccesso quella combattuta da un piccolo contro un grande. 13 'O puorco se 'ngrassa pe ne fà sacicce. Letteralmente: il maiale è ingrassato per farne salsicce. La locuzione vuole amaramente significare che dalla disincantata osservazione della realtà si deduce che nessuno fa del bene disinterassatamente; anzi chiunque fa del bene ad un altro mira certamente al proprio tornaconto che gliene deriverà, come - nel caso in epigrafe - il maiale non deve pensare che lo si lasci ingrassare per fargli del bene, perchè il fine perseguito da colui che l'alleva è quello di procurarsi il proprio tornaconto sotto specie di salsicce. 14 Jì mettenno 'a fune 'e notte. Letteralmente: Andar tendendo la fune di notte. Lo si dice sarcasticamente nei confronti specialmente dei bottegai che lievitano proditoriamente i prezzi delle loro mercanzie, ma anche nei confronti di tutti coloro che vendono a caro prezzo la loro opera. La locuzione usata nei confronti di costoro - bottegai e salariati - li equipara quasi a quei masnadieri che nottetempo erano soliti tendere lungo le strade avvolte nel buio, una fune nella quale incespicavano passanti e carrozze, che stramazzando a terra diventavano facilmente così oggetto di rapina da parte dei masnadieri. 15 Se so' rutte 'e tiempe, bagnajuò. Letteralmente: Bagnino, si sono guastati i tempi(per cui non avrai più clienti bagnanti e i tuoi guadagni precipiteranno di colpo). La locuzione la si usa quando si intenda sottolineare che una situazione sta mutando in peggio e si appropinquano relative conseguenze negative. 16 Parla quanno piscia ‘a gallina! Letteralmente: parla quando orina la gallina. Così, icasticamente ed in maniera perentoria, si suole imporre di zittire a chi parli inopportunamente o fuori luogo o insista a profferire insulsaggini, magari gratuite cattiverie. Si sa che la gallina espleta le sue funzioni fisiologiche, non in maniera autonoma e separata, ma in un unicum, per modo che si potrebbe quasi pensare che, non avendo un organo deputato esclusivamente alla bisogna, la gallina non orini mai, di talché colui cui viene rivolto l'invito in epigrafe pare che debba tacere sempre. 17 Puozze passà p''a Loggia. Letteralmente: Possa passare per la Loggia (di Genova). E' come a dire: Possa tu morire. Per la zona della Loggia di Genova, infatti, temporibus illis, transitavano tutti i cortei diretti al Camposanto. 18 Core cuntento a' Loggia. Letteralmente: Cuor contento alla Loggia. Così il popolo suole apostrofare ogni persona propensa, anche ingiustificatamente, ad atteggiamenti giocosi ed allegri, rammentando con la locuzione il soprannome dato, per la sua perenne allegria, alla fine dell'Ottocento, ad un celebre facchino della Loggia di Genova che era una sorta di territorio franco concesso dalla città di Napoli alla Repubblica marinara di Genova, dove i genovesi svolgevano i loro commerci, autoamministrandosi. 19 Cesso a vviento! Letteralmente: gabinetto aperto. Offesa totalizzante e che non ammette replica rivolta a persona spregevole sia fisicamente, ma soprattutto moralmente che viene equiparata a quei vespasiani pubblici di un tempo costruiti in ghisa ed aperti, per consentire un agevole ricambio d'aria, sia in alto che in basso. 20 'A malora 'e Chiaja. Letteralmente: la cattiva ora di Chiaja. Così a Napoli viene apostrofato chiunque sia ripugnante d'aspetto e di modi. Occorre sapere, per comprendere la locuzione che Chiaja è oggi uno dei quartieri più eleganti e chic della città, ma un tempo era solo un borgo molto prossimo al mare ed era abitato da popolani e pescatori d'infimo ceto. Orbene, temporibus illis, era invalso l'uso che le popolane abitanti a Chiaja, sul tardo pomeriggio del giorno solevano recarsi nei pressi del mare a rovesciare nel medesimo i contenuti maleodoranti dei grossi pitali nei quali la famiglia lasciava i propri esiti fisiologici: quel lasso di tempo in cui si svolgevano queste operazioni era detto 'a malora. 21 Farne una cchiù 'e Catuccio. Letteralmente: compierne una più di Catuccio. Id est: farne di tutti i colori, compiere infamie e scelleratezze tali da sorpassare quelle compiute in Francia dal settecentesco Louis Philippe Bourguignon celebre brigante soprannominato Cartouche corrotto in napoletano con il termine Catuccio. La locuzione viene usata per bollare il comportamento non raccomandabile di chi agisce procurando danno a terzi, ma iperbolicamente anche per sottolineare il comportamento un po' troppo vivace dei ragazzi. 22 Essere passata 'e còveta o 'e cuttura. Letteralmente: essere passata di raccolta cioè già sfiorita sull'albero perché abbondandemente maturata oppure essere oramai passata di cottura cioè bruciacchiata perchè troppo cotta. Ambedue le espressioni fanno furbescamente riferimento ad una donna piuttosto in avanti con gli anni perciò sfiorita e non più degna di attenzioni galanti alla medesima stregua o di un frutto lasciato sul ramo troppo tempo dopo la maturazione o come un cibo lasciato sul fuoco oltre il tempo necessario, facendolo quasi bruciare. 23 Quanno 'o diavulo t'accarezza è signo ca vò ll'anema. Letteralmente : quando il diavolo ti carezza, significa che vuole l'anima. Lo si afferma a commento delle azioni degli adulatori o di coloro che godono di cattiva fame; se uno di costoro ti blandisce, offrendoti servigi o opere gratuite, bisogna non fidarsi, giacché nel loro operare c'è nascosta la richiesta di qualcosa molto più importante della prestazione offerta. 24 E' gghiuto 'o ccaso 'a sotto e 'e maccarune 'a coppa. Letteralmente: è finito il cacio sotto ed i maccheroni sopra. La locuzione la si usa per commentare con disappunto una situazione che non si sia evoluta secondo i principi logici ed esatti e codificati. In effetti, secondo logica si vorrebbe che il formaggio guarnisse dal di sopra un piatto di maccheroni, non che facesse loro da strame. Id est: maledizione! Il mondo va alla rovescia! 25 Doppo muorto, buzzarato. Letteralmente: dopo morto, buggerato; dopo aver subito la morte, sopportare anche il vilipendio. La locuzione corrisponde, anche se in maniera un po' più dura al toscano: il danno e la beffa. Essa fu usata nel corposo linguaggio partenopeo da un napoletano che assistette al consueto percuotimento del capo del defunto papa PIO XII, con il previsto martelletto d'argento operato dal cardinale camerlengo, per accertarsi che il pontefice non reagisse dimostrando così d'essere morto. 26 Troppi galle a cantà nun schiara maje juorne. Letteralmente: troppi galli a cantare, non spunta mai il giorno. Id est: quando ci sono troppe persone ad esprimere un'opinione, un parere, non si arriva mai ad una conclusione; ed in effetti tenendo presente l'antico adagio latino: tot capita, tot sententiae: tante teste, tanti pareri, sarà ben difficile, anzi sarà impossibile trovarne di collimanti per modo che si possa finalmente giungere ad una conclusione. 27 Nun c'è prereca senza sant' Austino. Letteralmente: Non v'è predica senza sant'Agostino. Come si sa, sant'Agostino, vescovo d' Ippona, è uno dei più famosi padri della Chiesa cattolica e non v'è predicatore che nei sermoni non usi citare gli scritti del santo vescovo. L'espressione in epigrafe viene usata a mo' di risentimento da chi si senta chiamato in causa - soprattutto ingiustamente - e fatto segno di attenzioni non richieste e perciò non desiderate. 28 'A malanova ll'accumpagna 'o viento. Letteralmente: la cattiva notizia viaggia sulle ali del vento. Id est: le cattive notizie ti raggiungono rapidamente, spinte come sono dal vento; per cui il popolo è solito affermare: nessuna nuova, buona nuova, poichè sono le cattive notizie a giungere sospinte dal vento; se non ne giungono, significa che si tratta di buone notizie che - per solito - non viaggiano col vento. 29 E bravo ộ fesso! Letteralmente: E bravo allo sciocco! La frase in epigrafe la si usa sempre quando si voglia ironicamente plaudire all'operato di chi pretende da saccente e supponente, con la propria azione di dimostrare la propria valentia nei confronti di qualcuno a cui non riesca di agire alla medesima stregua. Più chiaramente, la locuzione è usata a mo' di presa in giro di coloro che fanno le viste di ritenersi superiori agli altri e in realtà se lo sono non è per maggiori capacità fisiche e/o morali, ma solo per fortunose o ovvie ragioni. Per meglio chiarire spieghiamo con un esempio. Poniamo vi sia un uomo infortunato alle gambe che abbia difficoltà ad ascendere una scala a pioli. Si presenta uno sciocco che, essendo pienamente integro nella sua salute, con irrisoria facilità ascende la scala e commenta con aria saccente: "Visto come è facile?". La risposta che si merita codesto sciocco è quella in epigrafe, che nel caso dell'esempio starebbe a significare: Sei così stupido da non renderti conto che se anche io fossi nella mia integrità fisica, non avrei difficoltà a fare ciò che hai fatto tu! 30 Quanno 'o mellone jesce russo, ogneduno ne vò 'na fella. Letteralmente: Quando il cocomero al taglio si presenta ben colorito di rosso, ognuno ne vuole una fetta. Id est: Quando l'occasione è buona, ognuno cerca di ottenerne il massimo vantaggio. Per traslato, l'espressione si usa quando si voglia bollare il comportamento di chi è sempre pronto a saltare sul carro del vincitore... 31 Si 'o Signore me pruvvede, m'aggi' 'a fà 'nu quacchero luongo 'nfino a 'e piede. Letteralmente: Se il Cielo mi dà provvidenza, debbo farmi un soprabito lungo fino ai piedi. Id est: se avrò fortuna e aiuto dal Cielo mi voglio ricoprire fino ai piedi per modo che non possa temere offese dall'esterno. La parola quacchero nel senso di cappotto è modellata sul termine quaccheri, rammentando i lunghi costumi indossati da costoro. 32 Ll'abbate Taccarella. Letteralmente: l'abate Taccarella. Con questo soprannome viene bollato, a Napoli, la malalingua, lo sparlatore, colui che, metaforicamente, tagliuzzi gli abiti addosso ad una persona; il nome Taccarella è chiaramente un deverbale desunto appunto dal verbo taccarià che significa tagliuzzare, ridurre in minuti pezzetti. 33 T' he pigliato 'e ccient' ove. Letteralmente: hai preso le cento uova; hai bevuto cento uova. Id est: sei diventato pazzo. La locuzione rammenta un antichissimo metodo di cura della pazzia in uso a Napoli nei sec. XV e XVI, al tempo di un famosissimo medico dei pazzi, tale Giorgio Cattaneo - dal cui nome derivò poi il termine mastuggiorgio che indica appunto il castigamatti - il quale medico pare inventasse la cura coercitiva per il folle di dover assumere ben cento uova di seguito e poi, sotto la minaccia di una frusta, di girare la ruota di un pozzo. 34 Frijenno, magnanno. Letteralmente: friggendo e mangiando. L'uso, tutto napoletano, di mettere in fila due gerundi, senza un apparente modo finito reggente, sta ad indicare che le due azioni debbono essere eseguite quasi contemporaneamente, senza soluzione di continuità, e - nella fattispecie - il cibo una volta fritto deve essere subito consumato, senza indugio, con immediatezza e rapidità. Il cibo, sottinteso nella locuzione, è rappresentato dalle famosissime paste cresciute, dai tittoli, dai fiori di zucca in pastella e da tutte quelle numerose verdure, fette di ricotta, uova sode, animelle etc. che concorrono a formare quello che erroneamente si dice fritto all'italiana e che sarebbe più consono dire fritto alla napoletana, giacchè in Napoli fu ideato questo tipo di preparazione culinaria da consumarsi velocemente all'impiedi davanti ai banchi delle friggitorie (antenate delle moderne pizzerie) esercizi dove detto fritto veniva preparato ed offerto seduta stante all'avventore anche frettoloso. 35 Fatte 'na bbona annummenata e va'scassanno chiesie. Letteralmente: procura di farti una buona nomea e poi saccheggia pure le chiese. Id est: ciò che conta nella vita è di godere di una buona opinione presso i terzi, poi si possono operare i peggiori misfatti, addirittura furti sacrileghi, nessuno mai sospetterà di uno che gode di buona nomea. La locuzione insomma affronta l'antico dilemma: essere o apparire e propende, stranamente per la cultura popolare, da sempre incline dalla parte della sostanza piuttosto che da quella della forma, per il secondo corno del dilemma. 36 Ammacca e sala, aulive 'e Gaeta. Letteralmente: schiaccia e sala, olive di Gaeta! Di per sè è la voce - ossia la frase di richiamo - usata dai venditori di olive e con essa si rammenta la tecnica della conservazione in salamoia delle olive che vengono stipate in botticelle e conservate in un bagno di acqua salata. Con la stessa locuzione si suole commentare a mo' di riprovazione, il comportamento di coloro che operano in maniera rapida e superficiale, senza porre attenzione ed applicazione a ciò che sono stati chiamati a fare. 37 Cca 'e ppezze e cca 'o sapone. Letteralmente: di qui le pezze e di là il sapone. E' il modo rapidamente incisivo per dire che non si fa credito di sorta. Chi usa detta locuzione intende comunicare che con lui non si fanno contratti se non a prestazione e controprestazione immediata, contratti dove il do e il des sono contemporanei. Originariamente, la locuzione era usata dai robivecchi girovaghi detti "SAPUNARI" che offrivano in cambio di abiti dismessi un tot di sapone quale merce di scambio. 38 M''o ssento 'e scennere pe dereto a 'e rine. Letteralmente: me lo sento colare lungo il filo della schiena. L'espressione viene usata con senso di rammarico se non di timore, quando si voglia comunicare a terzi di avvertire su se stessi la sensazione di un prossimo imminente disastro e/o pericolo e di non potervi porre riparo. 39 Se so' 'ncuntrate 'o sango e 'a capa. Letteralmente: si sono uniti il sangue e la testa. Id est: si è verificato l'incontro di due elementi ugualmente necessarii al conserguimento di un quid. Anche in senso marcatamente dispregiativo per sottolineare l'incontro di due poco di buono dalla cui unione deriverà certamente danno per molti. La locuzione, in senso positivo, fa riferimento all'incontro liturgico della teca contenente i reperti ematici del sangue di san Gennaro con il busto contenente il cranio del santo; solo dopo detto incontro infatti per solito si verifica il miracolo della liquefazione del sangue. 40 Essere d''o bettone. Letteralmente: essere del bottone Id est: appartenere ad un medesima consorteria, ad una stessa associazione e perciò essere nella condizione di poter chiedere e ricevere aiuto ed assistenza dai propri sodali. Il bottone della locuzione è, senza dubbio, il distintivo, cioè il segno esteriore della appartenenza ad un determinato consesso, ma è inesatto ritenere il distintivo della locuzione quello fascista, perché l'espressione, a Napoli, era nota e si usava fin dall'epoca dei Borbone. 41 Tirarse 'a cauzetta. Letteralmente: tirarsi la calza. Id est: starsene sulle proprie, darsi delle arie, farsi eccessivamente pregare prima di condiscendere sia pure ad un colloquio, guardare dall'alto in basso i richiedenti, dimostrarsi arroganti e reticenti. La locuzione che fotografa quasi il sopracciò, il rancoroso che mantiene le distanze, deriva dall'usanza spagnola di ritenere elegante ed importante chi portasse le calze molto aderenti alle gambe e tirate su il più possibile. 42 I' faccio pertose e tu gaveglie. Letteralmente: Io faccio buchi e tu cavicchi. Id est: mi remi contro. La locuzione la si usa quando si voglia redarguire qualcuno che proditoriamente e senza apparenti motivi, anzi quasi per dispetto, si adopera per vanificare l'opera di chi si sta affannando in un'azione di senso contrario come nella locuzione capita a chi si sta adoperando a fare buchi e trova chi invece si dà da fare per confezionare cavicchi atti a turare detti buchi. 43 Quanno scioscia viento 'e terra, 'o pesce nun zompa dint' a' tiella. Letteralmente: quando spira il maerstrale il pesce non salta in padella. Id est: i giorni spazzati dal vento maestrale sono i meno adatti per la pesca. Più in generale il proverbio sta a significare che per ottenere buoni risultati occorre attendere il momento propizio e non bisogna avventurarsi in alcuna opera quando spiri vento avverso. 44 Tre songo 'e putiente: 'o papa 'o rre e chi nun tène niente. Letteralmente: Tre sono i potenti: il papa il re e chi non possiede nulla. E' facile capire il perché della locuzione. Il Papa non ha concorrenti, per cui nel suo ambito è da ritenersi veramente un potente; idem valga per il re inteso come despota. E non meravigli che sia considerato un potente il nullatenente, che basa proprio sulla sua penuria di mezzi la propria forza, potendosi infischiare di tutti, non temendo assalti da parte di nessuno, giacchè a nessuno verrebbe in mente di attaccare qualcuno a cui in caso di vittoria non si avrebbe che cosa sottrarre. 45 Signore 'e unu cannelotto. Letteralmente: signore da un solo candelotto. Così a Napoli viene appellato chi pretende di avere nobili ascendenti, ed invece risulta essere di nessuna nobiltà. La locuzione risale al tempo in cui l'illuminazione dei palchi del teatro san Carlo, massimo teatro lirico della città partenopea, era assicurata da alcuni candelabri che venivano noleggiati dalla direzione del teatro agli spettatori che ne facessero richiesta. Il prezzo del noleggio variava con il numero dei candelabri richiesti e questo dalle possibilità economiche dello spettatore. Va da sè che minore era il numero di candele, minore era la possibilità economica dimostrata e conseguenzialmente minore il grado di nobiltà; per cui un signore da un candelotto era da ritenersi proprio all'infimo gradino della scala sociale. 46 Fatte 'e cazze tuoje e vide chi t''e fa fà... Letteralmente: Impicciati dei fatti tuoi e procura di trovare qualcuno che ti aiuti in tal senso. La locuzione viene usata nei confronti di chi si ostini ad intervenire negli altrui casi ponendovi lingua, dando consigli non richiesti, laddove l'esperienza insegna che se si vuole evitare di dare e/o ricevere impicci e fastidi ci si deve occupare esclusivamente delle proprie faccende. Così come formulata la locuzione non usa il termine eufemistico fatti, ma uno più corposo anche se più triviale, ma più causticamente popolare. 47 Carta vène e giucatore s'avanta. Letteralmente: carta (vincente) viene e giocatore (vittorioso) si vanta. La locuzione prendendo spunto dal giuoco delle carte stigmatizza il comportamento ridicolo e pretestuosamento presuntuoso - tipico peraltro di coloro che hanno scarse capacità intellettive - di chi tenti di farsi merito di successi ottenuti non per propria capacità, intelligenza e valore, ma per mera fortuna che lo abbia condotto al primato, come avviene in taluni giuochi di carte dove basta il possesso di determinate carte vincenti a procurare la vittoria e conta veramente poco il modo di giocare le predette carte. 48 Chella 'a mana è bbona; è 'a valanza ca vò essere accisa! Letteralmente: Quella la mano è buona, è la bilancia che si comporta in modo tale da meritarsi d'essere ammazzata. La locuzione va riferita a chi proditoriamente tiri a derubare sul peso e tenti di far ricadere la colpa sul tramite ossia sulla bilancia. Per traslato la locuzione la si usa sarcasticamente nei confronti di chiunque, per un motivo o l'altro non si voglia assumere le responsabilità del proprio truffaldino comportamento. 49 Chisto è n'ato d''a pasta fina. Letteralmente: Costui è un altro della pasta fine. Id est: anche questo fa parte di un gruppo di brutti ceffi, di cui diffidare. La locuzione nacque allorché, alla fine del '800, in Napoli alcuni comorristi erano soliti riunirsi in una bettola tenuto da un tal Pastafina. Letta tenendo presente questa annotazione, la locuzione assume una sua valenza di offesa. 50 Fattélle cu cchi è mmeglio 'e te e fance 'e spese. Letteralmente: Intrattieni duraturi rapporti con chi è migliore di te e sopporta le spese che ne derivano.Id est: le proprie amicizie bisogna sceglierle tra chi ti è moralmente superiore , e occorre poi coltivarle anche se per fare ciò bisogna por mano alla tasca anche figurativamente parlando. 51 Addò sperdettero a Giesù Cristo. Letteralmente: dove dispersero Gesù Cristo. Lo si dice di un luogo lontano ed impervio, difficile da raggiungere... La locuzione fa certamente riferimento all'episodio dell'evangelo allorché Maria e Giuseppe persero di vista il Redentore che s'era attardato in Gerusalemme ed impiegarono alcuni giorni prima di ritrovarlo. 52 'A coppa sant' Ermo, pesca 'o purpo a mmare. Letteralmente: Di sopra sant' Elmo pesca un polpo a mare. Lo si dice, ironizzando sull'azione di chi si affanna a voler raggiungere un risultato, che certamente invece gli mancherà, stanti le errate premesse da cui parte la propria opera, come chi volesse appunto pescare un polpo nel mare del golfo partenopeo e si trovasse a farlo assiso sulla collina di sant'Elmo, che è vero che guarda il mare, ma lo fa da un'altezza di circa 250 metri... 53 Va' fà ll'osse ộ ponte Letteralmente: vai a racimolare le ossa al ponte. Id est: mandare qualcuno a quel paese. Infatti la locuzione suona pure: mannà a ‘o ponte, con il medesimo significato. Un tempo a Napoli presso il ponte della Maddalena, già ponte Licciardo esisteva un macello, dove il popolo si recava ad acquistare le carni delle bestie macellate. I meno abbienti si accontentavano di prelevare gratis et amore Dei le ossa, per farne del brodo, per cui spingere qualcuno a fare le ossa al ponte significa augurargli grande miseria. La medesima accezione vale per la locuzione mannà a ‘o ponte; (mandare al ponte) tenendo presente che questa seconda locuzione la si usa nei confronti di uomini attempati e un po’ rovinati dagli acciacchi e dall’età ecco che essa locuzione ha una valenza un po’ più amara della prima giacché la si rivolge a chi - probabilmente - non ha la capacità di ripigliarsi ed è costretto a subire gli strali dell’avversa fortuna. 54 Nè femmena, nè ttela a lume de cannela. Letteralmente: Né donne, né tessuti alla luce artificiale. Id est: la luce artificiale può nascondere parecchi difetti, che - invece - alla luce del sole - vengono in risalto e ciò vale sia per la consistenza dei tessuti, sia - a maggior ragione - per la bellezza muliebre. 55 Meglio 'nu quintale 'ncapa ca n'onza 'nculo! Letteralmente: Meglio un quintale in testa che un'oncia nel sedere! Id est: meglio patire un danno fisico, che sopportarne uno morale. In pratica gli effetti del danno fisico, prima o poi svaniscono o si leniscono, quelli di un danno morale perdurano sine die. 56 Chi tène bbelli denare sempe conta, chi tène 'na bbella mugliera sempe canta. Letteralmente: chi ha bei soldi conta sempre, chi ha una bella moglie canta sempre. Id est: il denaro, per quanto molto che ne sia non ti dà la felicità, che si può ottenere invece avendo una bella moglie. 57 Dicette 'o puorco 'nfacci' a 'o ciuccio: Mantenimmece pulite! Letteralmente: Disse il porco all' asino: Manteniamoci puliti. E' l'icastico commento che si suole fare allorché ci si imbatta in un individuo che con protervia continui a criticare la pagliuzza nell'occhio altrui e faccia le viste di dimenticarsi della trave che occupa il proprio occhio.A simile individuo si suole rammentare: Cumparié nun facimmo comme 'o puorco...(Amico non comportiamoci come il porco che disse all'asino etc. etc.) 58 Dicette Pulicenella: Nce so' cchiù gghiuorne ca sacicce. Disse Pulcinella: ci sono più giorni che salcicce. E' l'amara considerazione fatta dal popolo, ma messa sulla bocca di Pulcinella, della cronica mancanza di sostentamento e per contro della necessità quotidiana della difficile ricerca dei mezzi di sussistenza. 59 Chi 'a fa cchiù sporca è priore. Letteralmente: chi la fa più sporca diventa priore. Id est: chi si comporta peggio è gratificato con il massimo premio. L'esperienza popolare insegna che spesso si è premiati oltre i propri meriti. 60 Dicette Pulicenella: I' nun so' fesso, ma aggi' 'a fà 'o fesso, pecché facenno 'o fesso, ve pozzo fà fesse! Letteralmente: Disse Pulcinella: Io non sono stupido, ma devo fare lo stupido, perché facendo lo stupido, vi posso gabbare (e posso ottenere ciò che voglio, cosa che se non mi comportassi da stupido non potrei ottenere). La locuzione in epigrafe è uno dei cardini comportamentali della filosofia popolare napoletana che parte da un principio assiomatico che afferma: Cca nisciuno è ffesso! Id est: Qui (fra i napoletani) non v'è alcuno stupido! 61 'O peggio trave d''a casa è cchillo ca fa lesiona. Letteralmente: la peggior travatura di casa è quella che si lesiona. La locuzione viene usata, con senso di disappunto e rincrescimento, per commentare le cattive opere fatte da chi non si sarebbe mai ipotizzato potesse agire male, nel senso che come per la casa un cedimento lo si attende da una travatura malmessa, così nella vita una cattiva azione la si può attendere da cattivi soggetti, non certo da intemerate persone, per cui quando invece succede che i buoni agiscano da cattivi, si fa ricorso all'espressione in epigrafe, volendo sottintendere: ti reputavo un trave integro, ma sbagliavo: le tue azioni mi dimostrano il contrario, peccato! 62 'O Conte Mmerda 'a Puceriale. Letteralmente: Il conte Merda da Poggioreale. Così, per dileggio vien definito dal popolo colui che vanti falsamente illustri progenitori, o colui che si dia arie da nobiluomo incedendo con sussiego ed alterigia. Ma il personaggio in epigrafe esistette veramente in Napoli e tale nomignolo fu affibbiato dal popolo al patriarca di una famiglia napoletana che aveva il possesso di una villa nella zona di Poggioreale. Tale signore ebbe, sul finire del 1800, in appalto la gestione delle latrine comunali e si meritò ipso facto il soprannome. 63 Moneca 'e casa: diavulo esce e trase, moneca 'e cunvento: diavulo ogni mumento. Letteralmente: monaca di casa: diavolo entra ed esce, monaca di convento: diavolo ogni momento. La locuzione, con una punta di irriverenza, viene usata, quando si voglia eccepire qualcosa sul comportamento di chi, invece, istituzionalmente dovrebbe avere un comportamento irreprensibile. La monaca di casa era a Napoli una di quelle attempate signorine che, per non essere tacciate di zitellaggio, facevano le viste di dedicarsi alla cura di qualche parente anziano o prete. Va da sé che il diavolo della locuzione è usato eufemisticamente per indicare il medesimo diavolo di talune novelle del Boccaccio; per ciò che attiene il convento è facile pensare che la locuzione faccia riferimento a quel covento di sant'Arcangelo a Baiano in Napoli, finito nelle cronache dell'epoca e successive per i comportamenti decisamente libertini tenuti da talune suore ivi ospitate. 64 Frijere 'o pesce cu ll' acqua. Letteralmente: friggere il pesce con l'acqua. La locuzione stigmatizza il comportamento insulso o quanto meno eccessivamente parsimonioso di chi tenti di raggiungere un risultato apprezzabile senza averne i mezzi occorrenti e necessari in mancanza dei quali si va certamente incontro a risultati errati o di risibile efficacia. 65 Meglio 'na mala jurnata, ca 'na mala vicina. Meglio una cattiva giornata che una cattiva vicina. Ed il perché è facile da comprendersi: una giornata cattiva, prima o poi passa e con essa i suoi effetti negativi, ma una cattiva vicina, perdurante la sua stabile vicinanza, di giornate cattive ne può procurare parecchie... 66 S' è fatta notte a 'o pagliaro. Letteralmente: E' calata la notte sul fienile. La locuzione viene usata a mo' di incitamento all'operosità verso colui che procrastini sine die il compimento di un lavoro per il quale - magari - ha già ricevuto la propria mercede; tanto è vero che si suole commentare: chi pava primma è male servuto (chi paga in anticipo è malamente servito...) 67 Quanto è bbello e 'o patrone s''o venne! Letteralmente: Quanto è bello, eppure il padrone lo vende. Era la frase che a mo' di imbonimento pronunciava un robivecchi portando in giro, per venderla al migliore offerente, la statua di un santo presentata sotto una campana di vetro. Con tale espressione ci si prende gioco di chi si pavoneggia, millantando una bellezza fisica che non corrisponde assolutamente alla realtà. 68 Si 'o gallo cacava, Cocò nun mureva. Letteralmente: Se il gallo avesse defecato, Cocò non sarebbe morto. La locuzione la si oppone sarcasticamente, a chi si ostina a mettere in relazione di causa ed effetto due situazioni chiaramente incongruenti, a chi insomma continui a fare ragionamenti privi di conseguenzialità logica. 69 Ha perzo 'e vuoje e va cercanno 'e ccorna. Letteralmente: Ha perduto i buoi e va in cerca delle loro corna. Lo si dice ironicamente di chi, avendo - per propria insipienza - perduto cose di valore, ne cerca piccole vestigia, adducendo sciocche rimostranze e pretestuose argomentazioni. 70 Pure ll'onore so' castighe 'e Ddio. Letteralmente: Anche gli onori son castighi di Dio. Id est: anche agli onori si accompagnano gli òneri; nessun posto di preminenza è scevro di fastidiose incombenze. La locuzione ricorda l'antico brocardo latino: Ubi commoda, ibi et incommoda. 71 Madonna mia fa' stà bbuono a Nirone Letteralmente: Madonna mia, mantieni in salute Nerone. E' l'invocazione scherzosa rivolta dal popolo alla Madre di Dio affinché protegga la salute dell'uomo forte, di colui che all'occorrenza possa intervenire per aggiustare le faccende quotidiane. Nella locuzione c'è la chiara indicazione che il popolo preferisce l'uomo forte e deciso, piuttosto che l'imbelle democratico. 72 Pe ttreccalle 'e sale, se perde 'a menesta. Letteralmente: per pochi soldi di sale si perde la minestra. La locuzione la si usa quando si voglia commentare la sventatezza di qualcuno che per non aver voluto usare una piccola diligenza nel condurre a termine un'operazione, ha prodotto danni incalcolabili, tali da nuocere alla stessa conclusione dell'operazione. 'O treccalle era la più piccola moneta divisionale napoletana pari a stento al mezzo tornese ed aveva un limitatissimo potere d'acquisto, per cui era da stupidi rischiare di rovinare un'intera minestra per lesinare sull'impiego di trecalli per acquistare il necessario sale. 73 S'è aunito 'o strummolo a tiriteppete e 'a funicella corta. Letteralmente: si è unita la trottolina scentrata e lo spago corto. Id est: hanno concorso due fattori altamente negativi per il raggiungimento di uno scopo prefisso, come nel caso in epigrafe la trottolina di legno non esattamente bilanciata e lo spago troppo corto e perciò inadatto a poterle imprimere il classico movimento rotatorio. 74 Ll'aucielle s'apparono 'ncielo e 'e chiaveche 'nterra. Letteralmente: gli uccelli si accoppiano in cielo e gli uomini spregevoli in terra. E' la trasposizione in chiave rappresentativa del latino: similis cum similibus, con l'aggravante della spregevolezza degli individui che fanno comunione sulla terra. Il termine: chiaveche è un aggettivo sostantivato, formato volgendo al maschile plurale il termine originario: chiaveca che è la cloaca, la fogna; tenendo ciò presente si può capire quale valenza morale abbiano per i napoletani, gli uomini detti chiaveche. 75 'E ciucce s'appiccecano e 'e varrile se scassano. Letteralmente: Gli asini litigano e i barili si rompono. Id est: i comandanti litigano e le conseguenze le sottortano i soldati. Così va il mondo: la peggio l'hanno sempre i più deboli, anche quando non sono direttamente responsabili d'alcunché. La cultura popolare napoletana ha tradotto icasticamente il verso oraziano: quidquid delirant reges, plectuntur Achivi (Qualsiasi delirio dei re, lo pagano gli Achei...). 76 A vvessenterìa, nun s' à dda stregnere 'o culo. Letteralmente: Alla diarrea non si deve (opporre) il restringimento dell'ano. Id est: Non ci si deve opporre al naturale fluire delle cose, anzi occorre sapersi adattare alle circostanze, anche le più spiacevoli. 77 'A trummetta 'a Vicaria Letteralmente: la trombetta della Vicaria. Id est: il propalatore di notizie, il divulgatore non desiderato di faccende altrui. In senso ironico: chi non sappia mantenere un segreto. La locuzione prende l'avvio da un personaggio veramente esistito in Napoli durante il periodo viceregnale, allorché - in mancanza di altri mezzi mediatici - per diffondere i pubblici bandi ci si serviva appunto di un banditore che girava la città e, fermandosi ad ogni cantonata, dava lettura dell'atto da comunicare dopo lo squillo di una tromba che serviva per richiamare l'attenzione degli astanti. La trombetta è detta della Vicaria perché dalla Vicaria (sede dei tribunali della città) cominciava il suo lavoro il banditore. 78 A carocchie, a carocchie Pulecenella accedette 'a mugliera. Letteralmente: con ripetuti colpi in testa, Pulcinella uccise la moglie. Id est: i risultati si ottengono perseguendoli giorno dopo giorno anche con reiterate piccole azioni. La carocchia è un colpo assestato sul capo con la mano chiusa a pugno mossa dall'alto verso il basso e con la nocca del medio protesa in avanti a formare un cuneo. Un singolo colpo non produce gran danno, ma ripetuti colpi possono anche ferire una persona e lasciare il segno. 79 Guaglù, levate 'o bbrito! Letteralmente: ragazzi, togliete il vetro... Id est: Ragazzi togliete di mezzo i bicchieri. E' il comando che proprietari delle bettole o cantine dove si mesceva vino a pagamento, rivolgevano ai garzoni, allorchè si avvicinava l'ora di chiusura dell'esercizio, affinché ritirassero i bicchieri e le bottiglie usati dagli avventori. Per traslato, la frase viene usata quando si voglia far capire che si è giunti alla fine di qualsivoglia operazione e non si è intenzionati a cominciarne altra. 80 'A cora è 'a cchiù brutta 'a scurtecà. Letteralmente: la coda è la cosa peggiore da scarnificare. Id est: il finale di un'azione è il più duro da conseguire, perché un po' per stanchezza, un po' per sopraggiunte difficoltà non preventivate, i maggiori ostacoli si incontrano alla fine delle operazioni intraprese. In fondo, anche i latini asserivano la medesima cosa quando dicevano: in cauda venenum (il veleno è nella coda). 81 'O gallo ncopp' a' mmunnezza. Letteralmente: il gallo sull'immondizia. Così, a buona ragione, viene definito dalla cultura popolare partenopea, il presuntuoso, il millantatore, colui che - senza particolari meriti, ma per mera fortuna o per naturale fluire del tempo - abbia raggiunto una piccola posizione di preminenza, e di lassù intenda fare il buono e cattivo tempo, magari pretendendo di far valere il proprio punto di vista, proprio come un galletto che, asceso un cumulo di rifiuti, ci si sia posto come su di un trono e, pettoruto, faccia udire i suoi chicchirichì. 82 Aspetta, aseno mio, ca vène 'a paglia nova. Letteralmente: Attendi, asino mio, ché è in arrivo la paglia nuova. E' una locuzione usata quando si voglia indicare la inutilità di un'attesa o quando si voglia minacciare qualcuno di un'imminente vendetta. 83 'A gatta quanno sente 'addore d''o pesce, maccarune nun ne vò cchiù. Letteralmente: la gatta quando avverte l'odore del pesce, maccheroni non ne vuole più. Id est: Quando l'uomo ha la possibilità di metter le mani su quanto c'è di meglio, non si contenta più dell'eventuale succedaneo, ma ambisce al meglio, in senso sia teorico che pratico. 84 A -Chi chiagne fotte a chi ride. B - 'O piccio renne Letterealmente: A - Chi piange frega chi ride. B - Il pianto rende. Le due locuzioni appalesano gli ottimi risultati che si possono ottenere con la politica del pianto e del lamento che a lungo andare producono frutti per coloro che la perseguono e mettono in atto 85 Cu ll'evera molla ogneduno s'annetta 'o culo! Letteralmente: con l'erba morbida, ognuno si pulisce il sedere. Id est: chi dimostra di non aver nerbo e/o carattere diventa succube di chiunque ed è destinato, nella vita, ad essere soccombente in qualsiasi occasione e ad essere usato a piacimento degli altri. 86 Santu Mangione è 'nu grandu santo. Letteralmente: San Mangione è un gran santo. La locuzione fa riferimento ad un ipotetico, ma non per questo inesistente, San Mangione, ritenuto dal popolo napoletano il santo protettore dei corrotti e dei concussori, santo potentissimo capace di fare 14 grazie al giorno, addirittura una in più di quel sant'Antonio da Padova, gran taumaturgo accreditato di 13 grazie al giorno.Con l'affermazione in epigrafe si appalesa la disincantata maniera di guardare alla realtà che è propria del napoletano, che - per averlo provato sulla propria pelle - è convinto che la corruzione e non altro, governi l'universo. 87 Pe gulio 'e lardo, vasa 'nculo a 'o puorco. Letteralmente: per desiderio di lardo, bacia il sedere del maiale. Lo si dice di chi pur di ottenere anche un'inezia, è disposto alle più disonorevoli azioni. 88 Chi fa bbene, more acciso. Letteralmente: chi fa il bene, muore ucciso. 89 Nce ponno cchiù ll'uocchie ca 'e scuppettate... Letteralmente: Hanno più potere gli occhi che le schioppettate.Id est:la potenzialità del malocchio è così elevata da produrre più danno delle fucilate ed il popolo napoletano ritiene che sia difficilissimo difendersi dal malocchio. 90 Dicette 'onna Vicenza: Addò c'è ggusto nun c'è perdenza. Letteralmente: Disse donna Vincenza: Dove vi è gusto, non vi è perdita. Id est: ciò che si fa con piacere non genera pentimenti. La locuzione la si usa soprattutto a commento delle azioni di chi trovi gradevoli cose e/o persone ritenute da tutti gli altri repellenti. 91 'A raggione s''a pigliano 'e fesse. Letteralmente: La ragione (che in napoletano va scritta con due g..) se la pigliano gli stupidi. In una discussione spesso uno dei contendenti, senza addivenire ad un pratico corrispettivo, si limita a dare ragione all'altro contendente che però con la frase in epigrafe afferma il suo buon diritto a non esser tacitato dalle sole parole... 92 Pe tte ce vò 'o caccavo 'e santa Maria 'a Nova. Per te occorre il pentolone di santa Maria la Nuova. Con questa locuzione si apostrofa chi è insaziabile, di robustissimo appetito, colui a cui insomma non basta cibo. Si tratta naturalmente di una iperbole in quanto 'o caccavo (il pentolone) era infatti l'enorme pentola in cui i frati di santa Maria la Nova solevano preparare il pasto che quotidiamente offrivano non ad una singola persona, ma ai numerosi poveri accolti nel refettorio del convento annesso alla chiesa omonima. 93 'E meglie pariente stanno a' Zecca. Letteralmente: i migliori parenti stanno alla zecca, intesa non come zona della città, ma come luogo dove si batte moneta, in quanto la locuzione proclama il danaro, miglior congiunto. 94 A 'stu munno sulo 'o càntero è nicessario. Letteralmente: su questo mondo solo il pitale è necessario. Id est: nella vita nulla e - soprattutto - nessuno è veramente necessario o importante; si può tranquillamente fare a meno di tutto, tranne del pitale o meglio della funzione digestiva che esso rappresenta che - a sua volta -presuppone l'aver mangiato e l' averne avuto la possibilità. 95 Aizammo 'a gallina e avasciammo 'a cecoria... Letteralmente: aumentiamo la gallina e diminuiamo la cicoria... Id est: diamo maggior consistenza alla minestra aumentando la carne e diminuendo i vegetali. La locuzione viene usata quando si voglia convincere qualcuno a curar maggiormente la sostanza delle faccende in cui si è impegnati e a non esagerare con il conferimento di aggiunte attinenti più alla forma che alla sostanza. 96 Dicette Nunziatina: "A bbuonu fine, m''a faccio 'na rattata 'e suttanino!". Letteralmente: Disse Nunziatina: "Affinché me ne venga del bene, me la faccio una grattata di sottoveste!" La cultura popolare napoletana non fa mai considerare superflui gli scongiuri ed i gesti apotropaici ritenuti apportatori di benessere. Quello della locuzione, attribuito ad una ipotetica Nunziatina (diminutivo di Annunziata), fa riferimento ad una benefica grattata di sottoveste, termine usato eufemisticamente per indicare parti del corpo che, per solito, sono nascoste dalle vesti. 97 Meglio curnute ca male sentute. Letteralmente: meglio(esser) cornuti che mal compresi. Id est: meglio subire l'onta del tradimento uxorale che esser mal compresi e pertanto esser ritenuti titolari di giudizi o idee che - per non essere stati ben compresi -stravolgono gli autentici giudizi o pensieri di un individuo. 98 Dicette 'o z' moneco, a' Badessa: "Senza denare, nun se cantano messe..." Letteralmente: Disse il signor monaco alla madre badessa: "Senza danaro non si celebrano messe cantate..." La locuzione viene usata quando si voglia far intendere che qualsiasi azione deve avere un corrispettivo e che non si fa niente gratuitamente. 99 Pizzeche e vase nun fanno pertose e maniate 'e zizze nun fanno criature. Letteralmente: pizzicotti e baci non perforano e carezze di seni non generano creature. Id est: in amore ed in ogni altra occasione, se non si vogliono avere risultati indesiderati, non bisogna superare i limiti di un contatto superficiale, accontendandosi di una toccata e fuga. 100 'Na mugliera 'ncignata alla Chiazzetta Una moglie che ha fatto le prime esperienze sessuali alla Chiazzetta. A Napoli,la Chiazzetta era una contrada del quartiere Porto, densamente abitata da gente di bassa condizione sociale e dedita a loschi affari. Tra queste persone abbondavano le donne di malaffare che svolgevano la più antica professione del mondo in parecchie case che abbondavano in loco. Per cui quando un giovane impalmava una donna dai precedenti non proprio chiari si diceva che aveva preso 'na mugliera 'ncignata (sverginata) alla Chiazzetta. 101 A'o puorco, miettece 'a sciassa, sempe 'a coda ce pare. Letteralmente: al porco puoi anche mettere una marsina, mostrerà sempre la coda. Id est: è inutile affannarsi a ricoprire di begli abiti un essere sporco e lercio, qualcosa appaleserà comunque la sua vera natura. 102 Te se pozza purtà, 'a lava d''e Virgene! Letteralmente: Che possa essere trascinato via dalla lava dei Vergini. E' il malevole augurio che si rivolge ai fastidiosi, ai tediosi cui si augura che un'improvviso fenomeno alluvionale li trascini con sè e li porti via. Quando non esistevano approntati percorsi fognarii, lo scolo delle acqua piovane era affidato alla naturale pendenza dei luoghi, pendenza che trasportava le acque verso il mare. La zona della Sanità era ed è posta, a Napoli, a ridosso dei contrafforti della collina di Capodimonte ed era sommersa dal copioso torrente d'cqua piovana che, precipitandosi da Capodimonte imboccava il declivio sottostante - via dei Vergini - e ingrossandosi a mano a mano prendeva forza, trascinando con sè tutto che incontrava sul suo cammino. Il popolo chiamò quel terribile torrente con il nome di lava come se si fosse trattato della lava scaturente da un vulcano. 103 Fa' comme t'è ffatto, ca nun è peccato... Letteralmente: fa' ciò che ti è stato fatto, perché la cosa non costituisce peccato. E' una delle rare volte che la filosofia popolare partenopea si pone agli antipodi della morale cristiana, che consiglia invece di perdonare le offese ricevute e porgere l'altra guancia, la filosofia popolare qui si pone in linea con l'antico brocardo latino: vim, vi repellere licet, ovvero con il più recente toscano: render pan per focaccia. 104 San Cristoforo cu 'o munno 'ncuollo. Letteralmente: san Cristoforo con il mondo addosso. Nella locuzione c'è la commistione della figura di san Cristoforo, che nell'iconografia ufficiale è rappresentato nell' atto di portare sulle spalle il Redentore bambino, e quella di ATLANTE raffigurato con sulle spalle il globo terrestre. Il popolo nella sua locuzione ha unito le due figure ed ha riferito a CRISTOFORO l'incombenza di sorreggere il mondo. La locuzione viene riferita per bollare di inettitudine fisica e morale tutti coloro che, chiamati ad un risibile lavoro comportante un piccolissimo impegno fisico e/o morale, fanno invece le viste di sopportare grandi e gravi fatiche, lamentandosi a sproposito di ciò che si sta facendo, magari bofonchiando, sbuffando, quasi si portasse veramente il mondo sulle spalle. 105 Azzupparse 'o ppane. Letteralmente: inzuppare il pane. Id est: provare gusto e compiacimento alle disavventure altrui di qualsiasi natura siano, commentandole con irritanti sottolineature, per modo che chi è in situazioni di disagio, avverta maggiormente quel disagio e se ne dolga invece di esser sollevato. A Napoli se ad azzupparse 'o ppane è una donna, costei viene definita femmena 'e niente, se lo fa un uomo, è definito senza mezzi termini: ommo 'e mmerda. Essere 'o zi' nisciuno. Letteralmente: essere il signor nessuno. Id est: essere del tutto sconosciuto, non valere niente, non contare un accidenti nella scala sociale, insomma un vero e proprio signor nessuno. Si noti che in napoletano zi' non è l'apocope di zio, come spesso i male informati intendono, ma l'apocope di signor Prumettere 'e certo, e venì meno 'e sicuro. Letteralmente: promettere con certezza e con medesima certezza disattendere al promesso. Lo si dice di chi fa le viste di promettere mari e monti e poi in pratica non tiene fede a nulla di quanto promesso. Tipico comportamento dei politici in campagna elettorale e dei ragazzi in prossimità delle festività. Pigliarse 'nu passaggio. Letteralmente: prendersi un passaggio. Id est: protendere furtivamente le mani fino a sfiorare con le dita procaci e prominenti rotondità femminili, magari soffermandosi a palpeggiare le suddette rotondità. Avasciame 'o "ddonne" e aizame 'a mesata. Letteralmente: Diminuiscimi il "don" ed elevami la mercede. Id est: badiamo più alla sostanza che alla forma. Così si esprime chi si veda malamente retribuito per le sue opere e in luogo di sonante danaro venga invece riempito di vuoti salamelecchi. Chi te sape, t'arape. Chi ti conosce, ti può rapinare. Se subisci un furto i primi di cui sospettare son quelli che ti frequentano, giacché son loro che conoscono le tue abitudini e ciò che possiedi. Trova cchiù ampressa 'a femmena 'na scusa, ca 'o sorice 'o purtuso. Letteralmente: Trova più presto una donna una scusa, che un topo un buco (in cui infilarsi). Id est: la donna è grandemente menzognera per cui facilmente trova da scusarsi delle sue malefatte e lo fa in maniera così rapida da battere in velocità persino un topo che - si sa -è rapidissimo. Meglio scommunicato, ca communicato 'e pressa. Letteralmente: meglio scomunicato che comunicato di fretta.Id est: il danno morale è da preferirsi al danno fisico, soprattutto quando questo sia il danno ultimo:la morte; communicato 'e pressa significa: ricevere il Viatico. Doppo magnato e vìppeto" a' salute vosta". Letteralmente: Dopo d'aver mangiato e bevuto:"alla vostra salute". L'espressione in epigrafe si usa a Napoli, per commentare sarcasticamente il comportamento di chi approfitta di una situazione proficua e posticipa gli atteggiamenti augurali, dopo di aver goduto di benefici per i quali la buona norma vorrebbe che gli auguri venissero fatti antecedentemente prima cioè di godere dei frutti di azioni comuni; a mo' d'es.: un brindisi va fatto prima, non dopo una bevuta corale. Metterse 'e casa e puteca. Letteralmente: porsi di casa e bottega. Id est:accingersi ad un lavoro con massima attenzione ed attaccamento puntiglioso come chi dura la propria vita in quella che sia contemporaneamente casa e sede del proprio operare cui potersi dedicare senza soluzione di continuità e senza perdite di tempo che invece ci sarebbero qualora ci si dovesse spostare dalla bottega alla casaviceversa. Fà 'o scrupolo d''o ricuttaro. Letteralmente: fare lo scrupolo del magnaccia. Id est: scandalizzarsi grandemente al cospetto di altrui veniali mancanze, alla stregua di un lenone abituato a compiere gravi mancanze che si scandalizzasse di piccoli reati compiuti da altre persone.La locuzione è usata a Napoli appunto per bollare il comportamento chiaramente falso di chi abitualmente incline a delinquere mostra di scandalizzarsi davanti a piccole mancanze... Purtà p''e viche. Letteralmente: menare per i vicoli. Id est: comportarsi truffaldinamente nei confronti di qualcuno, imbrogliandolo, confondendolo, rimandando sine die il compimento di promesse formulategli, conducendolo per tortuosi e dispersivi vicoli in luogo della retta e più breve via maestra. L'espressione è normalmente intesa in senso figurato, ma potrebbe esserlo anche in senso concreto nel deprecato caso del furbo tassista che,invece di andare diritto alla meta, porti il povero passeggero in giro per la città prima di depositarlo a destinazione. 'A raggione s''a pigliano 'e fesse. Letteralmente: la ragione se la prendono gli sciocchi. La locuzione con aria risentita viene profferita da chi si vede tacitato con vuote chiacchiere, in luogo delle attese concrete opere. Se so' stutate 'e llampiuncelle. Letteralmente: si sono spente le luminarie. Id est: siamo alla fine, non c'è più rimedio, non c'è più tempo per porre rimedio ad alcunché, la festa è finita. Truòvate chiuso e piérdete chisto accunto. Letteralmente: Trovati chiuso e perditi questo cliente.La divertita locuzione viene usata in senso ironico a commento della situazione antipatica in cui qualcuno abbia a che fare con persona pronta ad infastidire o a richiedere i maggior vantaggi da un quid senza voler conferire il giusto corrispettivo, come nel caso ad es. di un cliente che pretenda di accaparrarsi la miglior merce, ma sia restio a pagare il giusto prezzo dovuto.L'accunto deriva dal latino: accognitus=cliente Fà tre fiche nove rotele. Letteralmente: fare con tre fichi nove rotoli. Con l'espressione in epigrafe, a Napoli si è soliti bollare i comportamenti o - meglio - il vaniloquio di chi esagera con le parole e si ammanta di meriti che non possiede, né può possedere. Per intendere appieno la valenza della locuzione occorre sapere che il rotolo era una unità di peso del Regno delle Due Sicilie e corrispondeva in Sicilia a gr.790 mentre a Napoli e suo circondario,ad 890 grammi per cui nove rotole corrispondevano a Napoli a circa 8 kg. ed è impossibile che tre fichi (frutto, non albero) possano arrivare a pesare 8 kg. Per curiosità storica rammentiamo che il rotolo, come unità di peso, è in uso ancora oggi a Malta che, prima di divenire colonia inglese, apparteneva al Regno delle Due Sicilie. Ancora ricordiamo che il rotolo deriva la sua origine dalla misura araba RATE,trasformazione a sua volta della parola greca LITRA, che originariamente indicava sia una misura monetaria che di peso; la LITRA divenne poi in epoca romana LIBRA (libbra)che vive ancora in Inghilterra col nome di pound che indica sia la moneta che un peso e come tale corrisponde a circa 453,6 grammi, pressappoco la metà dell'antico rotolo napoletano. 'A disgrazzia d''o 'mbrello è quanno chiove fino fino. Letteralmente: la malasorte dell'ombrello è quando pioviggina lentamente. Va da sè che l'ombrello corre i maggiori rischi di rompersi allorché debba essere aperto e chiuso continuamente, non quando debba sopportare un unico, sia pure violento, scroscio temporalesco; così l'uomo(che nel proverbio è adombrato sotto il termine di 'mbrello) soffre di più nel sopportare continuate piccole prove che non un solo , anche se pesante danno. Avimmo fatto: cupinte, cupinte: 'e cavére 'a fora e 'e fridde 'a dinto. Letteralmente: abbiamo fatto cùpidi, cùpidi: i caldi (son restati) di fuori ed i freddi(sono entrati) dentro. Icastica espressione napoletana che fotografa una realtà nella quale stravolgendo la logica e l'attesa, si dà via libera a chi non è all'altezza della situazione e si lascia a bocca asciutta chi meriterebbe la priorità nel godimento di un quid (che - nella fattispecie - sono i favori di una donna). 'A pecora s'à dda tusà, nun s'à dda scurtecà Letteralmente: la pecora va tosata, ma non scorticata. Id est: est modus in rebus: non bisogna mai esagerare; nel caso : è giusto che una pecora venga tosata, non è corretto però scarnificarla; come è giusto pagare i tributi, ma questi non devono essere esosi. - Zi' pre' 'o cappiello va stuorto... - Accussì ha dda jì! - Signor prete, il cappello va storto - Così deve andare. Simpatico duettare tra un gruppetto di monelli che - pensando di porre in ridicolo un prete - gli significavano che egli aveva indossato il suo cappello di sgimbescio, e si sentirono rispondere che quella era l'esatta maniera di portare il suddetto copricapo. La locuzione viene usata quando si voglia fare intendere che non si accettano consigli non richiesti soprattutto quando chi dovrebbe riceverli ha - per sua autorità - sufficiente autonomia di giudizio. Dicette Nunziata: Ce ponno cchiù ll'uocchie ca 'e scuppettate! Letteralmente: Disse Nunziata: Hanno più potenza gli occhi (il malocchio) che le schioppettate.Il napoletano teme più il danno che gli possa derivare dagli sguardi malevoli di taluno, che il danno che possono arrecargli colpi di fucile: dalle ferite da arma da fuoco si può guarire, più difficile sfuggire alla jettatura. A' nnotte se 'nzuraje Catiello. Letteralmente: Catello (inguaribile scapolo) prese moglie di notte. La locuzione fotografa una situazione che in italiano è resa con: MEGLIO TARDI CHE MAI, il Catello, infatti procrastinò tanto il suo matrimonio che quando fu celebrato era oramai notte. Nella locuzione partenopea si tenga presente la geminazione iniziale della lettera N nella parola notte che lascia capire che la A iniziale non è l'articolo femminile ('A) ma una preposizione che introduce un concetto temporale reso con la doppia N di notte; se la A fosse stato un articolo la successiva parola notte sarebbe stata scritta in maniera scempia con una sola N. 'E maccarune se magnano teniénte, teniénte. Letteralmente: i maccheroni vanno mangiati molto al dente. La locuzione a Napoli oltre a compendiare un consiglio gastronomico ineludibile, viene usata anche per significare che gli affari devono esser conclusi sollecitamente, senza por troppe remore in mezzo. Quanno siente 'o llatino da 'e fesse, è signo 'e mal' annata. Letteralmente: quando senti che gli sciocchi parlano latino, è segno di un cattivo periodo.Id est: l'ostentazione di cultura da parte degli stupidi ed ignoranti, prelude a tempi brutti, per cui son da temere gli sciocchi che si paludano da sapienti... Pare 'o sorice 'nfuso 'a ll'uoglio. Letteralmente: sembra un topolino bagnato da l'olio. La locuzione viene usata a Napoli nei confronti di taluni bellimbusti che vanno in giro tirati a lucido ed impomatati che in napoletantano suona: alliffati (dal greco aleiphar=olio); tali soggetti vengon paragonati ad un topolino che per ventura sia cascato nell'orcio dell'olio e ne sia riemerso completamente unto e luccicante. 'A carne se jetta e 'e cane s'arraggiano. Letteralmente: la carne si butta ed i cani s'arrabbiano. Id est: c'è abbondanza di carne, ma mancanza di danaro per acquistarla e ciò determina profonda rabbia in chi, non avendo pecunia, non può approfittare dell'abbondanza delle merci. Per traslato, il proverbio è usato in tutte le situazioni in cui una qualsiasi forma di indigenza è ostativa al raggiungimento di un fine che parrebbe invece a portata di mano; ciò vale anche nei rapporti tra i due sessi: per es. allorchè la donna si offra apertamente e l'uomo non abbia il coraggio di cogliere l'occasione; un terzo - spettatore, magari concupiscente, commenta la situazione con le parole in epigrafe. 'A vecchia a 'e trenta 'austo, mettette 'o trapanaturo a 'o ffuoco. Letteralmente: la vecchia ai trenta d'agosto (per riscaldarsi) mise nel fuoco l'aspo. Il proverbio viene usato a mo' di avvertenza, soprattutto nei confronti dei giovani o di chi si atteggi a giovane, che si lasciano cogliere impreparati alle prime avvisaglie dei freddi autunnali che già si avvertano sul finire del mese di agosto, freddi che - come dice l'esperienza - possono essere perniciosi al punto da indurre i più esperti (la vecchia) ad usare come combustibile persino un utile oggetto come un aspo, l'arnese usato per ammatassare la lana filata. Per estensione, il proverbio si usa con lo stesso fine di ammonimento, nei confronti di chiunque si lasci cogliere impreparato non temendo un possibile inatteso rivolgimento di fortuna - quale è il freddo in un mese ritenuto caldo. Jì zumpanno asteche e lavatore. Letteralmente: andar saltando per terrazzi e lavatoi. Id est: darsi al buon tempo, trascorrendo la giornata senza far nulla di costruttivo, ma solo bighellonando in ogni direzione: a dritta e a manca, in alto (asteche=lastrici solai,terrazzi) ed in basso (i lavatoi erano olim ubicati in basso - per favorire lo scorrere delle acque - presso sorgenti di acque o approntate fontane, mentre l'asteche, ubicati alla sommità delle case,erano i luoghi deputati ad accogliere i panni lavati per poterli acconciamente sciorinare al sole ed al vento, per farli asciugare. Pare ca mo te veco vestuto 'a urzo. Letteralmente: Sembra che ora ti vedrò vestito da orso. Locuzione da intendersi in senso ironico e perciò antifrastico. Id est: Mai ti potrò vedere vestito della pelle dell'orso, giacché tu non hai nè la forza, nè la capacità fisica e/o morale di ammazzare un orso e vestirti della sua pelle. La frase viene usata a commento delle azioni iniziate da chi sia ritenuto inetto al punto da non poter portare al termine ciò che intraprende. 'O cucchiere 'e piazza: te piglia cu 'o 'ccellenza e te lassa cu 'o chi t'è mmuorto. Letteralmente: il vetturino da nolo: ti accoglie con l'eccellenza e ti congeda bestemmiandoti i morti.Il motto compendia una situazione nella quale chi vuole ottenere qualcosa, in principio si profonde in ossequi e salamelecchi esagerati ed alla fine sfoga il proprio livore represso, come i vetturini di nolo adusi a mille querimonie per attirare i clienti, ma poi - a fine corsa - pronti a riversare sul medesimo cliente immani contumelie, in ispecie allorché il cliente nello smontare dalla carrozza questioni sul prezzo della corsa, o - peggio ancora - non lasci al vetturino una congrua mancia. Jì cascia e turnà bauglio oppure Jì stocco e turnà baccalà. Letteralmente: andar cassa e tornare baùle oppure andare stoccafisso e tornare baccalà. Id est: non trarre profitto alcuno o dallo studio intrapreso o dall'apprendimento di un mestiere, come chi inizi l'apprendimento essendo una cassa e lo termini da baùle ossia non muti la sua intima essenza di vacuo contenitore, o - per fare altro esempio - come chi inizi uno studio essendo dello stoccafisso e lo termini diventando baccalà, diverso in forma, ma sostanzialmente restando un immutato merluzzo. Con il proverbio in epigrafe, a Napoli, si è soliti commentare le maldestre applicazioni di chi non trae profitto da ciò che tenta di fare, perchè vi si applica maldestramente o con cattiva volontà. Tu muscio-muscio siente e frusta llà, no! Letteralmente: Tu senti il richiamo(l'invito)e l'allontanamento no. Il proverbio si riferisce a quelle persone che dalla vita si attendono solo fatti o gesti favorevoli e fanno le viste di rifiutare quelli sfavorevoli comportandosi come gatti che accorrono al richiamo per ricevere il cibo, ma scacciati, non vogliono allontanarsi; comportamento tipicamente fanciullesco che rifiuta di accettare il fatto che la vita è una continua alternanza di dolce ed amaro e tutto deve essere accettato, il termine frusta llà discende dal greco froutha-froutha col medesimo significato di :allontanati, sparisci. 'E denare so' comm'a 'e chiattille: s'attaccano a 'e cugliune. Letteralmente: i soldi son come le piattole: si attaccano ai testicoli. Nel crudo, ma espressivo adagio partenopeo il termine cugliune viene usato per intendere propriamente i testicoli, e per traslato, gli sciocchi e sprovveduti cioé quelli che annettono così tanta importanza al danaro da legarvisi saldamente. He 'a murì rusecato da 'e zzoccole e 'o primmo muorzo te ll'à da dà mammèta Che possa morire rosicchiato dai grossi topi di fogna ed il primo morso lo devi avere da tua madre. Icastica maledizione partenopea giocata sulla doppia valenza del termine zoccola che, a Napoli, identifica sia il topo di fogna che la donna di malaffare Ma te fosse jiuto 'o lliccese 'ncapo? Letteralmente: ma ti fosse andato il leccese in testa? Id est: fossi impazzito? Avessi perso l'uso della ragione? Icastica espressione che, a Napoli, viene usata nei confronti di chi, senza motivo, si comporti irrazionalmente. Il leccese dell'espressione non è - chiaramente - un abitante di Lecce, ma un tipo di famoso tabacco da fiuto, prodotto, temporibus illis, nei pressi del capoluogo pugliese; l'espressione paventa il fatto che il tabacco fiutato possa- non si sa bene come - aver raggiunto, attraverso le coani nasali il cervello e leso così le facoltà raziocinanti del... fiutatore. Fà 'e scarpe a quacched'uno. Letteralmente: Fare le scarpe a qualcuno. Id est: conciar male, ridurre a cattivo partito qualcuno fino al punto di approntargli la morte. L'espressione deriva dall'usanza che si teneva a Napoli, di far calzare ai morti di un certo rango - per l'ultimo viaggio - delle scarpe nuove, conservate all'uopo dai familiari. Cu chestu lignamme se fanno 'e strommole. Letteralmente: con questo legno si fanno le trottoline. Id est: Non attendetevi risultati migliori, perché con questo materiale che ci conferite non possiamo che fornirvi cose senza importanza e non altro! In una seconda valenza la locuzione sta a significare: badate che ciò che ci avete richiesto si fa con questo (scadente) materiale, non con altro più pregiato... Cu 'nu NO te spicce e cu 'nu Sì te 'mpicce! Letteralmente: con un NO ti liberi e con un Sì resti impicciato. Id est: il rifiuto o il diniego comportano vantaggi, mentre l'accondiscendere reca seco grossi problemi; il rispondere di no ad una richiesta comporta in effetti disagio solo al momento del diniego, ma il risponder di sì comporta innumerovoli e continuati disagi per tutto il tempo necessario a dar corso a quanto promesso. Addò nun ce stanno campane, nun ce stanno puttane. Letteralmente: dove non ci sono campane, non ci sono prostitute. Va da sè che il proverbio non deve essere inteso in senso strettamente letterale, giacché - per fare un esempio - nelle terre islamiche non vi sono campane, ma ciò non significa che non vi siano prostitute. Le campane della locuzione devono essere intese come segno di un'avvenuta conurbazione di un luogo, volendo affermar che le prostitute è più facile trovarle là dove vi siano possibili clienti piuttosto che in luoghi disabitati dove più rari possono essere i fruitori dell'opere delle prostitute. Dicette vavone: Levamme 'a 'ccasiona... Letteralmente: disse il trisavolo: Lasciamo stare... Id est: Occorre lasciar correre e non accapigliarsi ad ogni pie' sospinto, togliendo - anzi - l'occasione, ossia lasciando cadere i motivi prossimi che ci spingerebbero al contrasto; è l'invito alla pace anche rimettendoci. 'O rancio 'e dint' a 'e scoglie: ddoje vocche e 'a cascia 'e mmerda. A Napoli di una persona insignificante, buona solo a sparlare si dice che è simile al granchio degli scogli che è tutto chele(erroneamente dette bocche) e carapace. Chi 'a fa sporca, è priore. Letteralmente: chi si comporta male, diventa priore. Amaro principio che però parte dalla disincantata osservazione della realtà nella quale per assurgere ai posti di preminenza occorre comportarsi male se non peggio. Pìgliate 'a bbona, quanno te vène, pecché 'a trista nun manca maje. Letteralmente: Cogli la buona (occasione) quando ti si presenta, perché i momenti cattivi non mancano mai... E' il medesimo concetto del carpe diem oraziano con l'aggiunta di una pessimistica motivazione. Fà 'a spina 'e pesce. Letteralmente: far la spina di pesce. Id est: non portare a compimento un'operazione qualsivoglia, tentando di rimandarne il compimento e la conclusione sine die, tentando in questo modo di riceverne il maggior beneficio possibile, beneficio che verrebbe meno qualora si portasse a compimento l'operazione principiata. La locuzione che vien riferita a chiunque truffaldinamente cerchi di guadagnare attardandosi nel portare a buon fine ciò che ha principiato nacque a ricordo di ciò che avvenne ad un povero pescatore che, lavorando, si ferì ad una mano nella quale s'era conficcata una spina di pesce. Per esser medicato, il pescatore si recò presso la casa di un medico al quale portò in omaggio una spasella (cestello) di pesce fresco. Il medico, operò una sommaria medicazione e congedò il pescatore invitandolo a ritornare dopo un paio di giorni. Il pescatore ritornò dopo alcuni giorni recando altro pesce freschissimo e la scena continuò a ripetersi parecchie volte fino a che un giorno il pescatore non trovò in casa il medico, ma un figliolo di costui che esercitava la medesima professione paterna. Ebbene, il giovane medico resosi conto che la mano non sarebbe guarita fino a che la spina fosse rimasta infissa nella ferita riuscì ad estrarla dalla mano, che medicata fu avviata a guarigione. Tornato a casa il vecchio medico, il giovane figlio, pensando di essere complimentato, gli comunicò che aveva liberato il pescatore della sua maledetta spina. Al che il disonesto genitore lo redarguì violentemente dicendogli: Stupido, comportandoti come ti sei comportato hai perduto il beneficio di ricevere ancora gratuitamente del buonissimo pesce fresco! Se fruscia Pintauro d''e sfugliatelle jute acito. Letteralmente: si pavoneggia Pintauro di sfogliatelle inacidite. Id est: gloriarsi a sproposito di situazioni che più che dimostrare la propria valentia, mettono in mostra risultati scadenti delle proprie azioni. Pintauro è un antichissimo pasticciere napoletano famoso produttore di sfogliatelle, dolce tipico partenopeo inventato a Napoli dalle monache del convento della Croce di Lucca e diffuso poi in tutto il mondo. Dà zizza 'e vacca pe tarantiello. Letteralmente: dar mammella di mucca per tarantello. La locuzione ha una doppia valenza a seconda del significato che si dà al termine tarantello. In una prima accezione tarantello è un pezzo di carne dato come aggiunta vicino a della carne più pregiata, al fine di sistemarne il giusto peso. Usandola con tale accezione, figuratamente, la locuzione significa che colui contro cui è rivolta, non si è impegnato molto nel dare il giusto dovuto, ma ha rabberciato la prestazione portandola a compimento con l'uso di materiali di scarto. Nel caso che con la voce tarantello si voglia indicare la pregiata pancetta di tonno, figuratamente vuol significare che colui contro cui la locuzione è diretta, si è comportato da gran mistificatore ed imbroglione come chi abbia conferito vilissima mammella di mucca in luogo della dovuta, costosa pancetta di tonno. Mantenimmoce pulite, ca ce stanno 'e ccarte janche! Letteralmente: manteniamoci netti perché son presenti le carte bianche! Id est: Non affrontiamo argomenti scabrosi; teniamo a mente che ci sono dei bambini che ci ascoltano ed in loro presenza è sconveniente toccare argomenti che potrebbero provocare domande a cui sarebbe difficile rispondere. Facimmo ammuina! Letteralmente: facciamo confusione. E' l'invito a creare il disordine nel quale si possa mestare al fine di conseguire dei vantaggi. La locuzione in epigrafe, dai soliti disinformati e bugiardi storici postunitari si ritiene essere addirittura il titolo di un articolo di un preteso regolamento della marina borbonica del 1841, articolo nel quale si sarebbero indicati i vari modi di fare ammuina; si tratta chiaramente di una voluta sciocchezza tesa a denigrare l'organizzazione e la valentia della marineria di Francesco II Borbone... Tené 'a neve dint' a' sacca. Letteralmente: tenere la neve in tasca. Id est: avere o mostrar d'avere grandissima fretta quale quella che dovrebbe portare chi trasportasse neve tenendola in tasca e volesse evitare di perderla; cosa - peraltro - impossibile giacché basta il calore del corpo per portare alla liquefazione della neve trasportata tenendola in una tasca dei vestiti. A lietto astritto, cùccate 'mmiezo. Letteralmente: in un letto stretto, coricati in mezzo. Il consiglio della locuzione non è quello di sapersi adattare alle situazioni, quanto quello di ricercare in ogni occasione la soluzione migliore; in un letto stretto, perché piccolo o perché già occupato da altri, è consigliabile coricarsi al centro, il posto più sicuro, che può preservare da rovinose cadute laterali. 'O scarparo e 'o bancariello: nun se sape chi ha fatto 'o pireto Letteralmente: il calzolaio e il deschetto: non si sa chi ha fatto il peto.Icastica espressione che viene usata allorché in una situazione che non presti il fianco a difficili interpretazioni, ci si trovi davanti a qualcuno che non voglia riconoscere la propria responsabilità e mesti nel torbido per scaricare su altri la medesima, anche su chi - per legge di natura - è chiaramente impossibilitato a compiere ciò di cui si intende accusarlo come nel caso dell'espressione in epigrafe un deschetto che manca dello strumento necessario a produrre peti, per cui sarebbe sciocco addebitarli a lui in luogo del calzolaio. Essere ditto tòrtano e senza 'nzogna. Letteralmente: esser chiamato tortano, ma esser sprovvisto di sugna.Colui che viene indicato responsabile di qualcosa di cui - comprovatamente - non sia stato autore suole ribellarsi con la locuzione in epigrafe affermando cioè che non lo si può chiamare tortano, dal momento che egli è privo di strutto, ossia non ha commesso ciò che gli viene addebitato.Per intendere a pieno il significato della frase bisogna sapere che il tòrtano è una grossa ciambella rustica tipica del periodo pasquale, ricca di uova, salumi, provolone e formaggi, ma soprattutto di strutto che se manca non permette alla preparazione culinaria di esser detta: tortano, alla stessa stregua, non si può dare del ladro ad uno se non si ha la prova provata del suo ladrocinio. Ll'acqua 'nfraceta 'e bastimiente a mmare. Letteralmente: l'acqua rende fradice le navi in mare. Così gli accaniti bevitori di vino sogliono respingere un bicchiere d'acqua che venga loro offerto, volendo significare che mutare le abitudini buone può essere pernicioso, se non deleterio. Aizammo 'stu cummò! Letteralmente: solleviamo questo canterano! Id est: sobbarchiamoci questa fatica. A Napoli questa esclamazione viene pronunciata mo' di incitamento quando ci si trovi a principiare un'operazione materiale o meno, che si presuma faticosa e perciò scarsamente accetta quale quella di sollevare un pesante canterano in noce massello resi più ponderoso da un ripiano superiore in marmo cipollino. Figuratamente poi a Napoli quando qualcuno impalma una donna tutt'altro che avvenente e, magari, molto anziana, si suole commentare con un sarcastico: s'è aizato 'stu cummò (ha alzato questo mobile pesante!) E' gghiuto 'o ccaso 'ncopp' a 'e maccarune. Letteralmente: è finito il formaggio sui maccheroni. Id est: la faccenda ha avuto la sua logica e sperata conclusione, allo stesso modo come una spolverata di formaggio conclude nel miglior dei modi la presentazione di un fumante piatto di maccheroni. E' da rammentarsi che un tempo, a Napoli, quando i maccheroni venivano ammanniti per istrada a frettolosi avventori da appositi rivenditori detti "maccheronari" un piatto di maccheroni in bianco servito solo con l'aggiunta di formaggio e un po' di pepe si vendeva per due soldi ed era appunto detto 'o doje allattante cioè il due al latte, mentre i maccheroni al sugo di pomodoro costavano tre soldi ed erano detti 'o tre garibbalde con riferimento al rosso della camicia del masnadiero nizzardo. Va truvanno chi ll'accide. Letteralmente: va in cerca di chi lo ammazzi. Lo si dice di chi, sciocco e masochista provochi il prossimo, lo stizzisca al punto da provocarne gli istinti omicidi nei propri confronti. Essere brutto cu 'o tè cu 'o nè, 'o piripisso e 'o naianà. Locuzione praticamente intraducibile che racchiude nei suoi quattro termini la quintessenza della bruttezza per modo che colui contro cui viene usata sarà indicato come l'essere più brutto in circolazione. Tentare di individuare il significato dei quattro non-sense della locuzione è cosa impossibile. Buono p'aparà 'o mastrillo. Letteralmente: buono per armare la trappolina.Il mastrillo è la piccola trappola per topi nella quale a mo' di esca si pone un piccolissimo pezzetto di formaggio; così che quando di si dice di una razione alimentareche è buona per armare la trappola, si vuol significare che la razione è veramente parva res, esigua e non adatta a soddisfare neppure un normale appetito. Jì ascianno guaie cu 'o lanternino. Letteralmente: andare alla ricerca di guai con la lanterna. Id est: cacciarsi nei guai quasi con voluttà al punto di andarne alla ricerca con una metaforica lanterna che illumini i luoghi dove i guai stanno nascosti. Il termine asciare significa cercare qualcosa con insistenza quasi fiutandola e viene dal latino adflare: annusare con consueta trasformazione di FL in SCI come per FLOS che in napoletano diventa SCIORE. Si' ghiuto a sentere'a messa d''e disperate? Letteralmente: Sei stato ad assistere alla messa dei disperati? Questa sarcastica domanda viene rivolta a chi si presenti tardi ad un appuntamento perché trattenuto da altra incombenza cominciata tardi e protrattasi quale quella messa che temporibus illis, quando non esistevano ancora le messe vespertine veniva celebrata a Napoli presso la Chiesa della Pietà dei Turchini in via Medina, messa che principiava tardissimo, alle ore 14.30, e che era frequentata dai più incalliti tiratardi che spesso per assistere alla funzione mancavano l'appuntamento delle 15.00, orario canonico nel quale in tutte le cucine napoletane risuonava il fatidico "Menate!" e cioè "calate la pasta " del pranzo domenicale. Sabbato è arrivato, stammo a' fine d'''a semmana: allonga 'o punto e allarga 'a mana. Letteralmente: sabato è giunto, siamo alla fine della settimana, allunga il punto e allarga la mano. La locuzione è pronunciata a mo' di disonesto consiglio allorché ci si trovi davanti alla scadenza di un termine che colga impreparati; allora - prendendo spunto dal disonesto consiglio dato da un sarto ai propri lavoranti,- si esorta a rabberciare il lavoro per portarlo a conclusione nei termini, anche se non nei modi previsti. 'Mpigna, meze sòle e tacche. Letteralmente:tomaia, mezze suole e tacchi. La frase viene usata quando si voglia significare di trovarsi davanti ad una situazione così disastrata che occorra procedere ad una bonifica di parecchi dei suoi componenti come dinanzi ad una scarpa particolarmente rovinata occorrerà procedere alla sostituzione della tomaia, suole e tacchi, di talché converrebbe lo acquisto di un nuovo paio di scarpe piuttosto che portare a compimento una riparazione. 'A fatica d''e fracete se venne a caro prezzo. Letteralmente: il lavoro degli svogliati, si vende caro. Id est: chi ha scarsa voglia di lavorare richiede compensi altissimi per modo da spaventare e distogliere il committente dalla sua richiesta d'opera. Dalle a dalle 'o cucuzziello addeventa tallo. Letteralmente: dagli e dagli la zucchina diventa tallo.Id est: ad insistere sempre sulla medesima questione si finisce male come a cogliere zucchini continuamente non restano che le foglie. Il tallo è la foglia commestibile delle cucurbitacee, ma pure essendo edibile è sempre meno pregiata e saporita dello zucchino che già di suo non è molto saporito. Jì zumpanno asteche e lavatore. Letteralmente: andar saltando per terrazzi e lavatoi. Id est: darsi al buon tempo, trascorrendo la giornata senza far nulla di costruttivo, ma solo bighellonando in ogni direzione: a dritta e a manca, in alto (asteche=lastrici solai,terrazzi) ed in basso (i lavatoi erano olim ubicati in basso - per favorire lo scorrere delle acque - presso sorgenti di acque o approntate fontane, mentre l'asteche, ubicati alla sommità delle case,erano i luoghi deputati ad accogliere i panni lavati per poterli acconciamente sciorinare al sole ed al vento, per farli asciugare. Pare ca mo te veco vestuto 'a urzo. Letteralmente: Sembra che ora ti vedrò vestito da orso. Locuzione da intendersi in senso ironico e perciò antifrastico. Id est: Mai ti potrò vedere vestito della pelle dell'orso, giacché tu non hai nè la forza, nè la capacità fisica e/o morale di ammazzare un orso e vestirti della sua pelle. La frase viene usata a commento delle azioni iniziate da chi sia ritenuto inetto al punto da non poter portare al termine ciò che intraprende. 'O cucchiere 'e piazza: te piglia cu 'o 'ccellenza e te lassa cu 'o chi t'è mmuorto. Letteralmente: il vetturino da nolo: ti accoglie con l'eccellenza e ti congeda bestemmiandoti i morti.Il motto compendia una situazione nella quale chi vuole ottenere qualcosa, in principio si profonde in ossequi e salamelecchi esagerati ed alla fine sfoga il proprio livore represso, come i vetturini di nolo adusi a mille querimonie per attirare i clienti, ma poi - a fine corsa - pronti a riversare sul medesimo cliente immani contumelie, in ispecie allorché il cliente nello smontare dalla carrozza questioni sul prezzo della corsa, o - peggio ancora - non lasci al vetturino una congrua mancia. Jì cascia e turnà bauglio oppure Jì stocco e turnà baccalà. Letteralmente: andar cassa e tornare baùle oppure andare stoccafisso e tornare baccalà. Id est: non trarre profitto alcuno o dallo studio intrapreso o dall'apprendimento di un mestiere, come chi inizi l'apprendimento essendo una cassa e lo termini da baùle ossia non muti la sua intima essenza di vacuo contenitore, o - per fare altro esempio - come chi inizi uno studio essendo dello stoccafisso e lo termini diventando baccalà, diverso in forma, ma sostanzialmente restando un immutato merluzzo. Con il proverbio in epigrafe, a Napoli, si è soliti commentare le maldestre applicazioni di chi non trae profitto da ciò che tenta di fare, perchè vi si applica maldestramente o con cattiva volontà. Tu muscio-muscio siente e frusta llà, no! Letteralmente: Tu senti il richiamo(l'invito)e l'allontanamento no. Il proverbio si riferisce a quelle persone che dalla vita si attendono solo fatti o gesti favorevoli e fanno le viste di rifiutare quelli sfavorevoli comportandosi come gatti che accorrono al richiamo per ricevere il cibo, ma scacciati, non vogliono allontanarsi; comportamento tipicamente fanciullesco che rifiuta di accettare il fatto che la vita è una continua alternanza di dolce ed amaro e tutto deve essere accettato, il termine frusta llà discende dal greco froutha-froutha col medesimo significato di :allontanati, sparisci. 'E denare so' comm'a 'e chiattille: s'attaccano a 'e cugliune. Letteralmente: i soldi son come le piattole: si attaccano ai testicoli. Nel crudo, ma espressivo adagio partenopeo il termine cugliune viene usato per intendere propriamente i testicoli, e per traslato, gli sciocchi e sprovveduti cioé quelli che annettono così tanta importanza al danaro da legarvisi saldamente. He 'a murì rusecato da 'e zzoccole e 'o primmo muorzo te ll'à da dà mammèta Che possa morire rosicchiato dai grossi topi di fogna ed il primo morso lo devi avere da tua madre. Icastica maledizione partenopea giocata sulla doppia valenza del termine zoccola che, a Napoli, identifica sia il topo di fogna che la donna di malaffare Ma te fosse jiuto 'o lliccese 'ncapo? Letteralmente: ma ti fosse andato il leccese in testa? Id est: fossi impazzito? Avessi perso l'uso della ragione? Icastica espressione che, a Napoli, viene usata nei confronti di chi, senza motivo, si comporti irrazionalmente. Il leccese dell'espressione non è - chiaramente - un abitante di Lecce, ma un tipo di famoso tabacco da fiuto, prodotto, temporibus illis, nei pressi del capoluogo pugliese; l'espressione paventa il fatto che il tabacco fiutato possa- non si sa bene come - aver raggiunto, attraverso le coani nasali il cervello e leso così le facoltà raziocinanti del... fiutatore. Fà 'e scarpe a quacched'uno. Letteralmente: Fare le scarpe a qualcuno. Id est: conciar male, ridurre a cattivo partito qualcuno fino al punto di approntargli la morte. L'espressione deriva dall'usanza che si teneva a Napoli, di far calzare ai morti di un certo rango - per l'ultimo viaggio - delle scarpe nuove, conservate all'uopo dai familiari. Cu chestu lignamme se fanno 'e strommole. Letteralmente: con questo legno si fanno le trottoline. Id est: Non attendetevi risultati migliori, perché con questo materiale che ci conferite non possiamo che fornirvi cose senza importanza e non altro! In una seconda valenza la locuzione sta a significare: badate che ciò che ci avete richiesto si fa con questo (scadente) materiale, non con altro più pregiato... 'O pesce vo' tre effe: Frisco Fritto e Futo. Il pesce vuole tre effe: fresco, fritto e futo cioè vuoto ossia ben eviscerato. Il napoletano il pesce lo ama in frittura non bollito, giacché usa dire che il pesce bollito è buono per i malati; ciò vale naturalmente quando il pesce sia di piccola taglia e si possa friggere a dovere, mentre per il pesce grosso o da taglio a Napoli si preferisce cuocerlo sulla griglia o al forno. Cu 'nu NO te spicce e cu 'nu Sì te 'mpicce! Letteralmente: con un NO ti liberi e con un Sì resti impicciato. Id est: il rifiuto o il diniego comportano vantaggi, mentre l'accondiscendere reca seco grossi problemi; il rispondere di no ad una richiesta comporta in effetti disagio solo al momento del diniego, ma il risponder di sì comporta innumerovoli e continuati disagi per tutto il tempo necessario a dar corso a quanto promesso. Addò nun ce stanno campane, nun ce stanno puttane. Letteralmente: dove non ci sono campane, non ci sono prostitute. Va da sè che il proverbio non deve essere inteso in senso strettamente letterale, giacché - per fare un esempio - nelle terre islamiche non vi sono campane, ma ciò non significa che non vi siano prostitute. Le campane della locuzione devono essere intese come segno di un'avvenuta conurbazione di un luogo, volendo affermar che le prostitute è più facile trovarle là dove vi siano possibili clienti piuttosto che in luoghi disabitati dove più rari possono essere i fruitori dell'opere delle prostitute. Dicette vavone: Levamme 'a 'ccasiona... Letteralmente: disse il trisavolo: Lasciamo stare... Id est: Occorre lasciar correre e non accapigliarsi ad ogni pie' sospinto, togliendo - anzi - l'occasione, ossia lasciando cadere i motivi prossimi che ci spingerebbero al contrasto; è l'invito alla pace anche rimettendoci. 'O rancio 'e dint' a 'e scoglie: ddoje vocche e 'a cascia 'e mmerda. A Napoli di una persona insignificante, buona solo a sparlare si dice che è simile al granchio degli scogli che è tutto chele(erroneamente dette bocche) e carapace. Chi 'a fa cchiù sporca, è priore. Letteralmente: chi si comporta male, diventa priore. Amaro principio che però parte dalla disincantata osservazione della realtà nella quale per assurgere ai posti di preminenza occorre comportarsi male se non peggio. Pìgliate 'a bbona, quanno te vène, pecché 'a trista nun manca maje. Letteralmente: Cogli la buona (occasione) quando ti si presenta, perché i momenti cattivi non mancano mai... E' il medesimo concetto del carpe diem oraziano con l'aggiunta di una pessimistica motivazione. Mare a chi à dda avé e viato a chi à dda dà Letteralmente: Meschino chi deve avere e beato chi deve dare. A prima vista parrebbe il contrario, ma l'attenta osservazione della realtà fa concludere che è esatto ciò che afferma il proverbio; in effetti il creditore che si trovi in una posizione di attesa è in una situazione peggiore del debitore che, avendo già ottenuto ciò che ha determinato la sua posizione debitoria, può - magari - rimandare sine die la soluzione del suo debito risultando così privilegiato rispetto al suo creditore che ha già conferito un quid Farne cchiù 'e Petro BIALARDO. FARNE più di PETRO BIALARDO Con l’espressione in epigrafe si vuole bollare il comportamento scorretto di qualcuno che abbia commesso numerose gravi malefatte al punto di esser ritenuto esecutore di scorrette azioni, tali da superare per numero e qualità quelle commesse da un tal Petro Bialardo. Non v’è identità di vedute circa la vera identità del suddetto BIALARDO. Opinione corrente è quella che identifica Petro Bialardo con l’astrologo salernitano Pietro Bailardo, vissuto nel XII secolo ed arso sul rogo nel 1149, accusato di magia. Secondo quando tramandato da un non altrimenti noto poeta Luca Pazienza, si vuole che al momento del trapasso, il Crocefisso della Chiesa prossima al luogo del rogo, abbia compiuto un grande miracolo, ma trattandosi di storie sorte in ambito medioevale, periodo incline alla nascita di leggende è difficile credere che il suddetto mago si sia veramente macchiato di azioni così riprovevoli tali da diventare pietra di paragone per altrui misfatti. Altra tesi ravvisa in Petro BIALARDO nient’altro che la corruzione del nome di PIETRO ABELARDO (1079 – 1142) filosofo e teologo vissuto a Parigi dove insegnò e dove conobbe in casa del teologo FULBERTO che lo ospitava la di lui nipote ELOISA e se ne innamorò pazzamente, diventandone l’assiduo amante e sollevando lo sdegno del Fulberto, che – per vendetta -lo fece evirare. Il comportamento libertino e licenzioso di Abelardo fu ritenuto in epoca medioevale esempio di azioni riprovevoli, di talché non è errato ipotizzare che il Bialardo della epigrafe sia proprio il suddetto ABELARDO. Fà 'a spina 'e pesce. Letteralmente: far la spina di pesce. Id est: non portare a compimento un'operazione qualsivoglia, tentando di rimandarne il compimento e la conclusione sine die, tentando in questo modo di riceverne il maggior beneficio possibile, beneficio che verrebbe meno qualora si portasse a compimento l'operazione principiata. La locuzione che vien riferita a chiunque truffaldinamente cerchi di guadagnare attardandosi nel portare a buon fine ciò che ha principiato nacque a ricordo di ciò che avvenne ad un povero pescatore che, lavorando, si ferì ad una mano nella quale s'era conficcata una spina di pesce. Per esser medicato, il pescatore si recò presso la casa di un medico al quale portò in omaggio una spasella (cestello) di pesce fresco. Il medico, operò una sommaria medicazione e congedò il pescatore invitandolo a ritornare dopo un paio di giorni. Il pescatore ritornò dopo alcuni giorni recando altro pesce freschissimo e la scena continuò a ripetersi parecchie volte fino a che un giorno il pescatore non trovò in casa il medico, ma un figliolo di costui che esercitava la medesima professione paterna. Ebbene, il giovane medico resosi conto che la mano non sarebbe guarita fino a che la spina fosse rimasta infissa nella ferita riuscì ad estrarla dalla mano, che medicata fu avviata a guarigione. Tornato a casa il vecchio medico, il giovane figlio, pensando di essere complimentato, gli comunicò che aveva liberato il pescatore della sua maledetta spina. Al che il disonesto genitore lo redarguì violentemente dicendogli: Stupido, comportandoti come ti sei comportato hai perduto il beneficio di ricevere ancora gratuitamente del buonissimo pesce fresco! Se fruscia Pintauro d''e sfugliatelle jute acito. Letteralmente: si pavoneggia Pintauro di sfogliatelle inacidite. Id est: gloriarsi a sproposito di situazioni che più che dimostrare la propria valentia, mettono in mostra risultati scadenti delle proprie azioni. Pintauro è un antichissimo pasticciere napoletano famoso produttore di sfogliatelle, dolce tipico partenopeo inventato a Napoli dalle monache del convento della Croce di Lucca e diffuso poi in tutto il mondo. Dà zizza 'e vacca pe tarantiello. Letteralmente: dar mammella di mucca per tarantello. La locuzione ha una doppia valenza a seconda del significato che si dà al termine tarantello. In una prima accezione tarantello è un pezzo di carne dato come aggiunta vicino a della carne più pregiata, al fine di sistemarne il giusto peso. Usandola con tale accezione, figuratamente, la locuzione significa che colui contro cui è rivolta, non si è impegnato molto nel dare il giusto dovuto, ma ha rabberciato la prestazione portandola a compimento con l'uso di materiali di scarto. Nel caso che con la voce tarantello si voglia indicare la pregiata pancetta di tonno, figuratamente vuol significare che colui contro cui la locuzione è diretta, si è comportato da gran mistificatore ed imbroglione come chi abbia conferito vilissima mammella di mucca in luogo della dovuta, costosa pancetta di tonno. Mantenimmoce pulite, ca ce stanno 'e ccarte janche! Letteralmente: manteniamoci netti perché son presenti le carte bianche! Id est: Non affrontiamo argomenti scabrosi; teniamo a mente che ci sono dei bambini che ci ascoltano ed in loro presenza è sconveniente toccare argomenti che potrebbero provocare domande a cui sarebbe difficile rispondere. A lietto astritto, cùccate 'mmiezo. Letteralmente: in un letto stretto, coricati in mezzo. Il consiglio della locuzione non è quello di sapersi adattare alle situazioni, quanto quello di ricercare in ogni occasione la soluzione migliore; in un letto stretto, perché piccolo o perché già occupato da altri, è consigliabile coricarsi al centro, il posto più sicuro, che può preservare da rovinose cadute laterali. 'O scarparo e 'o bancariello: nun se sape chi ha fatto 'o pireto Letteralmente: il calzolaio e il deschetto: non si sa chi ha fatto il peto.Icastica espressione che viene usata allorché in una situazione che non presti il fianco a difficili interpretazioni, ci si trovi davanti a qualcuno che non voglia riconoscere la propria responsabilità e mesti nel torbido per scaricare su altri la medesima, anche su chi - per legge di natura - è chiaramente impossibilitato a compiere ciò di cui si intende accusarlo come nel caso dell'espressione in epigrafe un deschetto che manca dello strumento necessario a produrre peti, per cui sarebbe sciocco addebitarli a lui in luogo del calzolaio. Essere ditto tòrtano e senza 'nzogna. Letteralmente: esser chiamato tortano, ma esser sprovvisto di sugna.Colui che viene indicato responsabile di qualcosa di cui - comprovatamente - non sia stato autore suole ribellarsi con la locuzione in epigrafe affermando cioè che non lo si può chiamare tortano, dal momento che egli è privo di strutto, ossia non ha commesso ciò che gli viene addebitato.Per intendere a pieno il significato della frase bisogna sapere che il tòrtano è una grossa ciambella rustica tipica del periodo pasquale, ricca di uova, salumi, provolone e formaggi, ma soprattutto di strutto che se manca non permette alla preparazione culinaria di esser detta: tortano, alla stessa stregua, non si può dare del ladro ad uno se non si ha la prova provata del suo ladrocinio. Ll'acqua 'nfraceta 'e bastimiente a mmare. Letteralmente: l'acqua rende fradice le navi in mare. Così gli accaniti bevitori di vino sogliono respingere un bicchiere d'acqua che venga loro offerto, volendo significare che mutare le abitudini buone può essere pernicioso, se non deleterio. Aizammo 'stu cummò! Letteralmente: solleviamo questo canterano! Id est: sobbarchiamoci questa fatica. A Napoli questa esclamazione viene pronunciata mo' di incitamento quando ci si trovi a principiare un'operazione materiale o meno, che si presuma faticosa e perciò scarsamente accetta quale quella di sollevare un pesante canterano in noce massello resi più ponderoso da un ripiano superiore in marmo cipollino. Figuratamente poi a Napoli quando qualcuno impalma una donna tutt'altro che avvenente e, magari, molto anziana, si suole commentare con un sarcastico: s'è aizato 'stu cummò (ha alzato questo mobile pesante!) E' gghiuto 'o ccaso 'ncopp' a 'e maccarune. Letteralmente: è finito il formaggio sui maccheroni. Id est: la faccenda ha avuto la sua logica e sperata conclusione, allo stesso modo come una spolverata di formaggio conclude nel miglior dei modi la presentazione di un fumante piatto di maccheroni. E' da rammentarsi che un tempo, a Napoli, quando i maccheroni venivano ammanniti per istrada a frettolosi avventori da appositi rivenditori detti "maccheronari" un piatto di maccheroni in bianco servito solo con l'aggiunta di formaggio e un po' di pepe si vendeva per due soldi ed era appunto detto 'o doje allattante cioè il due al latte, mentre i maccheroni al sugo di pomodoro costavano tre soldi ed erano detti 'o tre garibbalde con riferimento al rosso della camicia del masnadiero nizzardo. Va truvanno chi ll'accide. Letteralmente: va in cerca di chi lo ammazzi. Lo si dice di chi, sciocco e masochista provochi il prossimo, lo stizzisca al punto da provocarne gli istinti omicidi nei propri confronti. Essere brutto cu 'o tè cu 'o nè, 'o piripisso e 'o naianà. Locuzione praticamente intraducibile che racchiude nei suoi quattro termini la quintessenza della bruttezza per modo che colui contro cui viene usata sarà indicato come l'essere più brutto in circolazione. Tentare di individuare il significato dei quattro non-sense della locuzione è cosa impossibile. Buono p'aparà 'o mastrillo. Letteralmente: buono per armare la trappolina.Il mastrillo è la piccola trappola per topi nella quale a mo' di esca si pone un piccolissimo pezzetto di formaggio; così che quando di si dice di una razione alimentareche è buona per armare la trappola, si vuol significare che la razione è veramente parva res, esigua e non adatta a soddisfare neppure un normale appetito. Jì ascianno guaie cu 'o lanternino. Letteralmente: andare alla ricerca di guai con la lanterna. Id est: cacciarsi nei guai quasi con voluttà al punto di andarne alla ricerca con una metaforica lanterna che illumini i luoghi dove i guai stanno nascosti. Il termine asciare significa cercare qualcosa con insistenza quasi fiutandola e viene dal latino adflare: annusare con consueta trasformazione di FL in SCI come per FLOS che in napoletano diventa SCIORE. Si' ghiuto a sentere'a messa d''e disperate? Letteralmente: Sei stato ad assistere alla messa dei disperati? Questa sarcastica domanda viene rivolta a chi si presenti tardi ad un appuntamento perché trattenuto da altra incombenza cominciata tardi e protrattasi quale quella messa che temporibus illis, quando non esistevano ancora le messe vespertine veniva celebrata a Napoli presso la Chiesa della Pietà dei Turchini in via Medina, messa che principiava tardissimo, alle ore 14.30, e che era frequentata dai più incalliti tiratardi che spesso per assistere alla funzione mancavano l'appuntamento delle 15.00, orario canonico nel quale in tutte le cucine napoletane risuonava il fatidico "Menate!" e cioè "calate la pasta " del pranzo domenicale. Jì zumpanno asteche e lavatore. Letteralmente: andar saltando per terrazzi e lavatoi. Id est: darsi al buon tempo, trascorrendo la giornata senza far nulla di costruttivo, ma solo bighellonando in ogni direzione: a dritta e a manca, in alto (asteche=lastrici solai,terrazzi) ed in basso (i lavatoi erano olim ubicati in basso - per favorire lo scorrere delle acque - presso sorgenti di acque o approntate fontane, mentre l'asteche, ubicati alla sommità delle case,erano i luoghi deputati ad accogliere i panni lavati per poterli acconciamente sciorinare al sole ed al vento, per farli asciugare. Pare ca mo te veco vestuto 'a urzo. Letteralmente: Sembra che ora ti vedrò vestito da orso. Locuzione da intendersi in senso ironico e perciò antifrastico. Id est: Mai ti potrò vedere vestito della pelle dell'orso, giacché tu non hai nè la forza, nè la capacità fisica e/o morale di ammazzare un orso e vestirti della sua pelle. La frase viene usata a commento delle azioni iniziate da chi sia ritenuto inetto al punto da non poter portare al termine ciò che intraprende. 'O cucchiere 'e piazza: te piglia cu 'o 'ccellenza e te lassa cu 'o chi t'è mmuorto. Letteralmente: il vetturino da nolo: ti accoglie con l'eccellenza e ti congeda bestemmiandoti i morti.Il motto compendia una situazione nella quale chi vuole ottenere qualcosa, in principio si profonde in ossequi e salamelecchi esagerati ed alla fine sfoga il proprio livore represso, come i vetturini di nolo adusi a mille querimonie per attirare i clienti, ma poi - a fine corsa - pronti a riversare sul medesimo cliente immani contumelie, in ispecie allorché il cliente nello smontare dalla carrozza questioni sul prezzo della corsa, o - peggio ancora - non lasci al vetturino una congrua mancia. Jì cascia e turnà bauglio oppure Jì stocco e turnà baccalà. Letteralmente: andar cassa e tornare baùle oppure andare stoccafisso e tornare baccalà. Id est: non trarre profitto alcuno o dallo studio intrapreso o dall'apprendimento di un mestiere, come chi inizi l'apprendimento essendo una cassa e lo termini da baùle ossia non muti la sua intima essenza di vacuo contenitore, o - per fare altro esempio - come chi inizi uno studio essendo dello stoccafisso e lo termini diventando baccalà, diverso in forma, ma sostanzialmente restando un immutato merluzzo. Con il proverbio in epigrafe, a Napoli, si è soliti commentare le maldestre applicazioni di chi non trae profitto da ciò che tenta di fare, perchè vi si applica maldestramente o con cattiva volontà. Tu muscio-muscio siente e frusta llà, no! Letteralmente: Tu senti il richiamo(l'invito)e l'allontanamento no. Il proverbio si riferisce a quelle persone che dalla vita si attendono solo fatti o gesti favorevoli e fanno le viste di rifiutare quelli sfavorevoli comportandosi come gatti che accorrono al richiamo per ricevere il cibo, ma scacciati, non vogliono allontanarsi; comportamento tipicamente fanciullesco che rifiuta di accettare il fatto che la vita è una continua alternanza di dolce ed amaro e tutto deve essere accettato, il termine frusta llà discende dal greco froutha-froutha col medesimo significato di :allontanati, sparisci. 'E denare so' comm'a 'e chiattille: s'attaccano a 'e cugliune. Letteralmente: i soldi son come le piattole: si attaccano ai testicoli. Nel crudo, ma espressivo adagio partenopeo il termine cugliune viene usato per intendere propriamente i testicoli, e per traslato, gli sciocchi e sprovveduti cioé quelli che annettono così tanta importanza al danaro da legarvisi saldamente. He 'a murì rusecato da 'e zzoccole e 'o primmo muorzo te ll'à da dà mammèta Che possa morire rosicchiato dai grossi topi di fogna ed il primo morso lo devi avere da tua madre. Icastica maledizione partenopea giocata sulla doppia valenza del termine zoccola che, a Napoli, identifica sia il topo di fogna che la donna di malaffare Ma te fosse jiuto 'o lliccese 'ncapo? Letteralmente: ma ti fosse andato il leccese in testa? Id est: fossi impazzito? Avessi perso l'uso della ragione? Icastica espressione che, a Napoli, viene usata nei confronti di chi, senza motivo, si comporti irrazionalmente. Il leccese dell'espressione non è - chiaramente - un abitante di Lecce, ma un tipo di famoso tabacco da fiuto, prodotto, temporibus illis, nei pressi del capoluogo pugliese; l'espressione paventa il fatto che il tabacco fiutato possa- non si sa bene come - aver raggiunto, attraverso le coani nasali il cervello e leso così le facoltà raziocinanti del... fiutatore. Fà 'e scarpe a quacched'uno. Letteralmente: Fare le scarpe a qualcuno. Id est: conciar male, ridurre a cattivo partito qualcuno fino al punto di approntargli la morte. L'espressione deriva dall'usanza che si teneva a Napoli, di far calzare ai morti di un certo rango - per l'ultimo viaggio - delle scarpe nuove, conservate all'uopo dai familiari. Cu chestu lignamme se fanno 'e strommole. Letteralmente: con questo legno si fanno le trottoline. Id est: Non attendetevi risultati migliori, perché con questo materiale che ci conferite non possiamo che fornirvi cose senza importanza e non altro! In una seconda valenza la locuzione sta a significare: badate che ciò che ci avete richiesto si fa con questo (scadente) materiale, non con altro più pregiato... 'O pesce vo' tre effe: Frisco Fritto e Futo. Il pesce vuole tre effe: fresco, fritto e futo cioè vuoto ossia ben eviscerato. Il napoletano il pesce lo ama in frittura non bollito, giacché usa dire che il pesce bollito è buono per i malati; ciò vale naturalmente quando il pesce sia di piccola taglia e si possa friggere a dovere, mentre per il pesce grosso o da taglio a Napoli si preferisce cuocerlo sulla griglia o al forno. Cu 'nu NO te spicce e cu 'nu Sì te 'mpicce! Letteralmente: con un NO ti liberi e con un Sì resti impicciato. Id est: il rifiuto o il diniego comportano vantaggi, mentre l'accondiscendere reca seco grossi problemi; il rispondere di no ad una richiesta comporta in effetti disagio solo al momento del diniego, ma il risponder di sì comporta innumerovoli e continuati disagi per tutto il tempo necessario a dar corso a quanto promesso. Addò nun ce stanno campane, nun ce stanno puttane. Letteralmente: dove non ci sono campane, non ci sono prostitute. Va da sè che il proverbio non deve essere inteso in senso strettamente letterale, giacché - per fare un esempio - nelle terre islamiche non vi sono campane, ma ciò non significa che non vi siano prostitute. Le campane della locuzione devono essere intese come segno di un'avvenuta conurbazione di un luogo, volendo affermar che le prostitute è più facile trovarle là dove vi siano possibili clienti piuttosto che in luoghi disabitati dove più rari possono essere i fruitori dell'opere delle prostitute. Dicette vavone: Levamme 'a 'ccasiona... Letteralmente: disse il trisavolo: Lasciamo stare... Id est: Occorre lasciar correre e non accapigliarsi ad ogni pie' sospinto, togliendo - anzi - l'occasione, ossia lasciando cadere i motivi prossimi che ci spingerebbero al contrasto; è l'invito alla pace anche rimettendoci. 'O rancio 'e dint' a 'e scoglie: ddoje vocche e 'a cascia 'e mmerda. A Napoli di una persona insignificante, buona solo a sparlare si dice che è simile al granchio degli scogli che è tutto chele(erroneamente dette bocche) e carapace. Chi 'a fa cchiù sporca, è priore. Letteralmente: chi si comporta male, diventa priore. Amaro principio che però parte dalla disincantata osservazione della realtà nella quale per assurgere ai posti di preminenza occorre comportarsi male se non peggio. Pìgliate 'a bbona, quanno te vène, pecché 'a trista nun manca maje. Letteralmente: Cogli la buona (occasione) quando ti si presenta, perché i momenti cattivi non mancano mai... E' il medesimo concetto del carpe diem oraziano con l'aggiunta di una pessimistica motivazione. Mare a chi à dda avé e viato a chi à dda dà Letteralmente: Meschino chi deve avere e beato chi deve dare. A prima vista parrebbe il contrario, ma l'attenta osservazione della realtà fa concludere che è esatto ciò che afferma il proverbio; in effetti il creditore che si trovi in una posizione di attesa è in una situazione peggiore del debitore che, avendo già ottenuto ciò che ha determinato la sua posizione debitoria, può - magari - rimandare sine die la soluzione del suo debito risultando così privilegiato rispetto al suo creditore che ha già conferito un quid Farne cchiù 'e Petro BIALARDO. FARNE più di PETRO BIALARDO Con l’espressione in epigrafe si vuole bollare il comportamento scorretto di qualcuno che abbia commesso numerose gravi malefatte al punto di esser ritenuto esecutore di scorrette azioni, tali da superare per numero e qualità quelle commesse da un tal Petro Bialardo. Non v’è identità di vedute circa la vera identità del suddetto BIALARDO. Opinione corrente è quella che identifica Petro Bialardo con l’astrologo salernitano Pietro Bailardo, vissuto nel XII secolo ed arso sul rogo nel 1149, accusato di magia. Secondo quando tramandato da un non altrimenti noto poeta Luca Pazienza, si vuole che al momento del trapasso, il Crocefisso della Chiesa prossima al luogo del rogo, abbia compiuto un grande miracolo, ma trattandosi di storie sorte in ambito medioevale, periodo incline alla nascita di leggende è difficile credere che il suddetto mago si sia veramente macchiato di azioni così riprovevoli tali da diventare pietra di paragone per altrui misfatti. Altra tesi ravvisa in Petro BIALARDO nient’altro che la corruzione del nome di PIETRO ABELARDO (1079 – 1142) filosofo e teologo vissuto a Parigi dove insegnò e dove conobbe in casa del teologo FULBERTO che lo ospitava la di lui nipote ELOISA e se ne innamorò pazzamente, diventandone l’assiduo amante e sollevando lo sdegno del Fulberto, che – per vendetta -lo fece evirare. Il comportamento libertino e licenzioso di Abelardo fu ritenuto in epoca medioevale esempio di azioni riprovevoli, di talché non è errato ipotizzare che il Bialardo della epigrafe sia proprio il suddetto ABELARDO. Fà 'a spina 'e pesce. Letteralmente: far la spina di pesce. Id est: non portare a compimento un'operazione qualsivoglia, tentando di rimandarne il compimento e la conclusione sine die, tentando in questo modo di riceverne il maggior beneficio possibile, beneficio che verrebbe meno qualora si portasse a compimento l'operazione principiata. La locuzione che vien riferita a chiunque truffaldinamente cerchi di guadagnare attardandosi nel portare a buon fine ciò che ha principiato nacque a ricordo di ciò che avvenne ad un povero pescatore che, lavorando, si ferì ad una mano nella quale s'era conficcata una spina di pesce. Per esser medicato, il pescatore si recò presso la casa di un medico al quale portò in omaggio una spasella (cestello) di pesce fresco. Il medico, operò una sommaria medicazione e congedò il pescatore invitandolo a ritornare dopo un paio di giorni. Il pescatore ritornò dopo alcuni giorni recando altro pesce freschissimo e la scena continuò a ripetersi parecchie volte fino a che un giorno il pescatore non trovò in casa il medico, ma un figliolo di costui che esercitava la medesima professione paterna. Ebbene, il giovane medico resosi conto che la mano non sarebbe guarita fino a che la spina fosse rimasta infissa nella ferita riuscì ad estrarla dalla mano, che medicata fu avviata a guarigione. Tornato a casa il vecchio medico, il giovane figlio, pensando di essere complimentato, gli comunicò che aveva liberato il pescatore della sua maledetta spina. Al che il disonesto genitore lo redarguì violentemente dicendogli: Stupido, comportandoti come ti sei comportato hai perduto il beneficio di ricevere ancora gratuitamente del buonissimo pesce fresco! Se fruscia Pintauro d''e sfugliatelle jute acito. Letteralmente: si pavoneggia Pintauro di sfogliatelle inacidite. Id est: gloriarsi a sproposito di situazioni che più che dimostrare la propria valentia, mettono in mostra risultati scadenti delle proprie azioni. Pintauro è un antichissimo pasticciere napoletano famoso produttore di sfogliatelle, dolce tipico partenopeo inventato a Napoli dalle monache del convento della Croce di Lucca e diffuso poi in tutto il mondo. Dà zizza 'e vacca pe tarantiello. Letteralmente: dar mammella di mucca per tarantello. La locuzione ha una doppia valenza a seconda del significato che si dà al termine tarantello. In una prima accezione tarantello è un pezzo di carne dato come aggiunta vicino a della carne più pregiata, al fine di sistemarne il giusto peso. Usandola con tale accezione, figuratamente, la locuzione significa che colui contro cui è rivolta, non si è impegnato molto nel dare il giusto dovuto, ma ha rabberciato la prestazione portandola a compimento con l'uso di materiali di scarto. Nel caso che con la voce tarantello si voglia indicare la pregiata pancetta di tonno, figuratamente vuol significare che colui contro cui la locuzione è diretta, si è comportato da gran mistificatore ed imbroglione come chi abbia conferito vilissima mammella di mucca in luogo della dovuta, costosa pancetta di tonno. Mantenimmoce pulite, ca ce stanno 'e ccarte janche! Letteralmente: manteniamoci netti perché son presenti le carte bianche! Id est: Non affrontiamo argomenti scabrosi; teniamo a mente che ci sono dei bambini che ci ascoltano ed in loro presenza è sconveniente toccare argomenti che potrebbero provocare domande a cui sarebbe difficile rispondere. A lietto astritto, cùccate 'mmiezo. Letteralmente: in un letto stretto, coricati in mezzo. Il consiglio della locuzione non è quello di sapersi adattare alle situazioni, quanto quello di ricercare in ogni occasione la soluzione migliore; in un letto stretto, perché piccolo o perché già occupato da altri, è consigliabile coricarsi al centro, il posto più sicuro, che può preservare da rovinose cadute laterali. 'O scarparo e 'o bancariello: nun se sape chi ha fatto 'o pireto Letteralmente: il calzolaio e il deschetto: non si sa chi ha fatto il peto.Icastica espressione che viene usata allorché in una situazione che non presti il fianco a difficili interpretazioni, ci si trovi davanti a qualcuno che non voglia riconoscere la propria responsabilità e mesti nel torbido per scaricare su altri la medesima, anche su chi - per legge di natura - è chiaramente impossibilitato a compiere ciò di cui si intende accusarlo come nel caso dell'espressione in epigrafe un deschetto che manca dello strumento necessario a produrre peti, per cui sarebbe sciocco addebitarli a lui in luogo del calzolaio. Essere ditto tòrtano e senza 'nzogna. Letteralmente: esser chiamato tortano, ma esser sprovvisto di sugna.Colui che viene indicato responsabile di qualcosa di cui - comprovatamente - non sia stato autore suole ribellarsi con la locuzione in epigrafe affermando cioè che non lo si può chiamare tortano, dal momento che egli è privo di strutto, ossia non ha commesso ciò che gli viene addebitato.Per intendere a pieno il significato della frase bisogna sapere che il tòrtano è una grossa ciambella rustica tipica del periodo pasquale, ricca di uova, salumi, provolone e formaggi, ma soprattutto di strutto che se manca non permette alla preparazione culinaria di esser detta: tortano, alla stessa stregua, non si può dare del ladro ad uno se non si ha la prova provata del suo ladrocinio. Ll'acqua 'nfraceta 'e bastimiente a mmare. Letteralmente: l'acqua rende fradice le navi in mare. Così gli accaniti bevitori di vino sogliono respingere un bicchiere d'acqua che venga loro offerto, volendo significare che mutare le abitudini buone può essere pernicioso, se non deleterio. Aizammo 'stu cummò! Letteralmente: solleviamo questo canterano! Id est: sobbarchiamoci questa fatica. A Napoli questa esclamazione viene pronunciata mo' di incitamento quando ci si trovi a principiare un'operazione materiale o meno, che si presuma faticosa e perciò scarsamente accetta quale quella di sollevare un pesante canterano in noce massello resi più ponderoso da un ripiano superiore in marmo cipollino. Figuratamente poi a Napoli quando qualcuno impalma una donna tutt'altro che avvenente e, magari, molto anziana, si suole commentare con un sarcastico: s'è aizato 'stu cummò (ha alzato questo mobile pesante!) E' gghiuto 'o ccaso 'ncopp' a 'e maccarune. Letteralmente: è finito il formaggio sui maccheroni. Id est: la faccenda ha avuto la sua logica e sperata conclusione, allo stesso modo come una spolverata di formaggio conclude nel miglior dei modi la presentazione di un fumante piatto di maccheroni. E' da rammentarsi che un tempo, a Napoli, quando i maccheroni venivano ammanniti per istrada a frettolosi avventori da appositi rivenditori detti "maccheronari" un piatto di maccheroni in bianco servito solo con l'aggiunta di formaggio e un po' di pepe si vendeva per due soldi ed era appunto detto 'o doje allattante cioè il due al latte, mentre i maccheroni al sugo di pomodoro costavano tre soldi ed erano detti 'o tre garibbalde con riferimento al rosso della camicia del masnadiero nizzardo. Va truvanno chi ll'accide. Letteralmente: va in cerca di chi lo ammazzi. Lo si dice di chi, sciocco e masochista provochi il prossimo, lo stizzisca al punto da provocarne gli istinti omicidi nei propri confronti. Essere brutto cu 'o tè cu 'o nè, 'o piripisso e 'o naianà. Locuzione praticamente intraducibile che racchiude nei suoi quattro termini la quintessenza della bruttezza per modo che colui contro cui viene usata sarà indicato come l'essere più brutto in circolazione. Tentare di individuare il significato dei quattro non-sense della locuzione è cosa impossibile. Buono p'aparà 'o mastrillo. Letteralmente: buono per armare la trappolina.Il mastrillo è la piccola trappola per topi nella quale a mo' di esca si pone un piccolissimo pezzetto di formaggio; così che quando di si dice di una razione alimentareche è buona per armare la trappola, si vuol significare che la razione è veramente parva res, esigua e non adatta a soddisfare neppure un normale appetito. Jì ascianno guaie cu 'o lanternino. Letteralmente: andare alla ricerca di guai con la lanterna. Id est: cacciarsi nei guai quasi con voluttà al punto di andarne alla ricerca con una metaforica lanterna che illumini i luoghi dove i guai stanno nascosti. Il termine asciare significa cercare qualcosa con insistenza quasi fiutandola e viene dal latino adflare: annusare con consueta trasformazione di FL in SCI come per FLOS che in napoletano diventa SCIORE. Si' ghiuto a sentere'a messa d''e disperate? Letteralmente: Sei stato ad assistere alla messa dei disperati? Questa sarcastica domanda viene rivolta a chi si presenti tardi ad un appuntamento perché trattenuto da altra incombenza cominciata tardi e protrattasi quale quella messa che temporibus illis, quando non esistevano ancora le messe vespertine veniva celebrata a Napoli presso la Chiesa della Pietà dei Turchini in via Medina, messa che principiava tardissimo, alle ore 14.30, e che era frequentata dai più incalliti tiratardi che spesso per assistere alla funzione mancavano l'appuntamento delle 15.00, orario canonico nel quale in tutte le cucine napoletane risuonava il fatidico "Menate!" e cioè "calate la pasta " del pranzo domenicale. Brak

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