mercoledì 16 aprile 2014

LE PUTTANE CHE FECERO L’ITALIA UNITA

LE PUTTANE CHE FECERO L’ITALIA UNITA brevissima premessa Buonasera. Dividerò questo mio intervento in due parti nell’intento di essere, se non esauriente, sufficientemente preciso e chiaro. Nella prima parte, questa, mi tratterò a parlare in generale di tutte le donne che ebbero a che spartire (nel senso di conoscenza biblica) con un po’ tutti i protagonisti del risorgimento. Nella seconda parte restringerò il campo di indagine a Garibaldi ed ai suoi.Spero di riuscire ad interessarvi.Grazie dell’attenzione. Comincio. parte 1ª La storiografia ufficiale di quel periodo che va sotto il nome di Risorgimento brulica di donne giovani o meno giovani volta a volta battezzate per eroine, patriote, paladine del sentimento unitario, ma tutte, con qualche timida eccezione, associate dal comun denominatore del puttanesimo piú spudorato e continuato, ovviamente taciuto negli addomesticati testi della storiografia di regime, dati in pasto ai ragazzini;in virtú di tale denominatore esse ruppero, tutte,con il comune sentire familiare oltreché con la ricevuta educazione cattolica, spesso impartita in istituti condotti da pie suore e quelle donne di cui dico si adoperarono in primis a sfasciare famiglie, a perdere i propri figli pur di affermare la loro intenzione di condividere nella teoria e nella pratica gli ideali dei rivoluzionari risorgimentali, anche quando questi ideali comportassero, per l’appunto, l’abbandono dei tetti familiari, ed il tradimento continuato ed aggravato di consorti e/o promessi tali. Qui siamo fra persone adulte e vaccinate per cui non ci farà impressione se dirò pane al pane e vino al vino, parlando senza usar riguardi e/o pecette e principiando con lo stilare un elenco non completo (ci mancherebbe!), ma congruo di quelle signore e signorine d’antan che contribuirono a fare l’Italia una esibendosi gratuitamente o talvolta a pagamento non tanto sui campi di battaglia, quanto sopra i talami e/o sofà di principi, monarchi,ispiratori e padri della patria o amanti occasionali. Tutte costoro sono state e saranno celebrate da tutti coloro, a cominciare dal sig. Presidente Napolitano,che si son preso il compito di portare avanti le celebrazioni per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia, partendo dalla Sicilia con il ricordo della (malnata, dico io) spedizione dei Mille di Garibaldi. Molte città parteciparono con il loro contributo di garibaldini e di patrioti al periodo risorgimentale,ma in genere costoro (o la magna pars d’essi) erano cittadini del Lombardo Veneto e del Regno di Piemonte e della medesima provenienza, salvo qualche rara eccezione, furono quelle donne che furono protagoniste del periodo risorgimentale che iniziò con fervore ben prima del 1860, non solo nelle battaglie ma anche nei salotti dell’alta borghesia e della nobiltà, in cui le donne ebbero un ruolo di primo piano,sia nell’elaborazione delle idee, sia con il sostegno materiale. Il loro contributo si esplicò persino nei campi di battaglia, ma soprattutto fu fondamentale nei salotti dove si riunivano gli spiriti illuminati: ivi, sotto l’apparenza di conversazioni letterarie in realtà si cospirava; cosí le dame dell’alta borghesia accoglievano i grandi protagonisti maschili, ai quali fornivano accanto ad intelligenti suggerimenti, conforto ed appoggio. L’elaborazione delle idee al femminile è rimasta tuttavia in ombra, sebbene non siano mancate le dame colte ed attive, che manifestarono pubblicamente con lo scrivere le loro tendenze politiche: tra queste ricordiamo per comiciare Clara Maffei, animatrice di un famoso salotto milanese, frequentato anche da Giuseppe Verdi. Costei (Bergamo, 13 marzo 1814 – †Milano, 13 luglio 1886) era détta l'amore di Milano; cosí la definiva il marito, il poeta Andrea Maffei, perché Clara incarnava, nella sua minuscola ma aggraziata e vivacissima figura, l'arte dell'accoglienza, e per mezzo secolo i grandi nomi della cultura e della politica celebrarono nel suo salotto quel connubio tra Romanticismo e Risorgimento che diede vita ad una delle stagioni che piú appassionano studiosi e studenti della nostra storia patria. Il racconto di quella stagione si svolge sí sul palcoscenico della storia, dove la contessa fu sensibile promotrice degli alti ideali ottocenteschi, ma anche e forse di piú dietro le quinte, come si evince soprattutto dall'epistolario (che è nel contempo un affascinante testo della letteratura romantica ed uno straordinario documento storico) intercorso con il grande amore della sua vita, Carlo Tenca,con il quale, in costanza di matrimonio, ebbe una lunga e duratura relazione. Oltre che quella del Tenca, non disegnò l’affettuosa amicizia di Giuseppe Verdi. . Non vorrei però che il titolo di questa mia relazioncella ci fuorviasse; tutte le donne di cui dico e dirò non furono, (per usare il corposo idioma partenopeo) non furono delle zoccole strictu sensu; non furono cioè donne che praticarono il mestiere piú antico del mondo, a pagamento per necessità o per bisogno, non furono donne cui dare l’epiteto di zoccola che (come tutti sanno) indica in primis il grosso topo di fogna ed estensivamente la prostituta che come quel topo frequenta nottetempo i marciapiedi; etimologicamente zoccola è da sorcula diminutivo latino femm. di sorex-ricis; no, non si può può parlare di zoccole strictu sensu; direi piuttosto ( sempre per usare il corposo idioma partenopeo) che esse tecnicamente furono delle zompapérete il divertente epiteto che nel napoletano è il s.vo ed agg.vo f.le e solo f.le (non è attestato infatto un m.le zompapíreto) che ad litteram varrebbe saltapeto che però non à ed avrebbe alcun senso, atteso che non è praticabile il salto di una scorreggia; nell’epito in esame infatti il termine péreta non deve essere inteso nel senso letterale di scorreggia, ma in quello traslato di pessima donna moralmente becera, villana, sciatta,sguaiata, volgare,e soprattutto sfrontata che si comporti, ancorché di elevata estrazione sociale, da donna di malaffare offrendo in giro le proprie grazie non per bisogno, ma per vizio, costume, mania o capriccio saltando da un amante all’altro;di talché la voce andrebbe tradotta come sfacciata che salta e morfologicamente forse sarebbe stato piú corretto che il verbo coniugato al participio presente avesse seguito il sostantivo: péreta zompante ,ma la voce cosí construtta non avrebbe consentito l’agglutinazione funzionale e non sarebbe risultata gradevole all’udito né icastica come la popolaresca zompapéreta. Torniamo all’assunto dicendo che anche a Parma vi furono signore che seguirono la strada del meretricio occasionale e vizioso; erano per lo piú di posizione sociale altolocata e mogli di personaggi a loro volta impegnati nel movimento liberale: facciamo solo un cenno ad Antonietta Ferroni Tommasini (1780-†1839), consorte di un celebre medico, e nota per essere stata buona amica,nel senso che ci occupa assieme alla figlia Adelaide Tommasini Maestri, di Giacomo Leopardi. Antonietta, poligrafa e grafomane, manifestò varie volte sentimenti patriottici, di cui è testimonianza numerose lettere scritte a molti giovani patrioti reggiani. Che abbia avuto conoscenza in senso biblico del poeta di Recanati si evince da uno scritto del medesimo che testualmente confessò “A Bologna conobbi amici come il Pepoli o le sorelle Antonietta ed Adelaide Tommasini, frequentai la borghesia e l'intellighenzia di questa città dotta e della sua università antica: amai la contessa Malvezzi. Non credo si possa dire che fossi felice, ma almeno potevo essere me stesso e godere, un poco, la mia vita. Vien fatto di chiedersi perché mai l’Antonietta si fecesse passare per sorella dell’Adelaide e non mamma quale in realtà era. Con ogni probabilità al poeta sarebbe venuto in uggia alternarsi nell’alcova con una figlia e con la di lei mamma, meglio fargli credere d’essere sorelle. Che poi il poeta avesse frequentato a letto ambedue oltre che la contessa Malvezzi, si ricava dall’espressione godere, un poco, la mia vita con la quale il poeta intende riferirsi ovviamente al godimento sessuale. Per quel ch’è il mio assunto occorre non dimenticare che all’epoca dei fatti ambedue le donne erano coniugate. Proseguiamo ed incontriamo l’interessante figura di Albertina Montenovo Sanvitale (1817-†1847), figlia di Maria Luigia che condivise col marito Luigi Sanvitale gli ideali liberali, accettando sofferenze familiari: sopportò con coraggio persecuzioni politiche, confortò il marito nell’esilio e incoraggiò il figlio Alberto ad impegnarsi per la causa italiana.Anche Albertina lasciò, nel senso che ci occupa, diversi compromettenti scritti inviati a combattenti, ma piú spesso a teorizzatori dei movimenti rivoluzionari. Alla famiglia Sanvitale appartenne altresí Isabella Sanvitale Simonetta, alla quale dedicò un bel componimento Jacopo Sanvitale (1785-1867), che patí l’esilio per non venir meno alle sue idee; esse furono peraltro condivise dalla moglie Giuseppa Folcheri, piemontese, colta e geniale pittrice, ardente come lui di spirito di italianità, che la portò a subire col marito l’esilio ed aspre traversie lenite da occasionali incontri con letterati e modelli che condividevano le sue idee rivoluzionarie. Partecipò infatti ai moti del 1831, e la sua scheda segnaletica redatta dalle autorità di polizia ci dice che fu allontanata dallo stato con passaporto intestato al cognome della sua famiglia di origine ed un sussidio pecuniario attenuto per i buoni uffici del delegato di polizia che l’aveva sottoposta al primo interrogatorio ed era rimasto affascinato dalla Folcheri ed usato delle sue grazie. Morí in esilio, a Marsiglia nel 1848, come la figlia Clementina. Tenne un salotto rinomato anche Margherita Moradet Melloni, cognata dell’illustre fisico e liberale Macedonio Melloni (1798-1854): la sua casa era frequentata da eminenti personalità, scienziati, letterati, artisti; la signora non trascurò neppure le opere di carità verso i piú deboli, come ricordò un suo agiografo tal Janelli che ne tessette ampi elogi. Dai biografi fu però spesso confusa con Rita Melloni, figlia di Macedonio, che morí a Genova dopo aver condotto una vita oscura e appartata. Di tipo diverso, strettamente umano e sentimentale, è il ruolo giocato da Teresa Trecchi (Cremona, circa 1814 - †post 1862), figlia del marchese Manfredo e sorella del colonnello Gaspare, aiutante di campo di Garibaldi. Donna colta, sensibile ed aperta alle nuove idee politiche, rimase affascinata da Garibaldi (la cui fama di conquistatore di donne non si smentí certo a Parma...), che ospitò nella sua bella villa di Maiatico, dopo la visita da lui compiuta a Parma in un’atmosfera di entusiasmo. Viveva separata dal marito, per cui non fece nulla per nascondere la sua amicizia col celebre condottiero; arrivò addirittura ad ospitare la giovane e vivacissima figlia di Garibaldi, Anita, con la madre Battistina Ravel, di Nizza. Mentre Garibaldi era a Caprera, gli scrisse moltissimo, inviandogli anche tralci di vite di Maiatico da trapiantare e fusti di castagno.Interessante è altresí la figura di Ada Corbellini Martini (1843-†1866), una poetessa «pasionaria» garibaldina, che dedicò ai ragazzi in camicia rossa guidati dall’«eroe dei due mondi» versi che furono popolarissimi non solo in Italia ma anche in America. Le sue infiammate rime in lode dei ragazzi in camicia rossa varcarono addirittura l’Oceano, essendo citati persino in un giornale di Buenos Ayres. Molto celebre è la poesia «Io sono l’italiana giardiniera» che esalta la società segreta femminile (detta appunto la Giardiniera) parallela a quella maschile dei Carbonari. Ada Corbellini morí giovanissima nel 1866, non senza aver visto coronato il suo sogno patriottico, e aver assistito di persona alle prime sedute del nuovo Parlamento. Visse anche a Parma Giuditta Sidoli (1804-†1871), amica, collaboratrice e spudorata amante di Giuseppe Mazzini; fu a Parma dal 1837 al 1852, anno in cui la sua villa (che si trovava nella zona della via attualmente a lei intitolata) fu perquisita. La Sidoli venne dapprima portata nel carcere di San Francesco, poi allontanata da Parma e dall’Italia. Trascorse i suoi ultimi anni a Torino, dove tenne un salotto frequentato da spiriti liberali cui si dètte anima e piú spesso corpo. Come si fa a non citareVirginia Oldoini contessa di Castiglione, cugina di Camillo Benso di Cavour, amante di Napoleone III? Costei fu la piú celebre delle zompapérete risorgimentali, cugina del conte di Cavour, ebbe ben 43 amanti occasionali di cui 12 contemporaneamente ed a loro insaputa, passò alla storia per aver sedotto (su consiglio del cugino:”Usate tutti i mezzi che vi pare, ma riuscite!”) per aver sedotto Napoleone III e di costui disse, rivolgendosi ad una dama di compagnia in occasione di una parata militare:”E pensare che quella testa à passato ore ed ore tra le mie cosce!” Non c’è che dire, le cortigiane,le escort, le ruby non sono certo un’invenzione di Berlusconi! Di Ana Maria de Jesus Ribeiro da Silva, meglio conosciuta come Anita Garibaldi (Morrinhos, 30 agosto 1821 – †Mandriole di Ravenna, 4 agosto 1849), universalmente nota come l'Eroina dei Due Mondi dirò nella seconda parte. Qui giunto per non tediare l’uditorio mi limiterò a completare quest’elenco rammentando alcuni nomi di altre famose zompapérete risorgimentali quali la principessa di Belgiojoso: Cristina Trivulzio Belgiojoso (Milano, 28 giugno 1808 – †Milano, 5 luglio 1871) ed Ernesta Bisi Legnani (Milano, 18 giugno 1788 – † Milano, 13 novembre 1859) Non parlerò di Eleonora Pimentel Fonseca né di Maria Luisa Sanfelice dei Duchi di Agropoli e Lauriano (Napoli, 28 febbraio 1764 – † Napoli, 11 settembre 1800) che pur potendo rientrare, per il loro comportamento immorale, nell’elenco stilato appartennero ad un precedente periodo storico quantunque prodromico di quello risorgimentale e passo quindi velocemente alla 2ª parte Garibaldi tombeur de femmes Quello che quasi tutti considerano un gran condottiero,un padre della Patria, il massimo valoroso generale del Risorgimento e ch’io invece reputo un volgare avventuriero, un mercenario dei Savoia, un masnadiero al soldo della massoneria britannica, aveva un gran successo con le donne. Molte persero la testa per lui: nobili e popolane, scrittrici e lavandaie e quando lui le rifiutò si accontentarono di cedere i propri favori a luogotenenti o alla truppa semplice purché i fortunati fossero in camicia rossa; insomma tantissime nobili e popolane, scrittrici e lavandaie trascorsero il risorgimento piuttosto che all’impiedi, distese o inginocchiate e certamente non per pregare! Tutta colpa dei lunghi capelli color grano del generale,dell’atteggiamento spavaldo delle orde bergamasche al seguito del nizzardo, della sua faccia leonina incorniciata da una barba volutamente incolta, del suo sguardo fosco ed intraprendente, della sua personalità magnetica con malgrado di una statura modesta, di un fisico muscoloso sí ma con gambe corte e storte ed, a giudicare dall’andatura, affetto da reumatismi. Fossero nobili, popolane, poetesse o fantesche tutte lo idolatrarono e gli si diedero, come si diedero ai suoi compagni di ribalderia; costoro erano, per il gentil sesso, gli uomini che incarnavano l’eroismo forte e generoso e fossero letti o giacigli si cacciavano volentieri tra le loro lenzuola senza che alcuno perdesse tempo a corteggiarle. Difficile elencarle tutte. Ricorderò la contessa Maria Martini Giovio della Torre, piemontese, figlia ribelle e molto avvenente del conte Carlo Camera di Salasco, il generale che sottoscrisse l’armistizio con gli austriaci nel 1848, dopo la sconfitta di Custoza. Gli storici la liquidarono come una delle tante amanti di Garibaldi, che l’aveva incontrata a Londra. In realtà Maria avrebbe meritato, e merita, qualcosa di piú, non soltanto per il suo fascino e per l’esistenza avventurosa e tumultuosa, per le passioni e per l’amore per la libertà. Era cresciuta a Torino negli ambienti di Corte, dove il padre ricoprí a lungo cariche importanti nello Stato maggiore dell’esercito di Carlo Alberto. Maria dai begli occhi neri dimostrò ben presto come quella vita non fosse fatta per lei. C’è addirittura chi sostiene che, giovanissima, corse a Milano, nel marzo del ’48, per partecipare alle Cinque Giornate. Certo è invece che si sposò, o dovette farlo per imposizione paterna, con il conte cremasco Enrico Martini Giovio della Torre, che in effetti venne mandato da Carlo Alberto a Milano per un abboccamento con gli insorti. Il matrimonio, celebrato intorno al 1850, naufragò. Fu Maria, che intanto era ormai nota come «una delle bellezze in voga nei salotti» e paragonata per il suo fascino alla contessa di Castiglione, a lasciare il marito! Lo prova il fatto che il generale Camera di Salasco, dopo la separazione, decise di rinchiudere la figlia in un convento.Ella però riuscí a fuggire ed a raggiungere l’Inghilterra, dove cominciò a frequentare i patrioti italiani riparati a Londra ed in altre città britanniche e per un triennio tra il 1851 ed il 1853 fu l’amante di G.Mazzini. Nel 1854 avvenne l’incontro con Garibaldi. Amore a prima vista, classico coup de foudre. Tanto che Maria gli scrisse: «Sarò cosa vostra. Ve lo giuro». Nella loro biografia del Masnadiero dei Due Mondi, Indro Montanelli e Marco Nozza la presero sul serio: «E tutto lascia credere che lo fu».Fu paragonata ed a giusta ragione alla contessa di Castiglione per il suo fascino, lasciò il marito e si propose a Garibaldi come compagna nella gloria e nella sventura Ma il generale prima di concedersi tentennò e la contessa tentò il suicidio finendo rinchiusa in manicomio circondata da panni rossi come le tipiche divise garibaldesche. Molte altre nobildonne furono pazze del mercenario dei due mondi:rammento Madame Louise Colet, pseudonimo di Louise Revoil (Aix-en-Provence, 15 agosto 1810 – †Parigi, 9 marzo 1876) .una poetessa spregiudicata a cui Garibaldi ricordava il Cristo dell’Ultima Cena di Leonardo e che gli si diede reiteratamente ed in costanza di matrimonio; all’elenco non può mancare Anne Isabelle (17/5/1792 – †16/5/1860)la moglie del poeta Lord Byron finanziatricedella spedizione dei Mille contro ripetuti incontri con il nizzardo, sotto il naso del consorte. Tralascio di parlare di Lady Shaftesbury, che gli si offrí in cambio di una sua ciocca di capelli,ma il generale rispose che non ne aveva piú per l’esagerata richiesta formulate da altre nobildonne patriote o intese tali e pregò milady di pazientare che la chioma gli ricrescesse. Non posso tralasciare di riferire di Esperance Brand, una nobildonna inglese colta e affascinante, lo raggiungeva a ogni sua chiamata, mentre il masnadiero avrebbe sposato volentieri Emma Roberts se non fosse stato scoraggiato dalla lussuosa vita londinese della donna. Emma provvide all’educazione di Ricciotti (secondogenito di Garibaldi, ) a Londra e fu promotrice di una colletta con cui gli amici inglesi acquistarono l’altra metà di Caprera per farne dono all’amico carico di gloria e di debiti. Gli inglesi avevano un’adorazione per il romantico generale italiano e gliene diedero prova regalandogli perfino un vascello... Garibaldi aveva infatti comprato una parte dell’isola di Caprera per viverci in solitudine e immerso nella natura. Lí trasferí i figli con la servetta Battistina Ravello, analfabeta, un’amante di serie B, che non sposò mai pur avendogli dato una figlia. Fu poi la volta della scrittrice Speranza Von Schwortz che sbarcò nell’isola con l’intento di conoscere l’uomo di cui tutto il mondo parlava e che gli fu amica preziosa e devota.Parlerò in chiusura di Antonia Masanella, al secolo Tonina Marinelli di Cervarese Santa Croce in provincia di Padova; questa Antonia Masanella con il marito (che mi permetto di definire cornuto contento) conquistato anche lui dal masnadiero nizzardo , raggiunse i Mille a Salemi, e combatté al loro fianco travestita da uomo con incredibili coraggio e capacità. Ma le storie importanti furono altre. Ebbe tre mogli ufficiali. Ad Anita Ribeiro de Silva, una bruna alta e prosperosa con profondi occhi neri conosciuta in Brasile, dichiarò senza preamboli: “Tu devi essere mia!” La convinse facilmente dopo lunghe romantiche passeggiate sulla spiaggia. Anita gli insegnò a cavalcare, ricevendone in cambio l’addestramento militare, abbandonò il marito imposto dalla madre per fuggire con l’intrepido condottiero. Alla morte del marito lo sposò nel 1842, diventando la compagna nel periodo piú drammatico della sua vita e morí di meningite a vent’otto anni, dopo avergli dato quattro figli. Il generale aveva il vezzo di chiamare i figli con i cognomi di personaggi a lui cari: infatti nacquero Menotti, in ricordo del patriota modenese Ciro Menotti, Ricciotti in memoria di Nicola Ricciotti, fucilato con i fratelli Bandiera nel 1844, Rosina e Teresita. Dopo la morte di Anita frequentò diverse donne alla ricerca della giusta compagna di vita ma, sensibile alle giovinette il generale, ormai avanti negli anni, incappò nella giovane marchesina diciassettenne comasca Giuseppina Raimondi altra patriota distesa che però raggirò Garibaldi facendogli credere che il figlio che aspettava fosse frutto di uno dei loro frequenti incontri, mentre in realtà, come una lettera anonima poi rivelò, era di un anonimo ufficiale di cavalleria. Garibaldi prontamente la ripudiò nello stesso giorno del matrimonio avvenuto nel 1860. Il bimbo che Giuseppina aspettava nacque morto e il suo vero padre morí in Siberia dopo aver combattuto per la libertà della Polonia. Come compagna scelse Fancesca Armosino, una giovane e robusta contadina analfabeta di origine armena che gli diede tre figli, Clelia, Rosa e Manlio e fu il suo bastone della vecchiaia ma che sposò solo quando riuscí ad ottenere dopo vent’anni la sentenza di annullamento del matrimonio con la Raimondi. E concludo, come ò anticipato con Antonia Masanella guerriera di Garibaldi al secolo Tonina Marinelli di Cervarese Santa Croce,di cui mancano precisi dati biografici; si conosce solo la data di morte 1862; veneta, fanatica garibaldina si travestí da uomo e combattette in Sicilia con i Mille, ma s’era già fatta apprezzare anche nei salotti della nobiltà, a Padova ed a Venezia dove si tramava contro l'Austria ed a favore di Garibaldi con volantinaggi, sottoscrizioni, carbonari nascosti in casa ed amorevolmente assistiti e foraggiati di quanto abbisognassero, alcove comprese. Da rammentare una sua idea di regalare a Garibaldi una daga con il manico finemente cesellato. La Masanella mancò per poco un suo progetto di organizzare un battaglione femminile che desse manforte ai garibaldini. Garibaldi tenne con lei un fitto carteggio concludendo ogni sua lettera con la testuale frase «Vi baccio le mani». Indubbiamente era piú uomo di spada che di lettere... La Masanella fu amica di quella MaddalenaMontalban un’esaltata nobile di Conigliano Veneto la quale fu a lungo in corrispondenza con Giuseppe Mazzini, al quale piú volte elargí finanziamenti per l’attività cospirativa.Questa contessa, nota – more solito – per i favori che a cospiratori e rivolzionari soleva dispensare nel suo palazzo, in costanza di matrimonio con il conte Comelli, s’era conquistato il titolo di contessa mazziniana e particolare macabro si teneva in casa come una reliquia il braccio imbalsamato del generale Giacomo Antonini che gli era stato amputato nella difesa di Vicenza. Ma non divaghiamo e concludiamo rammentando che la Masanella si travestiva da uomo ufficialmente per combattere piú comodamente, ma in realtà per aver piú agevoli incontri ravvicinati con la truppa negli accampamenti. Qui giunto, penso di aver ad abundantiam chiarito l’assunto ed il titolo di questa mia relazioncella e di poter porre il punto fermo. Satis est e grazie a tutti dell’attenzione, sperando di non avervi tediato! Raffaele Bracale

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