martedì 10 febbraio 2015

VARIE 15/142

1.ME PARE ‘O PUORCO CU ‘A SPICA ‘MMOCCA Sembra un maiale con una pannocchia in bocca Icastica espressione usata per sarcastico dileggio di persona (uomo o piú spesso donna) panciuta, corpacciuta, ma paciosa appaiata per la sua pinguedine ad un maialetto cucinato e servito in tavola tutt’intero con in bocca infilata una pannocchia di granturco bollita salata ed unta di grasso; me pron. pers. di prima pers. sg.corrispondente all’italiano mi 1 me, a me; forma complementare atona del pron. pers. io, si usa come compl. ogg. e come compl. di termine (come nel caso che ci occupa) quando non si vuol dare loro particolare rilievo, in posizione sia enclitica sia proclitica: tu me cazzie sempe!(tu mi rimproveri sempre); m’à scritto ajere(mi à scritto ieri); eccume arrivato (eccomi giunto); vedennome arrivà (vedendomi arrivare); diciteme si è overo(ditemi se è vero) | è anche usato in presenza delle forme pronominali atone la, lo, li, le e della particella ne(nn’): me ll’à cuntato (me lo à raccontato); me nn’ à parlato(me ne à parlato) | si usa nella coniugazione dei verbi pronominali: me vesto, me lavo ‘e mmane, me ne pento(mi vesto,mi lavo le mani,mi pento di ciò); m’ero scurdato(mi ero dimenticato); 2 esprime intensa partecipazione affettiva di chi parla all'azione espressa nel discorso (cosiddetto «dativo etico»): che mme dice maje?(che mi dici mai?); stàmmete bbuono(stammi(ti) bene) 3 con valore rafforzativo: A mme me pare ca (a me mi pare che)ma in italiano è forma che i puristi bocciano... pare = sembra, pare, è simile a; voce verbale (3ªpers. sg. ind. pres.)dell’infinito paré sembrare,parere, apparire, figurare; somigliare, assomigliare; etimologicamente deriva dal latino volg. *paríre→parere = apparire,manifestarsi come ; puorco s.vo m.le 1. in primis porco, maiale, suino ; 2 (non com.) carne di maiale: sacicce ‘e puorco(salsicce di maiale); 3 (figuratamente ) persona che fa o dice cose oscene. spica s.vo f.le spiga (segnatamente quella di granturco), ma anche spiga di grano,orzo, avena ed altri cereali voce dal lat. spica(m), propr. 'punta'; ‘mmocca = in bocca locuzione di stato in luogo formata dalla preposizione in + il s.vo vocca/bocca ; rammento che nel napoletano la preposizione in usata in posizione protetica di sostantivi e/o avverbi viene agglutinata con essi assumendo la forma aferetica di ‘n (ad es.: in terra→’nterra, in cielo→’ncielo, in sopra→’ncoppa, in giú→’nsotto) e talora di ‘m davanti alla consonante consonante occlusiva bilabiale sorda (p) (cfr. ‘mparaviso = in paraviso ) o davanti all’ occlusiva bilabiale sonora (b) davanti alla quale dà luogo ad assimilazione progressiva (cfr. ad es.in bocca→ ‘mbocca→’mmocca ). 2 - QUANNO ‘A MUGLIERA È BBONA E ‘O MARITO È CHIACHIELLO, SPONTANO SEMPE ‘E CCORNE Quando una moglie è procace e piacente ed il marito è sciocco o bonaccione, spuntano sempre le corne Id est:la moglie procace e sfrontata d’un marito fesso e credulone, prima o poi lo tradirà. chiachiello agg.vo e sost. m voce quasi desueta che indicò in primis un uomo di bassa statura e poi per estensione semantica lo sciocco credulone, il babbeo di nessuna personalità,l’inetto, l’incapace, il mancator di parola, il bonaccione, il banderuola aduso a mutar continuamente parere ed intenti e pertanto un essere inetto,spregevole, persona di scarsa serietà; quanto all’etimo si può supporre una base lat. cloac(u)la + il suff.masch. iello oppure, ma meno probabilmente,da collegarsi al greco kophòs=babbeo voce che però già diede il seguente chiafèo morfologicamente piú rispondente alla derivazione dalla voce greca. 3. QUANNO ‘A MUGLIERA È BBELLA E BBONA O ‘NCANNACCATA E ‘O MARITO È CHIACHIELLO, SPONTANO SEMPE ‘E CCORNE Quando una moglie è procace e piacente o (troppo)ingioiellata ed il marito è sciocco o bonaccione, spuntano sempre le corna Id est:la moglie procace e sfrontata o eccessivamente provvista di gioielli vistosi d’un marito fesso e credulone, prima o poi lo tradirà. bbella e bbona = bella ed appetibile; bbella è il femm. di bello che è dal tardo lat. bellu(m) 'carino', in origine dim. di bonus 'buono' ed à il consueto significato attribuito a ciò che è dotato di bellezza o che suscita ammirazione, piacere estetico; mentre bbona (femm. di buono) nel significato a margine non vale conforme al bene; onesta, moralmente positiva, che à mitezza di cuore, mansueta, bonaria e non vale neppure abile, capace; oppure détto di cosa: utile, efficace, efficiente ma - pur mantenendo l’etimo dal lat. *bonam=buona – sta per piacente, appetibile, che risveglia i sensi; da rammentare poi che in napoletano esiste un’espressione formata apparentemente da due agg.vi m.li, ma chè è invece un’espressione avverbiale temporale; l’espressione è bbello e bbuono che non si riferisce a persona o cosa di genere maschile, esteticamente gradevole o moralmente positiva, ma è, come ò anticipato un’ espressione avverbiale con valenza temporale e sta per all’improvviso con riferimento ad una situazione che da positiva (bella e buona) che era si sia mutata d’improvviso in maniera negativa es.: bbello e bbuono s’è miso a chiovere(d’improvviso è cominciato a piovere); ‘ncannaccata = ingioiellata;part. pass. f.le agg.vato dell’infinito ‘ncannaccà= provvedere di collane denominale da in→’n + cannacca (dall’arabo hannaqa= monile, collana); chiachiello agg.vo e sost. m voce quasi desueta che indicò in primis un uomo di bassa statura e poi per estensione semantica lo sciocco credulone, il babbeo di nessuna personalità,l’inetto, l’incapace, il mancator di parola, il bonaccione, il banderuola aduso a mutar continuamente parere ed intenti e pertanto un essere inetto,spregevole, persona di scarsa serietà; quanto all’etimo si può supporre una base lat. cloac(u)la + il suff.masch. iello oppure, ma meno probabilmente,da collegarsi al greco kophòs=babbeo voce che però già diede il seguente chiafèo morfologicamente piú rispondente alla derivazione dalla voce greca; chiafeo: antichissima voce, quasi desueta che indica lo sciocco, il grullo, il melenso etimologicamente da collegarsi al greco kophòs = babbeo, attreverso l’aggettivo kophàîos; 4. DDOJE FEMMENE E 'NA PAPERA ARREVUTAJENO NAPULE.alibi anche ‘NA FEMMENA E 'NA PAPERA ARREVUTAJENO NAPULE. Ad litteram: Due donne ed un'oca misero a soqquadro Napoli. Alibi anche: Una donna ed un’oca misero a soqquadro Napoli Uno dei consueti motti antimuliebri (presentato in duplice versione di cui la seconda molto piú sarcastica) dell' antica cultura partenopea, motto nel quale si pogono in ridicolo le donne ritenute cosí eccessivamente rumorose e/o ciarliere al segno che bastano due donne o addirittura una sola donna ed una starnazzante oca per scatenare un putiferio che può giungere addirittura a coinvolgere un'intera città.Non dimentichiamo che le starnazzanti oche (qui papere) del Campidoglio difesero la città di Roma quando nel 390 a.C. [ o per alcuni, nel 387 a.C.] con il loro starnazzare destarono il valoroso Marco Manlio che lanciò l’allarme come rammentato nell’episodio dell’assedio della città da parte dei Galli comandati da Brenno; nè è dato sapere con certezza, anche se è ipotizzabile, se le oche sacre a Giunone fossero governate da donne che gridando si unirono alle oche. ddoje = due agg.vo f.le al m.le duje/dduje ( dal lat. m.le duo, f.le duae) fémmene s.vo f.le pl. di fémmena 1 nome generico di ogni individuo umano o animale portatore di gameti femminili atti a essere fecondati da quelli maschili, e quindi caratterizzato dalla capacità di partorire figli o deporre uova 2essere umano di sesso femminile; donna, bambina; 3 parte di un congegno destinata a riceverne un'altra nel suo interno ( voce dal lat. femina(m), voce connessa con fecundus 'fecondo' con raddoppiamento espressivo della consonante nasale bilabiale (m) postonica tipico nello parole sdrucciole) papera s.vo f.le 1 oca giovane e pingue | (fig.) donna sciocca e ciarliera 2 (fam.) errore commesso parlando in pubblico o recitando; anche, lapsus: fà, piglià ‘na papera (fare, prendere una papera); la voce etimologicamente è la femminilizzazione del s.vo papero (che piú che voce onomatopeica penso sia dallo spagnolo papero da collegarsi al tardo latino paparu(m). A proposito della necessità di avere due termini simili, ma di genere diverso, rammento che in napoletano un oggetto (o cosa, animale etc. quale che sia) è inteso se maschile piú piccolo o contenuto del corrispondente femminile; abbiamo ad . es. ‘a tavula (piú grande rispetto a ‘o tavulo piú piccolo ),‘a tammorra (piú grande rispetto a ‘o tammurro piú piccolo ), ‘a cucchiara(piú grande rispetto a ‘o cucchiaro piú piccolo), ‘a carretta (piú grande rispetto a ‘o carretto piú piccolo ); ),‘a canesta (piú grande rispetto a ‘o canisto piú piccolo ), fanno eccezione ‘o tiano che è piú grande de ‘a tiana e ‘o caccavo piú grande de ‘a caccavella. Nella fattispecie ‘o papero è animale morfologicamente piú piccolo o meno pasciuto de ‘a papera che è più grossa e/o pasciuta. arrevutajeno = misero a soqquadro voce verbale 3ª pers. pl. pass. rem.) dell’infinito arrevutà = rivoltare, mettere a soqquadro, mettere in gran disordine; etimologicamente deverbale del lat. volg. *volutare→ad+revolutare→arrevolutà→arrev(ol)utà→arrevutà, intensivo di volvere 'volgere' Napule nome della città partenopea (dal greco Neapolis = città nuova, nome che fece seguito a quello di Palepoli = città vecchia che fu quella fondata tra il IX e l'VIII secolo a.C. da coloni greci sulle pendici del monte Echia). 5.PARE ‘A MUSECA D’ ’A BARRA OPPURE ‘A MUSECA CIAPPUNESA Sembra la musica di Barra o la musica giapponese. Cosí i napoletani - abituati a ben altre armoniche melodie – sogliono sarcatimente riferirsi a riunioni piú o meno rumorose e fastidiose ed altresí definire quelle accozzaglie di suoni e rumori in cui vengon coivolti strumenti musicali, ma che con la vera musica ànno ben poco da spartire. Quando ancóra esisteva la magnifica festa di Piedigrotta, spesso a Napoli per la strada si potevano incontrare gruppetti di ragazzi che producevano una dissonante musica, détta: musica giapponese, servendosi di particolari strumenti musicali popolari quali: scetavajasse, triccabballacche, tamburelli,trombette,zufoli, zerrizzerre e caccavelle/putipú ; uno dei gruppetti piú noti fu quello proveniente dal popoloso e popolare quartiere di Barra(un quartiere di Napoli, situato nella zona orientale della città, sulle pendici occidentali del Vesuvio.); il gruppetto numerosissimo e rumorosissimo, formato da monelli forniti di quei strumenti or ora elencati, soleva recarsi a piedi e suonando , quasi in processione, alla festa di Piedigrotta che si svolgeva in zona opposta a quella del loro quartiere di provenienza; scetavajasse, s.vo m.le tipicissimo strumento musicale popolare napoletano, che per il modo con cui è sonato fa pensare ad una sorta di violino, sebbene non abbia corde o cassa armonica di risonanza; esso è essenzialmente formato da due congrue aste lignee di cui una fornita di ampi denti ricavati per incisione lungo tutta la faccia superiore dell’asta corredata altresí di numerosi piattelli metallici infissi, ma non fissati e lasciati invece liberi di ondulare, con chiodini lungo le facce laterali della medesima asta; l’altra asta usata dal sonatore a mo’ di archetto viene fatta scorrere contro i denti della prima asta (tenuta poggiata ,quasi a mo’ di violino, contro la clavicola) per ottenerne uno stridente suono, facendo altresí vibrare ritmicamente i piattelli nel tipico onomatopeico nfrunfrú. Lo strepitío di detto strumento gli à fatto ottenere il nome di scetavajasse che ad litteram suonerebbe: desta-fantesche. Non mette conto illustrare l’origine del verbo scetà che troppo facilmente è riconducibile al latino excitare; piú interessante è dire di vajassa che è la serva, la fantesca;voce che proviene dall’arabo: baassa attraverso il francese bajasse da cui in toscano : bagascia= meretrice. Rammenterò ancóra che con termine vajassa il napoletano designa anche qualsiasi donna sciatta, scostumata, sporca, quando non laida ed addirittura affetta di contagiose malattie come è nell’espressione: Sî ‘na vajassa d’’o rre ‘e Franza che è letteralmente: Sei una serva del re di Francia. La frase è un’offesa gravissima che si può rivolgere ad una donna e con essa frase non solo si intende dare della puttana alla donna, ma accusarla anche di essere affetta dalla sifilide o lue . Tale malattia è stata nei corso dei secoli chiamata dai napoletani mal francese, morbo gallico o celtico; i napoletani sostenevano infatti che detto morbo fosse stato importato in Napoli dai soldati al seguito di Carlo VIII(assedio di Napoli 1494). Per converso il morbo era detto dai francesi mal napolitano poiché affermavano che il morbo era stato diffuso tra i soldati francesi di Carlo VIII dalle prostitute partenopee. A margine di questa voce voglio ricordare una parola che, di per sé non entrerebbe nella trattazione, come che estranea agli strumenti musicali; essa parola è bardascia che una vaga assonanza con bagascia potrebbe indurre i meno esperti della parlata napoletana a collegarla al termine vajassa; in realtà i due termini non ànno nulla da spartire fra di loro; abbiamo visto quale sia la portata di vajassa: serva, donna sciatta o addirittura puttana; la bardascia è invece null’altro che la ragazza e spesso la si poteva incontrare nel simpatico diminutivo – vezzeggiativo bardascella. L’ etimologia di bardascia è originariamente dal persiano bardal attraverso l’ arabo: bardağ che è propriamente la prigioniera, la schiava giovane ed estensivamente la ragazza cosí come nell’ idioma napoletano. triccabballacche, s.vo m.le tipico strumento musicale popolare usato in quasi tutta l’Italia centro –meridionale e non solo dai piccoli concertini rionali popolari, ma anche da piú vaste formazioni addirittura di tipo bandistico, sia pure – in questo caso - surdimensionato; esso è costituito da un’ asta lignea fissa alla cui sommità insiste una testa a forma di parallelepipedo, contro di essa vengono ritimicamente spinte analoghe teste di due aste mobili incerneriate alla base di quella fissa; le teste per aumentare il clangore dello strumento sono provviste dei soliti piattelli metallici. Per ciò che concerne l’etimologia propendo per un’origine onomatopeica (lo strumento è molto rumoroso…), poco convincendomi una derivazione per adattamento dal turco tümbelek; troppo tortuosa mi pare la strada semantica e quella morfologica da percorre per giungere a triccabballacche, partendo da un tümbelek che comunque è un tamburo di rame, molto piú simile ad un timpano (strumento musicale e casseruola di rame stagnato in cui si approntavano timballi o timpani di pasta farcita) che ad un triccabballacche. caccavella s.vo f.le conosciuta anche con il nome onomatopeico di putipú. Tale strumento in origine era formato essenzialmente da una pentola di coccio, pentola non eccessivamente alta, ma di ampia imboccatura sulla quale era distesa una pelle d’ovino, pelle che debordando dalla bocca era fermata con stretti giri di spago, per modo che si opportunamente tendesse; al centro di detta pelle in un piccolo foro è infissa verticalmente un’assicella cilindrica (originariamente una sottile canna) che soffregata dall’alto in basso e viceversa con una pezzuola o una spugnetta bagnate permette di trasmettere le vibrazioni alla pelle che, è tesa sulla pentolina che fa da cassa di risonanza per modo che se ne ottenga il caratteristico suono ( put-pù,put-pù), vagamente somigliante a quello prodotto dal contrabbasso, suono che per via onomatopeica conduce al putipú che, come ò detto, è l’altro nome con cui è conosciuta la caccavella che come tale, quanto all’etimologia, è latina: caccabella(m)=pentolina, quale diminutivo di caccabus = grossa pentola da cui i napoletani trassero caccavo il pentolone della minestra e segnatamente quello usato dai monaci di taluni monasteri per distribuire la zuppa giornaliera ai poveri che la mendicassero; ò parlato di originaria pentola di coccio, giacché attualmente la caccavella, pur usurpando il nome antico, è costruita usando in luogo della pentolina di coccio, tristissime scatole cilindriche di latta e la pelle non è piú ovina, ma squallidamente sintetica di tal che è piú opportuno chiamare questo indegno strumento putipú lasciando l’originaria caccavella al degnissimo strumento d’antan! putipú s.vo m.le zerrizzerre s.vo m.le = raganella, strumento/giocattolo che produce un suono particolarmente stridulo (voce onomatopeica); 6.S’È ARAPUTA ‘A PRUFUMMARIA ‘E BERTELLE Si è aperta la profumeria di Bertelli Espressione sarcastica da intendersi un senso antifrastico e cioè per significare che si avverte un gran cattivo odore, espressione usata per commentare negativamente l’apparire di persona (uomo o piú spesso donna) che per mancanza di igiene personale lasci attorno a sé una scia di cattivo odore. In realtà la profumeria di Bertelli fu nel tardo ‘800 – primi ‘900 una rivendita di ottimi profumi prodotti dall’industria di Achille Bertelli(Brescia 1855 -† ivi 1925).Costui fu un i ndustriale e pioniere dell'aeronautica italiano e fondò (1884) la società A. Bertelli e Co., produttrice di profumi e cosmetici. In campo aeronautico, ideò e costruì un tipo di elicottero; con V. Cordero di Montezemolo ideò (1905-06) un aeromobile a sostentazione mista (statica e dinamica), détto aerostave, che non ebbe però sviluppi pratici. Fu nella seconda metà dell’Ottocento -nel 1888- che Achille Bertelli, reduce da un viaggio in America che si era pagato lavorando a bordo della nave che lo trasportava, diede inizio alla sua attività imprenditoriale. Laureato in farmacia, sperimentò e produsse con grande successo un nuovo rivoluzionario cerotto medicamentoso che per decenni alleviò i dolori alla schiena di milioni di pazienti in tutto il mondo. Rapido fu il passaggio alla cosmesi, con la produzione di saponi profumati e della crema Venus, nome che venne in sèguito attribuito a tutta una serie di prodotti Bertelli; ma fu il fratello Vittorio a dare impulso alla linea cosmetica, subito dopo la prima guerra mondiale, iniziando la produzione di profumi, ciprie e creme per la donna moderna, e aprendo negozi di profumeria nelle maggiori città italiane per la vendita al minuto di prodotti farmaceutici (il famosissimo cerotto Bertelli antinfiammatorio) e successivamente anche dei prodotti di profumeria e cosmesi. Tra i prodotti di cosmesi e profumeria di maggior successo Bertelli sono da ricordare La Rosa, Asso Di Cuori, Ebbrezza Marina e Come Tu Mi Vuoi,che oltre a vincere un premio all’Esposizione di Parigi del 1937 -fatto piú unico che raro per un profumo italiano, in terra di Francia - aveva come testimonial la famosissima attrice Greta Garbo, nome d'arte dell'attrice cinematografica Greta Louisa Gustafsson (Stoccolma 1905 -† New York 1990). prufummaria s.vo f.le 1 l'arte di preparare profumi; il laboratorio in cui si preparano 2 assortimento di profumi e cosmetici; il negozio in cui essi vengono venduti. voce denominale di prufummo [derivazione di fummo (fumo), in quanto in origine, la parola indicò l’effluvio, il suffumigio con sostanze odorose]. 7.SE MAGNA ‘A FRONNA ‘E LAURO E ‘O FECATIELLO Si mangia (inghiotte) la foglia d’alloro ed il fegatello. Icastica espressione usata per irridire chi ingordo, smodato nel mangiare e bere, ma anche figuratamente bramoso, avido di qualcosa, abbia un atteggiamento vorace, insaziabile o smodatamente assetato, desideroso, cupido al segno che nella fattispecie dell’espressioni divori con il fegatello, anche la foglia d’alloro usata per aromatizzarlo, ma che normalmente, dopo la cottura va scartata! fronna s.vo f.le foglia, frasca ( voce dal lat.fronde(m)→fronne(m)→fronna con assimilazione progressiva (nd→nn), lauro s.vo neutro alloro, 1 albero alto fino a dieci metri, con frutti neri e foglie coriacee aromatiche; per le sue foglie sempreverdi è simbolo della fama e della gloria 2 le fronde e le foglie stesse dell'albero usate come aromatizzante. ( voce dal lat.laure(m)→lauro) fecatiello s.vo neutro fegatello, pezzetto di fegato di maiale, avvolto nella sua stessa rete (peritoneo), guarnito con una foglia d’alloro e cucinato in padella o allo spiedo. ( voce diminutiva (cfr. il suff. iello) dal lat.ficatu(m)=fegato; da ficatu(m)→ fécato e poi fecatiello). 8.S’È ‘MMARETATA CU ‘NU SCIORE ‘MMOCCA Ad litteram: Si è sposata con un fiore in bocca Id est: à fatto ricorso a nozze riparatrici, nozze celebrate dopo che la donna fosse stata piú o meno consenzientemente violata: insomma nozze celebrate in extremis. L’espressione decisamente irridente è usata per dir male di donna sulla cui onestà prematrimoniale ci sia di che dubitare, prende comunque le mosse da un’antichissima usanza d’epoca viceregnale(XV-XVI sec.) allorché quando decedesse una ragazza in età da marito le veniva posto una rosa fra i denti. Il rapporto semantico tra quest’usanza ed il significato dell’espressione in esame è da cogliersi nel fatto che le nozze celebrate a riparazione sostanziano una sorta di morte morale della donna che vi debba ricorrere; mentre il rapporto semantico ironico si coglie tenendo presente che la rosa posta tra i denti di una ragazza morta indicava ch’ella era in età da marito, mentre un’eventuale rosa posta tra i denti di una donna violata indicherebbe non la sua giovane età, ma la sua scostumatezza! ‘mmaretata della voce verbale s’è ‘mmaretata è il part. pass. f.le di ‘mmaretà(rse)= sposarsi, prender marito ; a proposito del verbo toscano sposare rammento che essa voce toscana è voce (etimologicamente dal lat. sponsare 'fidanzarsi', deriv. di sponsus, part. pass. di spondíre 'promettere') che, nell’italiano, può essere usata indifferentemente riferita sia all’uomo che alla donna, mentre nella parlata napoletana, d’uso corrente, abbiamo due verbi che traducono lo sposare italiano e sono: ‘nzurà/’nzurarse che si usa riferito all’uomo, mentre riferito alla donna occorre usare ‘mmaretarse. Analizziamo le singole voci; ‘nzurà/’nzurarse esattamente è prendere in moglie e dunque sposare/sposarsi; il verbo a margine infatti quanto all’etimo è dal latino in + uxorare = prendere in moglie; ‘mmaretà/’mmaretarse è invece prendere marito; va quindi riferito alla donna che sposandosi prende marito; quanto all’etimo è dal latino in + maritus 'marito'; e già il latino ebbe maritare, derivato di maritus 'marito'; Rammenterò ora che nel napoletano, oltre alle voci indicate vi fu un tempo una voce (peraltro non piú in uso, né nel parlato, né nello scritto) che ebbe carattere generico (simile allo sposare toscano ) tanto da fare usare la voce sia riferita all’uomo che alla donna; tale voce fu ‘nguardià/’nguardiarse che significò esattamente prometter nozze ed estensivamente sposare, prender marito o prender moglie. Di non facile lettura l’etimologia della voce ‘nguardià; la tesi piú convincente è quella che prevede un inguadiare con successiva aferesi dell’ i nella sillaba d’avvio, ed epentesi di una r eufonica; a sua volta inguadiare che è da collegarsi ad inguadalía (promessa di nozze) pare che derivi da un latino in + guadius che è promessa, pegno, fideiussione; taluni traducono l’ inguadiare: porre l’anello all’anulare della mano destra.Non penso che si possa accettare la tesi peregrina di chi volle leggere inguadiare non come derivato da in + guadius , ma da un non perseguibile in + gaudium letto metateticamente gadium forse volendo lasciare intendere che lo sposarsi fosse quasi un pervenire al gaudio; c’è molto poco di scientifico in tale congettura; mi pare piú una paretimologia, che un’etimologia; dissento. sciore s.vo m.le fiore (voce dal lat. flore(m) con normale evoluzione del lat. fl seguíto da vocale in sci come in flumen→sciummo, flacces→scioccele etc.). ‘mmocca ne ò già detto antea sub 32. 9.SE SO’ APPARATE ‘E VEPPETE E NN’À AVUTA UNA PE BBEVERE E UNA PE SCIACQUÀ! Ad litteram: Si è provveduto a render pari le bevute e ne à avuto una per bere ed una per sciacquare! Id est: si è impartita una solenne lezione, non lasciando le cose a mezzo, ma redarguendo a fondo ed anche violentemente chi lo meritasse; rammento che nel gergo malavitoso dà ‘na veppeta (dare una bevuta) sta per battere, percuotere, colpire, malmenare, pestare, lisciare con riferimento semantico al cosiddetto giuoco del tuocco/padrone e ssotto o altrove passatella incentrato su bevute collettive di vino che spesso sfociavano in risse con percosse ed accoltellamenti tra i giocatori; la successiva specificazione: una per bere ed una per sciacquare sempre con riferimento a successive percosse fa riferimento ad un’ipotetica situazione in cui sia in atto una deleteria gara di bevute reali tra due persone di cui uno si continua a satollarsi di vino magari accontendandosi di una sciacquatura ossia di vino addizionato d’acqua, o anche di vino puro usato però a mo’ di risciacquo della bocca da una precedente bevuta, e l’altro lo faccia ancóra di piú bevendo senza ritegno come nell’antico giuoco del padrone e sotto (gioco derivato da quello détto tuocco) che si svolgeva nelle bettole tra due giocatori di cui uno – il padrone – poteva imporre o negare all’altro – il sotto – innumerevoli bevute di vino con l’aggravio di dover in ogni caso pagare il vino bevuto. apparate appaiate, rese pari voce verbale part. pass. f.le dell’infinito apparà= appaiare, render pari; voce denominale di paio/paro che è dal lat. paria, neutro pl. di par paris 'pari'; véppete s.vo fle pl. di véppeta 1 il bere; la quantità di liquido bevuta in una volta:farse ‘na bbella véppeta (fare una bella bevuta), bere abbondantemente; anche iron., quando si nuota. 2 riunione in cui si beve, spec. vino o altri alcolici: Piero ci ha invitato a una bevuta in casa sua. 3 (ironico e gergalecome nel caso che ci occupa) sonora, dura percossa; per soffermarci sull’etimologia converrà dire di vippeto = bevuto, ubriaco ; è il part. pass. collaterale di vevuto dell’infinito vevere← lat. bibere che diede direttamente vevere con consueta alternanza partenopea di b/v (cfr.barca →varca, botte →vótta, basiu(m)→vaso” ecc.), ma forní anche come deverbale il s.vo f.le veppeta= bevuta attraverso un acc.vo tardo latino bíbita(m)→*bíbbita→bippta→vippta→veppeta; è ipotizzabile che da questo s.vo si sia ricavato il p.pass. víppeto collaterale di vevuto. Tuttavia si può comodamente ipotizzare anche una diretta provenienza da "bíbere (→ vévere)", il cui regolare participio passato *bíbitum →*bíbb(i)tum (col normale raddoppiamento espressivo di "-b- " intervocalica in parole sdrucciole) → *vipptum (con "pt" per omorganizzazione e poi con l'inserimento della vocale evanescente d'appoggio nel nesso consonantico per ovvia facilitazione della pronunzia)...A meno che un "bíbitu(m)→*vipeto di partenza non abbia subíto raddoppiamento nella consonante della penultima sillaba "-p-" come avviene nelle parole sdrucciole di sviluppo popolare nell’idioma napoletano e nel dialetto fiorentino-italiano: cfr. "fémina(m) → fémmena/femmina, pàrochu(m)→parroco/parrucchiano, hòmines→*hòmini→ uómmene, públicu(m)→pubblico" ecc. (senza dimenticare che nel Medioevo anche la grafia di "Africa" sia risultata il petrarchesco "Affrica"). bévere/vévere = bere, assumere liquidi (dal lat. bibere con alternanza b→v nella seconda sillaba ed assimilazione regressiva nella morfologia vevere ; sciacquà = sciacquare, lavare sommariamente con acqua; lavare con acqua una cosa già lavata per toglierne i residui di detersivo o di sapone: sciacquà ‘e piatte, ‘e panne(sciacquare i piatti, i panni) |sciacquarse ‘a vocca ( sciacquarsi la bocca), fare sciacqui con acqua o con una soluzione medicamentosa; per estens., bere una piccola quantità di qualcosa; ironicamente riferire i fatti altrui.(dal tardo lat. (e)xacquare per il classico (e)xaquare) talora è usato per significare impotenza, difettosità come nel caso che riferito ad es. ad un uovo non del tutto sviluppato, ne indica la incompletezza e dunque sia un uovo lento, molle e senza vigore; alla medesima stregua l’aggettivo sciacquo riferito ad un uomo lo significa difettoso, impotente, privo di vigore tal quale un vino allungato con troppa acqua, e come tale costretto ad un’azione lenta, molle, senza vigore e/o decisione. 10 . TIRARSE ‘A CAUZETTA Ad litteram: tirar su la calza Id est: estraniarsi da una vicenda, star sulle proprie, disinteressandosi di ciò che avviene attorno; ma anche: lasciarsi molto pregare o attendere prima di concedere alcunché; la locuzione richiama l'abitudine che avevano le iberiche persone di medio-alto rango che negli anni del 17ª secolo, erano usi indossare lunghe calze di seta, e per distinguersi da quelli di piú basso ceto, che indossavano calze corte o cadenti, usavano tirarle continuamente verso il ginocchio. Tali altolocati personaggi erano quelli che, per abitudine evitavano di interessarsi a ciò che accedeva intorno a loro sia per non lasciarsi coinvolgere sia per non esser fatti destinatari di richieste o aiuti ai quali - comunque - avrebbero provveduto solo dopo molte preghiere. tirarse forma riflessiva del verbo tirà = tirare, imprimere a qualcosa o a qualcuno un movimento per tenderlo, avvicinarlo a sé, trascinarlo nella propria direzione (voce dal lat. volg. *tirare, alterazione del class. trahere 'trarre'; cauzetta s.vo f.le dim. di calza 1calza lunga da uomo | fà ‘a cauzetta (fare la calzetta), lavorare a maglia; (figuratamente) si dice di donne che si dedicano esclusivamente alle faccende domestiche; 2 calza di seta da donna; 3 meza cauzetta (mezza calzetta), (fig. spreg.) persona di scarse capacità, di modesta levatura. etimologicamente diminutivo (cfr. il suff. etta) del lat. mediev. calcea(m), dal class. calceus 'scarpa, stivaletto';normale nel napoletano l’evoluzione del nesso al + consonante in au (cfr. caldaia→caurara, gelsa→ceuza, altus→auto. 11.SE SCIÒVONO ‘E CANE SI S’ATTACCANO ‘E PPRETE Ad litteram: Si liberano i cani se si uniscono le pietre. L’espressione sostanzia una sorta di avveduta norma comportamentale e cioè che in caso di necessità occorre premunirsi, ossia provvedersi di ciò che serva di difesa; nella fattispecie, esemplificando, occorrerà sciogliere i cani ché facciano buona guardia tenendo lontano da una casa in costruzione ladri e/o malintenzionati (camorristi e simili adusi a estorcere alle ditte di costruzioni somme di danaro).Va da sé che il consiglio contenuto nell’espressione di sciogliere i cani cioé di fornirsi di adeguati mezzi di protezione o di deterrenza, possa essere applicato in ogni occasione e non soltanto in caso di costruzioni in atto. sciòvono = sciolgono voce verbale(3ªpers. pl. ind. pres.)dell’infinito sciòvere = sciogliere,liberare, slegare, slacciare, sbrogliare, dipanare etc.( dal Lat. exsolvere→exso(l)vere→sciòvere, comp. di ex- 'via' e solvere 'sciogliere' attaccano = (lett.) attaccare, unire fra loro due o piú cose per mezzo di cuciture, legature, sostanze adesive o altro; farle aderire strettamente:...(in unione al s.vo prete(pietre)), innalzare, metter su; voce verbale(3ªpers. pl. ind. pres.)dell’infinito attaccà = attaccare, unire etc. (voce comp. di ad→at e taccare 'apporre la 'tacca' il contrassegno che i mercanti fiorentini apponevano sulle stoffe importate per indicarne prezzo d'origine e costo del trasporto. prete s.vo f.le pl. di preta = in gen. pietra,rif. alle costruzioni mattone, blocco da costruzione; voce lettura metatetica del lat. . petra(m)→preta(m), che è dal gr. pétra. 12.S’À PIGLIATO ‘E TTÀBBARE Ad litteram: Si è preso le moine; id est: si è lasciato circuire. Détto sarcasticamente di un/una innamorato/a che non à avuto modo di accorgesi d’esser tradito dalla controparte, irretito/a com’era dalle moine e svenevolezze usategli al fine di ingannarlo/a e tenergli/le celato il tradimento. tàbbare s.vo f.le pl. di tàbbara = moina, svenevolezza (dallo spagnolo tàbara= filastrocca). 13. JÍ CU ‘O MUSSO DINT’ MMERDA. variante JÍ CU ‘A FACCIA DINT’Ô PANECUOTTO. Ad litteram: Finire con il muso nello sterco variante finire con la faccia nel pan cotto. La locuzione in esame e la sua variante sono usate per significare lo stupido comportamento di tutti coloro che per propria ingenuità o insipienza finiscono per fare meschine figure al pari (cfr. variante) di un bimbo che si sia imbrattato il volto mangiando del pan cotto; la prima parte molto piú dura ed icastica prende a modello il comportamento del maiale che frugando nel porcile alla ricerca di cibo, spesso affonda il muso nei suoi stessi escrementi, e tale comportamento viene appaiato ai presuntuosi atteggiamenti di coloro che abituati a fare i saccenti ed i supponenti spesso vedono le loro affermazioni, se non le loro azioni vanificate queste e contraddette quelle, dalla chiara realtà e finiscono per fare figure cosí meschine da esserne quasi insozzati come un porco dal suo sterco. jí/ghí = andare, finire etc.;è verbo che à la derivazione dal lat. ire, ed in napoletano son numerose le locuzioni formate con détto infinito jí/ghí .Preciso che in napoletano la grafia corretta dell’infinito è – come ò scritto – jí oppure in talune espressioni ghí/gghí (cfr. a gghí a gghí= di misura) dove la j è sostituita per comodità espressiva dal suono gh; è pertanto assolutamente errato (come purtroppo càpita con la stragrande maggioranza di sedicenti scrittori napoletani noti o meno noti!) rendere in napoletano l’infinito di andare con la sola vocale i talvolta accentata (í) talvolta, peggio ancóra!, seguíta da uno scorretto segno d’apocope (i’); la (i’) in napoletano è l’apocope del pronome io→i’ e non può essere anche l’apocope dell’infinito ire; l’infnito di andare in corretto napoletano è jí oppure in talune esopressioni ghí/gghí cosí come espressamente sostenuto dal poeta Eduardo Nicolardi (Napoli 28/02/1878 -† ivi 26/02/1954) che era solito far coniugare per iscritto in napoletano il verbo andare (jí) a tutti coloro che gli sottoponevano i loro parti… poetici dialettali e quando errassero nello scrivere, vergando (í) oppure (i’) in luogo di jí oppure [ove del caso] in luogo di ghí, li metteva decisamente alla porta consigliando loro di abbandonare il napoletano e la poesia! A margine rammento che il verbo jí/ghí nella coniugazione dell’indicativo presente (1ª,2ª e 3ª pers. sg.) si serve del basso latino *vadere/vadicare (con sincope dell’intera sillaba de/di) ed à: i’ vaco,tu vaje, isso va, mentre per 1ª e 2ª pers. pl.usa il tema di ji –re ed à nuje jammo, vuje jate per tornare a *va(di)c-are per la 3ª ps. pl che è lloro vanno. musso s.vo m.le 1(lett.) muso degli animali, la parte anteriore della testa degli animali: il muso del cavallo, del cane 2 (scherz. o spreg.) il viso dell' essereumano; 3 (per metinomia) le sue labbra ; voce dal lat. musu(m)→mussu(m) con raddoppiamento espressivo della fricativa dentale (s); dint’â = nella prep. art. formata da dinto per in e l’articolo ‘a(la) ; rammento che con la preposizione in in italiano si ànno nel = in+il, nello/a= in+lo/la nelle = in+ le, negli = in+ gli; in napoletano per formare analoghe preposizioni, si fa ricorso alla preposizione impropria dinto (dentro – in dal lat. d(e) int(r)o→dinto); come ò già détto alibi e qui ripeto: le locuzioni articolate formate con preposizioni improprie ànno nel napoletano tutte una forma scissa, mantenendo separati gli articoli dalle preposizioni e mentre nell’italiano s’usa far seguire alla preposizione impropria il solo articolo, nel napoletano occorre indefettibilmente aggiungere alla preposizione impropria non il solo articolo, ma la preposizione articolata formata con la preposizione semplice a ( ad es. nell’italiano si à: dentro la stanza, ma nel napoletano si esige dentro alla stanza e ciò per riprodurre correttamente il pensiero di chi mentalmente articola in napoletano e non in italiano) per cui le locuzioni articolate formate da dinto a e dagli articoli ‘o (lo/il), ‘a (la) ‘e (i/gli/le) saranno rispettivamente dint’ô dint’â, dint’ê che rendono rispettivamente nel/néllo,nélla,negli/nelle. mmerda s.vo f.le =1 escremento, sterco 2 (fig.) cosa che disgusta, persona spregevole, situazione ripugnante | nella loc. agg. ‘e mmerda (di merda), pessimo, spregevole; voce dal lat. merda(m). faccia s.vo f.le = 1 la parte anteriore della testa umana, dalla fronte al mento; viso, volto: 2(estens.) espressione, atteggiamento del volto; 3 (fig.) apparenza, aspetto; 4 (geom. , min.) ciascuno dei piani che costituiscono la superficie di un poliedro o di un cristallo; voce dal lat. volg. *facia(m), per il class. fací¸e(m) 'forma esteriore, aspetto, faccia', deriv. di facere 'fare'. panecuotto s.vo neutro zuppa di pane bollito, condita con sale, olio o burro, formaggio grattugiato ed eventualmente altri ingredienti (p. e. uovo o pomodoro fresco) | tené ‘o ppanecuotto ô pizzo d’ ‘e cerevelle(avere il pancotto al posto del cervello), (fig. fam.) essere sciocco. è voce formata per agglutinazione di pane ←pane(m) e l’agg.vo cuotto (part. pass. m.le dell’infinito còcere (dal lat. volg. *cocere, per il class. coquere. 14. SÎ ‘NA BBONA SCORZA ‘E CASO MULLESO Sei una grossa scorza di formaggio molle Icastica divertita espressione dalla doppia valenza: a) la si usa in senso antifrastico ed ironico in riferimento a chi sia tanto taccagno ed avaro da non lasciare scalfire neppure la buccia delle proprie sostanze; ò parlato di senso ironico ed antifrastico poi che si sa che i formaggi molli ànno tutti una scorza abbastanza tenera tale da potersi scalfire persino con un’unghia, laddove le sostanze dell’avaro ànno una scorza (protezione) ben piú spessa e dura che non quella tenera d’un formaggio molle. b) usata in senso piú diretto e semanticamente esatto in riferimento a chi sia cosí ammantato di falsità e doppiezza, slealtà, ambiguità che però inutilmente riesce a mascherare atteso che la sua scorza figurata è cosí di poca consistenza da lasciar scorgere facilmente quale sia il suo vero sostrato di individuo finto, ipocrita, inattendibile, infido; delle due valenze, quella che trovo piú confacente alla semantica dell’espressione, è chiaramente quella sub b). bbona agg.vo f.le del m.le bbuono à un gran ventaglio di significati e può valere conforme al bene; onesta, moralmente positiva, che à mitezza di cuore, mansueta, bonaria ed ancóra abile, capace; oppure detto di cosa: utile, efficace, efficiente ma pure (mantenendo l’etimo dal lat. bona(m)=buona – sta per, come nel caso che ci occupa grossa, spessa ed infine nella locuzione bbella e bbona (bella e buona) vale piacente, appetibile, che risveglia i sensi; da rammentare poi che in napoletano esiste un’espressione che a tutta prima parebbe maschile ed invece è neutra: bbello e bbuono che non si riferisce a persona o cosa esteticamente gradevole o moralmente positiva, ma à una valenza quasi temporale e sta per all’improvviso con riferimento ad una situazione che da positiva (bella e buona) che era si sia mutata d’improvviso in maniera negativa peggiorando; scorza s.vo f.le 1 rivestimento del fusto e delle radici degli alberi: staccare una scorza di quercia | buccia grossa di alcuni frutti: ‘a scorza d’ ‘e castane; ‘na scorza ‘e limone(la scorza delle castagne; una scorza di limone). 2 (estens.) buccia grossa di formaggi duri 3 (estens.) pelle di alcuni animali, spec. di pesci e serpenti 4 (fig.) pelle dell'uomo (spec. in alcune loc. dell'uso fam.): tené ‘a scorza tosta (avere la scorza dura), sopportare bene le fatiche, gli strapazzi, i malanni 5 (fig.) aspetto esteriore, apparenza: nun guardate â scorza pecché tène ‘o core bbuono!(non badate alla scorza perché à il cuore buono). Voce dal lat. scortea(m) 'veste di pelle', f. sost. dell'agg. scorteus, deriv. di scortum 'pelle'. casomulleso formaggio a scorza morbida ed a pasta tenera voce formata dall’agglutinazione del s.vo caso con l’agg.vo mullese: caso s.vo neutro cacio, formaggio ( dal lat. case(m)), mullese agg.vo m.le e neutro (di cosa) morbido, molle, soffice, tenero, morbido ( per traslato di persona) debole, fiacco, moscio, imbelle, smidollato; voce dal lat. molle(m) con allungamento espressivo ese (suffisso che continua il lat. volg. esis ed indica appartenenza o qualità): molle(m)+ ese→mollese→mullese. 15.SÎ PPROPETO STRITTO ‘E PIETTO Sei proprio di petto stretto Détto sarcasticamente di chi sia tanto avaro, taccagno, spilorcio da lesinare persino sull’ampiezza dei vestiti ed indossarne di striminziti piccoli, miseri, cuciti addosso, tali da fare apparire la figura sottile, mingherlina, snella, minuta, delicata, debole come di colui che avesse un petto privo di forme, rinsecchito e smagrito ; va da sé che l’espressione è estensivamente applicabile a chi la propria avarizia e taccagneria la faccia pesare anche in senso morale lesinando non solo gli aiuti materiali (danaro, provvidenze), ma anche quelli spirituali e/o morali(consigli, parole buone, suggerimenti, pareri, avvertimenti, esortazioni, incitamenti. pròpeto avv. 1 proprio, veramente, davvero, precisamente, sí, per l'appunto (come risposta affermativa o ironica per negare): «Site state vuje?» «Pròpeto!» («Siete stati voi?» «Proprio») per dire di sí; «Site state vuje a pigliarve ‘o ppane?» «Pròpeto comme dice»(«Siete stati voi?» «Proprio come dici» per negare. 2 assolutamente, affatto (come rafforzativo di una negazione): nun tengo pròpeto suonno (non ò proprio sonno); nun è pròpeto overo! ( non è proprio vero!); nun ne sapevo pròpeto niente (non ne sapevo proprio nulla); voce adattamento popolaresco e regionale dell’espressione latina pro-privo→prop(r)ivo→propivo→propito→pròpeto: 'a titolo privato'. stritto = stretto part. pass. agg.vato m.le dell’infinito strégnere= stringere, premere, comprimere, pressare;voce che è lettura metatetica del lat. stringere→strignere→strégnere pietto s.vo m.le = 1 la parte anteriore del tronco umano, compresa tra il collo e l'addome | malatia ‘e pietto (malattia di petto), che riguarda i polmoni o i bronchi; esseredebbulo ‘e pietto (essere debole di petto), delicato di polmoni | voce ‘e pietto(voce di petto), quella piú naturale e limpida | do ‘e pietto (do di petto), il piú acuto che può emettere un tenore | metterse ‘na mana ‘mpietto(mettersi una mano al/sul) petto, per attestare la propria onestà, lealtà | vatterse ‘mpietto(battersi al petto), in segno di pentimento, di contrizione piglià coccosa, quaccuno ‘e pietto( ' prendere qualcosa, qualcuno di petto,)(fig.) affrontarlo decisamente, con irruenza stà a ppietto ' (stare a petto), (fig. non com.) reggere al paragone | pietto a ppietto(petto a petto), viso a viso, di fronte. 2 (fig.) cuore, animo: tènere ‘mpietto ‘na cosa, ‘na dicisione(avere in petto un'idea, un proposito) prenderli a cuore 3 le mammelle della donna, il seno| tènere ‘nu criaturo ô pietto(avere un bimbo al petto), allattarlo | tènere, nun tènere pietto(avere, non avere petto), nel linguaggio corrente, avere il seno ben sviluppato o scarso; chella figliola era forte ‘e pietto (quella ragazza era forte di petto), aveva un seno prosperoso 4 la parte del corpo degli animali corrispondente al petto umano | in macelleria, taglio di carne bovina compresa tra il collo ed i lati; negli uccelli, la parte carnosa sopra lo sterno: pietto ‘e pullasto, pietto ‘e vallerinio(petto di pollo, di tacchino). 5 parte di un vestito che copre il petto: jeppone a unu pietto, a dduppie/dduje piette(giacca ad un petto, a doppio petto o a due petti), quando le due metà del davanti si sovrappongono sul petto. voce dal lat. pĕctu(s)→piectu(s)→piettu(s)→piétto. 16.STREGNE CCHIÚ ‘A CAMMISA CA ‘NU JEPPONE Ad litteram: Stringe piú la camicia che una giubba. Espressione che icasticamente vale: Procura piú danno un parente prossimo che un vicino, un amico, un sodale fortuito. L’espressione parte dalla considerazione che la camicia è l’indumento che, indossandosi a pelle, è quello che piú costringe il corpo e può risultare fastidioso, al contrario d’altri indumenti,come la giubba, che indossati sulla camicia non devono essere necessariamente costrittivi e fastidiosi;alla camicia son paragonati i parenti prossimi che, in quanto tali stanno quasi a contatto a pelle viva con una persona e possono arrecarle fastidio o danno, quelli che un vicino, un amico, un sodale fortuito essendo meno congiunti direttamente ed avendo, con ogni probabilità, minori rapporti e/o occasioni di coesistenza, è meno probabile che le possano nuocere o la possano danneggiare al pari di una giubba che è meno a contatto con la pelle dell’individuo; va da sé che nel novero dei parenti stretti siano da considerarsi quegli amici e/o vicini che si comportino da parenti stretti, essendo continuatamene a contatto di una persona. cammisa s.vo f.le camicia indumento maschile e/o femminile di tessuto generalmente leggero, abbottonato sul davanti, con colletto e maniche lunghe o corte, che ricopre la parte superiore del corpo indossato il piú delle volte a pelle nuda. voce dal lat. tardo camisia(m)→cammisia(m)→ cammisa(m) con raddoppiamento espressivo della consonante nasale bilabiale (m); Jeppone s.vo m.le giubba,giaccone, soprabito; voce dall’arabo ğubba→juppa→jeppa addizionato del suff. accrescitivo one. 17. MEGLIO A SSAN FRANCISCO CA 'NCOPP'Ô MUOLO. Letteralmente: Meglio (stare) in san Francesco che sul molo. Id est: di due situazioni ugualmente sfavorevoli conviene scegliere quella che comporti minor danno. Temporibus illis in piazza san Francesco, a Napoli nell’edificio che era stato un convento di francescani (i monaci di sant’Anna) e successivamente la Pretura, erano ubicate le carceri, mentre sul Molo grande era innalzato il patibolo che poi fu spostato in piazza Mercato; per cui la locuzione significa: Meglio carcerato e vivo, che morto impiccato. 18.TENÉ ‘A CAPA A CURREDURO Avere la testa a corridoio.Id est: essere dispersivo. Détto icasticamente e sarcasticamente di chi in cento faccende affaccendato, non ne mena in porto neppure una in quanto di indole oltre che disorganica,anche disordinata e superficiale. La locuzione mette divertitamente in relazione una testa d’un soggetto siffatto e cioè disorganico,dispersivo,disordinato, superficiale ed indolente con un corridoio di appartamento che è quell’ambiente d’una casa su cui si aprono gli usci di tutte le stanze, offrendo a chi frequenti la casa piú possibilità di direzione e/o destinazione, ma quasi in modo anodino amorfo, insulso, insignificante atteso che al corridoio è indifferente la direzione e/o destinazione che uno prenda come è indifferente al soggetto provvisto di testa a corridoio la direzione e/o destinazione che prendono le faccende di cui si occupa senza menarne in porto neppure una! curridore s.vo m.le corridoio, passaggio, generalmente lungo e stretto, che mette in comunicazione locali diversi e sul quale si dischiudono le loro porte. voce deverbale del lat. currere servendosi del suff. di attinenza ore che continua il lat. ore(m). 19.TENÉ ‘A CIMMA ‘E SCEROCCO Ad litteram: tenere la sommità dello scirocco Id est: essere nervoso, irascibile, pronto a dare in escandescenze, quasi comportandosi alla medesima maniera del metereopatico condizionato dal massimo soffio dello scirocco. cimma s.vo f.le cima, sommità, la parte piú alta, l'estremità, la punta, la parte piú prestante o importante di qualcosa. voce dal lat. cyma(m) 'germoglio', dal gr. kýma 'feto, germoglio' con raddoppiamento espressivo della consonante nasale bilabiale (m); scerocco s.vo m.le 1 vento caldo umido che spira da sud-est, tipico delle regioni mediterranee, 2 il punto da cui spira questo vento: sud-est; 3 (per traslato come nel caso che ci occupa)nervosismo, irascibilità, irritabilità, iracondia; voce dal magrebino shuluq→ shuruq→scerocco 'vento di mezzogiorno'. 20.T’ÀGGI’ ‘A FÀ ‘A CAPA VROGNOLE VROGNOLE E N’ASTECO ARRETE Ê RINE! Ad litteram: Devo farti una testa (piena di molti)bitorzoli ed un solaio dietro le spalle. Id est : Devo picchiarti tanto violentemente da lasciarti sulla testa numerosi e dolorosi piccoli rigonfiamenti o protuberanze e da conciarti le spalle come se ci fossero stati compattati a suon di mazzuolo i lapilli usati un tempo per rendere impermeabili i solai. Per comprendere appieno la portata di queste gravi minacce contenute nella locuzione in esame , occorre sapere che con il s.vo f.le vrognole pl. di vrognola (da un acc.vo lat. (pílula(m)) ebúrnea(m)=pallina biancastra;da eburnea→(e)burnea e per metatesi brunea con il diminutivo *brunéola donde il lat. volg. *bruniola→brunjola e risoluzione di nj→gn come in cumpagno←cumpanio/cumpanjo e ritrazione dell’accento tonico oltreché l’alternanza tipica b/v (cfr. bocca→vocca – botte→votta – basiu(m)→vaso etc.)si intende piccoli rigonfiamenti o protuberanze, bernoccoli,procurati da colpi o percosse, mentre per asteco (dal greco óstrakon = coccio) a Napoli si intende il solaio di copertura delle case, solaio che anticamente era formato con cocci di anfore e/o abbondante lapillo vulcanico ammassati all'uopo e poi violentemente percossi con appositi martelli al fine di grandemente compattarli e renderli impermeabili alle infiltrazioni di acqua piovana.Va da sé che il termine vrognole=bernoccoli è da intendersi in senso reale quale risultato di proditorie percosse dirette alla testa, l’asteco/solaio è da intendersi in senso figurato come risultato di violenti percosse indirizzate sulle spalle o la schiena in genere. 21. À TIRATO ‘A SCIAVECA oppure STA TIRANNO ‘A SCIAVECA Letteralmente: À tirato la sciabica oppure Sta tirando la sciabica Ambedue le espressioni sono usate o posteriormente o nel durante ad ironico ed antifrastico commento delle azioni di chi o reduce da o operante un leggero e/o inconferente lavoro, faccia invece cialtronescamente le viste di aver condotto a termine o di star facendo una faticosa incombenza; la sciaveca è la grossa rete a strascico munita di ampio sacco centrale ed ali laterali sorrette da sugheri galleggianti, che viene calata in mare in prossimità della battigia e poi faticosamente tirata a riva a forza di braccia dai pescatori che per poterlo piú agevolmente fare sogliono entrare in acqua fino a restare a mollo con il fondoschiena donde l’espressione: stà cu ‘e ppacche dint’ a ll’acqua id est: star con le natiche in acqua per significare oltre che lo star lavorando faticosamente anche lo star in grande miseria nella convinzione (sia pure erronea) che il mestiere di pescatore non sia mai abbastanza remunerativo. Etimologicamente la parola sciaveca pervenuta nel toscano come sciabica è derivata al napoletano (attraverso lo spagnolo xabeca) dall’arabo shabaka da cui anche il portoghesejabeca/ga. Pacche s. f. pl. di pacca= natica e per traslato ognuna delle piú parti in cui si può dividere longitudinalmente una mela o una pera; etimologicamente la voce è dal lat. med. pacca marcato sul long. pakka. 22. STRUJERE 'E PPRETE Ad litteram: consumare le pietre Riferito al comportamento di chi tenga diuturnamente a piedi sempre il medesimo percorso e ne consumi quasi le pietre; per traslato e sarcasticamente riferito a chi perda accidiosamente il suo tempo, inutilmente bighellonando per istrada. Tale comportamento viene altresí indicato con la locuzione: jí 'ncasanno 'e vasule (andar pestando le pietre di copertura della strada). 23. -SUNNARSE 'O TRAMME ELETTRICO Ad litteram: sognare il tram (a motore) elettrico id est: fantasticare, fare castelli in aria illudendosi di poter raggiungere un improbabile traguardo. Locuzione nata quando ancora le vetture tramviarie erano mosse dai cavalli e la sperata elettrificazione del motore era di là da venire. 24. SUNÀ 'O PIANEFFORTE Ad litteram:suonare il pianoforte ma il riferimento del modo di dire non riguarda lo strumento musicale; attiene invece alla leggerezza di mano dei borseggiatori che le usano con lieve maestria simile a quella dei suonatori di piano. 25.T''A FAJE CU LL'OVA 'A TRIPPA. Ad litteram: Te la fai con le uova la trippa Cosí, con ironia e sarcasmo , s’usa rivolgersi a chi si sia cacciato nei guai o si sia posto in una situazione rischiosa, per salacemente commentare la sua ingrata necessità di adoperarsi, in qualche modo, per venir fuori dalla ingrata situazione in cui si sia infilato; come se si volesse consigliare chi fosse costretto a cibarsi del quinto quarto, a renderlo piú appetibile preparandolo con delle uova. 26.TENÉ 'O CUORIO A PPESONE Ad litteram: avere le cuoia a pigione id est: essere costretti a vivere a rischio continuo, in modo precario, nelle mani della malasorte, in un clima di continua incertezza, come chi - non essendo proprietario di alloggio, sia costretto a prenderne uno in pigione al rischio di vedersi improvvisamente messo fuori dal proprietario. Con il s.vo cuorio (dal lat. cŏriu(m)→cuorio si intende anche in italiano 1 pelle di animale conciata in fogli spessi e semirigidi, per la confezione di oggetti d'uso: borsa, scarpe di cuoio 2 (estens.) pelle dell'uomo: cuoio capelluto; avere il cuoio duro, essere resistente, duro a morire; tirare, stendere le cuoia, morire. 27 -TENÉ 'O FFRÀCETO 'NCUORPO Ad litteram: avere il fradicio in corpo id est: portarsi dentro, tentando di non appalesarle, ingenti carenze intellettive o morali, o - piú spesso - pessime inclinazioni; va da sé che ci sia poco da fidarsi di chi abbia tali carenze o inclinazioni. 28 -TENÉ 'O PIZZO SANO MA 'A SCELLA ROTTA Ad litteram: avere il becco integro ma l'ala rotta Détto ironicamente di chi sia sempre pronto a prendere, ma accampi scuse per esimersi dal dare. Al di là del significato traslato, la locuzione si riferisce in primis a chi sia sempre pronto a mangiare ma sia restío a lavorare adducendo il pretesto di avere un arto fuori uso. 29 - TENÉ 'E PPEZZE Ad litteram: avere le pezze id est: essere ricco, disporre di molto danaro, atteso che qui il termine pezza non sta a significare: straccio, ma (come ò già détto antea sub 16) appunto una moneta; rammenterò a completamento di quanto già détto, che al tempo dei Borbone, nel Reame di Napoli la pezza era il ducato, ben identificata, grossa moneta d'argento détta anche piastra del valore di ben 15 carlini; essere in possesso di tante piastre o pezze significava essere ricco assai. 30. -TENÉ 'E FRUVOLE PAZZE 'INT' Ô MAZZO Ad litteram: avere le folgori pazze nel sedere Riferito soprattutto a ragazzi irrequieti e chiassosi, recalcitranti ai freni ritenuti titolari di folgori pazze [tipo di fuochi artificiali] allocate nel sedere, che con il loro scoppiettío, costringono i ragazzi a non stare fermi e ad agitarsi continuamente. . Letteralmente 'e fruvole sono i fulmini, le folgori dal latino fulgor con rotacizzazione e successiva metatesi della elle ed alternanza di g con v come in gallo→vallo – volpe→golpe – gunnella→vunnella – gallina→vallina; Brak

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