venerdì 20 marzo 2015

VARIE 15/218

1.CANTA CA TE FAJE CANONICO! Letteralmente: Canta ché diventerai canonico Id est: Urla piú forte ché avrai ragione! Il proverbio ironicamente intende sottolineare l'abitudine di tanti che in una discussione, non avendo serie argomentazioni da apportare alle proprie tesi, alzano il tono della voce ritenendo cosí di prevalere o convincere l'antagonista.Il proverbio fa riferimento all’abitudine dei canonici della Cattedrale che son soliti cantare l'Ufficio divino con tonalità spesso elevate, per farsi udire da tutti i fedeli. 2. ARMAMMOCE E GGHIATE. Letteralmente: armiamoci, ma andate! Id est: Tirarsi indietro davanti al pericolo; come son soliti fari troppi comandanti, solerti nel dare ordini, ma mai disposti a muovere i passi verso il luogo della lotta; cosí soleva comportarsi il generale francese Manhès che inviato dal re Gioacchino Murat in Abruzzo a combattere i briganti inviò colà la truppa e restò a Napoli a bivaccare e non è dato sapere se raggiunse mai i suoi soldati. 3. A - CANE E CCANE NUN SE MOZZECANO B- CUOVERE E CCUOVERE NUN SE CECANO LL'UOCCHIE. Letteralmente: A- CANI E CANI NON SI AZZANNANO B- CORVI E CORVI NON SI ACCECANO Ambedue i proverbi sottolineano lo spirito di corpo che esiste tra le bestie, per traslato i proverbi li si usa riferire anche agli uomini, intendosi sottolineare che persone di cattivo stampo non son solite farsi guerra, ma - al contrario - usano far causa comune in danno dei terzi. 4.CCA 'E PPEZZE E CCA 'O SSAPONE. Letteralmente: Qui gli stracci e qui il sapone. Espressione che compendia l'avviso che non si fa credito e che al contrario a prestazione segue immediata controprestazione. Era usata temporibus illis a Napoli dai rigattieri che davano in cambio di abiti smessi o altre cianfrusaglie, del sapone per bucato[détto sapone ‘e piazza, preparato artigianalmente]; quei rigattieri per il fatto di dare sapone erano detti sapunare. 5.TENÉ 'A SÀRACA DINT' Â SACCA Letteralmente: tenere la salacca in tasca. Id est: mostrarsi impaziente e frettoloso alla stregua di chi abbia in tasca una maleodorante salacca (aringa)e sia impaziente di raggiungere un luogo dove possa liberarsi della scomoda compagna. 6.T'AGGI''A FÀ N'ASTECO ARETO Ê RINE... Letteralmente Ti devo fare un solaio nella schiena.Id est: Devo percuoterti violentemente dietro le spalle. Per comprendere appieno la portata di questa grave minaccia contenuta nella locuzione in epigrafe, occorre sapere che per asteco (dal greco ostrakon→ostakon→asteco) a Napoli si intende il solaio di copertura delle case, solaio che anticamente era formato con abbondante lapillo vulcanico ammassato all'uopo e poi violentemente percosso con appositi martelli al fine di grandemente compattarlo e renderlo impermeabile alle infiltrazioni di acqua piovana. 7.ÒGNE ANNO DDIO 'O CUMANNA Letteralmente: una volta all'anno lo comanda Iddio. La locuzione partenopea traduce quasi quella latina: semel in anno licet insanire, anche se i napoletani con il loro proverbio chiamano in causa Dio ritenuto corresponsabile delle pazzie umane quale ordinante delle medesime. 8. PE GGULÍO 'E LARDO, METTERE 'E DDETE 'NCULO Ô PUORCO. Letteralmente: per desiderio di lardo, porre le mani nell'ano del porco. Id est: per appagare un desiderio esser pronto a qualsiasi cosa, anche ad azioni riprovevoli e che comunque non assicurano il raggiungimento dello scopo prefisso. La parola gulío attestato anche come vulío= voglia, desiderio pressante non deriva dall'italiano gola essendo il gulío/vulío non espressamente lo smodato desiderio di cibo o bevande; piú esattamente la parola gulío/vulío è da riallacciarsi al greco boulomai=volere intensamente con consueta trasformazione della B greca nella napoletana G come avviene per es. anche con il latino dove habeo è divenuto in napoletano aggio o come rabies divenuta (a)rraggia. 9.SCIORTA E MMOLE SPONTANO 'NA VOTA SOLA. Letteralmente:la fortuna ed i molari compaiono una sola volta. Id est: bisogna saper cogliere l'attimo fuggente e non lasciarsi sfuggire l'occasione propizia che - come i molari - spunta una sola volta e non si ripropone 10.LL'ARTE 'E TATA È MMEZA 'MPARATA. Letteralmente: l'arte del padre è appresa per metà. Con questa locuzione a Napoli si suole rammentare che spesso i figli che seguano il mestiere del genitore son favoriti rispetto a coloro che dovessero apprenderlo ex novo. Partendo da quanto affermato in epigrafe spesso però capita che taluni si vedano la strada spianata laddove invece al redde rationem mostrano di non aver appreso un bel nulla dal loro genitore e finisce che la locuzione nei riguardi di tali pessimi allievi debba essere intesa in senso ironico ed antifrastico. 11.ATTACCARSE Ê FELÍNIE. Letteralmente: appigliarsi alle ragnatele. Icastica locuzione usata a Napoli per identificare l'azione di chi in una discussione - non avendo solidi argomenti su cui poggiare il proprio ragionamento e perciò e le proprie pretese - si attacchi a pretesti o ragionamenti poco solidi, se non inconsistenti, simili -appunto - a delle evanescenti ragnatele. 12. JÍ FACENNO 'O GGIORGIO CUTUGNO. Letteralmente: andar facendo il Giorgio Cotugno. Id est: andare in giro bighellonando, facendo il bellimbusto, assumendo un'aria tracotante e guappesca alla stessa stregua di tal mitico Cotugno scolpito in tali atteggiamenti su di una tomba della chiesa di san Giorgio maggiore a Napoli. Con la locuzione in epigrafe il re Ferdinando II Borbone Napoli soleva apostrofare il duca Giovanni Del Balzo che era solito incedere con aria tracotante anche davanti al proprio re. 13. 'NCASÀ 'O CAPPIELLO DINT' Ê RRECCHIE. Letteralmente: calcare il cappello fin dentro alle orecchie ossia calcarlo in testa con tanta forza che il cappello con la sua tesa faccia quasi accartocciare i padiglioni auricolari. A Napoli, l'icastica espressione fotografa una situazione nella quale ci sia qualcuno che vessatoriamente, approfittando della ingenuità e disponibilità di un altro richieda a costui e talvolta ottenga prestazioni o pagamenti superiori al dovuto, costringendo - sia pure metaforicamente - il soccombente a portare un supposto cappello calcato in testa fin sulle orecchie. 14. ROMPERE 'O NCIARMO. Letteralmente: spezzare l'incantesimo. A Napoli la frase è usata davanti a situazioni che per potersi mutare hanno bisogno di decisione e pronta azione in quanto dette situazioni si ritengono quasi permeate di magia che con i normali mezzi è impossibile vincere per cui bisogna agire quasi armata manu per venire a capo della faccenda. La parola nciarmo= magia, fascino, incantesimo non deriva dal lat. in+ carmen ma da un francese n(eufonico) + charme 15.'NGRIFARSE COMME A 'NU GALLERINIO. Letteralmente:arruffar le penne come un tacchino. Il tacchino o gallo d'india (da cui gallerinio) allorché subodora un pericolo, si pone in guardia arruffando le penne segno questo - per chi si accosti ad esso - che non lo troverà impreparato.La locuzione è usata a mo' di dileggio nei confronti di chi si mostri spettinato, quasi con i capelli ritti in testa; di costui si dice che sta 'ngrifato comme a 'nu gallerinio, anche se il soggetto 'ngrifato non sia arrabbiato o leso, ma solamente spettinato. 16. - PASSA 'A VACCA Ad litteram: passa la vacca In realtà l'espressione che di solito è usata assieme all'altra: fa acqua 'a pippa (vedi alibi) viene usata per indicare un chiaro, inequivocabile stato di indigenza, una incommensurabile inopia quando manchi tutto e non si abbiano mezzi per procurarsi alcunché.Come facilmente intuibile, i bovini non c'entrano nulla con la lucuzione che è piú semplicemente corruzione di un latino medioevale: passant vacua/passat vacua espressione usata dai doganieri medioevali per segnalare quel/quei carro/i transitante/i vuoto/i di merci e dunque non soggetto/i al pagamento di balzelli. 17. - PASSÀ CU 'A SCOPPOLA Ad litteram: passare con lo scappellotto Id est: godere di un' entrata di favore, avere un avanzamento non meritato, sopravanzare gli altri immeritatamente La locuzione si rifà a quanto accadeva anticamente all'ingresso del teatro dei Pupi allorchè in presenza di una ressa di ragazzi sprovvisti di biglietto e della moneta per procurarselo, il custode usava favorire qualcuno di quei ragazzi e lo spingeva in sala assestandogli un piccolo scappellotto. 18. - PASSARSE 'A MANA P''A CUSCIENZA Ad litteram: passarsi la mano sulla coscienza Id est: farsi un accurato esame di coscienza prima di prendere decisioni ostili o lesive degli interessi altrui, interrogandosi seriamente se il comportamento che si intende tenere sia giusto, adatto e commisurato a quel cui si vada ad opporre, ma soprattutto chiedendosi se si è moralmente scevri da quei difetti che, con la nostra azione, si vorrebbe combattere. 19. -PASSARCE PE COPPA Ad litteram: passarci sopra Id est: sorvolare, non tener conto di qualcosa, non darvi peso, superarlo quasi come un piccolo ostacolo da poter agevolmente saltare. 20. -PAVÀ A CCAMMISA SUDATA Ad litteram: pagare a camicia sudata Id est: accordare il compenso solo a lavoro ultimato quando la camicia sudata dimostrerà che ci si è impegnati nel lavoro pattuito. Per traslato la locuzione si usa quando si voglia stabilire in un contratto il conferimento della controprestazione, come è giusto che sia, solo dopo l'avvenuta prestazione. 21. -PENZ' Â SALUTE Ad litteram: pensa alla salute Id est: non crucciarti soverchiamente, non porti domande, occupati in primis et ante omnia del tuo stato di salute che non deve patire a causa delle quisquilie che ci occupano e che ti preoccupano eccessivamente ed immotivatamente. 22. -PE GGHIONTA 'E RUOTOLO Ad litteram: per aggiunta al rotolo Id est: come se non bastasse; locuzione usata con un amaro senso di rammarico quando ad un imprevisto danno si accompagni una ancor più deleteria beffa; l'espressione richiama anche se in modo antifrastico quella gratuita giunta di merce che gli onesti e liberali venditori solevano concedere ai clienti più bisognosi affiancandola al rotolo, tipica misura di peso che nel napoletano corrispondeva a circa 900 grammi. 23. -PE TRAMENTE Nel mentre che, intanto che, nel frattempo che; locuzione temporale avverbiale derivata dal latino: dum- intèrea divenuta dom-mentrea→ drommente ed infine tramente, usata per indicare la contemporaneità di due azioni di cui l'una si verifichi nel mentre sia in corso l'altra. 24. - PE N'ACENO 'E SALE SE PERDE 'A MENESTA Ad litteram: per pochissimo sale va a male la minestra Locuzione usata a mo' di ammonimento quando si voglia consigliare qualcuno, intento a ad una qualsivoglia operazione, a non trascurare i più piccoli particolari, ponendovi la massima attenzione, atteso che basta un nonnulla per rovinare tutta l'opera, come è sufficiente pochissimo sale, o conferito in più o in meno, per rovinare il migliore dei manicaretti. 25. -PRUTUSINO OGNE MENESTA Ad litteram:prezzemolo in ogni minestra Cosí, con linguaggio mutuato dall'arte culinaria viene indicato l'accanito, onnipresente presenzialista aduso ad intervenire in ogni consesso, in ispecie a quelli dove non sia stato invitato, lí esprimendo, a maggior disdoro, il suo parere non richiesto e comportandosi quasi come il prezzemolo erba aromatica presente a volte anche casualmente in quasi tutte le salse e le minestre della cucina partenopea. prutusino s.vo neutro = prezzemolo, erba aromatica,pianta erbacea biennale, rustica, dicotiledone, largamente coltivata per le sue foglioline composte di colore verde lucente a margini frastagliati, usate in cucina per le proprietà aromatiche (fam. Ombrellifere) etimologicamente lettura metatetica dal gr. petrosélinon, comp. di pétra 'roccia, pietra' e sélinon 'sedano'; propr. 'sedano che cresce fra le pietre' 26. -PEZZENTE SAGLIUTO Ad litteram: povero rimpannucciato Cosí viene appellato chi, notoriamente povero ed indigente, sia improvvisamente ed inopinatamente assurto ad uno status emergente; di tali poveri che abbiano asceso di colpo la scala sociale, è bene diffidare, in quanto poco raccomandabili. pezzente s.vo ed agg.vo m.le e f.le mendicante, straccione; persona che vive in condizioni di grande miseria: jí vestuto comme a ‘nu pezzente(andare vestito come un pezzente); paré ‘nu pezzente(sembrare un pezzente) | persona meschina, eccessivamente attaccata al denaro: fà ‘o pezzente (fare il pezzente). Si tratta di unavoce di orig. merid., pervenura anche nell’italiano, ed etimologicamente è propriamente il part. pres. del napol. pezzire 'chiedere l'elemosina', che è dal lat. volg. *petire, per il class. pètere 'chiedere' 27. -PIGLIÀ ASSO PE FFIJURA Ad litteram: prender asso per figura Id est: Detto di chi incorre in un grossolano, sciocco errore, confondendo due elementi d'aspetto e valenza completamente diversi; locuzione mutuata dal giuoco delle carte napoletane nel quale giuoco solo un giocatore molto inesperto ed incapace può incorrere nell'errore di confondere l'asso con il fante o il cavallo o il re. 28. -PIGLIÀ 'A BANCA 'E LL'ACQUA P''O CARRO 'E PIEREROTTA oppure PIGLIÀ 'A SPUTAZZA P''A LIRA 'ARGIENTO. Ad litteram: confondere il banco della mescita dell'acqua per il carro della festa di Piedigrotta oppure confondere uno sputo per una lira di argento Locuzione con cui si indicano sesquipedali errori in cui incorrono soprattutto gli stupidi ed i disattenti atteso che, per quanto coperto di elementi ornativi il piccolo banco dell'acquaiolo non può mai o meglio, non poteva mai raggiungere l'imponenza di un carro della festa di Piedigrotta, né mai un volgare sputo può esser confuso con una moneta d'argento.Per altri macroscopici errori vedi alibi. 29. -PIGLIARLA 'E LISCIO Ad litteram: prenderla di liscio, scivolare, slittare id est: prendere uno scivolone e ciò in senso reale, ma anche figuratamente riferito alla incapacità di porsi un freno dando una adeguata regolata alle azioni o al discorso. 30 - PIGLIÀ CU 'E BBONE o all'inverso PIGLIÀ CU 'E TTRISTE Ad litteram: pigliar con le buone; id est: trattar qualcuno con buone maniere, con dolcezza, nel tentativo di ottener quello che se chiesto cu'e triste ovvero le maniere forti, probabilmente non si otterrebbe. 31.- CHI ALLUCCA GRAN DULORE SENTE. Ad litteram: Chi urla avverte un gran dolore; espressione usata per sottolineare che chi piange, urla, strepita o si lamenta in genere non lo fa per partito preso o per il gusto di farlo, ma per il fatto cogente di avvertire su di sé un gran dolore che lo spinge al lamento. allucca= grida; voce verbale (3ª p.sg. ind. pr. dell’inf. alluccà = gridare, urlare[dal lat. volg. *adloquicare→alloq(ui)care→ alloccare→alluccà intensivo di loqui]. Brak

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