mercoledì 22 aprile 2015

PRIÉZZA

PRIÉZZA L’amico A.M. (che i consueti problemi di riservatezza mi impongono di identificare con le sole iniziali) mi à chiesto di illustrargli la parola in epigrafe. Gli ò cosí risposto: La voce napoletana a margine, attestata anche come prejezza antica e desueta come che soppiantata indegnamente da termini quali: alleria, allerezza, addecrio [che però non riescono semanticamente a coprire l’ampio ventaglio dei suoi significati] si può rendere con le voci italiane:contentezza,grande gioia,letizia,e persino tripudio; piú in generale essa voce, usata al singolare indica una manifestazione rumorosa d’allegria, di gioia, di soddisfazione; quando è usata al plurale (priézze) sta ad indicare anche le moine,le smancerie, i gesti d’affettuosità dei bambini, e talvolta degli adulti nei confronti dei proprî genitori;circa l’etimo della voce in epigrafe c’è gran confusione: qualcuno, come l’amico C. Iandolo pensa ad un deverbale di priarse= gioire, rallegrarsi forse da un tardo latino precari sibi= pregare per sé(con fiducia e speranza), qualcun altro, come il Cortelazzo lesse in priézza/prejezza un ant. francese presier .Infine l’amico Renato de Falco rifacendosi al REW [Romanisches Etymologisches Wörterbuch] propende per un lat. pretium. Non trovo sufficientemente convincente nessuna ipotesi e, nel dubbio, meglio, a mio avviso,affidarsi al D’Ascoli, che sulla scorta di Rohlfs, optò per una derivazione dal catalano prehar da collegarsi ad un basso latino *pretiare [sibi]= allegrarsi E qui penso di poter far punto convinto d’avere esaurito l’argomento, soddisfatto l’amico A.M. ed interessato qualcun altro dei miei ventiquattro lettori e piú genericamente chi dovesse imbattersi in questa paginetta.Satis est. Raffaele Bracale

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