venerdì 10 luglio 2015

VARIE 15/595

1- TENÉ 'E FRUVOLE DINT'Ô MAZZO. Letteralmente: avere i fulmini, i razzi nel sedere. Icastica espressione con la quale si indicano i ragazzi un po' troppo vivaci ed irrequieti ritenuti titolari addirittura di fuochi artificiali allocati nel sedere, fuochi che con il loro scoppiettio costringono i ragazzi a non stare fermi, anzi a muoversi continuamente per assecondare gli scoppiettii. La locuzione viene riferita soprattutto ai ragazzi, ma anche a tutti coloro che non stanno quieti un momento. Letteralmente 'e fruvole sono i fulmini, le folgori dal latino fulgor con roticizzazione della elle, successiva metatesi ed esito della G in V come golpe per volpe, gulio per vulio. mazzo s.vo m.le di per sé in primis è l’ano e poi per sineddoche il culo, il sedere,il deretano, il complesso delle natiche e dell’ ano complesso che è tipico degli esseri umani e degli animali quadrupedi di grossa taglia; gli uccelli come il gallo (cfr. alibi) non son forniti di natiche, ma del solo ano; cionnonpertanto nella locuzione che esaminerò si preferisce mantenere la voce mazzo riferito al gallo, voce piú rapida e forse meno volgare di ‘o buco d’’o culo con cui in napoletano, accanto ad altre voci come fetillo,feticchio, taficchio, màfaro etc. si indica l’ano;etimologicamente la voce mazzo è dall’acc. lat. matia(m)=intestino e la voce femminile matiam è stata poi maschilizzata ed in luogo di dare mazza à dato mazzo;la maschilizzazione si rese necessaria per scongiurare la confusione tra un’eventuale mazza (ano) e la mazza (bastone) e si addivenne al maschile mazzo anche tenendo presente che nel napoletano un oggetto (o cosa quale che sia) è inteso se maschile piú piccolo o contenuto del corrispondente femminile; abbiamo ad . es. ‘a tavula (piú grande rispetto a ‘o tavulo piú piccolo ),‘a tammorra (piú grande rispetto a ‘o tammurro piú piccolo ), ‘a cucchiara(piú grande rispetto a ‘o cucchiaro piú piccolo), ‘a carretta (piú grande rispetto a ‘o carretto piú piccolo ); ),‘a canesta (piú grande rispetto a ‘o canisto piú piccolo ), fanno eccezione ‘o tiano che è piú grande de ‘a tiana e ‘o caccavo piú grande de ‘a caccavella; nella fattispecie l’ano, per vasto che possa essere, è certamente piú piccolo d’ un bastone e dunque mazzo l’ano/il sedere e mazza il bastone. A margine di questa voce rammento che nel napoletano esiste un omofono ed omografo mazzo che vale però fascio (di fiori, ortaggi o carte da giuoco) ed à un diverso etimo non derivando dall’acc. lat. matia(m)=intestino , ma da un nom. lat. med. macĭus. 2- RUMMANÉ Â PREVETINA O COMME A DON PAULINO. Rimanere alla maniera dei preti o come don Paolino. Id est: Rimanere in condizioni economiche molto precarie addirittura come un mitico don Paolino, poverissimo sacerdote nolano che,potendo contare per il suo sostentamento giornaliero su di un’unica prevetina (moneta che negli anni 1850 e ss. corrispondeva ad appena 13 grani cioè a 56,745 lire italiane e che si ebbe questo nome perché con essa si pagava la celebrazione d’ una messa piana e fu quindi moneta di pertinenza quasi esclusiva dei preti) potendo contare per il suo sostentamento giornaliero su di un’unica prevetina non ne aveva di che comprare ceri per celebrar messa, e si doveva accontentare di tizzoni accesi. 3- TANTO VA 'A LANCELLA ABBASCIO Ô PUZZO, CA CE RUMMANE 'A MANECA. Letteralmente: tanto va il secchio al fondo del pozzo che ci rimette il manico. Il proverbio con altra raffigurazione, molto più icastica, ripete il toscano: tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino, e ne adombra il significato sottointendendo che il ripetersi di talune azioni, a lungo andare, si rivelano dannose per chi le compie. La lancella della locuzione è propriamente un secchio atto ad attingere acqua dal pozzo, secchio provvisto di doghe lignee e di un manico in metallo che, sollecitato lungamente, finisce per staccarsi dal secchio. 4- SIGNORE MIO SCANZA A MME E A CCHI CÒGLIE. Letteralmente: Signore mio fa salvo me e chiunque possa venir còlpito. È la locuzione/invocazione rivolta a Dio quando ci si trovi davanti ad una situazione nella quale si corra il pericolo di finire sotto i colpi imprecisi e maldestri di qualcuno che si stia cimentando in operazioni non supportate da capacità o perizia. 5-'O PIEZZO CCHIÚ GRUOSSO À DDA ESSERE 'A RECCHIA. Letteralmente: il pezzo piú grande deve essere l'orecchio. Iperbolica minaccia che un tempo veniva rivolta soprattutto ai ragazzini chiassosi e/o facinorosi cui si promettevano inenarrabili percosse tali da ridurli in pezzi di cui il piú grande avrebbe dovuto essere l'orecchio. 6- ESSERE 'NA GUALLERA CU 'E FILOSCE. Letteralmente: essere un'ernia corredata di frittate d'uova. Icastica offensiva espressione con cui si denota una persona molle ed imbelle dal carattere debole o anche inadatto ad o incapace di un lavoro che faccia le viste di svolgere, quasi si tratti di una molle pendula ernia a cui iperbolicamente siano attaccate, per maggior disdoro, delle ugualmente molli e spugnose frittatine d'uova. 7- METTERE A UNO 'NCOPP' A 'NU PUORCO. Letteralmente: mettere uno a cavallo di un porco. Id est: sparlar di uno, spettegolarne, additarlo al ludibrio degli altri, come avveniva anticamente quando al popolino era consentito condurre alla gogna il condannato trasportandolo a dorso di maiale (altrove, Roma, a dorso d’asino) affinché venisse notato da tutti e fatto segno di ingiurie e contumelie. 8- ORAMAJE À APPISO 'E FIERRE A SANT' ALOJA. Letteralmente: ormai à appeso i ferri a sant'Eligio. Id est: ormai non à piú velleità sessuali,(à raggiunto l'età della senescenza ...)Il sant'Aloja della locuzione è sant'Eligio (in francese Alois) al mercato, basilica napoletana dove i cocchieri di piazza andavano ad appendere i ferri dei cavalli che, per raggiunti limiti di età, smettevano di lavorare. Da questa consuetudine, il proverbio ammiccante nei confronti degli anziani incapaci ormai – per sopraggiunta senescenza – alle tenzoni amorose. 9- SI ME METTO A FFÀ CAPPIELLE, NÀSCENO CRIATURE SENZA CAPA. Letteralmente: se mi metto a confezionare cappelli nascono bimbi senza testa. Iperbolica amara considerazione fatta a Napoli da chi si ritenga titolare di una sfortuna macroscopica. 10- A - NUN FÀ PÉRETE A CHI TÈNE CULO. B - NUN DÀ PONIE A CHI TÈNE MANE. I due proverbi in epigrafe, in fondo con parole diverse mirano allo stesso scopo: a consigliare cioè a colui cui vengon rivolti di porre parecchia attenzione al proprio operato per non incorrere - secondo un noto principio fisico - in una reazione uguale e contraria che certamente si verificherà; nel caso sub A, infatti è facile attendersi una salva di peti da parte di colui che, provvisto di sedere, sia stato fatto oggetto di una medesima salva. Nel caso sub B, chi à colpito con pugni qualcuno si attenda pure la medesima reazione se il colpito è provvisto di mani. 11- CHI SE FA MASTO, CADE ‘INT'Ô MASTRILLO. Letteralmente: chi si fa maestro, finisce per essere intrappolato. L'ammonimento della locuzione a non ergersi maestri e domini delle situazioni, viene rivolto soprattutto ai presuntuosi e supponenti che son soliti dare ammaestramenti o consigli non richiesti, ma poi finiscono per farte la fine dei sorci presi in trappola proprio da coloro che pretendono di ammaestrare, atteso che quei tali ammaestramenti e/o consigli non son supportati da effettiva scienza teorico-pratica, ma solo da vellitaria sciocca albagia o prosopopea. 12- TUTTO A GGIESÚ E NNIENTE A MMARIA. Letteralmente: tutto a Gesú e niente a Maria; ma non è un incitamento a conferire tutta la propria devozione a Gesú e a negarla alla Vergine; è invece l'amara constatazione che fa il napoletano davanti ad una iniqua distribuzione di beni di cui ci si dolga, nella speranza che chi di dovere si ravveda e provveda ad una piú equa redistribuzione. Il piú delle volte però non v'è ravvedimento e la faccenda non migliora per il petente. 13- CHI GUVERNA 'A RROBBA 'E LL'ATE NUN SE COCCA SENZA CENA Letteralmente: chi amministra i beni altrui, non va a letto digiuno. Disincantata osservazione della realtà che piú che legittimare comportamenti che viceversa integrano ipotesi di reato, denuncia l'impossibilità di porvi riparo: gli amministratori di beni altrui sono incorreggibili ladri! 14- PARÉ LL'OMMO 'NCOPP'Â SALERA Letteralmente: sembrare l'uomo sulla saliera. Id est: sembrare ( o meglio, essere) un uomo piccolo e goffo, un omuncolo simile a quel Tom Pouce (nome d’arte di Charles S. Stratton, nanetto inglese [che si esibiva nel circo dell’impresario Barnum Phineas Taylor(Bethel, Connecticut, 1810 - † Bridgeport, Connecticut, 1891)] venuto a Napoli sul finire del 1860, molto piccolo e ridicolo preso a modello dagli artigiani napoletani che lo raffigurarono a tutto tondo sulle stoviglie in terracotta di uso quotidiano. Per traslato, l'espressione viene riferita con tono di scherno verso tutti quegli omettini che si danno le arie di esseri prestanti fisicamente e moralmente, laddove sono invece l'esatto opposto. 15- FÀ COMME A SSANTA CHIARA: DOPP' ARRUBBATA CE METTETENO 'E PPORTE 'E FIERRO. Letteralmente: far come per santa Chiara; dopo che fu depredata le si apposero porte di ferro. Id est: correre ai ripari quando sia troppo tardi, quando si sia già subìto il danno paventato, alla stessa stregua di ciò che accadde per la basilica di santa Chiara che fu provvista di solide porte di ferro in luogo del preesistente debole uscio di legno, ma solo quando i ladri avevano già perpetrato i loro furti a danno della antica chiesa partenopea. 16.SI 'O VALLO CACAVA, COCÒ NUN MUREVA. Letteralmente: Se il gallo avesse defecato, Cocò non sarebbe morto. La locuzione la si oppone sarcasticamente, a chi si ostina a mettere in relazione di causa ed effetto due situazioni chiaramente incongruenti, a chi insomma continui a fare ragionamenti privi di conseguenzialità logica. 17.À PERZO 'E VUOJE E VVA ASCIANNO 'E CCORNA. Letteralmente: À perduto i buoi e va in cerca delle loro corna. Lo si dice ironicamente di chi cerchi pretesti per litigare comportandosi come chi avendo [per propria insipienza] perduto cose di valore, ne reclami almeno piccole vestigia, adducendo sciocche rimostranze e pretestuose argomentazioni. 18.PURE LL'ONORE SO' CASTIGHE 'E DDIO. Letteralmente: Anche gli onori son castighi di Dio. Id est: anche agli onori si accompagnano gli òneri; nessun posto di preminenza è scevro di fastidiose incombenze. La locuzione ricorda l'antico brocardo latino: Ubi commoda, ibi et incommoda. 19.MADONNA MIA FA' STÀ BBUONO A NNIRONE Letteralmente: Madonna mia, mantieni in salute Nerone. È l'invocazione scherzosa rivolta dal popolo alla Madre di Dio affinché protegga la salute dell'uomo forte, di colui che all'occorrenza possa intervenire per aggiustare le faccende quotidiane. Nella locuzione c'è la chiara indicazione che il popolo preferisce l'uomo forte e deciso (anche se cattivo), piuttosto che l'imbelle democratico; con altra interpretazione, piú caustica, si ritiene che il popolo preferisca tenere in salute l'uomo forte e deciso (anche se cattivo),nel timore che, nel caso di decesso, lo sostitusca uno peggiore. 20.PE TTRECCALLE 'E SALE, SE PERDE 'A MENESTA. Letteralmente: per pochi soldi di sale si perde la minestra. La locuzione la si usa quando si voglia commentare la sventatezza di qualcuno che per non aver voluto usare una piccola diligenza nel condurre a termine un'operazione, à prodotto danni incalcolabili, tali da nuocere alla stessa conclusione dell'operazione. 'O treccalle era una delle piú piccole monete divisionali napoletane pari a stento al mezzo tornese ed aveva un limitatissimo potere d'acquisto, per cui era da stupidi rischiare di rovinare un'intera minestra per lesinare sull'impiego di trecalli per acquistare il necessario sale.Il cavallo oppure callo fu una moneta di pochissima importanza coniata in rame in piú valori (uno, due, tre, quattro, cinque, nove) dal 1472 al 1815 (quando fu sostituito dal tornese), era la dodicesima parte di un grano napoletano. Dal 1814 passò, invece, a rappresentare la decima parte di un grano napoletano con un controvalore in lire italiane di 436 centesimi per cui il treccalle valeva appena 1 lira e 38 centesimi, una cifra veramente irrisoria! 21.S'È AUNITO 'O STRUMMOLO TIRITEPPE E 'A FUNICELLA CORTA. Letteralmente: si è unita la trottolina scentrata e ballonzolante e lo spago corto. Id est: ànno concorso due fattori altamente negativi per il raggiungimento di uno scopo prefisso, come nel caso in epigrafe la trottolina di legno non esattamente bilanciata e lo spago troppo corto e perciò inadatto a poterle imprimere il classico movimento rotatorio.La voce tiriteppe (talora riportata come tiriteppola) è la riproduzione onomatopeica del rumore prodotto, nel suo vorticare da una trottolina scentrata e ballonzolante che non prilli secondo norma. 22.LL'AUCIELLE S'APPARONO 'NCIELO I 'E CHIAVECHE 'NTERRA. Letteralmente: gli uccelli si accoppiano in cielo e gli uomini spregevoli in terra. È la trasposizione in chiave rappresentativa del latino: similis cum similibus, con l'aggravante della spregevolezza degli individui che fanno comunella sulla terra. Il termine: chiaveche è un aggettivo sostantivato, formato volgendo al maschile plurale il termine originario fem.le: chiaveca [s.vo f.le [ dal lat. pop. *clavĭca, rifacimento di clavaca (in glosse), , per il lat. class. cloāca]. che è la cloaca, la fogna; tenendo ciò presente si può capire quale valenza morale abbiano per i napoletani, gli uomini detti chiaveche.Rammento che nell’espressione I [derivato dall’iberico Y] è una congiunzione usata, per evitare l’allitterazione, al posto della congiunzione E davanti all’art. m.le o f.le ‘E (gli/le) e talora davanti a lemmi comincianti per vocale. 23.'E CIUCCE S'APPICCECANO I 'E VARRILE SE SCASSANO. Letteralmente: Gli asini litigano e i barili si rompono. Id est: i comandanti litigano e le conseguenze le sopportano i soldati. Cosí va il mondo: la peggio l'ànno sempre i piú deboli, anche quando non sono direttamente responsabili d'alcunché. La cultura popolare napoletana à tradotto icasticamente il verso oraziano: quidquid delirant reges, plectuntur Achivi (Qualsiasi delirio dei re, lo pagano gli Achei...). 24. Â VVESSENTERÍA, NUN S' À DDA STREGNERE 'O FETICCHIO. Letteralmente: Alla diarrea non si deve (opporre) il restringimento dell'ano. Id est: Non ci si deve opporre al naturale fluire delle cose, anzi, al contrario, occorre sapersi adattare alle circostanze, anche le piú spiacevoli. feticchio s.vo m.le voce che (con contenuta differenza morfologica attestata anche come fetillo) in primis esattamente indica l’ano e poi come piú volte alibi visto, per metinomia il culo tutto, il deretano etc. Si tratta etimologicamente di voci ricavate quali furbeschi deverbali dal lat. foetíre= puzzare atteso che l’ano è la parte del posteriore esattamente deputata all’emissione delle maleolenti feci e/o dei puzzolenti gas intestinali. 25.'O TRUMMETTA D’’A VICARIA Letteralmente: il trombetto della Vicaria. Id est: il propalatore di notizie, il divulgatore non desiderato di faccende altrui. In senso ironico: chi non sappia mantenere un segreto. La locuzione prende l'avvio da un personaggio veramente esistito in Napoli durante il periodo viceregnale, allorché - in mancanza di altri mezzi mediatici - per diffondere i pubblici bandi ci si serviva appunto di un banditore che girava la città e, fermandosi ad ogni cantonata, dava lettura dell'atto da comunicare dopo lo squillo di una tromba che serviva per richiamare l'attenzione degli astanti. Il trombetto è detto della Vicaria perché dalla Vicaria (sede dei tribunali della città) cominciava il suo lavoro il banditore. 26.A CCAROCCHIE, A CCAROCCHIE PULICENELLA ACCEDETTE Â MUGLIERA. Letteralmente: con ripetuti colpi in testa, Pulcinella uccise la moglie. Id est: i risultati si ottengono perseguendoli giorno dopo giorno anche con reiterate piccole azioni. La carocchia è un colpo assestato sul capo con la mano chiusa a pugno mossa dall'alto verso il basso e con la nocca del medio protesa in avanti a formare un cuneo. Un singolo colpo non produce gran danno, ma ripetuti colpi possono anche ferire una persona e lasciare il segno. Carocchia s.vo f.le= nocchino, piccolo colpo secco, ma doloroso assestato al capo e portato (con movimento veloce dall’alto verso il basso) con le nocche maggiori delle dita della mano serrata a pugno. Etimologicamente non dal lat. crotalum che indica la nacchera, strumento musicale e non tipo di percossa…,ma dal greco karà=testa attraverso un lat. regionale *caròclu(m) ed il plurale reso femm. caròcla (tipica la mutazione di cl in ch come in clausu(m) che diventa chiuso). 27. GUAGLÚ, LEVÀTE 'O BBRITO! Letteralmente: ragazzi, togliete il vetro... Id est: Ragazzi togliete di mezzo i bicchieri. È il comando che proprietari delle bettole o cantine dove si mesceva vino a pagamento, rivolgevano ai garzoni, allorchè si avvicinava l'ora di chiusura dell'esercizio, affinché ritirassero i bicchieri e le bottiglie usati dagli avventori. Per traslato, la frase viene usata quando si voglia far capire che si è giunti alla fine di qualsivoglia operazione e non si è intenzionati a cominciarne altra. 28. 'A CORA È 'A CCHIÚ BRUTTA 'A SCURTECÀ. Letteralmente: la coda è la cosa peggiore da scarnificare. Id est: il finale di un'azione è il piú duro da conseguire, perché un po' per stanchezza, un po' per sopraggiunte difficoltà non preventivate, i maggiori ostacoli si incontrano alla fine delle operazioni intraprese. In fondo, anche i latini asserivano la medesima cosa quando dicevano: in cauda venenum (il veleno è nella coda). 29. 'O VALLO NCOPP' Â ‘MMUNNEZZA. Letteralmente: il gallo sull'immondizia. Cosí, a buona ragione, viene definito dalla cultura popolare partenopea, il presuntuoso, il millantatore, colui che - senza particolari meriti, ma per mera fortuna o per naturale fluire del tempo - abbia raggiunto una piccola posizione di preminenza, e di lassú intenda fare il buono e cattivo tempo, magari pretendendo di far valere il proprio punto di vista, proprio come un galletto che, asceso un cumulo di rifiuti, ci si sia posto come su di un trono e, pettoruto, faccia udire i suoi chicchirichí. 30.ASPETTA, ASENO MIO, CA VÈNE 'A PAGLIA NOVA. Letteralmente: Attendi (a sdraiarti), asino mio, ché è in arrivo la paglia nuova. È una locuzione usata quando si voglia indicare la inutilità di un'attesa o ironicamente quando si voglia minacciare qualcuno di un'imminente vendetta.Nella fattispecie il padrone dell’asino sa che non gli procurerà strame fresco e si prende gioco della bestia minacciandolo di percosse se non continuerà il lavoro e si abbandonerà al riposo. 31.'A GATTA QUANNO SENTE 'ADDORE D''O PESCE, MACCARUNE NUN NE VO’ CCHIÚ. Letteralmente: la gatta quando avverte l'odore del pesce, di maccheroni non ne vuole piú. Id est: Quando l'uomo à la possibilità di metter le mani su quanto c'è di meglio, non si contenta piú dell'eventuale succedaneo, ma ambisce al meglio, in senso sia teorico che pratico. 32. A -CHI CHIAGNE FOTTE A CCHI RIDE. B - 'O PICCIO RENNE Letterealmente: A - Chi piange frega chi ride. B - Il pianto rende. Le due locuzioni appalesano gli ottimi risultati che si possono ottenere con la politica del pianto e del lamento che a lungo andare producono frutti per coloro che la perseguono e mettono in atto 33.CU LL'EVERA MOLLA OGNEDUNO S'ANNETTA 'O CULO! Letteralmente: con l'erba morbida, ognuno si pulisce il sedere. Id est: chi dimostra di non aver nerbo e/o carattere diventa succube di chiunque ed è destinato, nella vita, ad essere soccombente in qualsiasi occasione e ad essere usato a piacimento degli altri. 34. SANTU MANGIONE È 'NU GRANNE SANTO. Letteralmente: San Mangione è un gran santo. La locuzione fa riferimento ad un ipotetico, ma non per questo inesistente, San Mangione, ritenuto dal popolo napoletano il santo protettore dei corrotti e dei concussori, santo potentissimo capace di fare 14 grazie al giorno, addirittura una in piú di quel sant'Antonio da Padova, gran taumaturgo accreditato di 13 grazie al giorno.Con l'affermazione in epigrafe si appalesa la disincantata maniera di guardare alla realtà che è propria del napoletano, che - per averlo provato sulla propria pelle - è convinto che la corruzione e non altro, governi l'universo. 35.PE VULIO 'E LARDO, VASA 'NCULO Ô PUORCO. Letteralmente: per desiderio di lardo, bacia il sedere del maiale. Lo si dice sarcasticamente a dileggio di chi, pur di ottenere anche un'inezia, è disposto alle piú disonorevoli azioni. Brak

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