domenica 27 settembre 2015

VARIE 15/696

1. I' FACCIO PERTOSE E TTU GAVEGLIE. Letteralmente: Io faccio buchi e tu cavicchi. Id est: mi remi contro. La locuzione la si usa quando si voglia redarguire qualcuno che proditoriamente e senza apparenti motivi, anzi quasi per dispetto, si adopera per vanificare l'opera di chi si sta affannando in un'azione di senso contrario come nella locuzione càpita a chi si sta adoperando a fare buchi e trova chi invece si dà da fare per confezionare cavicchi atti a turare quei buchi. 2.QUANNO SCIOSCIA VIENTO 'E TERRA, 'O PESCE NUN ZOMPA DINT' Â TIELLA. Letteralmente: quando spira il maestrale il pesce non salta in padella. Id est: i giorni spazzati dal vento maestrale sono i meno adatti per la pesca. Piú in generale il proverbio sta a significare che per ottenere buoni risultati occorre attendere il momento propizio e non bisogna avventurarsi in alcuna opera quando spiri vento avverso. 3. TRE SONGO 'E PUTIENTE: 'O PAPA 'O RRE E CHI NUN TÈNE NIENTE. Letteralmente: Tre sono i potenti: il papa il re e chi non possiede nulla. E' facile capire il perché della locuzione. Il Papa non à concorrenti, per cui nel suo àmbito è da ritenersi veramente un potente; idem valga per il re inteso come despota. E non meravigli che sia considerato un potente il nullatenente, che basa proprio sulla sua penuria di mezzi la propria forza,essendo al sicuro di richieste e potendosi infischiare di tutti, non temendo assalti da parte di nessuno, giacchè a nessuno verrebbe in mente di attaccare qualcuno a cui, in caso di vittoria, non si avrebbe che cosa sottrarre. 4. SIGNORE 'E UNU CANNELOTTO. Letteralmente: signore da un solo candelotto. Cosí a Napoli viene appellato chi pretende di avere nobili ascendenti, ed invece risulta essere di nessuna nobiltà. La locuzione risale al tempo in cui l'illuminazione dei palchi del teatro san Carlo, massimo teatro lirico della città partenopea, era assicurata da alcuni candelabri che venivano noleggiati dalla direzione del teatro agli spettatori che ne facessero richiesta. Il prezzo del noleggio variava con il numero dei candelabri richiesti e questo dalle possibilità economiche dello spettatore. Va da sè che minore era il numero di candele, minore era la possibilità economica dimostrata e conseguenzialmente minore il grado di nobiltà; per cui un signore da un candelotto era da ritenersi proprio all'infimo gradino della scala sociale. 5. CARTA VÈNE E GGHIUCATORE S'AVANTA. Letteralmente: carta (vincente) viene e giocatore (vittorioso) si vanta. La locuzione prendendo spunto dal giuoco delle carte stigmatizza il comportamento ridicolo e pretestuosamento presuntuoso - tipico peraltro di coloro che ànno scarse capacità intellettive - di chi tenti di farsi merito di successi ottenuti non per propria capacità, intelligenza e valore, ma per mera fortuna che lo abbia condotto al primato, come avviene in taluni giuochi di carte dove basta il possesso di determinate carte vincenti a procurare la vittoria e conta veramente poco il modo di giocare le predette carte. 6. CHELLA 'A MANA È BBONA; È 'A VALANZA CA VO’ ESSERE ACCISA! Letteralmente: Quella la mano è buona, è la bilancia che vuole essere uccisa cioè che si comporta in modo tale da meritarsi d'essere ammazzata. La locuzione va riferita a chi proditoriamente tiri a derubare sul peso e tenti di far ricadere la colpa sul tramite ossia sulla bilancia. Per traslato la locuzione la si usa sarcasticamente nei confronti di chiunque, per un motivo o l'altro non si voglia assumere le responsabilità del proprio truffaldino comportamento. 7. CHISTO È N'ATO D''A PASTA FINA. Letteralmente: Costui è un altro della pasta fine. Id est: anche questo fa parte di un gruppo di brutti ceffi, di cui diffidare. La locuzione nacque allorché, alla fine del '800, in Napoli alcuni comorristi erano soliti riunirsi in una bettola tenuta da un tal Pastafina. Letta tenendo presente questa annotazione, la locuzione assume una sua valenza di offesa. 8. FATTÉLLE CU CCHI È MMEGLIO 'E TE E FANCE 'E SPESE. Letteralmente: Intrattieni duraturi rapporti con chi è migliore di te e sopporta le spese che ne derivano.Id est: le proprie amicizie bisogna sceglierle tra chi ti è moralmente superiore , e occorre poi coltivarle anche se per fare ciò bisogna por mano alla tasca anche figurativamente parlando. 9. ADDÓ SPERDETTENO A GGIESÚ CRISTO. Letteralmente: dove dispersero Gesú Cristo. Lo si dice di un luogo lontano ed impervio, difficile da raggiungere... La locuzione fa certamente riferimento all'episodio dell'evangelo allorché Maria e Giuseppe persero di vista il Redentore che s'era attardato in Gerusalemme ed impiegarono alcuni giorni prima di ritrovarlo. 10. 'A COPPA SANT' ERMO, PESCA 'O PURPO A MMARE. Letteralmente: Di sopra sant' Elmo pesca un polpo a mare. Lo si dice, ironizzando sull'azione di chi si affanna a voler raggiungere un risultato, che certamente invece gli mancherà, stanti le errate premesse da cui parte la propria opera, come chi volesse appunto pescare un polpo nel mare del golfo partenopeo e si trovasse a farlo assiso sulla collina di sant'Elmo, che è vero che guarda il mare, ma lo fa da un'altezza di circa 250 metri... 11. VA' FÀ LL'OSSE Ô PONTE Letteralmente: vai a racimolare le ossa al ponte. Id est: mandare qualcuno a quel paese. Infatti la locuzione suona pure: mannà ô ponte, con il medesimo significato. Un tempo a Napoli presso il ponte della Maddalena, già ponte Licciardo esisteva un macello, dove il popolo si recava ad acquistare le carni delle bestie macellate. I meno abbienti si accontentavano di prelevare gratis et amore Dei le ossa, per farne del brodo, per cui spingere qualcuno a fare le ossa al ponte significa augurargli grande miseria. La medesima accezione vale per la locuzione mannà a ‘o ponte; (mandare al ponte) tenendo presente che questa seconda locuzione la si usa nei confronti di uomini attempati e un po’ rovinati dagli acciacchi e dall’età ecco che essa locuzione à una valenza un po’ piú amara della prima giacché la si rivolge a chi - probabilmente - non à la capacità di ripigliarsi ed è costretto a subire gli strali dell’avversa fortuna. 12. NÈ FFEMMENA, NÈ TTELA A LUME DE CANNELA. Letteralmente: Né donne, né tessuti alla luce artificiale. Id est: la luce artificiale può nascondere parecchi difetti, che - invece - alla luce del sole - vengono in risalto e ciò vale sia per la consistenza dei tessuti, sia - a maggior ragione - per la bellezza muliebre. 13. JÍ CERCANNO:’MBRUOGLIO AIUTAME! Letteralmente: andare alla ricerca di un imbroglio che possa aiutarti. Id est: quando ci si trovi in situazioni o circostanze tali che non lascino intravedere vie d’uscita, l’unico mezzo di trarsi d’impaccio è quello di rifugiarsi in un non meglio identificato ‘mbroglio seu imbroglio,astuzia, inganno, moto di destrezza che in un modo o in un altro consenta di risolver la faccenda. La locuzione è usata a salace commento delle azioni di chi, per abitudine non è avvezzo ad agire con rettitudine o chiarezza e per àbitus mentale si rifugia nell’imbroglio, pescando nel torbido. 14.‘A FEMMENA È COMME A LL’ONNA: O TE SULLEVA O T’AFFONNA Letteralmente: la donna è come un’onda: o ti solleva o ti manda a fondo; id est: la donna può sollevarti, ma può anche determinare la tua rovina. 15.FEMMENE, CIUCCE E CRAPE TENENO TUTTE UNA CAPA. Donne, asini e capre ànno tutti la medesima testa nel senso che sia le donne che gli asini e le capre sono testardi alla stessa stregua ed indocili a qualsiasi comando, consiglio o raccomandazione, convinti sempre di far bene agendo di proprio istinto o iniziativa. 16. FEMMENE, CIUCCE E VVARCHE SONGO ‘E CHI ‘E CCARCA Le donne,come gli asini e le barche, appartengono a chi le monti (e solo ad essi devono rispondere);id est: donne, asini e barche vanno dominati se si vogliono ottenere buoni risultati. 17. FEMMENE CANE E BBACCALÀ P’ESSERE BBUONE S’ÀNN’ ‘A MAZZIÀ Donne, cani e baccalà per dare i risultati migliori devono esser percossi: le donne ed i cani sono indocili e devono devono essere bastonati per ridurli alla ragione; ugualmente il baccalà (merluzzo salato ed essiccato) per essere gustato al meglio , prima d’esser cucinato va opportunamente ammollato a forza di acqua fredda e percosse. 18.È MMEGLIO A NNASCERE SENZA NASO CA SENZA SCIORTA! È preferibile nascere senza naso piuttosto che senza buona fortuna! In effetti ad una menomazione fisica ci si fa l’abitudine ed in qualche modo si sopperisce, ma non si può fare a meno della buona fortuna molla propulsiva d’ogni accadimento umano. 19. L’OMMO, P’ESSERE NU BBUÒNU PARTITO, À DDA TENÉ: ARGIÉNTO DINT’Ê CCHIOCCHE,DIAMANTE DINT’ A LL’UÒCCHIE, ORO DINT’Ê SSACCHE E ‘O FIERRO ‘INT’ô CAZÓNE! Letteralmente ’uomo, per essere considerato un buon partito, deve avere le tempie imbiancate, (indice di maturità),gli occhi luccicanti (indice di vivida intelligenza), oro nelle tasche (cioè ricchezza) ed un (attrezzo di) ferro nel calzone (cioè essere sessualmente dotato). onna: s.vo f.le, onda. Voce dall‟accusativo latino unda(m), con assimilazione progressiva nd→nn, come in fronna e funnaco. varche: s.vo f.le pl. di varca = barca.Voce dall’accusativo tardo latino *barca-m, con normale trasformazione di b→v, come basiāre e bíbere in vasà e vévere. carca: voce verbale per carreca (3° p.sg. ind. pr. dell’inf. carrecà/carcà, nel senso di caricare, far sentire il proprio peso, montar su. Si tratta di un denominale di carrus: latinismo medievale,. femmene s.vo f.le pl. di femmena 1 nome generico di ogni individuo umano o animale portatore di gameti femminili atti a essere fecondati da quelli maschili, e quindi caratterizzato dalla capacità di partorire figli o deporre uova; 2 come nel caso che ci occupa essere umano di sesso femminile; donna, bambina | usato anche con sfumatura spreg.:Lassa ‘a stà è ‘na femmena(non darle peso è una donna! | mala femmina, prostituta. 3 parte di un congegno destinata a riceverne un'altra nel suo interno: || In funzione di agg.vo 1 ricca, dotata di femminilità; desiderabile, attraente; | detto di animale, che è di sesso femminile; 2 che rappresenta la parte ricevente di un incastro; voce dal lat. femina(m), voce connessa con fecundus 'fecondo' con raddoppiasmento espressivo della consonante nasale bilabiale (m). crape s.vo f.le pl. di crapa = capra.Lettura metatetica dell’accusativo latino capra-m, ciucce s.vo m.le o f.le (qui f.le) pl.del sg. ciuccio o ciuccia; per l’etimo rinvio ad un mio lungo articolo alibi. bbaccalà s.vo neutro = baccalà, merluzzo essiccato e conservato sotto sale: etimologicamente dallo sp. bacalao, e questo dal fiammingo kabeljauw. sciorta: s.vo f.le = sorte, destino, ma qui buona sorte, fortuna. Voce dall’acc. lat. sorte-m, con normale evoluzione della sibilante (s) seguita da vocale nel gruppo palatale sci.. chiocche =meningi, tempie s.vo f.le pl. di chiocca = meninge, tempia e per ampiamento semantico anche testa. Voce dal tardo lat. clocca(m)incrociato con cochlea(m). Mazzià: voce verbale infinito = percuotere.Denominale di mazza( dal lat. mattea(m)). Derivati: mazziata. Fraseologia: curnùte e mazziàte, mazze e panèlle.., pane senza mazze fanne „e figlie pazze. ommo: s.vo m.le =uomo. voce dal nominativo latino homo, con raddoppiamento espressivo frequente della bilabiale nasale(m), come in cammísa, ammore etc. cazone, o cauzone: s,vo m.le . che nel significato di braghe aderenti è un accrescitivo di cauza= calza (dal lat. mediev. calcea(m), dal class. calceus 'scarpa, stivaletto'); normale in napoletano il passaggio di al ad au semplificato in a(u)(cfr. auto/aveto per al-to oppure autro/ato per al-tro); uocchie: occhi s,vo m.le pl. del sg uocchio; voce dall’acc.latino oculu-m→oclu(m)→uocchio, con tipica evoluzione del gruppo cl→chj→cchi, come recchia ( che è dal lat. auricula(m)→(au)ricla(m)→recchia,), denucchio(che è dal at. volg. genuculu(m)→genuclu(m)→ denuclu(m)→ denucchio), etc. . Metaforicamente il s.vo plurale è inteso pure come attività malefica: fattura, maledizione, invidia cattiva. fierro: = ferro; il s.vo a margine in napoletano può essere di due generi: neutro o maschile se è neutro indica l’elemento chimico (di simbolo Fe) cioè un metallo grigio-argenteo, tenero, duttile, magnetico, raro in natura allo stato libero, ma presente in un gran numero di minerali, da cui si estrae fin dalla più remota antichità; ed indica altresí l'acciaio dolce (lega di ferro a basso tenore di carbonio) e spesso anche gli acciai non legati; allorché sia neutro la scrizione preceduta dall’articolo neutro ‘o (lo) comporta la geminazione della consonante d’avvio per cui si dovrà scrivere ‘o ffierro; allorché invece il s.vo in esame sia inteso maschile serve ad indicare 1 in primis qualsiasi oggetto, attrezzo, utensile, arma di ferro o piú gener. metallico: ferro da stiro, ferro per arricciare i capelli etc. 2 per traslato giocoso come nel caso che ci occupa qualsiasi altra cosa accreditata anche iperbolicamente d’essere dura e resistente come il ferro; in questi casi la scrizione preceduta dall’articolo maschile ‘o (lo) non comporta la geminazione della consonante d’avvio per cui si dovrà scrivere ‘o fierro. 20.'E PPAZZIE D''E CANE FERNESCENO A CCAZZE 'NCULO. Letteralmente: i giochi dei cani finiscono con pratiche sodomitiche. Id est: i giuochi di cattivo gusto finiscono inevitabilmente per degenerare, per cui sarebbe opportuno non porvi mano per nulla. La icastica locuzione prende l'avvio dalla osservazione della realtà allorché in una torma di cani randagi si comincia per gioco a rincorrersi e a latrarsi contro l'un l'altro e si finisce per montarsi addosso vicendevolmente; la postura delle bestie fa pensare sia pure erroneamente a pratiche sodomitiche. 21.AMICIZIA STRETTA, SE SPEZZA CU 'NA MAZZA. Letteralmente: un'amicizia stretta si spezza con un bastone; id est: bisogna ricorrere alla violenza per sciogliere un'amicizia di vecchia data, ben rinsaldata; non viene meno la vera amicizia per futili motivi. 22.TANNO SE CHIAMMA GRANO, QUANNO STA 'INT' Â VOTTA. Letteralmente: allora si chiama grano, quando sarà nella botte. Id est: i risultati per potersene vantare, occorre prima conseguirli; non ci si deve vestire della pelle dell'orso prima d'aver ammazzato il suddetto animale. La locuzione in epigrafe ripete le parole che un tal contadino disse al figliuolo che si vantava di un gran raccolto prima della mietitura. 23.TRE CCALLE E MMESCÀMMOCE. Letteralmente: tre calli(cioè mezzo tornese) e mescoliamoci. Cosí, sarcasticamente, è definito a Napoli colui che si intromette nelle faccende altrui,rimettendoci men che nulla di tasca propria, colui che, anche quando non sia iterpellato vuol sempre dire la sua. Il tre calle era una moneta di piccolissimo valore; su una delle due facce v'era raffigurato un cavallo da cui per contrazione si trasse il termine callo← ca(va)llo, che al pl. è calle . La locuzione significa: con poca spesa si interessa delle faccende altrui. 24.CHI SE FA MASTO, CADE DINT' Ô MASTRILLO. Letteralmente: chi si fa maestro, finisce per essere intrappolato. L'ammonimento della locuzione a non ergersi maestri e domini delle situazioni, viene rivolto soprattutto ai presuntuosi e/o supponenti che son soliti dare ammaestramenti o consigli non richiesti, ma poi finiscono per fare la fine dei sorci presi in trappola proprio da coloro che pretenderebbero di ammaestrare. 25.TUTTO A GGIESÚ E NIENTE A MARIA. Letteralmente: tutto a Gesú e niente a Maria; ma non è un incitamento a conferire tutta la propria devozione a Gesú e a negarla alla Vergine; è invece l'amara constatazione che fa il napoletano davanti ad una iniqua distribuzione di beni di cui ci si dolga, nella speranza che chi di dovere si ravveda e provveda ad una piú equa redistribuzione. Il piú delle volte però non v'à ravvedimento e la faccenda non migliora per il petente che resta non soddisfatto nelle sue aspettative. 26.CHI GUVERNA 'A RROBBA 'E LL'ATE NUN SE COCCA SENZA CENA Letteralmente: chi amministra i beni altrui, non va a letto digiuno. Disincantata osservazione della realtà che piú che legittimare comportamenti che viceversa integrano ipotesi di reato, denuncia l'impossibilità di porvi riparo: gli amministratori di beni altrui sono incorreggibili ed impuniti ladri! 27. PARÉ LL'OMMO 'NCOPP'Â SALERA Letteralmente: sembrare l'uomo sulla saliera. Id est: sembrare ( o meglio, essere) un uomo piccolo e goffo, un omuncolo simile a quel Tom Pouce (nome d’arte di Charles S. Stratton, nanetto inglese, che si esibiva nel circo dell’impresario Phineas Taylor(Bethel, Connecticut, 1810 - † Bridgeport, Connecticut, 1891), venuto a Napoli sul finire del 1860, molto piccolo e ridicolo preso a modello dagli artigiani napoletani che lo raffigurarono a tutto tondo sulle stoviglie in terracotta di uso quotidiano. Per traslato, l'espressione viene riferita con tono di scherno verso tutti quegli omettini che si danno le arie di esseri prestanti fisicamente e moralmente, laddove sono invece l'esatto opposto. 28.FÀ COMME A SANTA CHIARA: DOPP' ARRUBBATA CE METTETENO 'E PPORTE 'E FIERRO. Letteralmente: far come per santa Chiara; dopo che fu depredata le si apposero porte di ferro. Id est: correre ai ripari quando sia troppo tardi, quando si sia già subíto il danno paventato, alla stessa stregua di ciò che accadde per la basilica di santa Chiara che fu provvista di solide porte di ferro in luogo del preesistente debole uscio di legno, ma solo quando i ladri avevano già perpetrato i loro furti a danno della antica chiesa partenopea. 29.ESSERE 'A TINA 'E MIEZO. Letteralmente: essere il tino di mezzo. Id est: essere la massima somma di quanto piú sporco, piú laido, piú lercio possa esistere. Offesa gravissima che si rivolge a persona ritenuta cosí massimamente sporca, laida e lercia da essere paragonata al grosso tino di legno posto al centro del carro per la raccolta dei liquami da usare come fertilizzanti, nel quale tino venivano versati i liquami raccolti con due tini piú piccoli posti ai lati del tino di mezzo dove veniva riposto il letame raccolto. 30.'A CAPA 'E LL'OMMO È 'NA SFOGLIA 'E CEPOLLA. Letteralmente: la testa dell'uomo è una falda di cipolla. È il filosofico, icastico commento di un napoletano davanti a comportamenti che meriterebbero d'esser censurati e che si evita invece di criticare, partendo dall'umana considerazione che quei comportamenti siano stati generati non da cattiva volontà, ma da un fatto ineluttabile e cioé che il cervello umano è labile e deperibile ed inconsistente alla stessa stregua di una leggera, sottile falda di cipolla Brak

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