lunedì 23 novembre 2015

VARIE 15/868

1.Paré ‘na pupata ‘e ficusecche Ad litteram:sembrare una pupattola di fichi secchi Antica locuzione, ora quasi desueta che si soleva un tempo riferire a sapido dileggio soprattutto di attempate signorine o piú spesso vecchie inguaribili nubili che andavano in giro con il volto cosparso di molta cipria o di più economica farina, nel vano tentativo di nascondere i danni del tempo; tali signorine erano paragonate alle pupattole che i venditori di frutta secca inalberavano sulle loro mostre durante le festività natalizie: le pupattole erano fatte con un congruo numero di fichi secchi imbiancati all’uopo di polverosa glassa zuccherina ed infilzati su sottili stecchi di vimini. Rammento che l’abitudine di cospargersi il volto di molta cipria o farina era anche di taluni uomini attempati, ma soprattutto di taluni attori che a malgrado fossero avanti con gli anni, si ostinavano a sostenere in teatro parti da attor giovane ed erano perciò costretti a ricorrere, per lenire i danni del tempo, al pesante trucco di cipria o farina; a ciò si riferisce l’espressione (che mi piace ricordare qui in coda: fà 'o farenella. Letteralmente:fare il farinello. Id est: comportarsi da vagheggino, da manierato cicisbeo. L'icastica espressione non si riferisce - come invece erroneamente pensa qualcuno - all'evirato cantore settecentescoCarlo Broschi detto Farinelli (Andria, 24 gennaio 1705 – † Bologna, 16 settembre 1782), considerato il piú famoso cantante lirico castrato della storia. detto Farinelli, ma prende le mosse dall'ambito teatrale dove, come ò détto e ripeto, le parti delle commedie erano assegnate secondo rigide divisioni. All'attor giovane erano riservate le parti dell'innamorato o del cicisbeo. E ciò avveniva sempre anche quando l'attore designato , per il trascorrere del tempo non era piú tanto giovane e allora per lenire i danni del tempo era costretto a ricorre piú che alla costosa cipria, alla economica farina. pupata s.vo f.le = bambola, pupattola, pupazza e per traslato ragazza, giovane donna dalla bellezza alquanto leziosa o inespressiva. Voce dal lat. pupa(m). ficusecche s.vo f.le = fichi secchi; in napoletano plurale della voce femminile: ficusecca con derivazione, con passaggio al femminile dal masch. lat. ficum(che corrisponde al greco sýcon con cambio s/f)+ siccum da una radice sik = secco, sterile. A margine della voce fica da cui poi ficusecca rammento che il passaggio al femminile dal maschile fico è determinato dal fatto che nel napoletano con la voce fica si intende un frutto piú grosso del fico atteso che in napoletano s’usa femminilizzare un termine maschile quando si voglia indicare una cosa intesa piú grande della corrispondente maschile (cfr. cucchiara= mestola del muratore piú grande di cucchiaro= cucchiaio da minestra, tina piú grande di tino,tavula piú grande di tavulo, tammorra piú grande di tammurro, carretta piú grande di carretto etc.Fanno eccezione tiana piú piccola di tiano e caccavella piú piccola del caccavo). Rammento infine che con la voce ficusecca usata in senso furbesco e malizioso, in napoletano, si identifica la vulva avvizzita d’una donna anziana e non piú appetita; al proposito preciso che anche in greco con la voce sýcon su cui fu marcato il latino ficu(m)= fico, si indica sia il frutto del fico che furbescamente la vulva. ESPRESSIONI (67) 2. SI 'A TAVERNARA È BBELLA E BBONA, 'O CUNTO È SSEMPE CARO. Ad litteram: se l'ostessa è procace, il conto risulterà sempre salato. Lo si dice a mo' d'ammonimento a tutti coloro che si ostinano a frequentare donne lascive e procaci, che per il sol fatto di mostrar le loro grazie pretendono di esser remunerate in maniera eccessiva... 3.PARÉ 'NU PIRETO ANNASPRATO. Letteralmente: sembrare un peto inzuccherato. Lo si dice salacemente di chi si dia troppe arie, atteggiandosi a superuomo, pur non essendo in possesso di nessuna dote fisica o morale atta all'uopo. Simili individui vengono ipso facto paragonati ad un peto che, non si sa come, sia inzuccherato, ma che per quanto coperto di glassa dolce resta sempre un maleodorante, vacuo flatus ventris. 4.L'ACCÍOMO Ê BBANCHE NUOVE. Letteralmente: l' Ecce òmo ai Banchi nuovi. Cosí oggi i napoletani sogliono indicare quei giovani, che - per essere alla moda - non si radono, mantenendo ispidi ed incolti quei pochi peli che dovrebbero costituire l'onor del mento, e per apparire in linea con i dettami della moda si mostrano smagriti e pallidi. La locuzione rammenta una scultura lignea sita in un'edicola posta ai Banchi Nuovi - quartiere napoletano sviluppatosi a ridosso della Posta Vecchia e Santa Chiara - scultura rappresentante il CRISTO reduce dai tribunali di Anna e Caifa, ed appare il Cristo, dopo le percosse e gli sputi subiti dai saldati romani, sofferente, smagrito, con la barba ispida, lo sguardo allucinato, proprio come i giovani cui la locuzione si attaglia. 5.CHI TÈNE CUMMEDITÀ E NNUN SE NE SERVE, NUN TROVA 'O PREVETE CA LL'ASSOLVE. Letteralmente: Chi à comodità e non se ne serve, non trova un prete che l'assolva. Id est: chi à avuto, per sorte o meriti, delle comodità deve servirsene, in caso contrario commetterebbe non solo una sciocchezza autolesiva, ma pure un peccato cosí grave per la cui assoluzione non sarebbe bastevole un semplice prete, ma bisognerebbe far ricorso al penitenziere maggiore. 6.QUANNO NUN SITE SCARPARE, PECCHÉ RUMPITE 'O CACCHIO Ê SEMMENZELLE? Letteralmente: poiché non siete ciabattino, perché infastidite le semenze? La locuzione barocca, anzi rococò viene usata quando si voglia distogliere qualcuno dall'interessarsi di faccende che non gli competono non essendo supportate, né dal suo mestiere, né dalle sue capacità intellettive o morali. Le semenze sono i piccolissimi chiodini con cui i ciabattini sogliono sistemare la tomaia sulla forma di legno per procedere alla fattura di una scarpa. 7.'A RIGGINA AVETTE BISOGNO D''A VICINA. Letteralmente: la regina dovette ricorrere alla vicina. Iperbolica locuzione con la quale si sottolinea che nessuno è bastevole a se stesso: persino la regina ebbe bisogno della propria vicina, figurarsi tutti gli altri esseri umani: siamo una società dove nessun uomo è un'isola. 8.SENZA ‘E FESSE NUN CAMPANO 'E DERITTE. Letteralmente: senza gli sciocchi non vivono i furbi; id est: in tanto i furbi prosperano in quanto vi sono gli sciocchi che consentano loro di prosperare. 9.'O PURPO S'À DDA COCERE CU LL'ACQUA SOJA. Letteralmente: il polpo si deve cuocere con l'acqua propria.Id est: bisogna che si convinca da se medesimo, senza interventi esterni. La locuzione fa riferimento a tutte quelle persone che recedono da certe posizioni solo se si autoconvincono; con costoro è inutile ogni opera di convincimento, bisogna armarsi di pazienza ed attendere che si autoconvincano, come un polpo che per cuocersi non necessita di aggiunta d'acqua, ma sfrutta quella di cui è composto. 10.DÀ 'NCOPP' Ê RECCHIE. Letteralmente: dare sulle orecchie. La locuzione consiglia il modo di comportarsi nei confronti dei boriosi, dei supponenti, dei saccenti adusi ad andare in giro tronfi e pettoruti a testa elevata quasi fossero i signori del mondo. Nei loro confronti bisogna usare una sana violenza colpendoli, anche solo metaforicamente sulle orecchie per fargliele abbassare. 11.N' AGGIO SCAURATO STRUNZE, MA TU ME JESCE CU 'E PIEDE 'A FORA... Letteralmente: ne ò bolliti di stronzi, ma tu (sei cosí grosso)che non entri per intero nella pentola destinata all'uso. Iperbolica e barocca locuzione-offesa usata nei confronti di chi si dimostri cosí esageratamente pezzo di merda da meritarsi di esser paragonato ad un pollo o simile che ecceda i limiti della pentola rendendosi cosí difficile da esser bollito. 12.TANTE GALLE A CCANTÀ NUN SCHIARA MAJE JUORNO. Letteralmente: tanti galli a cantare non spunta mai il giorno. Id est: quando si è in tanti ad esprimere un parere intorno ad un argomento, a proporre una soluzione ad un problema, non si addiviene a nulla di concreto... Perché dunque farsi meraviglia se il parlamento italiano composto da un numero esorbitante di deputati e senatori non riesce mai a legiferare rapidamente e saggiamente: parlano in tanti... 13.SÍ, SÍ QUANNO CURRE E 'MPIZZE... Letteralmente: sí quando corri ed infili! La locuzione significa che si sta ponendo speranza in qualcosa che molto difficilmente si potrà avverare, per cui è da intendersi in senso ironico, volendo dire: quel che tu ti auguri avvenga, non avverrà. La locuzione fa riferimento ad un'antica gara che si svolgeva sulle piazze dei paesi meridionali. Si infiggeva nell'acciottolato della piazza del paese un'alta pertica con un anello metallico posto in punta ad essa pertica, libero di dondolare al vento. I gareggianti dovevano, correndo a cavallo, far passare nell'anello la punta di una lancia, cosa difficilissima da farsi. 14.MADONNA MIA, MANTIENE LL'ACQUA! Letteralmente: Madanna mia reggi l'acqua. Id est: fa che la situazione non peggiori o non degeneri. L'invocazione viene usata quando ci si trovi davanti ad una situazione di contesa il cui esito si prospetti prossimo a degenerare per evidente cattiva volontà di uno o piú dei contendenti. 15.OMMO 'E CIAPPA. Letteralmente: uomo di bottone e, per traslato, uomo importante, di vaglia. La locuzione à origini antichissime addirittura seicentesche allorché a Napoli esistette una consorteria particolare, la cd repubblica dei togati che riuniva un po' tutta la classe dirigente della città. Le ciappe (dal latino=capula) erano i grossi bottoni d'argento cesellato che formavano l'abbottonatura della toga simbolo, appunto, di detta consorteria. 16.'A NAVE CAMMINA E 'A FAVA SE COCE. Letteralmente: la nave cammina, e la fava si cuoce. La locuzione mette in relazione il cuocersi della fava (che indica la sopravvivenza,id est la continuata abbondanza di cibo) con il cammino della nave ossia con il progredire delle attività economiche, per cui è piú opportuno tradurre: se la nave va, la fava cuoce, cioé se prosperano gli affari è assicurato il desinare. 17.ESSERE 'NU CASATIELLO CU LL'UVA PASSA. Letteralmente: essere una caratteristica torta rustica pasquale ripiena d'uva passita. Id est: essere una persona greve, fastidiosa, indigesta, noiosa quasi come la torta menzionata già greve di suo per esser ripiena di formaggi,strutto, uova, salumi, resa meno digeribile dalla presenza dell'uva passita... 18.NCE VONNO CQUATTO LASTE E 'O LAMPARULO. Letteralmente: occorono i quattro vetri laterali ed il reggimoccolo. Id est: il lavoro compiuto è del tutto inutilizzabile in quanto palesamente incompleto e non fatto a regola d'arte; quello della locuzione è una lanterna ultimata in modo raffazzonato al punto che mancano elementi essenziali alla sua funzionalità. La locuzione viene perciò usata nei confronti di chi, ingiustificatamente, si gloria di aver fatto un eccellente lavoro, laddove ad un attento controllo esso risulta vistosamente carente . 19. JIRSENE CU 'NA MANA ANNANZE E N'ATA ARRETO. Letteralmente: andarsene con una mano davanti ed una di dietro (per coprirsi le vergogne). Era il modo con cui il debitore si allontanava dal luogo dove aveva eseguito la cessio bonorum, aveva cioè poggiato le nude natiche su di una colonnina posta innanzi al tribunale a dimostrazione di non aver piú niente. La locuzione perciò significa e si usa per indicare chi, non avendo concluso nulla di buono, ci à rimesso fino all'ultimo quattrino e non gli resta che l'ignominia di cambiar zona andandosene con una mano davanti ed una di dietro per coprire alla men peggio le proprie vergone. 20. A - MIETTE MANA Â TELA B - ARRICIETTE 'E FIERRE Le due locuzioni indicano l'incipit e il termine di un'opera e vengono usate nelle precise circostanze da esse indicate, ma sempre con un valore di sprone; sub A: metti mano alla tela, ossia, prepara la tela ché è giunto il momento di cominciare il lavoro. sub B: metti a posto i ferri, è giunta l'ora di lasciare il lavoro. 21.ESSERE 'NU/’NA SECATURNESE. Letteralmente: essere un/una sega tornesi.Id est: essere un/una avaraccio/a, al punto di far concorrenza a taluni antichi tonsori di monete, che al tempo che circolavano monete d'oro o d'argento, usavano limarle per poi rivender la limatura e far cosí piccoli guadagni: venne poi la carta-moneta e finí il divertimento. 22.ESSERE 'NA MEZA PUGNETTA. Esser piccolo di statura, ma soprattutto valer poco o niente, non avere alcuna conclamata attitudine operativa, stante la ridottissima capacità fisica, intellettiva e morale essendo ritenuto furbescamente e sarcasticamente il prodotto di un gesto onanistico non compiuto neppure per intero. 23. ESSERE 'NA GALLETTA 'E CASTIELLAMMARE. Letteralmente: essere un biscotto di Castellammare. Id est: essere poco incline ad atti di generosità, anzi tener sempre saldamente chiusi i cordoni della borsa essendo molto restio ad affrontare spese di qualsiasi genere, in ispecie quelle destinate ad opere di carità, essere insomma cosí duro nei propri parsimoniosi intendimenti da essere paragonabile ai durissimi biscotti prodotti in Castellammare, biscotti a lunga conservazione usati abitualmente come scorta dalla gente di mare che li preferiva al pane perché non ammuffivano, ma che erano cosí tenacemente duri che - si diceva - neppure l'acqua di mare riuscisse ad ammorbidire. 24. 'E CURALLE LL'À DDA FÀ 'O TURRESE. Letteralmente: i coralli li deve lavorare il torrese. Id est: ognuno deve fare il proprio mestiere, che però deve esser fatto secondo i crismi previsti; non ci si può improvvissare competenti; nella fattispecie la lavorazione del corallo è appannaggio esclusivo dell'abitante di Torre del Greco, centro campano famoso nel mondo appunto per la produzione di oggetti lavorati in corallo. 25. MO T''O PPIGLIO 'A FACCIA 'O CUORNO D''A CARNACOTTA Letteralmente. adesso lo prendo per te dal corno per la carne cotta. Icastica ed eufemistica espressione con la quale suole rispondere chi, richiesto di qualche cosa, non ne sia in possesso né abbia dove reperirla o gli manchi la volontà di reperirla. Per comprendere appieno la locuzione bisogna sapere che la carnacotta è il complesso delle trippe o frattaglie bovine o suine che a Napoli vengono vendute già atte ad essere consumate o dai macellai o da appositi venditori girovaghi che le servono ridotte in piccoli pezzi su minuscoli fogli di carta oleata; i piccoli pezzi di trippa vengono prima irrorati col succo di limone e poi cosparsi con del sale che viene prelevato da un corno bovino scavato ad òc proprio per contenere il sale e bucato sulla punta per permetterne la distribuzione. Detto corno viene portato dal venditore di trippa, appeso in vita e lasciato pendente sul davanti del corpo. Proprio la vicinanza con intuibili parti anatomiche del corpo, permettono alla locuzione di significare che ci si trovi nell'impossibilità, per mancanza di volontà o di mezzi di aderire alle richieste. 26.PARÉ 'O MARCHESE D''O MANDRACCHIO. Letteralmente: sembrare il marchese del Mandracchio. Id est: Tentare di darsi le arie di persona dabbene ed essere in realtà di tutt'altra pasta.Sarcastica locuzione, che usata per irridere un personaggio volgare ed ignorante che si dia delle arie, millantando importanti ascendenti sociali di nascita, si incentra sul termine Mandracchio che non è il nome di una tenuta, ma indica solo la zona a ridosso del porto(dallo spagnolo mandrache: darsena)frequentata da marinai, vastasi cioè facchini e scaricatori che non usavano di certo buone maniere ed il cui linguaggio non era certo forbito, corretto ed elegante. 27. OGNI CCAPA È 'NU TRIBBUNALE. Letteralmente: ogni testa è un tribunale. Id est: ognuno decide secondo il proprio metro di giudizio, ognuno è pronto ad emanar sentenze. 28.NCARISCE, FIERRO, CA TENGO N'ACO 'A VENNERE! Letteralmente: oh ferro, rincara ché ò un ago da vendere. E' l'augurio che si autorivolge colui che à parva materia da offrire alla vendita e si augura che possa riceverne il maggior utile possibile. La locuzione è usata nei confronti di chi si lascia desiderare pur sapendo bene di non aver grosse capacità da conferire in qualsivoglia contrattazione. 29.CHIANU CHIANO 'E CCOGLIO E SENZA PRESSA, 'E VVENGO. Letteralmente: piano piano li raccolgo e senza affrettarmi li vendo. La locuzione sottolinea l'indolenza operativa di certuni, che non si affrettano mai nè nel loro incedere né nel portare a compimento alcunché. 30. FÀ COMME Ê FUNARE Agire come i fabbricanti di corde. Id est: non fare alcun progresso né nello studio, né nell'apprendimento di un mestiere. Quando ancora non v'erano le macchine ed i robot che fanno di tutto, c'erano taluni mestieri che venivano fatti da operai ed esclusivamente a mano. Nella fattispecie i cordari solevano fissare con i chiodi ad un asse di legno i capi delle corde da produrre e poi procedendo come i gamberi le intrecciavano ad arte. La locuzione prende in considerazione non i risultati raggiunti, ma solo il modo di procedere tenuto dai cordari. Allorché poi avevano fabbricato la corda ne staccavano il capo dal supporto lasciando cadere in terra la corda fabbricata donde la locuzione 30bis. TIRAMMO ‘STU CAPO ‘NTERRA! Espressione usata a mo’ di incentivo a portare sollecitamente a termine un’opera intrapresa 31. DÀ ZIZZA PE GGHIONTA. Letteralmente: dar carne di mammella per aggiunta di derrata, un di piú generosamente concesso, ma trattandosi di vile mammella la concessione non è poi veramente positiva e tutta l'espressione è da intendere in senso ironico ed antifrastico equivalente ad accrescere un danno, conciar male qualcuno, cagionandogli ulteriori danni. 32. MA ADDÓ T'ABBÍE SENZA 'MBRELLO? Letteralmente: Ma dove ti dirigi senza ombrello (se già piove?)? La domanda traduce sarcasticamente l'avvertimento di non affrontare qualsivoglia situazione se non si è preparati e pronti, armati cioè oltre che della buona volontà, degli strumenti atti alla bisogna e a farti da scudo ove ne occorra il caso. 33. MEGLIO CAP' 'ALICE CA CODA 'E CEFARO. Letteralmente: meglio (esser) testa di alice che coda di cefalo. Id est: meglio comandare, esser primo sia pure in un ristretto consesso, che ultimo in un'imponente accolta. 34.SE PIGLIANO CCHIÚ MOSCHE CU 'NA GOCCIA 'E MÈLE, CA CU 'NA VOTTA 'ACITO. Letteralmente: si catturano piú mosche con una goccia di miele che con una botte di aceto. Id est: i migliori risultati, i piú sostanziosi si ottengono con le manieri dolci, anziché con quelle aspre. 35.A PPAVÀ E A MMURÍ, QUANNO CCHIÚ TTARDE SE PO’. A pagare e a morire quando piú tardi sia possibile. Trattandosi di due faccende dolorose, la filosofia popolare le à accomunate, consigliando di procrastinarle ambedue sine die. 36.SI 'O CIUCCIO NUN VO’ VÉVERE AJE VOGLIA D''O SISCÀ. Letteralmente: se l'asino non vuol bere, puoi fischiare quanto vuoi (per sollecitarlo a bere), non ne otterrai nulla. La locuzione viene usata quando si voglia sottolineare la testarda mancanza di volontà di qualcuno, stante la quale tutte le esortazioni sono vane... 37.ARIA SCURA E FFÈTE 'E CASO! Letteralmente: Aria torbida che puzza di formaggio. Lo si dice a salace commento di errate affermazioni di qualcuno che abbia confuso situazioni diverse tra di loro e le abbia messe in relazione incorrendo in certo errore come accadde a Pulcinella che, confondendo la porta della dispensa con la finestra, si espresse con la frase in epigrafe... 38.CHI TÈNE CCHIÚ SSANTE VA 'MPARAVISO. Letteralmente: Chi à piú santi va in Paradiso; ma è chiaro che la locuzione non si riferisce al premio eterno, ma molto piú prosaicamente ai beni terreni,a prebende e posti di comando e ben remunerati; e i santi - manco a dirlo - non sono quelli che ànno praticato in maniera eroica le virtú cristiane, ma molto piú semplicemente coloro che son capaci di dare una spinta, di raccomandare o - come eufemisticamente si dice oggi, di segnalare qualcuno a chi gli possa giovare nel senso suaccennato. 39.I' TE CUNOSCO PIRO A LL' UORTO MIO. Letteralmente: Io ti conosco pero nel mio orto. Id est: Io conosco bene le tue origini e ciò che sei in grado di produrre; non mi inganni: perciò è inutile che tenti di far credere di esser capace di mirabolanti o produttive imprese... La cultura popolare attribuisce le parole in epigrafe ad un contadino che si era imbattuto in una statua di un Cristo circondata di fiori e ceri. Il popolino aveva attribuito alla statua poteri taumaturgici, ma il contadino che sapeva che la statua era stata ricavata da un suo albero di pero, tagliato perché improduttivo, apostrofò la statua con le parole in epigrafe, volendo far intendere che non si sarebbe fatto trasportare dalla credenza popolare e conoscendo le origini del Cristo effiggiato, non gli avrebbe tributato onori di sorta. 40. ESSERE FETENTE DINT' A LL' OSSA. Letteralmente: essere fetente fin dentro le ossa. Id est: appalesarsi perfido, spregevole, di animo cattivo, ma non solo esteriormente quanto fin dentro la quintessenza dell'essere. 41. 'O PATATERNO DÀ 'O PPANE A CHI NUN TÈNE 'E DIENTE E 'E VISCUOTTE A CHI NUN S''E PPO’ RUSECÀ... Letteralmente: Il Signore concede il pane a chi non tiene i denti e i biscotti a chi non può sgranocchiarli... Id est: Spesso nella vita accade di esser premiati oltre i propri meriti o di venire in possesso di fortune che si è incapaci di gestire. 42.'A CARCIOFFOLA S'AMMONNA A 'NA FRONNA Â VOTA. Letteralmente: il carciofo va mondato brattea a brattea. Id est: le cose vanno fatte con calma e pazienza, se si vogliono ottenere risultati certi bisogna procedere lentamente e con giudizio. 43.ACQUA SANTA E TTERRA SANTA, PURE LOTA FANNO. Letteralmente: acqua santa e terra santa pure fango fanno. Id est: l'unione di due cose di per sè buone, non è detto che non possano produrre effetti spiacevoli. Lo si dice con riferimento alla società di due individui che, presi singolarmente, mai farebbero sospettare esser capaci di produrre danno e che invece, uniti producono grave nocumento ai terzi. Rammento in coda alla spiegazione della locuzione esaminata che il s.vo f.le lota [dal lat. lota neutro pl. di lutum] oltre che fango e/o melma vale anche, per estensione semantica, letame, escremento bovino ed in tale significato è da intendersi nell’ epiteto SICCHIO ‘E LOTA [id est: secchio di letame]che si rivolgere quale bruciante offesa ad un uomo indegno, ad un pessimo soggetto accreditato d’esser capace di tenere i peggiori comportamenti. Brak

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