domenica 8 gennaio 2017

VARIE 17/34

1.AVIMMO FATTO ASSAJE! Ad litteram: abbiamo fatto molto! Ironica locuzione, da intendersi in senso chiaramente antifrastico, che viene pronunciata come amaro commento da chi voglia far intendendere ad un suo ipotetico compagno di ventura di aver completamente mancato il comune centro prefissosi, e di non aver concluso nulla dell’intrapreso, anzi di essersi affaticati inutilmente in quanto il risultato del loro operato è stato completamente nullo e non si è ottenuto alcun risultato concreto, che se pure ci fosse, sarebbe cosí piccola cosa rispetto all’impegno profuso, da non esser tenuto in alcun conto. 2.AVIMMO FATTO TRENTA, FACIMMO TRENTUNO. Quando manchi poco per raggiungere lo scopo prefisso, conviene fare quell'ultimo piccolo sforzo ed agguantare la meta: in fondo da trenta a trentuno v'è un piccolissimo lasso. La locuzione rammenta l'operato di papa Leone X che fatti 30 cardinali, in extremis ne creò un trentunesimo. 3.AVIMMO FATTO: CUPINTE, CUPINTE: 'E CAVÉRE FORA I 'E FRIDDE DINTO. Letteralmente: abbiamo fatto cúpidi, cúpidi: i caldi (son restati) di fuori ed i freddi(sono entrati) dentro. Icastica espressione napoletana che fotografa una realtà nella quale stravolgendo la logica e l'attesa, si dia via libera a chi non è all'altezza della situazione e si lascia a bocca asciutta chi meriterebbe la priorità nel godimento di un quid (che - nella fattispecie - sono i favori di una donna).Tuttavia preciso che è inutile come che non significante la traduzione letterale; in senso ampio, come ò détto, la locuzione è usata per indicare l’incongruente azione di chi premi qualcuno oltre i propri meriti e al contrario lesini il plauso o il premio a chi invece spetterebbero; in senso piú strettamente letterale la locuzione si attaglia a quelle occasioni allorché spinti dalla cupidigia si siano concessi i favori di una donna a coloro che (freddi) non mostravano i necessarii requisiti fisici, e si siano erroneamente negati ai piú meritevoli caldi tenuti ingiustamente fuori sebbene mostrassero di essere adeguatamente... armati. Letteralmente, di solito, in napoletano la parola cupínto sta per Cupído, miticologico nume dell’amore; ma penso che riferirsi a lui per la locuzione in esame sarebbe errato, non esistendo un nesso tra il benevolo nume suddetto e l’errato, inesatto comportamento ricordato nella seconda parte della locuzione; ò reputato piú giusto pensare, nella fattispecie della locuzione, che il termine cupinte (pl. di cupinto), oltre a fornire una adeguata rima con il termine dinto, sia stato usato come corruzione del termine cúpido: bramoso, agognante, desideroso, quella brama o desiderio che può spingere all’errore. 4.AVIMMO PERDUTO A FFELIPPO I ‘O PANARO Ad litteram: abbiamo perduto Filippo e la cesta. Id est: ci abbiamo rimesso tutto: il capitale e gli interessi.Nel caso di questa locuzione ancóra in uso, affatto diversa dalla precedente il nome Felippo non è una corruzione di Filippi, ma è il nome proprio Filippo rammentato in una non meglio identificata farsa pulcinellesca di Antonio Petito nella quale un tal Pancrazio aveva affidato al suo servo Filippo una cesta di cibarie , perché la portasse a casa, ma il malfido servo, riuniti altri suoi pari, si diede a gozzovigliare facendo man bassa delle cibarie contenute nella cesta, e temendo poi le reazioni del padrone, evitò di tornare a casa lasciando il povero Pancrazio a dolersi del fatto con la frase in epigrafe. Nota linguistica In questa ’espressione il verbo avimmo perduto regge due complenti oggetto ( il nome proprio Filippo ed il nome comune panaro), ma mentre Filippo è introdotto dalla preposizione A, ciò non avviene per il s.vo panaro che non viene introdotto da ô (crasi di a +’o(lo/il)), ma viene introdotto dal semplice art. determ. m. ‘o (lo/il); ciò avviene perché in napoletano la preposizione A è usata talvolta per introdurre, quasi in maniera indiretta, un complemento oggetto quando però tale complemento sia una persona o essere animato, mai un oggetto (es.: aggiu visto a ppàteto= ò visto tuo padre; aggiu ‘ntiso ô cane ca alluccava = ò sentito il cane che latrava ( dove ô = a + ‘o= a + il/lo); ma aggiu pigliato ‘o bicchiere= ò preso il bicchiere, aggiu ‘ntisa ‘a campana = ò sentito la campana.) La ragione di questa particolare A segnacaso del complemento oggetto non è da ricercarsi come sostiene qualcuno nel fatto che venuto meno il latino con le declinazioni comportanti esatte desinenze distinte per il nominativo e l’accusativo in un corrotto latino regionale volgare privo di desinenze distinte si sarebbe ingenerata un’ipotetica confusione in una frase del tipo: Petrus vidit Paulus non potendosi stabilire se il soggetto di vidit fosse Petrus o Paulus. Ciò è inesatto in quanto, se è vero che, ad un dipresso, il latino classico, almeno fino a quello ciceroniano, mantenne il soggetto anteposto al verbo reggente, per il latino della decadenza volgarizzatosi con l’entrata in contatto con le parlate locali, proprio per non ingenerare confusioni, soprattutto nella lingua parlata si preferí porre il soggetto sempre prima del verbo reggente. Reputo dunque molto piú verosimile l’idea che tale particolare A segnacaso del complemento oggetto sia un residuo plebeo di un latino volgare parlato, quello che produsse anche lo spagnolo, il portoghese ed il rumeno, lingue in cui perdura l’uso dell’A come segnacaso del complemento oggetto. 5.AVIMMO PERDUTO 'APARATURA I 'E CENTRELLE. Ad litteram: abbiamo perduto gli addobbi ed i chiodini. Anticamente, a Napoli in occasione di festività, specie religiose, si solevano addobbare i portali delle chiese con gran drappi di stoffe preziose; tali addobbi erano chiamati aparature; accaddeva però talvolta che - per sopravvenuto mal tempo, il vento e la pioggia scompigliasse, fino a distruggere gli addobbi ed a svellere drappi e chiodini usati per sostenerli; la locuzione attualmente viene usata per dolersi quando, per sopravvenute, inattese cause vengano distrutti o vanificati tuttti gli sforzi operati per raggiungere un alcunché. Brak

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