mercoledì 25 gennaio 2017

VARIE 17/93

1.CÀNTERO SPETENATO - CESSO A VVIENTO. Ad litteram: Pitale spatinato - cesso a vento. Coppia di icastiche contumelie che a mo’ di offesa vengon rivolte a tutti coloro che sono ritenuti esserI spregevoli al punto di venir paragonati alternativamente o ad un vecchio vaso di comodo vaso che per il lungo uso abbia perduto la sua lucente patina d’origine, o - peggio ancóra, paragonati a quei vespasiani che un tempo troneggiavano lungo le strade per dar modo, a chi ne avesse impellente bisogno, di liberarsi dei propri pesi fisiologici. Nell’un caso e nell’altro chi venga fatto segno anche d’una sola delle contumelie riportate in epigrafe, significa che è ritenuto un lercio contenitore degli esiti , soprattutto solidi, corporali. Per completezza preciso qui che il càntero dell’epigrafe non era specificatamente il piccolo pitale, (termine con cui è stato tradotto, non avendo l’italiano una parola piú adatta) che oggi conosciamo, ma era un alto e grosso vaso cilindrico di terracotta ricoperta nell’interno e all’esterno di una lucente patina invetriata, vaso dall’ampia e comoda bocca, provvisto lateralmente di due solidi manici necessarii per la prensione; sulla larga bocca ci si poteva tranquillamente sedere per liberarsi dei propri esiti. Esso vaso detto anche, sia pure riprendendo un'antichissima formulazione già riportata nei classici napoletani, all’indomani del 1860, icasticamente si’ peppe con chiaro riferimento al gen. Garibaldi, troneggiava in tutte le case ,ma anche nelle camere da letto dei sovrani settecenteschi, alcuni dei quali erano soliti ricevere cortigiani e/o ambasciatori e plenipotenziari, quasi per metterli in soggezione, mentre essi monarchi procedevano all’operazione fisiologica mattutina. Il cesso a viento, sebbene provenga dal tempo degli antichi romani,è invenzione ottocentesca; concepito alla maniera del cesso alla turca non aveva porte, ma solo minuscoli divisorii di ghisa che servivano a tener lontani sguardi indiscreti Mancando le porte o altri intralci ed essendo a vento cioè del tutto aperti - ne era consentita una rapida pulizia con pompe idrauliche . càntero = grosso vaso da notte, pitale da non confondere con ‘o rinale che è appunto l’orinale, vaso molto pi ú piccolo del càntero o càntaro alto e vasto cilindrico vaso dall’ampia bocca su cui ci si poteva comodamente sedere, atto a contenere le deiezioni solide; etimologicamente la voce càntero o càntaro è dal basso latino càntharu(m) a sua volta dal greco kàntharos; rammenterò ora di non confondere la voce a margine con un’altra voce partenopea cantàro (che è dall’arabo quintâr) diversa per accento tonico e significato: questa seconda infatti è voce usata per indicare una unità di misura: cantàio= quintale ed è a tale misura che si riferisce il detto napoletano: Meglio ‘nu cantàro ‘ncapo ca n’onza ‘nculo ( e cioè: meglio sopportare il peso d’un quintale in testa che (il vilipendio) di un’oncia nel culo (e non occorre spiegare cosa sia l’oncia richiamata…)); molti napoletani sprovveduti e poco informati confondono la faccenda ed usano dire, erroneamente: Meglio ‘nu càntaro ‘ncapo…etc.(e cioè: meglio portare un pitale in testa che un’oncia nel culo!), ma ognuno vede che è incongruo porre in relazione un peso (oncia) con un vaso di comodo (càntaro) piuttosto che con un altro peso (cantàro)! 2.CAPURÀ È MMUORTO ‘ALIFANTE! Ad litteram: caporale, è morto l’elefante! Id est: è morto l’oggetto in forza del quale eri solito vantarti e raccogliere laute mance,… non vantarti piú, torna con i piedi a terra!Piú genericamente, con la frase in epigrafe a Napoli si vuol significare che non è piú né tempo, né caso di gloriarsi e la locuzione viene rivolta contro chiunque, pur in mancanza di acclarati e cogenti motivi, continui a darsi delle arie o si attenda onori immotivati. L’espressione fu coniata nella seconda metà del 1700, allorché il re CARLO di Borbone ricevette da un sultano turco il dono di un elefante che fu affidato alle cure di un vecchio veterano che montò in superbia per il compito ricevuto al quale annetté grande importanza, dandosi arie e riscuotendo buone mance da tutti coloro che andavano nei giardini di palazzo reale ad ammirare il pachiderma. Di lí a poco però, l’elefante morí ed ancóra poco tempo fa era possibile vederne la carcassa conservata nel museo archeologico della Università di Napoli ed il povero caporale vide venir meno con le mance anche le ragioni del suo sussiego e talvolta, quando faceva le viste di dimenticarsi di non essere piú il custode dell’animale, il popolino, per rammentargli che non era il caso di montare in superbia era solito gridargli la frase in epigrafe che viene ancóra usata nei confronti di tutti coloro che senza motivo si mostrino boriosi e supponenti. 3.CARCERE, MALATIA E NECISSITÀ, SE SCANAGLIA 'O CORE 'E LL'AMICE. Carcere, malattia e necessità fanno conoscere la vera indole, il vero animo, degli amici. 4.CARNEVALE MIO, SI SAPEVO CA MURIVE, T’ABBUFFAVO ‘E SSCORZE ‘E LUPINE Lettaralmente: Carnevale mio, se avessi saputo che saresti morto ti avrei nutrito di cocce di lupini (piuttosto che di gustose e costose pietanze, quali lasagne ripiene,polpette e/o braciole di manzo o di cotiche di maiale al ragú (che sono i tipici cibi con cui si imbandiscono le tavole prima dell’inizio della quaresima) che non ài apprezzato sino in fondo e di cui non m’ài ringraziato!). Espressione sarcastica usata nei confronti di chi beneficiato di gratuiti aiuti e/o provvidenze dal proprio prossimo,non li apprezzi a sufficienza o addirittura si mostri ingrato ed irriconoscente; a siffatti individui ci si riferisce con la frase in esame per bollarli di ingratitudine, irriconoscenza e d’essere volutamente immemori, dimentici, tal quale il Carnevale che nutricato di costose e gustose pietanze nell’ultimo dí delle sue feste (martedí grasso), mostra di non giovarsene appieno ed ugualmente decede per dare spazio alla quaresima (mercoledí delle ceneri); Carnevale s.vo m.le 1 periodo dell'anno che va dall'epifania all'inizio della quaresima; in partic., l'ultima settimana di questo periodo, dedicata tradizionalmente ai divertimenti e alle feste mascherate: veglione di carnevale | bruciare il carnevale, dar fuoco al fantoccio che lo rappresenta; (fig.) terminare la festa | prov. : a, di carnevale ogni scherzo vale, durante il carnevale tutto è lecito 2 (estens.) l'insieme delle feste, delle manifestazioni organizzate durante il carnevale: il carnevale di Venezia, di Viareggio. DIM. carnevaletto, carnevalino ACCR. carnevalone 3(estens.) la maschera che rappresenta quelle feste; 4 (fig.) tempo di spasso e di allegria; chiasso, confusione | carnevalata, pagliacciata. voce derivata a mio avviso piú che (come opinano i piú) da carne levare, perché dopo tale periodo cominciava l'astinenza quaresimale, dall’espressione esclamativa latina carne(m) vale! = ti saluto carne! e ciò sempre perché dopo tale periodo cominciava quello quaresimale e la carne per quaranta giorni era bandita dalla mensa; abbuffavo voce verbale (1ª pers. sg. imperf. ind.)dell’infinito abbuffà = gonfiare, dilatare, ingrossare, allargare, enfiare satollare; etimologicamente deriva quale denominale da un latino ad +bufo→adbufo→abbufo→abbuffo= farsi gonfio come un rospo (lat. bufo/onis). scorze s.vo f.le pl. di scorza = buccia, guscio, baccello, invoLLUcro, tegumento ma anche corteccia d’albero, pelle, spoglia di serpente e nel caso che ci occupa valva vuota di mitili e/o moLLUschi ; etimologicamente dal lat. scortea(m) 'veste di pelle', s.vo dell'agg. scorteus, deriv. di scortum 'pelle'; lupine s.vo m.le pl. di lupino nome regionale (alibi longone) d’ un tipo di mollusco bivalve affine alla vongola verace, ma piú piccolo, di colore piú chiaro e sprovvisto di sifoni ; il nome gli deriva dall’esser simile per forma al seme del lupino [dal lat. lupinu(m), agg. deriv. di lupus 'lupo'; propr. 'erba dei lupi') pianta erbacea, gradita ai lupi, produttrice di semi gialli che bolliti e salati sono commestibili, (fam. Leguminose)]. 5.CARTA VÈNE E GGHIUCATORE S'AVANTA. Letteralmente: carta (vincente) viene e giocatore (vittorioso) si vanta. La locuzione prendendo spunto dal giuoco delle carte stigmatizza il comportamento ridicolo e pretestuosamento presuntuoso - tipico peraltro di coloro che ànno scarse capacità intellettive - di chi tenti di farsi merito di successi ottenuti non per propria capacità, intelligenza e valore, ma per mera fortuna che lo abbia condotto al primato, come avviene in taluni giuochi di carte dove basta il possesso di determinate carte vincenti a procurare la vittoria e conta veramente poco il modo di giocare le predette carte. BRAK

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