mercoledì 29 marzo 2017

VARIE 17/346


1.'O PURPO S'À DDA COCERE CU LL'ACQUA SOJA.
Letteralmente: il polpo si deve cuocere con l'acqua propria.Id est: bisogna che si convinca da se medesimo, senza interventi esterni. La locuzione fa riferimento a tutte quelle persone che recedono da certe posizioni solo se si autoconvincono; con costoro è inutile ogni opera di convincimento, bisogna armarsi di pazienza ed attendere che si autoconvincano, come un polpo che per cuocersi non necessita di aggiunta d'acqua, ma sfrutta quella di cui è composto.
2. DÀ 'NCOPP' Ê RRECCHIE.
Letteralmente: dare sulle orecchie. La locuzione consiglia il modo di comportarsi nei confronti dei boriosi, dei supponenti, dei saccenti adusi ad andare in giro tronfi e pettoruti a testa elevata quasi fossero i signori del mondo. Nei loro confronti bisogna usare una sana metaforica violenza colpendoli sulle orecchie per fargliele abbassare.
3. N' AGGIO SCAURATO STRUNZE, MA TU ME JESCE CU 'E PIEDE 'A FORA...
Letteralmente: ne ò bolliti di stronzi, ma tu (sei  un  stronzo cosí grosso)che non entri per intero nella ipotetica pentola destinata all'uso. Iperbolica e barocca locuzione-offesa usata nei confronti di chi si dimostri cosí esageratamente pezzo di merda da eccedere i limiti di una  ipotetica  pentola  destinata all’uso di una ancóra piú ipotetica bollitura!
4.TANTE GALLE A CCANTÀ NUN SCHIARA MAJE JUORNO.
Letteralmente: tanti galli a cantare non spunta mai il giorno. Id est: quando si è in tanti ad esprimere un parere intorno ad un argomento, a proporre una soluzione ad un problema, non si addiviene a nulla di concreto...  Dunque non è da  farsi meraviglia se il parlamento italiano composto da un numero esorbitante di deputati e senatori non riesce mai a legiferare rapidamente e saggiamente: parlano in tanti...
5.SÍ, SÍ QUANNO CURRE E 'MPIZZE...
Letteralmente: sí quando corri ed infili! La locuzione significa che si sta ponendo speranza in qualcosa che molto difficilmente si potrà avverare, per cui è da intendersi in senso ironico, volendo dire: quel che tu ti auguri avvenga, non avverrà. La locuzione fa riferimento ad un'antica gara che si svolgeva sulle piazze dei paesi meridionali. Si infiggeva nell'acciottolato della piazza del paese un'alta pertica con un anello metallico posto in punta ad essa pertica, libero di dondolare al vento. I gareggianti dovevano, correndo a cavallo, far passare nell'anello la punta di una lancia, cosa difficilissima da farsi.
6. MADONNA MIA, MANTIENE LL'ACQUA!
Letteralmente: Madanna mia reggi l'acqua. Id est: fa che la situazione non peggiori o non degeneri. L'invocazione viene usata quando ci si trovi davanti ad una situazione di contesa il cui esito si prospetti prossimo a degenerare per evidente cattiva volontà di uno o piú dei contendenti.
7. OMMO 'E CIAPPA.
Letteralmente: uomo di bottone e, per traslato, uomo importante, di vaglia. La locuzione ha origini antichissime addirittura seicentesche allorché a Napoli esistette una consorteria particolare, la cd repubblica dei togati che riuniva un po' tutta la classe dirigente della città. Le ciappe (dal latino=capula) erano i grossi bottoni d'argento cesellato che formavano l'abbottonatura della toga simbolo, appunto, di detta consorteria.
8. 'A NAVE CAMMINA E 'A FAVA SE COCE.
Letteralmente: la nave cammina, e la fava si cuoce. La locuzione mette in relazione il cuocersi della fava (che favorisce  la sopravvivenza, frutto di  una continuata abbondanza di cibo) con il cammino della nave ossia con il progredire delle attività economiche, per cui è piú opportuno tradurre se la nave va, la fava cuoce (e si vive bene…).
9. ESSERE 'NU CASATIELLO CU LL'UVA PASSA.
Letteralmente: essere una caratteristica torta rustica pasquale ripiena d'uva passita. Id est: essere una persona greve, fastidiosa, indigesta, noiosa quasi come la torta menzionata già greve di suo per esser ripiena distrutto,  formaggio, uova, salame, resa meno digeribile dalla presenza dell'uva passita e dei pinoli.
10. NCE MANCANO 'E CQUATTE LASTE E 'O LAMPARULO.
Letteralmente: Mancano i quattro vetri laterali ed il reggimoccolo. Id est: il lavoro compiuto è del tutto inutilizzabile in quanto palesamente incompleto e non fatto a regola d'arte; quello della locuzione è una lanterna ultimata in modo raffazzonato al punto che mancano elementi essenziali alla sua funzionalità: i quattro vetri protettivi laterali ed il reggimoccolo centrale. La locuzione viene perciò usata nei confronti di chi, ingiustificatamente, si gloria di aver fatto un eccellente lavoro, laddove ad un attento controllo esso risulta vistosamente carente.
11. ESSERE 'NU/ ‘NA SECATURNESE.
Letteralmente: essere un/una  sega tornesi.Id est: essere un avaraccio/a, super avaro/a al punto di far concorrenza a taluni antichi tonsori di monete, che al tempo che circolavano monete d'oro o d'argento, usavano limarle per poi rivender la limatura e far cosí piccoli guadagni: venne poi la carta-moneta e finí il divertimento.
12. ESSERE 'NA MEZA PUGNETTA.
Esser piccolo di statura, ma soprattutto valer poco o niente, non avere alcuna conclamata attitudine operativa, stante la ridottissima capacità fisica, intellettiva e morale essendo il prodotto di un gesto onanistico non compiuto neppure per intero.
13. ESSERE 'NA GALLETTA 'E CASTIELLAMMARE.
Letteralmente: essere un biscotto di Castellammare. Id est: essere poco incline ad atti di generosità, anzi tener sempre saldamente chiusi i cordoni della borsa essendo molto restio ad affrontare spese di qualsiasi genere, in ispecie quelle destinate ad opere di carità, essere insomma cosí duro nei propri parsimoniosi intendimenti da essere paragonabile ai durissimi biscotti prodotti in Castellammare, biscotti a lunga conservazione usati abitualmente come scorta dalla gente di mare che li preferiva al pane perché non ammuffivano, ma che erano cosí tenacemente duri che - si diceva - neppure l'acqua di mare riuscisse ad ammorbidire.
14. 'E CURALLE LL'À DDA FÀ 'O TURRESE.
Letteralmente: i coralli li deve lavorare il torrese. Id est: ognuno deve fare il proprio mestiere, che però deve esser fatto secondo i crismi previsti; non ci si può improvvissare competenti; nella fattispecie la lavorazione del corallo è appannaggio esclusivo dell'abitante di Torre del Greco, centro campano famoso nel mondo appunto per la produzione di oggetti lavorati in corallo.
15. MO T''O PPIGLIO 'A FACCIA 'O CUORNO D''A CARNACOTTA
Letteralmente: Adesso lo prendo per te dal corno per la carne cotta. Icastica ed eufemistica espressione con la quale suole rispondere chi, richiesto di qualche cosa, non ne sia in possesso, né abbia dove reperirla o gli manchi la volontà di reperirla. Per comprendere appieno la locuzione bisogna sapere che la carnacotta è il complesso delle trippe o frattaglie bovine o suine che a Napoli vengono vendute già sbiancate e lessate,  atte ad essere consumate o dai macellai nelle loro botteghe o da appositi venditori girovaghi che le servono ridotte in piccoli pezzi su minuscoli fogli di carta oleata; i piccoli pezzi di trippa vengono prima irrorati col succo di limone e poi abbondantemente  cosparsi con del sale che viene prelevato da un corno bovino scavato ad hoc proprio per contenere il sale e bucato sulla punta per permetterne la distribuzione. Detto corno viene portato dal venditore di trippe, appeso in vita per il tramite d’un lungo spago e lasciato pendente sul davanti del corpo. Proprio la vicinanza con intuibili parti anatomiche del corpo, permettono alla locuzione di avere un suo significato furbesco con cui si vuol comunicare che ci si trova nell'impossibilità reale o volontaria  di aderire alle richieste.
16. PURE 'E CUFFIATE VANNO 'MPARAVISO.
Letteralmente: anche i corbellati vanno in paradiso. Massima consolatoria con cui si tenta di rabbonire i dileggiati cui si vuol fare intendere che sí è vero che ora son presi in giro, ma poi spetterà loro il premio del paradiso. Il termine cuffiato cioè corbellato è il participio passato del verbo cuffià che deriva dal sostantivo coffa = peso, carico, a sua volta dall'arabo quffa= corbello.
17. DICETTE 'O SCARRAFONE: PO’ CHIOVERE 'GNOSTIA COMME VO’ ISSO, MAJE CCHIÚ NIRO POZZO ADDEVENTÀ...
Disse lo scarafaggio: (il cielo) può far cadere tutto l'inchiostro che vuole, io non potrò mai diventare piú nero di quel che sono. La locuzione è usata da chi vuole far capire che à già ricevuto e sopportato tutto il danno possibile dall'esterno, per cui altri sopravvenienti fastidi non gli potranno procurar maggior danno.
18. ABBACCA ADDÓ VENCE.
Letteralmente: collude con chi vince. Di per sé il verbo abbaccare(=colludere, accordarsi segretamente dal lat. ad-vadicare, frequentativo di vadere) presupporrebbe una segretezza d'azione che però ormai nella realtà non si riscontra, in quanto l'opportunista - soggetto sottinteso della locuzione in epigrafe -  non si fa scrupolo di accordarsi apertis verbis con il suo stesso pregresso nemico, se costui, vincitore, gli può offrire vantaggi concreti e repentini. Lo sport di salire sul carro del vincitore e di correre in suo aiuto è stato da sempre praticato dagli italiani.
 
19. 
QUANNO CHIOVONO PASSE E FICUSECCHE
Ad litteram: quando pioveranno uva passita e fichi secchi  Id est: mai; La locuzione è usata, per dileggio,  a sarcastico commento di avvenimenti che si pensa non potranno mai verificarsi, o di situazioni che vengono ritenute non suscettibili di miglioramento alcuno, che potrebbe verificarsi solo nel caso di una fortuita ipotetica pioggia(novella manna) di uva passita e fichi secchi, evento - peraltro – ritenuto chiaramente  impossibile da verificarsi.
quanno = quando, allorché  ogni volta che, tutte le volte che (con valore iterativo) giacché, dal momento che (con valore causale)::  avv. di tempo  derivato dal latino quando con assimilazione progressiva nd→nn;
chiovono= letteralmente piovono  voce verbale (3ª pers. plur. ind. presente) dell’infinito chiovere  che è dal latino pluere con tipico passaggio di pl→chi (vedi alibi: plaga→chiaia etc.) ed epentesi eufonica della v (vedi alibi:ruina→rovina, vidua→vedova etc.).Da notare che il verbo a margine,  pur essendo indicativo presente è reso in italiano con il tempo futuro che acconciamente avrebbe dovuto  essere: chiuvarranno che è il futuro, tempo che pur essendo previsto nell’ idioma  napoletano  è pochissimo usato, sostituito quasi sempre dall’indicativo presente o dalla costruzione verbale: devo da= aggi’’a etc. Ad es.: Domani mi  taglierò i capelli  si rende con: Dimane me taglio ‘e capille oppure Dimane m’aggi’’a taglià ‘e capille.
passe = uva passita o passa; trattasi di un  aggettivo sostantivato, plurale di passo: appassito, secco: uva passa e come tale derivato dal lat. passu(m), part. pass. di pandere 'aprire, stendere'; propr. 'steso a seccare, ad appassire';
ficusecche = fichi secchi; in napoletano plurale della voce femminile: ficusecca con derivazione, con passaggio al femminile dal masch.  lat. ficum(che corrisponde al greco sýcon con cambio s/f)+ siccum da una radice sik = secco, sterile.
A margine della voce fica da cui poi ficusecca rammento che il passaggio al femminile dal maschile fico  è determinato dal fatto che con la voce fica si intende un frutto piú grosso del fico atteso che in napoletano s’usa femminilizzare un termine maschile  quando si voglia indicare una cosa intesa piú grande  della corrispondente maschile (cfr. cucchiara= mestola del muratore piú grande di cucchiaro= cucchiaio da minestra, tina piú grande di tino,tavula piú grande di tavulo, tammorra  piú grande di tammurro, carretta  piú grande di carretto etc.Fanno eccezione tiana piú piccola  di tiano  e caccavella piú piccola del caccavo). Rammento infine che con la voce ficusecca usata in senso furbesco, in napoletano si identifica anche  la vulva e segnatamente quella  avvizzita d’una donna anziana e non piú appetita; al proposito preciso che anche in greco con la voce  sýcon  si indica sia il frutto del fico che, furbescamente,  la vulva.
 RaffaeleBracale
 
 

 

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