sabato 8 aprile 2017

VARIE 17/393



1.PARÉ ARTURO ‘NCOPP’ Ô FILO
Ad litteram: Sembrare Arturo sul filo (corda). Détto con sarcastica ironia con due valenze: a) riferimento a tutti coloro che per necessità, ma piú spesso, per colpevole insipienza o temerarietà si mettano in situazioni insicure e/o difficoltose alla medesima stregua di quel non meglio identificato mitico Arturo saltimbanco acrobatico che si lucrava la giornata esibendosi in piazza del Mercato camminando pericolosamente su di una malferma ed oscillante corda tesa tra due edifici ad una altezza di circa dieci metri dal suolo; b) la seconda valenza fa riferimento a chiunque abbia un incedere malsicuro,esitante, vacillante o traballante alla maniera del suddetto Arturo.
2.PARE BBRUTTO!
Letteralmente : Sembra brutto ! nel senso di Sta male !,è scorretto ! o quanto meno, può apparire tale. Espressione del piú vieto conformismo usata per ammantare di un perbenismo di maniera ed epidermico il consiglio fornito nei riguardi di taluni comportamenti che si raccomanda di non tenére, non perché ritenuti veramente errati o esecrabili, ma solo perché ipocritamente pensati riprovevoli a gli occhi del mondo.
3.PARÉ CA ‘O CULO LL’ARROBBA ‘A PÉTTOLA
Ad litteram: Sembrare che il culo gli sottragga la falda della camicia. Divertentissima icastica espressione riferita con sarcastico dileggio nei confronti di chiunque (uomo o donna) sia tanto inguaribilmente avaro/a, spilorcio/a, pidocchioso/a, tirchio/a ed al contempo preoccupato/a, dubbioso/a, allarmato/a da giungere a temere che il suo stesso fondo schiena gli porti via la falda della camicia che insiste sul medesimo fondo schiena.
culo s.vo m.le s.
1 deretano, sedere, fondo schiena | essere culo e cammisa,: stare sempre insieme, andare molto d'accordo.
2 fondo di un recipiente di vetro: il culo di un fiasco, di una bottiglia ' culi di bicchiere, (scherz.) brillanti falsi, di vetro.
Voce dal lat. culu(m) marcato sul greco koilos;
péttola/péttula s.vo f.le
Con tali termini si indica innanzi tutto l'ampia falda posteriore della camicia d’antan ,quella che dentro o fuori i pantaloni, insiste sul fondoschiena; estensivamente, con i medesimi termini, si indica quella che in toscano è detta sfoglia, che si ottiene con l’ausilio del mattèrello (e non mattarello che è un dialettismo romanesco) con il quale su di una apposita spianatoia si stende e si assottiglia, portandolo ad un consono spessore, l’impasto di farina, uova e/o altri ingredienti, per ottenerne, opportunamente tagliato e/o riempito, pasta alimentare o altre preparazioni culinarie; per traslato, con i termini in epigrafe, si indica una donnaccia o anche una donnetta ciarliera e petulante; ancóra: con il diminutivo: pettulélla che stranamente è inteso maschile ‘o pettulélla ci si suole riferire all’impenitente dongiovanni, al femminiere aduso a perennemente correr dietro le gonne femminili, mentre con 'o pettulélla ‘e mammà ci si riferisce ad un uomo, che a malgrado dell'età raggiunta, non si decide ad abbandonare le gonne materne anzi la falda della camicia della sua genitrice o l'ala protettiva di mammà!Ed oggi, a ben vedere, è la consueta situazione attuale quando la stragrande maggioranza dei giovani non intende metter su famiglia, abbandonando la casa dei genitori ed anche quando lo fa, resta legata a filo doppio con la propria genitrice dimostrando che ci si trova indefettibilmente davanti a dei pettulélle ‘e mamma!
Ciò detto, passiamo all'etimologia del termine péttola/péttula.
Cominciamo col dire che la radice pat che pure dà vita a parole latine come patulus= disteso o verbi greci come pètomai indicanti l’azione del distendere, allargare etc., non si può riferire alla péttola/péttula ;ciò è in tutti i testi da me compulsati al riguardo.
Molto piú prosaicamente le parole péttola e péttula si fanno derivare da un acc. latino: petula(m)con consueto raddoppiamento della dentale T in parole sdrucciole, con derivazione radicale dalla radice pet di peto lat.: peditum;e non se ne faccia meraviglia: si pensi a su cosa insiste la péttola!
Altra ipotesi, ma forse meno convincente, è che la péttola/péttula si riallacci al basso latino: pèttia(m)=pezza,nella forma diminutiva pettúla(m) e successivo cambio di accento che abbia dato péttula: questa etimologia può solleticare, ma è lontana dalla sostanza della péttola napoletana che non indica una piccola pezzuola quale appunto è la pettúla, ma, al contrario, un’ampia falda.
4.PARE CA MO 'O VVECO…
Ad litteram: sembra che adesso lo vedrò… Id est: campa cavallo!, mai vedrò (che ciò avvenga)! Locuzione sarcastica di portata molto simile alla precedente, ma di valore piú generico che si usa in presenza di una imprecisata previsione di un risultato fallimentare cui è comunque destinata l'azione intrapresa da chi è ritenuto incapace ed inadatto a sostenere un impegno qualsiasi e perciò a raggiungere un risultato.
 ‘o ‘o/’u = a) ‘o/’u lo art. determ. m. sing. si premette ai vocaboli maschili o neutri singolari; la forma ‘u è forma antica di ‘o ora ancora in uso in talune parlate provinciali e/o dell’entroterra; la derivazione sia di ‘o che di ‘u è dal lat. (ill)u(m), acc.vo di ille 'quello'; l’aferesi della prima sillaba (ill) comporta la doverosa indicazione di un segno diacritico (‘); la particolarità di questo articolo è che quando sia posto innanzi ad un vocabolo inteso neutro, ne comporta la geminazione della consonante iniziale (ad es.: ‘o pate voce maschile, ma ‘o ppane voce neutra etc.);
b) ed è il ns. caso ‘o talora anche lo ma sempre eliso in ll’ se proclitico; = lo pronome personale m.le di terza pers. sing. [forma complementare atona di isso(egli) (forma tonica lui), esso]
1 si usa come compl. ogg. riferito a persona o cosa, in posizione sia enclitica sia proclitica; si può elidere dinanzi a vocale purché non crei ambiguità: ‘o’ mmidio assaje (lo invidio molto); ll’aggiu accattato pe tte(l'ò comprato per te); liéggelo(leggilo); vulesse averlo(vorrei averlo); ‘o ‘í ccanno(eccolo);
2 può assumere il valore di ciò, riferito a una prop. precedente o con funzione prolettica: vo’ riturnà, me ll’à ditto isso(vuole ritornare, me lo à detto lui); ‘o ssapevo ca succedeva(lo sapevo che sarebbe accaduto) | con lo stesso sign. in funzione predicativa: diceva d’essere figlio sujo, ma nun ll’era(diceva di essere suo figlio, ma non lo era); era janca ‘e capille, ll’era addiventata dinto a ppochi mise (era bianca di capelli, lo era diventata in pochi mesi). Amargine di tutto ciò rammento che nel napoletano oltre ‘o (articolo o pronome) esiste un altro ‘o di cui dico qui a seguire:

o’ non è come a prima vista potrebbe apparire un’errata scrittura del precedente articolo ‘o (lo/il) o del precedente pronome ‘o errata scrittura (tutti possiamo sbagliare!) che talvolta mi è capitato di ritrovare inopinatamente in talune pagine di giornali, vergata da indegni pennaruli che per mancanza di tempo o ignavia non usano piú rileggere e/o correggere ciò che scrivono (....mi rifiuto infatti di credere che un giornalista non sappia che in napoletano gli artt. lo/il ed il pronome lo vanno resi con ‘o e non con o’) a meno che quei tali pennaruli nel loro scrivere non errino lasciandosi condizionare dalla dimestichezza con lo O’ (apocope dello of inglese che vale l’italiano de/De).
L’ o’ napoletano a margine è anch’esso un’apocope, quella del vocativo oj→o’=oh e viene usata nei vocativi esclamativi del tipo o’ fra’!= fratello! oppure o’ no’!= nonno! La forma intera oj è usata in genere nei vocativi come oj ne’! – oj ni!’= ragazza! – ragazzo!. Rammento che il corretto vocativo oj viene – quasi sempre e nella maggioranza degli anche famosi e famosissimi scrittori e/o poeti partenopei – riportato in una scorrettissima forma oje con l’aggiunta di una pletorica inesatta semimuta e, aggiunta che costringe il vocativo oj a trasformarsi nel sostantivo oje = oggi con derivazione dal lat. (h)o(di)e→oje; ah, se tutti i sedicenti scrittori e/o poeti partenopei prima di mettere nero sul bianco facessero un atto di umiltà e consultassero una buona grammatica del napoletano, o quanto meno compulsassero un qualche dizionario, quante inesattezze o strafalcioni si eviterebbero! Purtroppo tra i piú o meno famosi o famosissi scrittori e/o poeti partenopei che reputano d’esser titolari di scienza infusa, l’umiltà non alligna, né trova terreno fertile! Il Cielo perdoni la loro supponenza spocchiosa...
5.PARE CA MO TE VECO VESTUTO 'A URZO.
Letteralmente: Sembra che ora ti vedrò vestito da orso. Locuzione da intendersi in senso ironico e perciò antifrastico. Id est: Mai ti potrò vedere vestito della pelle dell'orso (giacché tu non ài nè la forza, nè la capacità fisica e/o morale di ammazzare un orso e vestirti della sua pelle.). La frase viene usata a sarcastico commento delle azioni iniziate da qualcuno ritenutotanto inetto al punto da non poter portare mai al termine ciò che intraprende.Sovente l’espressione è pronunciata preceduta da un esclamatorio Ahé! Ad litteram: sembra che adesso ti vedrò vestito da orso Locuzione garbatamente ironica da intendersi in senso antifrastico, id est: Mai ti vedrò vestito da orso!; si tratta di una locuzione usata a mo' di canzonatura davanti alle risibili imprese dei saccenti, boriosi e supponenti che si imbarchino (privi come sono delle necessarie forze fisiche e/o capacità intellettive), in avventure ben superiori alle loro scarse possibilità; va da sé che a causa della penuria di forze e/o capacità le imprese in cui s’avventurano son destinate a fallire miseramente; il nascosto protagonista della locuzione fa le viste di disporsi a catturare un orso per vestirsene della pelle, ma sciocco, presuntuoso ed incapace qual è non vi potrà mai riuscire, per cui facilmente è dato preconizzare che mai lo si potrà vedere vestito da orso e canzonarlo dicendogli l’espressione in esame; va da sé che l’orso e la sua cattura son solo un icastico esempio d’ogni altra impresa intrapresa e non realizzabile per pochezza di forze, mezzi e/o capacità.
BRAK

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