martedì 29 agosto 2017

VARIE 17/882



1 -Vuje vedite ô Pataterno!
Ad litteram: Voi guardate(ponete attenzione) al Padre Eterno!(cosa mi à comminato!) Espressione/invito che contravvenendo il 2°  comandamento  viene spesso usata con un moto di delusione e/o rammarico quando non addirittura di  rabbia, nell'osservare e/o prender coscienza di  sgraditi accadimenti che ci colgano di sorpresa e   che si pensa provengano dal Cielo e  se ne provi molta   meraviglia, mai pensando che il celeste Padre potesse o avesse potuto  chiamarci a quelle difficili prove.Rammento che in napoletano, contrariamente a quanto fanno la maggior parte degli autori partenopei, che però sono a digiuno delle regole grammaticali dell’idioma partenopeo diverse ed autonome rispetto a quelle della lingua nazionale, cui invece essi si ispirano,  il complemento oggetto se animato è sempre introdotto da una A segnacaso che fondendosi per crasi con l’articolo determinativo del complemento determina volta a volta ô = a+’o, â= a + ‘a, ê = a + ‘e.
2 -Vulé fottere e sbattere 'e mmane  o anche  vulé piscià e gghí 'ncarrozza.altrove ancóra Vulé fottere e vasà 
Ad litteram: voler coire ed applaudire o anche  voler mingire ed andare in carrozza o anche ancóra voler coire e baciare; espressioni usate alternativamente  per indicare  la sciocca idea di chi voglia conseguire nello stesso momento due risultati  antitetici e perciò non conciliaboli; nella prima espressione è sottintesa la posizione c.d. del missionario  nella quale le mani sono impegnate a sostenere il corpo e dunque non possono applaudire; la variante rammenta uno dei frequenti motivi di litigio tra i passeggeri ed i vetturini da nolo, i quali - in ispecie durante le corse notturne  dovevano a loro malgrado, arrestare  spesso la vettura per permettere ai passeggeri che lo richiedevano di provvedere ai loro bisogni fisiologici: naturalmente la faccenda,  ripetendosi spesso, comportava perdite di tempo  sgradite ai vetturini, sempre alenanti a  principiare nuove corse; nella terza espressione si prendono in esame due comportamenti inconciliabili quali il coito(ma orale) ed il bacio.
3 -Vulé piscià tutte dint'ô rinale oppure Vulé piscià tutto dint'ô rinale
Ad litteram: voler minger tutti nell'orinale oppure voler mingere completamente nell’orinale ; in ambedue i casi le espressioni stanno per : pretendere l'impossibile; infatti  non a tutti è concesso di fare  tutte le  medesime cose, come non è possibile che tutti possano mingere nell'orinale, qualcuno dovrà contentarsi di farlo all'aperto e - come i cani - contro il muro. Nell’altra espressione si manifesta l’acclarata certezza che orinando non si può depositare tutto l’orina  nel pitale; inevitabilmente si finisce per versarne fuori una parte!
piscià voce verbale (infinito) = orinare, mingere derivata dal tardo lat. pi(ti)ssare→pissare→pisciare→piscià;
rinale  s.vo m.le = orinale, pitale, piccolo vaso da notte; voce dal lat. *urinale(m)→rinale per aferesi della u diventata o e deglutinata in quanto inteso articolo: *urinale(m)→ orinale(m)→ ‘o rinale.  
4 - Vulé vedé muorto a quaccuno
Ad litteram: voler vedere morto qualcuno id est: odiare tanto qualcuno al segno di voler assistere alla di lui morte.
5 -Vulé vennere zizza 'e vacca pe tarantiello
Ad litteram:voler vendere mammella di mucca per insaccato di tonno
id est: tentare di imbrogliare qualcuno in maniera palese e spudorata, come chi tentasse di cedere in vendita la vile mammella vaccina per il piú pregiato e costoso insaccato di tonno detto tarantiello perché prodotto largamente nel circondario della città di Taranto.
6 -Vulesse Ddio!
Ad litteram:lo volesse Iddio! È l’utinam latino. Id est: magari!, Piacesse al Cielo che accadesse!
7- Vutà càntare
Ad litteram:vuotare vasi di comodo.  Détto di chi insiste continuamente e fastidiosamente a partecipare agli altri i propri guai, le proprie angosce,i  propri malanni  che nella locuzione vengono assimilati a putescenti  grossi pitali  sversati non in mare ma coram populo quasi ai piedi altrui.  Càntere  s.vo m.le plur. di càntaro o càntero alto e vasto cilindrico vaso dall’ampia bocca su cui ci si poteva comodamente sedere, atto a contenere le deiezioni solide; etimologicamente la voce càntero o càntaro è dal basso latino càntharu(m) a sua volta dal greco kàntharos; rammenterò ora di non confondere la voce a margine con un’altra voce partenopea
 cantàro (che è dall’arabo quintâr) diversa per accento tonico e significato: questa seconda infatti è voce usata per indicare una unità di misura: cantàio= quintale ed è a tale misura che si riferisce il detto napoletano: Meglio ‘nu cantàro ‘ncapo ca n’onza ‘nculo ( e cioè: meglio sopportare il peso d’un quintale in testa che (il vilipendio) di un’oncia nel culo (e non occorre spiegare cosa sia l’oncia richiamata…)); molti napoletani sprovveduti e poco informati confondono la faccenda ed usano dire, erroneamente: Meglio ‘nu càntaro ‘ncapo…etc.(e cioè: meglio portare un pitale in testa che un’oncia nel culo!), ma ognuno vede che è incongruo porre in relazione un peso (oncia) con un vaso di comodo (càntaro) piuttosto che con un altro peso (cantàro)!

8 -Vuttà 'e mmane
Ad litteram: buttare le mani id est: sbrigarsi, attivarsi sollecitamente e procedere con uguale sollecitudine  per portare a compimento celermente un lavoro, agitando all'uopo le mani in un finalizzato moto.
9 -Vuttà fuoco p''e rrecchie
Ad litteram: gettare fuoco per le orecchie  Detto di chi per essere  esageratamente nervoso ed arrabbiato si dimostri  eccitato se non esagitato iperbolicamente emettendo per le orecchie l'ipotetico fuoco che cova dentro di sé.
10-Vuttarse sott' â bannera
Ad litteram:buttarsi sotto la bandiera  Detto di chi, per vile opportunismo è solito schierarsi con il piú forte, mettendosi sotto la di lui bandiera, e ciò quando ancora ferve una mischia; peggiore il caso  ricordato altrove   dove lo schierarsi avviene a mischia conclusa, a risultato acquisito  e si balzi allora  sul carro del vincitore.
11 -Zitto chi sape 'o juoco  
Ad litteram: zitto chi conosce il giuoco! Id est: faccia silenzio chi è a conoscenza del trucco o dell'imbroglio. Con la frase in epigrafe olim si solevano raccomandare ai monelli spettatori dei loro giochi, i prestigitatori di strada, affinché non rivelassero il trucco compromettendo la buona riuscita del giuoco da cui dipendeva una piú o meno congrua raccolta di moneta.La locuzione fu in origine sulla bocca dei saltimbanchi che si esibivano a nelle strade adiacenti la piazza Mercato e/o Ferrovia, nel bel mezzo di una cerchia di monelli e/o adulti perdigiorno che non potendosi permettere il pur esiguo costo di un biglietto per accedere ai teatrini zonali ed assistervi a gli spettacoli, si accontentavano di quelli fatti in istrada da girovaghi saltimbanchi che si esibivano su palcoscenici di fortuna ottenuti poggiando delle assi di legno su quattro o piú botti vuote. Spesso tali spettatori abituali, per il fatto stesso di aver visto e rivisto i giochi fatti da quei saltimbanchi/ prestigitatori di strada avevano capito o carpito il trucco che sottostava ai giochi ed allora i saltimbanchi/ prestigitatori che si esibivano con la locuzione zitto chi sape 'o juoco!  invitavano ad una sorta di omertà gli astanti affinché non svelassero ciò che sapevano o avevano carpito facendo perdere l’interesse per il gioco in esecuzione, vanificando la rappresentazione e compromettendo la chétta, la raccolta di monete operata tra gli spettatori, raccolta che costituiva la magra ricompensa per lo spettacolo dato. Per traslato cosí, con la medesima espressione son soliti raccomandarsi tutti coloro che temendo che qualcuno possa svelare imprudentemente taciti accordi, quando non occultati trucchi, chiedono a tutti un generale, complice silenzio.Rammento infine a completamento dell’illustrazione della locuzione un’altra espressione che accompagnava quella in esame: ‘a fora ‘o singo! e cioè: Fuori dal segno! Che era quello che tracciato con un pezzo di gesso rappresentava il limite invalicabile che gli spettatori non dovevano oltrepassare accostandosi troppo al palcoscenico, cosa che se fosse avvenuta poteva consentire ai contravventori di osservare piú da presso le manovre dei saltimbanchi/ prestigitatori, scoprendo trucchi e manovre sottesi ai giochi, con tutte le conseguenze già détte. 
12 -Zitto e mosca!
Ad litteram:silenzio assoluto! Ordine perentorio rivolto genericamente intorno, affinché tutti tacciano completamente  al segno che si possa udire il volo d'una mosca.
13 -Zompa chi po’, dicette 'o ranavuottolo
Ad litteram: Salti chi puó, disse il ranocchio; gli altri si contentino del proprio stato  ed accettino la loro condizione che, a causa dell'età o per sfavorevoli congiunturali condizioni,  non  permette loro  di raggiunger traguardi  allettanti o beate evasioni; questo è il senso della locuzione in epigrafe  con la dispettosa espressione posta sulla bocca di un altrettanto dispettoso  ranocchio che avendo ricevuto in sorte la possibilità di saltare, si prende giuoco di chi non può farlo.
14 – Zucà a ddoje zizze
Adlitteram:succhiare da due mammelle Detto di chi, ingordo, avido, insaziabile quando non  prevaricante, pretende di ottenere, non si sa come,  doppi insperati vantaggi o di ricavare danaro, magari estorcendolo da piú fonti .
15 -Zúcate 'o franfellicco
Ad litteram: súcchiati il bastoncino di zucchero; detto a mo' di soddisfatto commento  della gradevole situazione in cui si trovi qualcuno che per essergli occorsi tutti favorevoli accedimenti, non gli resti che beatamente  goderli  gustandosi golosamente il franfellicco: gustoso bastoncino di zucchero filato variamente insaporito, da leccare passeggiando.
Talvolta però la locuzione è usata in senso completamente opposto, quando si voglia significare a qualcuno: ti è andata male... ora non ti resta che succhiare il franfellicco, usato - in questa valenza - eufemisticamente in luogo di una intuibilissima parte anatomica maschile; in tale seconda valenza piú spesso si adopera l'espressione: zúcate 'o limone (súcchiati il limone ) con evidente riferimento  al gusto acre dell'agrume che  richiama la spiacevolezza della situazione andata male.
Zúcate  voce verbale = súcchiati (2° p. sg. imperativo dell’infinito zucare/à = succhiare  (zucare/à etimologicamente è un denominale di sucus attraverso un *sucare) da notare che l’accento ritratto sulla prima sillaba indica che si tratta di 2° p. sg.; la 2° p. pl. sarebbe stata zucàte.
Franfellicco s.vo m.le = bastoncino di zucchero filato variamente insaporito, da leccare passeggiando; in senso furbesco: membro maschile(etimologicamente marcato per adattamento locale   sul francese fanfreluque).

16 -.Zumpà asteche e lavatore
Ad litteram: saltare tra lastrici solai e lavatoi ; id est: andar su e giú perdendo tempo. Detto di chi, eterno perdigiorno, dedichi il suo tempo non ad impegni lavorativi o di studio, ma lo trascorra bighellonando  senza una precisa meta, ascendendo i lastrici solai(asteche pl. di asteco dal greco ast(r)akon), posizionati in vetta alle abitazioni, o frequentando i lavatoi  posti in basso, nei pressi dei cortili delle suddette abitazioni.
17 -Zumpà 'a ll'asteco â fenesta
Ad litteram: saltare dal lastrico solaio alla finestra. Detto di chi  manchi di ogni lineare coerenza  e o tenga un comportamento  continuamente oscitante ed indeciso o, piú spesso, tenga un modo di discorrere, non facilmente comprensibile  atteso che non segua un filo logico e coerente, ma si avventuri in circonvoluzioni ardite ed indecifrabili.
18 -Zumpà comme a n'arillo
Ad litteram:saltare come un grillo;  detto con, non sempre velata, invidia di chi pur essendo  già avanti con gli anni  goda di tanta buona salute che gli consente una ipercinecità tale  da poterla paragonare a quella di un grillo insetto noto per il suo  continuo saltellare.
19 -Zumpà 'ncopp' ê ccannucce
Ad litteram:saltare  sulle cannucce id est: vivere pericolosamente e perciò in continuo timore,  come chi lo faccia muovendosi e saltando su risibili, piccole e  sottili canne  con il pericolo continuo di sprofondare .
Brak





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