sabato 4 novembre 2017

VULÉ ‘A VERMUTTA SEMPE DA QUACCHEDUNO




VULÉ  ‘A VERMUTTA SEMPE  DA QUACCHEDUNO
Questa  volta tento di dare adeguata risposta ad un  quesito dell’amica I.D.S. (al solito, motivi di riservatezza mi impongono di riportar solo le iniziali di nome e cognome di chi mi scrive per sollecitar ricerche) che mi à chiesto di mettere a fuoco portata, significato e valenza dell’  antica espressione partenopea in epigrafe, molto usata un tempo e che ancóra si può cogliere sulle labbra dei napoletani d’antan. Entro súbito in argomento chiarendo che l’espressione [da rendersi in italiano con: Volere(esigere, pretendere) Il vermut, o vermutte sempre dal (medesimo) qualcuno] è da intendersi nel senso di Volere, anzi esigere, pretendere dalla medesima persona una determinata prestazione e/o attività  quasi che fósse dovuta e non graziosamente fornita dal soggetto al quale con atti o con parole la si richiede. L’espressione perciò nella  morfologia:”Ma ‘a vuó sempe ‘a me ‘a vermutta?”[Lo reclami  sempre da me il vermut?] la si poté e si  puó cogliere sulle risentite labbra di chi si vedesse o si veda  assalito [con atti o parole] da richieste onerose sia di denaro, ma piú spesso di comportanenti impegnativi. L’espressione à una ben precisa origine risalente a gli anni ’40 e ’50 del secondo ‘900 allorché, continuando la tradizione di fine ‘800,soprattutto nella città bassa, si diede vita alla consuetudine delle cosiddette “periodiche” cioè delle riunioni in case private, tenute a Napoli, con cadenza settimanale,  tra amici, parenti o semplici  conoscenti  a scopo di intrattenimento.Durante queste riunioni, che nelle case della borghesia benestante avevano la forma e la tipologia del salotto letterario,  si esibivano cantanti lirici, assoldati allo scopo perché  cantassero arie di opera o canzoni classiche napoletane; talora  l’intrattenitore fu  un comico che si esibiva nelle cosiddette "macchiette",cioè un numero comico a metà strada tra un monologo ed una canzone umoristica, mentre veniva servito un rifresco freddo.  Nelle  case più modeste in luogo di cantanti lirici o di altri artisti ci si accontentava, per ascoltare canzoni e macchiette, di un grammofono, ed in luogo di costosi rinfreschi  freddi si servivano piú economici  "tarallucci e vino", oppure pinocchiate e casarecci dolci rosoli d’inverno Oppure coppe di  gelato d’estate. Una volta dismesso l’uso del rosolio fatto in casa fu servito il piú costoso vermut, o vermutte per accompagnare le pinocchiate.In prosieguo, durante i mesi estivi, le pinocchiate furono accompagnate da birra e non piú da vermut o vermutte.  Accadeva però  talora, soprattutto,nel ceto meno abbiente che solo alcune famiglie erano tanto ospitali da tenere viva la tradizione delle periodiche accollandosi le relative spese per canto e rinfreschi e ci fu qualcuno che, per spilorceria,  prese la cattiva abitudine di profittare dell’altrui ospitalià partecipando  ad ogni periodica che capitasse senza mai aprire l’uscio della propria dimora per qualche riunione di cui sostenesse, di buon grado, le relative spese tanto da suscitar le rimostranze di chi, spazientito, si sentí facultato a chiedergli: :”Ma ‘a vuó sempe ‘a me ‘a vermutta?” Chiediamoci però perché mai si parlò di “vermutta” e non  di  "tarallucce e vvino" o “rosolio o birra”. La risposta sta nel fatto che tarallucci, vino, rosolio o birra erano prodotti locali meno dispendiosi del vermut, prodotto di importazione piú costoso che meglio di  "tarallucce e vvino" o “rosolio” o “birra” poté rappresentare il fastidio arrecato dal profittatore.
Vermutta s.vo f.le = vermut/vermutte [voce dal ted. wermut(wein)]→vermut con raddoppiamento espressivo della consonante finale e paragoge di una vocale evanescente] =  vino liquoroso, bianco o rosso, ad alta gradazione alcolica, aromatizzato con erbe e spezie; si beve come aperitivo o come accompagnamento di dolcini ed entra nella composizione di molti cocktail.         E qui giunto mi fermo convinto d’avere esaurito l’argomento,  d’aver adeguatamente risposto al quesito dell’amica I.D.S.    e sperando d’avere interessato  i miei consueti ventiquattro lettori o chi si imbattesse in queste paginette
Satis est.
R.Bracale Brak

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